A Vigne Surrau fotografie e video con i sindaci dei cinquanta paesi sardi più piccoli Ecco perché un paese ci vuole Dal 19 settembre ad Arzachena una mostra con le immagini di Salvatore Ligios e le video interviste di Vincenzo Ligios

Leggo  sul giornale ( la  nuova sardegna  ) di oggi che  Giovedì 19 settembre alle 10,30 presso Vigne \ cantine Surrau ad Arzachena (  un centro che   unisce  alla  vendita  e degustazione del vino anche la cultura   , vedere  mio  post precedente sulla mostra  fotografica   sul sughero  di Roberto graffi  )  presenta il progetto culturale "Gli atlanti. Tracce di identità", selezione di fotografie di Salvatore Ligios  e video installazione di 50 monitor per 50 interviste a cinquanta primi cittadini di piccoli comuni della Sardegna di Vincenzo Ligios. L'inaugurazione sarà preceduta dal convegno "Dalla cultura alla politica" al quale interverranno: Pietro Soddu (nella foto); il presidente di Vigne Surrau Tino Demuro; il sindaco di Bidonì Silvio Manca; il sindaco di Villa Sant'Antonio Antonello Passiu; Manlio Brigaglia; Salvatore Ligios ; Sonia Borsato. Il lavoro è un omaggio al lavoro silenzioso e quotidiano svolto dagli amministratori dei piccoli comuni della Sardegna che  si stanno spopolando sempre  più   a causa della migrazione nei grossi centri  ( Olbia   - Sassari per il nord  , Cagliari Sud   o  peggio ancora  illa pensiola  e  l'estero )  Il progetto esplora la realtà di comuni molto piccoli dell’isola – con popolazione al di sotto di 600 abitanti – per comporre una galleria di ritratti di sindaci, testimoni oculari di ricchezze culturali e identitarie degne di attenzione. Insieme agli scatti fotografici sono state realizzate interviste video in presa diretta. Diversi i testi di accompagnamento in catalogo, firmati da Tino Demuro, Sonia Borsato, Giulio Angioni , Pietro Soddu . L'esposizione è organizzata da  : Su Palatu-Fotografia & Vigne Surrau, dall'Anci, dall'Isre, dalla Banca di Sassari, dalla Fondazione Banco di Sardegna e da Soter editrice. La mostra rimarrà aperta sino al 6 ottobre tutti i giorni dalle 10.30 alle 21. Ingresso libero. Sito www.atlantesardo.it  oppure la pagina facebook per  ulteriori informazioni  Su Palatu-Fotografia cell. 349 2974 462 - Vigne Surrau tel. 0789 82933

 Tale iniziativa  è confermata  da    da un estratto  dell’intervento di Giulio Angioni, scrittore e antropologo preso  Dal catalogo della mostra    riportato dalla nuova sardegna del  15\9\2013



A Vigne Surrau fotografie e video con i sindaci dei cinquanta paesi sardi più piccoli 
Ecco perché un paese ci vuole
Dal 19 settembre ad Arzachena una mostra con le immagini di Salvatore Ligios e le video interviste di Vincenzo Ligios
Dal catalogo della mostra pubblichiamo un brano dell’intervento di Giulio Angioni, scrittore e antropologo.

di Giulio Angioni Questi sindaci non ci parlano di luoghi e di problemi decentrati, di marginalità. E non ci parlano di lontananze. E non è per questo che i due Ligios li hanno scelti. Credo che abbiano piuttosto deciso di fare il giro lungo per tornare a casa senza perdersi per strada. In casa ce l'abbiamo tutti oggi, in Occidente, per esempio, il fenomeno della diminuzione della popolazione e insieme dell'aumento percentuale dei vecchi, della denatalità, del nuovo che avanza e non si riesce a dargli senso. E dunque cercare di capire il difficile e confuso rapporto degli abitanti dei piccoli centri dell'interno sardo con il presente è anche, per chi vive nelle conurbazioni moderne (anche sarde), un “de te fabula narratur”. Non solo loro: ma questi sindaci, specie se giovani, così nuovi e così antichi, sono gli eredi più diretti di un modo di vivere infranto e sostituito. Un modo di vivere che oggi appare, ed è, come spesso capita di considerare, specie ai più vecchi di questi sindaci di paese, di un'infanzia più simile all'infanzia dell'età dei nuraghi che all'infanzia di oggi. Lavorare per vivere e vivere per lavorare sono state per millenni regole senza scampo, in cui la costrizione del vivere per lavorare dava significato alla prima regola universale umana del lavorare per vivere. Per tutti, anche per i ricchi di paese, i proprietari maggiori di terre e di animali. Ma soprattutto per coloro, la maggioranza, che vivevano nella precarietà, spesso estrema, obbligati a inventarsi espedienti per procacciare anche solo il cibo per sé e per la famiglia. (…) Tanti paesi della Sardegna interna sono oggi sull'orlo di un precipizio demografico. Oggi s'impone il fenomeno dello spopolamento, dei piccoli comuni che negli ultimi tempi paiono in via di estinzione nelle cosiddette zone interne, ma anche più in generale in Europa ancora prima che in Sardegna. Tutte le società agropastorali hanno avuto e hanno tassi di natalità elevati, perché questo permette appunto di incrementare agricoltura e allevamento. Nelle nostre società industriali, urbane, i vantaggi dell'allevare meno figli ma più costosi sono superiori ai vantaggi dell'allevarne molti ma meno costosi e presto produttivi. Ci sono altri motivi, ma sono certamente anche, e forse principalmente, i mutamenti negli oneri dell'allevare figli, connessi col mutare dei modi della produzione, che spiegano meglio i mutamenti nei modi della riproduzione anche in Sardegna. Anche nei paesi sardi agropastorali i bambini non sono più "produttivi", e sono più "costosi" di un tempo. La terziarizzazione, in questi paesi, non ancora turistici ma che ci aspirano in modi vari, si aggiunge a produrre spopolamento di centri che per millenni sono stati agropastorali. Più un paese sardo è lontano dalla costa, tanto più pare destinato allo spopolamento, perfino all'estinzione, se il turismo sardo continua a essere soprattutto costiero e balneare. Coste fino a ieri spopolate da secoli si popolano oggi, alla rinfusa e confusamente, di immigranti dai paesi dell'interno. Così come nel caos urbanistico e confusamente si formano le nostre piccole conurbazioni, come quella di Cagliari e di Sassari. Lì i sardi di città hanno invece verso le coste il tipico rapporto da seconda casa. Nella Sardegna interna, però, ha preso piede anche l'idea di agriturismo, in nome del casereccio, del tradizionale, del pane formaggio e cannonau. E dunque vale ancora la pena sposarsi ad Assolo o ad Armungia, se uno si aggiorna riciclando la tradizione locale e il colore e il sapore locali, e farci anche figli. Ma nelle varie Armunge o Villenove sarde continua anche il vecchio non riciclato dal turismo. Il senso comune dei giovani sdegna ancora i mestieri rurali, specie quelli vecchi. Per molti l'istruzione è ancora un modo per lasciare la campagna. Ma anche a ragione, perché da noi l'agricoltura e l'allevamento spesso non sono al passo con i tempi, e i prodotti agropastorali restano di frequente deprezzati o fuori dal normale mercato, a meno di inventarsi nuove nicchie per prodotti locali d'eccellenza, o a meno che non esistano tradizioni industriali e mercantili come quella ormai secolare del pecorino romano fatto in Sardegna e venduto in America quasi all'insaputa dei sardi allevatori di pecore (e di capre) anche in questi paesi, da oltre un secolo produttori del latte che serve a fare quel tipo di formaggio. Ma se intanto parliamo di villaggio globale, e constatiamo che tra città e campagna in Occidente non c'è più vera differenza di modi e di livelli di vita (qualcuno l'ha chiamata rurbanizzazione), sappiamo di non esagerare, tanto più che di questa omologazione tra città e campagna fa parte anche il non fare i molti figli di un tempo, visto che la denatalità in Italia è più o meno la stessa a Milano come a Pompu o ad Allai. Ma dalla campagna la gente continua ad andarsene, mentre dal Terzo Mondo vi si inizia a immigrare, sicché anche ad Aidomaggiore e a Pompu si riproduce in piccolo la diversità del mondo. Però anche chi restava nella proverbiale Pompu per decenni ha continuato a emigrare, distruggendo molto del proprio passato, in nome di una modernità simboleggiabile a lungo in negativo, per esempio, nel blocchetto in calcestruzzo messo in mostra brutalmente dal non finito edile. Che non ci si accorga abbastanza che non c'è più vera differenza, se non a favore della campagna, come genere di vita, magari residuale, ibrido, tra campi e cellulari? È possibile che "l'arretratezza" dei luoghi come i paesi sardi dell'interno consista anche, e principalmente, nel non riuscire ancora a vedere che si è compiuta l'omologazione con la città, nel bene e nel male, e che perciò la si persegue ancora a oltranza in modo distruttivo? Eppure con un residuo di maggiore agio, di una qualche superiorità del genere di vita paesano almeno in quanto possiamo dire che vivere ad Armungia è ancora più sano che vivere a Milano, in tutti i vecchi sensi dati al mito e alla realtà della sana vita di campagna e in tutti i nuovi sensi dell'ecologismo e dell'ambientalismo di oggi, anche se Roma taglia la scuola e l'ospedale decentrati e Bruxelles s'immischia, come un rinoceronte in un negozio di porcellane, nelle fragili cose dell'agricoltura costretta al bricolage. Ormai però anche ai sardi di luoghi come Lodè e Loculi si vende molto di ciò che si produce in Sardegna in nome della continuità, della tradizione, della genuinità locale e di lunga durata, soprattutto in nome dell'origine sarda irrefutabile, magari con marchi di origine controllata. Segno che quella continuità e quella tradizione si sono spezzate, tanto da poter essere trasfigurate nel positivo di un "come eravamo" che il tempo e la memoria leniscono, come spesso leniscono le preoccupazioni diuturne di questi nostri sindaci, che mi rafforzano nella convinzione che oggi proprio loro, i sindaci, in Sardegna come in continente, sono i migliori gestori della cosa pubblica.

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