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22.5.20

prove di ritorno alla normalità e fake news - bufale

ieri   dopo  tre  mesi  sono andato  a   farmi  i  capelli     in una delle   barbiere  di fiducia   .Tutto ciò che mi era parso degno di deliri complottari  ( per  sapere  come la penso   cercatevi i miei  post  qui  sul blog  e sui social  o  seguitemi  )    ed  purtroppo   opinione di massa si è rivelato ed  ancora  continua  ad   essere argomento cardine di qualsiasi discussione.  Infatti   tra  i due   fratelli     barbieri   : il primo   (  quello che  mi stava facendo i capelli )  e  il secondo   (  impegnato  con un altro cliente  )    si  discuteva    delle  covid  e delle  sue   conseguenze   :
1) Ora ci vogliono mettere anche il Cic (!) sotto la pelle.
2)  vogliono obbligarci  ( anche  se  diranno che non  è  obbligatoria  ma facoltativa  )    a scaricarci ed   attivare un app pèer  trattarci   come se  non bastasse  registrare   chi entra   e chi esce  con i  suoi dati
2)Io non mi faccio nessun vaccino proprio, sono malato di cuore (37 apparentemente sanissimo, sovrappeso in maniera pazzesca.
il cliente   dichiara solennemente di non aver mai indossato la mascherina se  non  perchè  costretto   "perché non mi faccio prendere per il culo dal , io".
3) Perché anziché il vaccino non tolgono i telefoni 5G ?!

 alla  fine  il  primo  barbiere,  il più razionale o almeno riesce   a trovare  un equilibro fra  dubbi  e  certezze  fra   razionalità ed  irrazionalità     ha  mandato  a  fncl il collega  dicendo  <<  arrangiati   fa qwuel  che vuoi  >> il secondo   che   nonostante  avesse    sotto   una persona  anziana  che  raccontava  i ricordi familiari di quando  c'era  stata l'epidemia di   spagnola  ovvero quello che oggi   è  il codiv   .
ed  proprio  mentre scrivo   quest'ultime righe  si diffondono nell'etere  le  note di    Idiot Wind (Blood On The Tracks NYC Session - 1974) -   di  Bob Dylan   canzone    azzeccatissima per  il clima   che  stiamo affrontando ed  ancora    chi  sa per  quanto  dovremo affrontare  \  convivere   sopratutot quando dice


Idiot wind, blowing every time you move your teeth
Vento idiota, soffia ogni volta che muovi la bocca

  con questo  è  tutto    alla prossima    cari  lettori  \  lettrici

14.10.13

Vincenzo Ligios il documentarista che racconta l’isola della lentezza

canzone  consigliata 

Enzo Del Re - Primo Maggio 2010 - Lavorare con lentezza


ne  avevo  già parlato in precedenza  sui queste pagine ( cercate nell'archivio )  , ma  ne  riparlo perchè non i piace  l'oblio  . infatti riporto   dalla nuova  sardegna    d'oggi   14\10\2013


Vincenzo Ligios e i tempi blandi dei piccoli paesi sardi «Le interviste ai sindaci rispecchiano questa realtà» 
La linfa vitale nuova prende i piedi e va via E non ci si può aspettare che una persona abituata ad altre tecniche di produzione si reinventi a sessant’anni
VILLANOVA MONTELEONE Vincenzo Ligios, figlio d'arte. La vera notizia è lui, esordiente ventisettenne accanto – ma non troppo – al padre Salvatore, in un lavoro parallelo ripartito su un doppio percorso – la fotografia e il documentario – poi sintetizzato in volume, «Gli atlanti,
tracce di identità». Salvatore si occupa delle foto, Vincenzo del documentario. I soggetti sono 50 sindaci (45 uomini e solo 5 donne) di altrettanti paesi scelti fra i meno popolati. È un lavoro di ricerca sull'identità, tema che da qualche lustro intriga Tore Ligios. Non ci sono pregiudizi né ipotesi di lavoro preconcette: gli artisti debbono ritrarre la regina Ichnusa, oggi. Com'è, in base alle testimonianze in immagini e parole. Non come la sognerebbero loro. La parola al figlio esordiente. Partiamo dalla fine. Dopo la presentazione ti aspettavi tutti questi consensi? «Sinceramente no. Ma pensavo che da parte della stampa e di chi usufruiva delle interviste mi si ponessero più domande. Forse non si è avuto ancora il tempo di metabolizzare». Però il lavoro è piaciuto. Avevi dubbi su questo? Hai mai pensato che potesse essere difficile da capire? «Sì, il problema me lo ponevo. In fondo il prodotto non è commercialmente moderno come un'intervista in televisione». Cos'è, invece? «Una cosa molto più blanda, ha dei tempi più lenti, ma questo volevo ci fosse per combinarsi anche con la realtà di questi piccoli paesi quasi totalmente desolati». Sarebbe? «Nella vita quotidiana comanda la lentezza. Volevo che le interviste rispecchiassero questa realtà. Avrei potuto utilizzare un'altra tecnica adatta a renderle più accattivanti e veloci. Ma

16.9.13

A Vigne Surrau fotografie e video con i sindaci dei cinquanta paesi sardi più piccoli Ecco perché un paese ci vuole Dal 19 settembre ad Arzachena una mostra con le immagini di Salvatore Ligios e le video interviste di Vincenzo Ligios

Leggo  sul giornale ( la  nuova sardegna  ) di oggi che  Giovedì 19 settembre alle 10,30 presso Vigne \ cantine Surrau ad Arzachena (  un centro che   unisce  alla  vendita  e degustazione del vino anche la cultura   , vedere  mio  post precedente sulla mostra  fotografica   sul sughero  di Roberto graffi  )  presenta il progetto culturale "Gli atlanti. Tracce di identità", selezione di fotografie di Salvatore Ligios  e video installazione di 50 monitor per 50 interviste a cinquanta primi cittadini di piccoli comuni della Sardegna di Vincenzo Ligios. L'inaugurazione sarà preceduta dal convegno "Dalla cultura alla politica" al quale interverranno: Pietro Soddu (nella foto); il presidente di Vigne Surrau Tino Demuro; il sindaco di Bidonì Silvio Manca; il sindaco di Villa Sant'Antonio Antonello Passiu; Manlio Brigaglia; Salvatore Ligios ; Sonia Borsato. Il lavoro è un omaggio al lavoro silenzioso e quotidiano svolto dagli amministratori dei piccoli comuni della Sardegna che  si stanno spopolando sempre  più   a causa della migrazione nei grossi centri  ( Olbia   - Sassari per il nord  , Cagliari Sud   o  peggio ancora  illa pensiola  e  l'estero )  Il progetto esplora la realtà di comuni molto piccoli dell’isola – con popolazione al di sotto di 600 abitanti – per comporre una galleria di ritratti di sindaci, testimoni oculari di ricchezze culturali e identitarie degne di attenzione. Insieme agli scatti fotografici sono state realizzate interviste video in presa diretta. Diversi i testi di accompagnamento in catalogo, firmati da Tino Demuro, Sonia Borsato, Giulio Angioni , Pietro Soddu . L'esposizione è organizzata da  : Su Palatu-Fotografia & Vigne Surrau, dall'Anci, dall'Isre, dalla Banca di Sassari, dalla Fondazione Banco di Sardegna e da Soter editrice. La mostra rimarrà aperta sino al 6 ottobre tutti i giorni dalle 10.30 alle 21. Ingresso libero. Sito www.atlantesardo.it  oppure la pagina facebook per  ulteriori informazioni  Su Palatu-Fotografia cell. 349 2974 462 - Vigne Surrau tel. 0789 82933

 Tale iniziativa  è confermata  da    da un estratto  dell’intervento di Giulio Angioni, scrittore e antropologo preso  Dal catalogo della mostra    riportato dalla nuova sardegna del  15\9\2013



A Vigne Surrau fotografie e video con i sindaci dei cinquanta paesi sardi più piccoli 
Ecco perché un paese ci vuole
Dal 19 settembre ad Arzachena una mostra con le immagini di Salvatore Ligios e le video interviste di Vincenzo Ligios
Dal catalogo della mostra pubblichiamo un brano dell’intervento di Giulio Angioni, scrittore e antropologo.

di Giulio Angioni Questi sindaci non ci parlano di luoghi e di problemi decentrati, di marginalità. E non ci parlano di lontananze. E non è per questo che i due Ligios li hanno scelti. Credo che abbiano piuttosto deciso di fare il giro lungo per tornare a casa senza perdersi per strada. In casa ce l'abbiamo tutti oggi, in Occidente, per esempio, il fenomeno della diminuzione della popolazione e insieme dell'aumento percentuale dei vecchi, della denatalità, del nuovo che avanza e non si riesce a dargli senso. E dunque cercare di capire il difficile e confuso rapporto degli abitanti dei piccoli centri dell'interno sardo con il presente è anche, per chi vive nelle conurbazioni moderne (anche sarde), un “de te fabula narratur”. Non solo loro: ma questi sindaci, specie se giovani, così nuovi e così antichi, sono gli eredi più diretti di un modo di vivere infranto e sostituito. Un modo di vivere che oggi appare, ed è, come spesso capita di considerare, specie ai più vecchi di questi sindaci di paese, di un'infanzia più simile all'infanzia dell'età dei nuraghi che all'infanzia di oggi. Lavorare per vivere e vivere per lavorare sono state per millenni regole senza scampo, in cui la costrizione del vivere per lavorare dava significato alla prima regola universale umana del lavorare per vivere. Per tutti, anche per i ricchi di paese, i proprietari maggiori di terre e di animali. Ma soprattutto per coloro, la maggioranza, che vivevano nella precarietà, spesso estrema, obbligati a inventarsi espedienti per procacciare anche solo il cibo per sé e per la famiglia. (…) Tanti paesi della Sardegna interna sono oggi sull'orlo di un precipizio demografico. Oggi s'impone il fenomeno dello spopolamento, dei piccoli comuni che negli ultimi tempi paiono in via di estinzione nelle cosiddette zone interne, ma anche più in generale in Europa ancora prima che in Sardegna. Tutte le società agropastorali hanno avuto e hanno tassi di natalità elevati, perché questo permette appunto di incrementare agricoltura e allevamento. Nelle nostre società industriali, urbane, i vantaggi dell'allevare meno figli ma più costosi sono superiori ai vantaggi dell'allevarne molti ma meno costosi e presto produttivi. Ci sono altri motivi, ma sono certamente anche, e forse principalmente, i mutamenti negli oneri dell'allevare figli, connessi col mutare dei modi della produzione, che spiegano meglio i mutamenti nei modi della riproduzione anche in Sardegna. Anche nei paesi sardi agropastorali i bambini non sono più "produttivi", e sono più "costosi" di un tempo. La terziarizzazione, in questi paesi, non ancora turistici ma che ci aspirano in modi vari, si aggiunge a produrre spopolamento di centri che per millenni sono stati agropastorali. Più un paese sardo è lontano dalla costa, tanto più pare destinato allo spopolamento, perfino all'estinzione, se il turismo sardo continua a essere soprattutto costiero e balneare. Coste fino a ieri spopolate da secoli si popolano oggi, alla rinfusa e confusamente, di immigranti dai paesi dell'interno. Così come nel caos urbanistico e confusamente si formano le nostre piccole conurbazioni, come quella di Cagliari e di Sassari. Lì i sardi di città hanno invece verso le coste il tipico rapporto da seconda casa. Nella Sardegna interna, però, ha preso piede anche l'idea di agriturismo, in nome del casereccio, del tradizionale, del pane formaggio e cannonau. E dunque vale ancora la pena sposarsi ad Assolo o ad Armungia, se uno si aggiorna riciclando la tradizione locale e il colore e il sapore locali, e farci anche figli. Ma nelle varie Armunge o Villenove sarde continua anche il vecchio non riciclato dal turismo. Il senso comune dei giovani sdegna ancora i mestieri rurali, specie quelli vecchi. Per molti l'istruzione è ancora un modo per lasciare la campagna. Ma anche a ragione, perché da noi l'agricoltura e l'allevamento spesso non sono al passo con i tempi, e i prodotti agropastorali restano di frequente deprezzati o fuori dal normale mercato, a meno di inventarsi nuove nicchie per prodotti locali d'eccellenza, o a meno che non esistano tradizioni industriali e mercantili come quella ormai secolare del pecorino romano fatto in Sardegna e venduto in America quasi all'insaputa dei sardi allevatori di pecore (e di capre) anche in questi paesi, da oltre un secolo produttori del latte che serve a fare quel tipo di formaggio. Ma se intanto parliamo di villaggio globale, e constatiamo che tra città e campagna in Occidente non c'è più vera differenza di modi e di livelli di vita (qualcuno l'ha chiamata rurbanizzazione), sappiamo di non esagerare, tanto più che di questa omologazione tra città e campagna fa parte anche il non fare i molti figli di un tempo, visto che la denatalità in Italia è più o meno la stessa a Milano come a Pompu o ad Allai. Ma dalla campagna la gente continua ad andarsene, mentre dal Terzo Mondo vi si inizia a immigrare, sicché anche ad Aidomaggiore e a Pompu si riproduce in piccolo la diversità del mondo. Però anche chi restava nella proverbiale Pompu per decenni ha continuato a emigrare, distruggendo molto del proprio passato, in nome di una modernità simboleggiabile a lungo in negativo, per esempio, nel blocchetto in calcestruzzo messo in mostra brutalmente dal non finito edile. Che non ci si accorga abbastanza che non c'è più vera differenza, se non a favore della campagna, come genere di vita, magari residuale, ibrido, tra campi e cellulari? È possibile che "l'arretratezza" dei luoghi come i paesi sardi dell'interno consista anche, e principalmente, nel non riuscire ancora a vedere che si è compiuta l'omologazione con la città, nel bene e nel male, e che perciò la si persegue ancora a oltranza in modo distruttivo? Eppure con un residuo di maggiore agio, di una qualche superiorità del genere di vita paesano almeno in quanto possiamo dire che vivere ad Armungia è ancora più sano che vivere a Milano, in tutti i vecchi sensi dati al mito e alla realtà della sana vita di campagna e in tutti i nuovi sensi dell'ecologismo e dell'ambientalismo di oggi, anche se Roma taglia la scuola e l'ospedale decentrati e Bruxelles s'immischia, come un rinoceronte in un negozio di porcellane, nelle fragili cose dell'agricoltura costretta al bricolage. Ormai però anche ai sardi di luoghi come Lodè e Loculi si vende molto di ciò che si produce in Sardegna in nome della continuità, della tradizione, della genuinità locale e di lunga durata, soprattutto in nome dell'origine sarda irrefutabile, magari con marchi di origine controllata. Segno che quella continuità e quella tradizione si sono spezzate, tanto da poter essere trasfigurate nel positivo di un "come eravamo" che il tempo e la memoria leniscono, come spesso leniscono le preoccupazioni diuturne di questi nostri sindaci, che mi rafforzano nella convinzione che oggi proprio loro, i sindaci, in Sardegna come in continente, sono i migliori gestori della cosa pubblica.

3.6.12

dalle strelle alle stalle Declino d'un grande sogno pop, la strada dal successo all'inferno Luigi fregapane




leggo  su l'unione sarda 316\2012 la storia toccante di Luigi Fregapane ( qui news su di lui http://giannipiludu.blogspot.it/2005/12/luigi-fregapane.html)  

 i media e i grandi cantanti ( forse perchè ancora non si è ucciso o fatto gesti eclatanti  ) non lo cagano minimamente   e pensano solo ad  apparire    anzichè 

Ma lui  tenacemente  resiste .Ma  ora lasciamo parlare  l'articolo in questione 

Declino d'un grande sogno pop, la strada dal successo all'inferno

di GIORGIO PISANO ( pisano@unionesarda.it  ) 
Ha disperatamente bisogno dell'aiuto di uno di quelli a cui non troppi anni fa dava del tu. Luigi Fregapane, detto Luis, faceva parte di un gruppo musicale che gli ha fatto sentire l'irresistibile fruscìo del danaro e il profumo della gloria pop: le ragazzine che assediano l'albergo dove dormi, la sicurezza che ti scorta fino al palco per evitare che ti divorino d'amore. Il gruppo si chiamava I nuovi angeli e cantava brani di assoluta inconsistenza ma di strepitoso successo. L'Italia nazionalpopolare, avrebbe detto Pippo Baudo, rispondeva entusiasta battendo le mani a tempo quando intonavano pezzi come Donna Felicità oSingapore .
In un lampo ricchezza e notorietà si sono fatte cenere. Da Torino, dov'è nato, Luis si è rifugiato prima a Finale Ligure e poi in un paesino minuscolo della Sardegna centrale, Baradili: 94 abitanti, lui compreso. Alle spalle ci sono due figli, vita piena e fumata. Abita in una casetta di nemmeno sessanta metri quadri con Franco, vecchio amico del padre, quattro interventi neurochirurgici già subìti e un quarto in programma.
Strana coppia. Finché la malattia non ha fatto invasione di campo, vivevano di seratine, feste di matrimonio. Campavano, insomma. Ora c'è molta malinconia nelle due stanzette (una è uno studiolo di registrazione) che dividono insieme a Perla, il cane, e Trottola, il gatto. Cento foto e articoli di giornale tappezzano le pareti per ricordare un passato magico che è volato via in un soffio. Luis lo tiene presente soprattutto a se stesso con un taglio di capelli (corvini) che rimandano ai Beatles. In aggiunta, c'è sovrabbondanza di bracciali su polsi magrissimi, anelli, orecchino e una catenina appesa a un corpo asciutto e maturo. Sorriso buono e piccoli vezzi da star: «Quanti anni ho? Diciamo più di cinquanta».
Franco invece ne ha 73. Aveva una famiglia, l'ha lasciata in Liguria per stare accanto a un ragazzo che aveva ospitato a lungo nella sua casa prima del trasferimento in Sardegna. Quel che gli preme, adesso, è stare attaccato a un'esistenza che non ha più nemmeno la consolazione «d'un lavoro o d'una specie di lavoro, come suonare le tastiere».
Il paese, che li ha visti arrivare quando Luis aveva ancora una certa popolarità, non li ha giudicati: agli artisti sono riconosciute molte attenuanti, altrimenti che artisti sarebbero? Accoglienza calda e amichevole, rimasta intatta.
Le cose però sono andate di male in peggio, a vuoto il tentativo di cercare il rilancio con una band isolana, rari i contatti col vecchio ambiente. Nel frattempo sono anche cresciuti i debiti, le incursioni fiscali, l'artiglio delle finanziarie, la spesa sempre più robusta per visite mediche ed esami. Come uscirne? Facile: basta preparare le musiche di un nuovo album, affidarsi a un buon paroliere locale e lanciare un messaggio ai big della musica leggera italiana. «Mi basterebbe che eseguissero un brano, soltanto uno e noi torneremmo a stare a galla».
A lavoro concluso, Luis ha scritto a Vasco, Jovanotti, Mannoia, Dolcenera e altri. Lettere sintetiche e chiare: Sos. Risposta? Neanche una. I compagni di ieri sono diventati fantasmi.
Quando è cominciato il declino?
«Dopo I nuovi angeli , ho avuto una stagione a Canale 5 e poi, pian piano, più nulla. Doveva essere scritto in cielo: mia madre mi ha partorito in una chiesa dedicata agli esorcismi, Sant'Alfonso. Mia sorella gemella è morta quasi subito; io, che pesavo sette etti, ce l'ho fatta».
Vuol dire che il passaggio dalle stelle alle stalle era scontato?
«Dalla vita ho sempre preso quello che mi ha dato. Sono figlio di un maresciallo di Polizia che la mattina, appena sveglio, ascoltava i discorsi di Mussolini e poi andava a combattere contro le Brigate Rosse nella Torino feroce di quel periodo. Dico questo perché non avevo messo in conto né trionfi né depositi stellari in banca».
Non si è saputo amministrare?
«Durante la carriera ho messo da parte trecento milioni di lire. Li ho spesi quasi tutti sperando inutilmente di far guarire mia madre dal cancro. Le sconfitte non mi hanno mai buttato giù ma quella di sei anni fa è stata pesantissima».
Cos'è accaduto?
«Franco s'è ammalato. Dicevano che era diabete. Era anche diabete. Quando è entrato in coma tumorale, hanno cominciato a capire. L'avevo portato a Cagliari, ospedale san Giovanni di Dio, per farlo vedere. Dieci ore d'attesa, niente: torni domani».
Poi?
«Il giorno dopo stessa storia: oggi non ce la facciamo, ripassi. Il fatto che venissimo da Baradili li lasciava supremamente indifferenti. Il terzo giorno le ore d'attesa sono diventate diciassette, e ho perso il controllo dei nervi. Ho gridato, insultato un infermiere, preteso che lo visitassero».
Perché non avrebbero dovuto?
«Avevo i capelli lunghi, un'aria trasandata, qualche filo di trucco. Capito perché ci snobbavano?».
Continuava a vivere pensando d'essere sul palco?
«Nemmeno un po'. Questo è il mio modo di essere. Ho una storia pesante, io».
Cioè?
«Coi Nuovi angeli ho cantato a Mosca davanti a centomila persone, termometro a meno 20. Il momento più emozionante della mia carriera è stato l'incontro con Fausto Leali, grande artista e grande persona. Ho scritto una canzone per lui».
Devastante l'impatto con la ricchezza?
«Sì perché ti avvicina a gente molto più ricca di te. Passavo l'estate a Porto Ercole, villa e spiaggia privata. Mi sono tolto lo sfizio di andare in Francia per una passeggiata, per sei mesi sono stato a Parigi in una suite dello Sheraton. Frequentavo locali dove incontravo Frank Sinatra, Liza Minnelli, Paul Newman».
E magari serviva un aiutino per mantenere alta l'ispirazione.
«Mi bastava mezzo spinello per schizzare di testa. Sono creativo, ci vuol niente per accendermi. Cocaina? Qualche tiro l'ho fatto ma non m'è venuta la passione, colpa della fase down».
Troppo deprimente?
«Sono rimasto deluso. Che senso aveva prendere una sostanza che ti faceva volare ma subito dopo ti schiantava a terra senza pietà? Allora avevo molti sogni e molte speranze. Forse ero progressista ma non sapevo di esserlo. D'altra parte la vera differenza tra destra e sinistra non sono mai riuscito a coglierla».
Quanto è riuscito a guadagnare?
«E chi lo sa? Ho incassato dalla Siae anche venti milioni in una botta sola».
Oggi?
«Campo ancora di musica, nel senso che compongo per qualche artista locale, il lavoro è pochino. Riesco a mettermi in tasca cinquecento euro al mese, non tutti i mesi però. In più, dormo due ore per notte e assisto Franco, che ha bisogno costantemente di aiuto. Fortuna che la casa, poco più di un nido, è nostra. Ma c'è tutto il resto».
Debiti?
«Mi hanno concesso ventimila euro per un progetto de minimis e subito dopo ne hanno preteso settemila di tasse. Franco ha la pensione e l'indennità di accompagnamento. Non solo, la Regione mi riconosce anche un'ottantina di euro al mese perché sono il suo badante».
E allora?
«Sei anni fa, quando è cominciato tutto, abbiamo bussato alle porte di tre finanziarie. Sapete quanto costa una risonanza magnetica? Trecento euro. Ne abbiamo fatto a volontà. Ma non mi lamento, non frughiamo nei cassonetti per vivere».
Ve la cavate, comunque.
«Per forza. Facciamo vita ritirata, Franco si stanca in fretta. Io lavoro a tempo pieno per lui. Il mio ritmo è il suo. Ho preso la patente quando s'è ammalato, a me non interessava averla».
A quanto ammonta il vostro debito?
«Trentamila euro. Sono sicuro che se un artista nazionale cantasse una mia canzone avrei risolto tutto».
Perché ha scelto di fuggire in Sardegna?
«Stavamo a Finale Ligure, badavamo a un oliveto di oltre 430 piante. Una sera vediamo in tivù un reportage da Baradili, uno dei più piccoli Comuni d'Italia. Una meraviglia. Ci guardiamo e in un attimo abbiamo deciso. Franco dice che è il richiamo delle radici».
Perché?
«Lui di cognome fa Meloni ed è nato a San Gavino. Io sono di Torino ma mia madre era del Nuorese. Sarà stato questo che ci ha fatto scegliere la Sardegna?».
Quando vi siete trasferiti?
«Undici anni fa. Allora Baradili aveva centoventi abitanti. Appena arrivato, mi hanno fatto qualche intervista e questo ci ha aiutato molto».
In che senso?
«La popolazione ci ha guardato subito con simpatia. Potevamo apparire bizzarri ma io avevo un volto conosciuto, quindi nessuno ci ha dato noia. Baradili è un luogo meraviglioso, fatto di gente speciale».
D'accordo, ma per campare?
«Fino a quando non c'è stata la malattia, bastava poco. Per suonare a una festa di matrimonio ci davano anche settecento euro. Metti che in un mese riuscissimo a farne due ed eravamo a cavallo. Qui non serve moltissimo per vivere».
Tutto finito?
«Inevitabile. Ho anche pochissimo tempo per comporre. Affitto il mio studiolo di registrazione, vendo qualcuna delle mie chitarre».
Come nasce l'idea di proporre a un big di cantare nel vostro album?
«Nasce dalla disperazione e dall'amicizia con un paroliere cagliaritano, Roberto Pinna. I testi sono impegnati, legati al sociale: non c'interessava la rima cuore-amore. Uno dei brani ( Nei tuoi occhi c'è la strada ), secondo noi, potrebbe essere tagliato su misura per Jovanotti».
Gliel'avete chiesto?
«Abbiamo lanciato un appello su Facebook e su Twitter per sapere se qualcuno ci stava, insomma se l'idea poteva interessare. Poi, nella fase due abbiamo inviato una mail e il brano in questione a una serie di big, compreso Luciano Ligabue».
Risposte?
«Silenzio. L'unico che ha avuto la bontà di risponderci è stato Red Ronnie. Ha promesso di invitarci in una trasmissione che conduce non so dove».
E gli altri, nessun contatto?
«Sento ogni tanto il cantante dei Nuovi angeli , Pasquale Canzi. Ma sta peggio di noi, ha beccato una serie di tramvate dalla vita».
Abitasse a Roma, sarebbe lo stesso?
«Nel segmento-nostalgia, i gruppi possono vivere per quattro mesi. Dopo le comparsate con vecchie canzoni in tivù, accettano compensi veramente minimi per continuare a stare sulla piazza. Non ne vale la pena».
Da Baradili però tutto diventa più difficile.
«Può darsi ma qui resto. Non mi sento un fallito, amo la vita e sono pronto a combattere. Nessuno risponde alla mia mail? Pazienza, cercherò un'altra via. Di sicuro non alzo bandiera bianca. In fondo sono un privilegiato».
Privilegiato?
«Ho avuto la grande fortuna di vivere una vita magica, anni irripetibili. Sono fiero di quello che ho fatto, perfino dei miei errori. Scappare a Cagliari o a Milano non servirebbe: per sfondare devi avere un padrino e io non ce l'ho. Eppoi c'è anche un'altra ragione».
Quale?
«Al di là del fatto che non potremmo permetterci di vivere in una città, qui ci sentiamo protetti. E questo è qualcosa che non ha prezzo».
Obiettivo, dunque, aspettare?
«Esatto. E intanto cercare sei-settemila euro per portare Franco in Svizzera: per la sua malattia, faringioma cerebrale, ci sono i chirurghi migliori. Serve un quarto intervento e non intendiamo rinunciarci».

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...