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20.1.16

bisceglie Migrante eroe sventa rapina al supermercato, recupera il bottino e fa arrestare il malvivente

E poi dicono che ci fregano il lavoro , violentano e nostre donne , ecc facendo di tutta un erba un fascio. Ed facendo passare , se non tacendo , in secondo piano e\o in ambito locale news come queste per concentrarsi inve solo ed esclusivamente su news negative

da  http://www.bisceglieindiretta.it/  del 15\1\2016


Migrante eroe sventa rapina al supermercato, recupera il bottino e fa arrestare il malvivente
Diversi i biscegliesi spettatori, ma nessuno interviene nel civilissimo gesto
Nessuno dei biscegliesi che ha assistito alla scena ha ritenuto opportuno intervenire. Invece lui,  che dell’Italia potrebbe non ottenere mai la cittadinanza, non ha esitato a mettere a repentaglio la vita pur di sventare la rapina.
È un richiedente asilo ospite a Bisceglie, il giovane che ha mandato a monte l’ennesimo furto al supermercato Dok di via Capitan Gentile e che, in seguito,  ha consentito l’arresto del rapinatore.
L’uomo, in seguito identificato come un biscegliese già noto alle forze dell’ordine, si sarebbe introdotto nel negozio intorno alle ore 17.00 del 12 gennaio e avrebbe minacciato i dipendenti  per farsi consegnare gli incassi.  Alle urla della commessa,  il richiedente asilo che era solito sostare all’esterno del supermercato,  sarebbe intervenuto per bloccare il malvivente. Diversi, i cittadini che avrebbero assistito alla colluttazione che è seguita e in cui il giovane migrante si è visto puntare un coltello sul volto, scansandolo solo per prontezza di riflessi.



 
Al suo grido, in inglese «aiutatemi a fermarlo», nessuno sarebbe accorso, così il malvivente sarebbe riuscito a fuggire su uno scooter parcheggiato su via Capitan Gentile. Nella fuga, avrebbe perso però il bottino, prontamente riconsegnato ai titolari del negozio.
Il giovane migrante avrebbe anche aiutato nelle indagini, riuscendo ad identificare l’autore della rapina, fermato il giorno successivo dai Carabinieri della Tenenza di Bisceglie.
Il suo unico rammarico è quello di non essere riuscito a bloccare subito il rapinatore, nonostante le richieste di soccorsi ai passanti.
Più cittadino degli altri cittadini, questo ragazzo ha ora un sogno: quello di riuscire a trovare un lavoro in Italia.
La legge che regola la presenza degli stranieri sul territorio nazionale permette il lavoro dei migranti anche nelle aziende private, attraverso borse lavoro attivabili per il tramite delle realtà che gestiscono le strutture di accoglienza presenti sul territorio.
Chi per premiare questo giovane coraggioso fosse interessato ad attivare una borsa lavoro, può contattare la redazione di Bisceglie in Diretta, che si impegna a fare da tramite tra l’impresa e la struttura che accoglie il ragazzo.

29.9.13

teulada Le mimetiche all'uranioLe divise pulite in una lavasecco: nella famiglia dei titolari cinque fratelli su sei sono malati di tumore, si salva solo l'emigrato



  

da l'unione sartda del 29\9\2013


Le divise pulite in una lavasecco: nella famiglia dei titolari le mimetiche all'uranio
cinque fratelli su sei sono malati di tumore, si salva solo l'emigrato

dal nostro inviato
Paolo Carta
TEULADA Di sei fratelli, tutti attorno alla cinquantina, quello emigrato in Brasile è l'unico sano. Gli altri, rimasti a Teulada, sono malati: tumori maligni e disfunzioni alla tiroide. «Siamo cresciuti nella lavanderia dei nostri genitori: sino agli anni 90 i militari portavano la roba da noi. Divise e mimetiche, mimetiche e divise. Il nostro dubbio - dicono Chiarella e Carla Murgia - è che ci siamo ammalate per aver respirato quelle polveri presenti negli abiti dei soldati dopo le esercitazioni».
LA BOMBA Il cielo è terso, la ventilazione appena apprezzabile, il mite autunno di Teulada invoglierebbe ad andare al mare ma non è possibile: neanche tanto in sottofondo i rumori dei cannoni annunciano che la stagione balneare è finita ed è cominciata quella delle guerre simulate. Ma stavolta fa più rumore in paese la bomba esplosa dal Palazzo di Giustizia di Cagliari: c'è un'inchiesta della magistratura che vuol far luce sui tanti ammalati di tumore tra civili e soldati che a diverso titolo hanno frequentato il poligono.
IL COMITATO Venti esposti già presentati, almeno altri 40 malati sospetti. Tutto è nato dalla denuncia dei genitori di un pescatore cagliaritano, Manolo Pinna, morto a 26 anni per un tumore al cervello diagnosticato dopo il servizio di leva a Teulada.
Già da anni in paese un Comitato spontaneo di cittadini, guidato dalla casalinga Elisa Monni (62 anni), ha raccolto un dossier con 55 storie. «Quelle dei compaesani malati di tumore. Ci hanno dato il loro consenso per andare avanti a chiedere la verità su quel che accaduto a Teulada dal 1956 a oggi. Esercitazioni senza controllo, parti del territorio irremedibialmente compromesse, strane polveri bianche e appiccicose che rimanevano giorni e giorni su mirto e lentischi. E poi le diagnosi, la chemioterapia, gli interventi, i funerali».
L'INCHIESTA Adesso quei documenti, cartelle cliniche e reperti istologici, sono finiti nelle stanze della Procura di Cagliari, a disposizione di un magistrato che indaga (contro ignoti) per omicidio colposo. Lo Stato ha mandato al massacro i suoi soldati in tempo di pace nelle esercitazioni senza controlli? Ha contaminato mari e campagne di Teulada?
Per adesso la battaglia del Comitato ha scatenato tanto rumore e ottenuto niente: 55 ricorsi presentati al Ministero della Difesa per ottenere il risarcimento per i tumori hanno ricevuto altrettanti dinieghi. Solita motivazione: impossibile stabilire il nesso di causalità tra test militari, vicinanza al poligono e malattie. Formula che non tacita i sospetti, anche perché era stata la stessa legge dello Stato a parificare i poligoni sardi di Teulada, Quirra e Capo Frasca ai teatri di guerra del Kosovo, Iraq, Afganistan e Somalia ai fini del riconoscimento degli indennizzi ai malati.
LE STORIE La gente di Teulada non si ferma perché non è interessata all'obolo di Stato, che non può restituire familiari finiti sottoterra o salute ormai compromessa, ma alla verità. Tito Frau, per esempio, ha 76 anni, un passato da operaio edile e un presente da malato di linfoma non Hodgkin: «Il paese è inquinato, arrivano le sabbie dell'Africa, figuriamoci cosa resta nei terreni e nelle acque dopo sessant'anni di test militari». Ancora più diretta Antonietta Albai, sorella dell'ex sindaco Gianni, morto un anno e mezzo fa dopo una malattia fulminante: «Sì, certo, quando è morto mio fratello abbiamo pensato che potesse esserci stato un collegamento tra il tumore e le attività svolte attorno al paese. Anzi, ogni volta che qualcuno si ammala a Teulada il pensiero va in quella direzione. Troppi giovani, troppe persone malate. Il paese è avvelenato, ben venga l'indagine. Mio fratello era una persona solare e aveva sempre chiesto maggiori controlli sull'ambiente per difendere i suoi compaesani». Ed Enrico Cara, bidello di 65 anni, «senza un rene», annuisce: «Voglio sapere perché mi sono ammalato, se i militari hanno rispettato l'ambiente e il nostro diritto alla salute».
Quasi a suggellare queste parole all'uscita di scuola il rumore dello sparo di un cannone sovrasta il suono della campanella. Cartolina da Teulada, paese sempre in guerra.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...