Qualche mese fa è uscito un libro “Bob Dylan & Like a Rolling Stone. Filologia-Composizione-Performance” (Mimesis, 2021). di Mario Gerolamo Mossaun giovane studioso, dottorando di ricerca in Studi italianistici all'Università di Pisa, con un progetto di natura comparatistica incentrato sulla canzone d'autore italiana e sul singer-songwriting angloamericano.
Un libro particolare vista la prefazione di pregio , quella di Alessandro Carrera traduttore di Bob Dylan in Italia e il fatto che l'autore è stato ospite del Centro Studi Fabrizio De André per presentare il suo libro insieme ad Alessandro Carrera.
L'evento è organizzato in collaborazione con "Semicerchio. Rivista di poesia comparata" e con il patrocinio della Fondazione De André, del Dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne dell'Università degli Studi di Siena e della Società Italiana di Musicologia.
In questo libro, Mario Gerolamo Mossa indaga per la prima volta tutte le fasi creative del capolavoro dylaniano, dalla sua ideazione fino alle più significative esecuzioni dal vivo, facendo ricorso a numerosi materiali inediti e adottando una metodologia interdisciplinare particolarmente attenta al rapporto tra oralità e scrittura, unendo elementi tipici della tradizionale biografia rock all’analisi musicologica aderente alla più moderna accademia in materia di popular music studies.
Incuriosito oltre dal batage culturale e mediatico ( vedi le righe precedenti ) anche da quanto ha scritto Alessandro Carrera nella prefazione, questo saggio “offre l’analisi più ampia, minuziosa e ossessiva mai condotta di Like a Rolling Stone in qualsiasi lingua”, ricostruendo la storia di una voce che da oltre mezzo secolo affida alla cruciale domanda “Come ci si sente?”, How does it feel?, la ricerca di una verità imprevedibile e transitoria, libera da ogni ideologia come da ogni pregiudizio che è nata questa mia intervista all'autore ( foto sotto sotto a destra )
Ho iniziato ad avvicinarmi alla canzone d’autore durante la mia adolescenza. Non dirò chi era il mio mito di allora perché è facilmente prevedibile, essendo originario di Tempio Pausania. Sicuramente all’inizio il mio interesse per quella tradizione era vicino alla “venerazione”; poi, con gli anni, e soprattutto studiando la letteratura “non” cantata, mi sono accorto che era più appagante confrontarsi criticamente con i propri miti. Non necessariamente per demistificarli, ma anzi per renderli più umani, e comprenderli più da vicino. La passione per la musica deriva da mio padre – che resta il mio cantautore preferito per ragioni che prescindono dal mio lavoro – anche se è stata mia madre a farmi sentire per la prima volta gli artisti che avrebbero poi cambiato la mia vita.
come mai hai scelto per analizzare un icona cosi complessa ( vedere No Direction Home: Bob Dylan il film documentario del 2005 diretto da Martin Scorsese che ripercorre la vita di Bob Dylan fino all'incidente motociclistico occorsogli nel 1966 e il suo impatto sulla musica e sulla cultura americana. Bob Dylan , la sua Like a Rolling Stone e non tutte le sue canzoni ?
Ho scelto Like a Rolling Stone per due ragioni. La prima è che tra tutte le canzoni dylaniane, Like a Rolling Stone è quella che ha avuto un maggiore impatto sul mondo, segnando un momento di rottura sia rispetto alla poetica dell’autore, sia rispetto alla storia della popular music e della critica musicale secondo-novecentesca. La seconda ragione è che, anche un po’ per caso, mi sono ritrovato a consultare molti documenti inediti che testimoniavano la composizione di Like a Rolling Stone, e che erano assenti in tutta l’immensa bibliografia su questo brano. Aggiungo che ad oggi non esiste una tradizione di studi filologici intorno alle canzoni, e quindi il caso di Like a Rolling Stone era particolarmente utile per porre dei problemi di metodo più generali.
in che senso : <<tra tutte le canzoni dylaniane, Like a Rolling Stone è quella che ha avuto un maggiore impatto sul mondo, segnando un momento di rottura sia rispetto alla poetica dell’autore, sia rispetto alla storia della popular music e della critica musicale secondo- novecentesca. >> ? in cosa consiste questa importanza e perchè .
Like a Rolling Stone é stata una canzone di rottura per varie ragioni, di tipo storico, poetico e compositivo. Dal punto di vista storico, ha per la prima volta imposto al mondo l'immagine di un Bob Dylan provocatoriamente disinteressato alla canzone folk e ai suoi ideali, suscitando enorme scandalo tra i suoi stessi fan e in generale in tutti coloro che avevano visto in lui il cantore del movimento per i diritti civili. Dal punto di vista poetico, Dylan manifesta un individualismo cinico e provocatorio che rivela l'intenzione di liberarsi da quell'immagine pubblica e dai suoi presunti "doveri" ideologici e morali. Da una prospettiva tecnica, infine, Like a Rolling Stone é la prima canzone dylaniana che viene composta estrapolando frammenti testuali da prose dattiloscritte che non erano state concepite per il canto. A questo si aggiunge anche il fatto che si tratta del primo brano in cui Dylan collabora attivamente con una band, confrontandosi con il genere del folk-rock e proponendosi per la prima volta come un "regista" della sua opera.
corrisponde a verità oppure è solo un modo di dire che : << Una cosa è certa. Quando la critica rock è nata per cercare di capire cos’era mai l’oggetto Like a Rolling Stone, caduto dal cielo come un meteorite, il rock and roll ha perso l’innocenza. L’ha persa molte altre volte, ma l’analisi filologica di Mossa, che davvero rivolta tutte le pietre (leaves no stone unturned, si direbbe, o no stone rolling, se vogliamo) è un’ulteriore perdita di innocenza. Mossa ha rotto il giocattolo, ed era tempo, ma non c’è da preoccuparsi, alla prossima esecuzione Like a Rolling Stone si rimetterà insieme, tornerà come nuova e riprenderà il suo rolling on.>>( dalla rivista rollingstone ) ?
Le metafore di Alessandro Carrera intendono sottolineare il fatto che, come dicevo, non esistono studi filologici dedicati alle canzoni, e quindi in un certo senso il mio libro rappresenta anche una sorta di “perdita dell’innocenza”. Le sfumature ironiche si devono al luogo comune della dylanologia (termine storicamente negativo che identifica più i fanatici che gli studiosi) per cui ogni lavoro critico su Dylan dovrebbe essere anti-accademico e anti-specialistico. Bisognerebbe, in altre parole, essere critici “rock” per parlare di rock. E questo è un problema specifico della popular music, perché il nostro sistema culturale non impone di essere drammaturghi per studiare Shakespeare, o pittori per studiare Picasso e così via. In questo senso, è irrilevante che io sia un musicista e scriva canzoni, anche se la familiarità con uno strumento aiuta a interpretare meglio la natura di una composizione. Il punto è che ormai la classicità di Dylan non può più esistere soltanto nel canone della controcultura, ma in quello della cultura vera e propria (pur senza rinunciare – tanto per essere chiari – a ciò che identifica la cultura tradizionale: direi che il punto è proprio aggiungere, non rimuovere). Non è certo il mio libro a stabilire il confine: il mio libro, casomai, prende atto di un cambiamento già avvenuto da anni e sotto gli occhi di tutti, nel bene e nel male. Il discorso scientifico sulle materie umanistiche comporta sempre una apparente “perdita dell’innocenza”, perché abbiamo paura che interpretare un’opera adottando un metodo di studio più o meno rigoroso finisca per privarci del piacere che quell’opera ci garantiva indipendentemente dalle accademie. Per certi versi, non siamo lontani dal vecchio pregiudizio per cui una poesia può emozionarti finché non arriva il momento di studiarne la parafrasi (magari in vista in un’interrogazione). A volte questo rischio è reale, soprattutto quando si chiamano in causa ideologie politiche e sistemi di istruzione che conferiscono maggiore importanza all’erudizione che alla sensibilizzazione critica. Ma se la prospettiva scelta non dimentica l’autonomia del bello, presupponendo cioè il bisogno di descrivere il legame tra forma e significati culturali, l’obiettivo è anzi opposto, e va difeso: confermare il piacere, renderlo accessibile combinando punti di vista diversi, e nei casi migliori persino aumentarlo. Certo, la filologia non è una disciplina in sé “democratica”, ma neanche la matematica o la fisica lo sono, e neanche i classici. A mio avviso, il miglior modo per parlare di un classico è sforzarsi di non celebrarlo passivamente, ma anzi provare a comprenderlo con tutti gli strumenti a disposizione, anche a costo di “smontarlo” per poi “ricostruirlo”.
Secondo wikipedia alla voce Suze_Rotolo: << [...] La presenza di Suze nella vita di Dylan ebbe una forte influenza su quest'ultimo, sia per quanto riguarda la scrittura di canzoni d'attualità, sia per il suo modo di suonare e di stare sul palco, influenzato dal teatro brechtiano a cui assistevano Suze e Dylan durante la loro relazione. Anche l'interesse di Dylan per la pittura è dovuto alla relazione con Suze. Secondo la sua autobiografia, Suze rimase incinta durante la relazione con Dylan, ma abortì.[...] >> pensi che ci sia lei sia come " infliuenzer " sia come la ragazza citata nella canzone ?
Il ciclo di canzoni dedicato a Suze Rotolo (di cui fanno parte, per esempio, Don’t Think Twice e Ballad in Plain D) precede la trilogia rock, la svolta stilistica beat e la scoperta di quello che Dylan avrebbe definito mercury sound. Nel corso degli anni una certa dylanologia ha diffuso il pettegolezzo per cui dietro Miss Lonely vi sarebbe Edie Sedgwick (modella di Andy Wharol e verosimile dedicataria di un brano successivo, Leopard-Skin Pill-Box Hat). Da un punto di vista biografico, invece, sappiamo che la compagna da cui Dylan si stava lasciando nella primavera 1965 era Joan Baez. Ma, esattamente come accade in letteratura, questo tipo di identificazioni lasciano un po’ il tempo che trovano: non aggiungono nulla alla comprensione dell’opera e non fanno che ridurre il discorso artistico e poetico a un giornale di gossip (e non escludo che in altre canzoni la componente biografica abbia maggiore rilevanza, ma non è questo il caso). Vedere in Like a Rolling Stone una canzone di “non amore” è solo una delle possibilità, e forse la meno convincente. L’aggressività del narratore, il suo desiderio di “vendetta” verso la protagonista non hanno nulla a che vedere con l’eros, o se manifestano un eros represso lo fanno in modo talmente indiretto da rendere alto il rischio di sovrainterpretazioni. Il disprezzo dell’io nascosto di Like a Rolling Stone intende piuttosto sovvertire una logica di classe, senza peraltro (e fortunatamente) prescrivere alcuna alternativa concreta. Da una parte ci sono i giovani privilegiati degli anni Sessanta nordamericani (e.g. il pubblico di Dylan), convinti di poter conoscere la vita soltanto per una via teorica, rinunciando all’esperienza; dall’altra ci sono i “mystery tramps” (neri, come dimostrano alcuni autografi inediti, o comunque vicini alla cultura afro-americana) che non hanno risposte assolute, non hanno “alibi” e tutto ciò che sanno del mondo deriva da un’esperienza diretta con la vita di strada. Questo per dire che Miss Lonely non è mai evocata in quanto donna, ma in quanto persona costretta improvvisamente a doversi confrontare con tutte le contraddizioni umane e sociali che prima dava per scontate (e questo trauma, a sua volta, rende possibile la sua auto-liberazione). Anche per questa ragione, siamo tutti Miss Lonely, o lo siamo stati almeno una volta.
che ne pensi se lì'è meritato il premio nobel B.Dylan ?
Ovviamente ho accolto con entusiasmo la vittoria di Dylan, anche se non condivido le ragioni dell’assegnazione. L’Accademia Svedese ha più volte giustificato la sua scelta limitandosi a vedere in Dylan un “grande poeta”, e cioè alimentando la convinzione che canzone e poesia siano la stessa cosa. Questo intento apparentemente “corretto” riconferma in realtà l’antico pregiudizio per cui le arti orali sarebbero arti di livello inferiore rispetto a quelle scritte. Mi sembra un’enorme svista, soprattutto perché l’esistenza performativa di questi testi viene relegata a semplice modalità di fruizione, quando invece è parte integrante di una vera e propria tecnica: le canzoni non sono mai semplicemente “poesie per il canto”, sono testi che nascono nel canto e vivono nel canto, e la maggior parte delle volte i loro autori non si pongono nemmeno il problema di comporre o meno delle “poesie”. Non si può premiare Fellini per essere un poeta “visivo”: lo si premia perché è un grande regista e perché la sua grandezza diventa evidente solo all’interno di un codice ben preciso. Il fatto che il linguaggio verbale sia parte di quel codice e di conseguenza sia analizzabile anche attraverso l’estetica letteraria, non significa che i film di Fellini siano romanzi. Ricondurre al noto, “addomesticare” in senso etimologico, è un’operazione inevitabile ma anche aggressiva: spesso finisce solo per confermare su basi diverse le gerarchie culturali da cui magari vorremmo liberarci.
una domanda per i non addetti ai lavori e per chi è a digiuno di studi letterari \ filologici come è , e tu da quel che ho Letto della recensoni sul tuo libro ,possibile analizzare l'intera opera di un cantante ed ora anche premio nobel per la letteratura sulla base di una sola , forse la più celebre visto che è citata anche in un film https://it.wikipedia.org/wiki/Pensieri_pericolosi ?
Non ho una opinione forte. Ci sono artisti che nella loro carriera compongono solo un grande capolavoro e il resto della loro opera può essere considerato un tentativo di riprodurre quel capolavoro. In altri casi, la grandezza di un autore emerge in opere apparentemente incompatibili tra di loro, che intaccano (o estendono) la nostra idea di poetica e ci invitano a individuare una continuità insolita, inaspettata. Dylan appartiene a questa seconda categoria, e senza dubbio in Like a Rolling Stone riconosciamo, seppure in forma stravolta, i presupposti delle canzoni precedenti e la premessa delle evoluzioni stilistiche successive. Il punto, però, è che un classico diventa tale proprio per la sua capacità di maturare una progressiva indipendenza dalle ragioni dell’autore, e in questo senso Like a Rolling Stone contiene in nuce alcune contraddizioni della società contemporanea, non solo di quella nordamericana degli anni Sessanta.
tu che hai avuto la possibilità di fare le ricerche al Bob Dylan Archive di Tulsa, un archivio universitario che apre le sue stanze solo alla crème degli studiosi. ed ora tenere per la stessa l'onore d'aprire un cnvegno internazionale su bob dylan https://dylan.utulsa.edu/dylan-80-a-global-perspective/ Che esperienza è stata ?
È stato un onore, come dici, aprire l’edizione 2021 del convegno internazionale che il Bob Dylan Center organizza a Tulsa (Oklahoma) ogni due anni. Onore fortunatamente condiviso con altri due studiosi italiani, Valentina Vetri (Università di Bologna) e Fabio Fantuzzi (Università Roma Tre). Probabilmente siamo stati messi all’inizio del convegno soprattutto per ragioni di fuso orario (erano presenti studiosi da tutto il mondo), ma parlare per primi è stata comunque una responsabilità. Con Fabio siamo stati a Tulsa nel 2019 ed è stata un’esperienza indimenticabile, come ho più volte raccontato in altre occasioni. Devo dire che è stato più difficile raggiungere Tulsa che entrare all’archivio. Noi credevamo che l’accesso dipendesse da una complessa procedura burocratica, e invece era sufficiente dimostrare di avere un interesse scientifico legato a un progetto reale. Non dimentichiamo che i fan di Dylan – i cosiddetti “dylanologi” – sono tantissimi, non sempre intenzionati a fare ricerca e non sempre “democratici”… Quindi un po’ di diffidenza è anche comprensibile.
ti manca d'incontrare o d'essere citato da Bob Dylan che ne pensi ?
Dylan non ama gli studiosi della sua opera, per varie ragioni che non è importante descrivere qui. Questo per dire che è una eventualità molto improbabile, e in ogni caso non credo che incontrarlo sarebbe una buona idea: rischierei di esserne deluso, e soprattutto non saprei davvero cosa dirgli. Come dicevo, non amo idealizzare le grandi personalità: sono innanzitutto uomini, e come tali devono riservarsi anche il diritto di essere scortesi, o in generale di avere una visione del mondo diversa dalla tua e da quella che ti sembra di intravedere nelle loro opere. Se lo incontrassi, poi, forse si limiterebbe a “fare Bob Dylan”, e cioè a indossare una maschera. Lo farebbe per difendersi, e nascondersi. Dunque cosa può aggiungere alla mia esperienza l’interazione fisica con una maschera? Niente, o almeno niente che già non possano fare le sue testimonianze artistiche. Sarebbe interessante, casomai, conoscerlo come uomo, sapere come scrive le sue canzoni, quali sono le sue letture e i suoi ascolti etc., ma questo tipo di conoscenza dovrebbe avvenire indipendentemente dal fatto che ho scritto un libro su di lui e inoltre sospetto che non sia il tipo di artista disposto a rivelare queste cose di sé. Sarebbe stato molto diverso in altri casi, come quello di Leonard Cohen, o, in Italia, di Guccini (che mi è capitato di intervistare qualche anno fa, e ne ho un ricordo fantastico). Quanto al discorso sulla citazione, preferirei di gran lunga essere citato da Richard Thomas, da Alessandro Carrera, o da altri colleghi o, estremizzando un po’, da tutti coloro che amano Dylan e hanno trovato il libro in qualche modo utile (o dannoso, perché la ricerca deve anche essere contestazione). È per questo tipo di comunità che ho scritto il libro, e non certo per Dylan, che non ha mai avuto bisogno di un libro per sentirsi legittimato ad essere l’artista che è. Sarebbe pericoloso, d’altra parte, se fosse così, e i ruoli si invertissero.
La cover degli Articolo 31 è incosciente e libera, e questo la rende autentica. Non c’è alcun intento emulativo o celebrativo, tanto è vero che più che una cover è una riscrittura e un duetto virtuale, visto che la voce di Dylan continua a sentirsi nei ritornelli. Da un punto di vista compositivo, inoltre, mi pare che J-Ax riesca a mettere in evidenza l’affinità ritmica tra le strutture tradizionali del rap di fine anni Novanta e la metrica della studio version,che a suo modo anticipa alcune tecniche divenute poi distintive della versificazione rap. Siamo sicuri che Dylan ha sentito e apprezzato questa interpretazione perché è inclusa all’interno della colonna sonora di uno dei suoi film (Masked and Anonymous, del 2003), composta principalmente da canzoni dylaniane tradotte in altre lingue (è presente anche Non dirle che non è così di De Gregori). Che piaccia o no, l’unico modo di rendere necessaria – e non per forza riuscita, ma è un rischio da correre – la rielaborazione di un classico è stravolgere l’oggetto di partenza, manipolarlo spudoratamente, rinunciando ad ogni retorica. Come una pietra scalciata è in questo senso positivamente straniante, e paradossalmente fedele allo spirito di rottura che contraddistingue la Like a Rolling Stone del 1965.
La cover degli Articolo 31 è incosciente e libera, e questo la rende autentica. Non c’è alcun intento emulativo o celebrativo, tanto è vero che più che una cover è una riscrittura e un duetto virtuale, visto che la voce di Dylan continua a sentirsi nei ritornelli. Da un punto di vista compositivo, inoltre, mi pare che J-Ax riesca a mettere in evidenza l’affinità ritmica tra le strutture tradizionali del rap di fine anni Novanta e la metrica della studio version, che a suo modo anticipa alcune tecniche divenute poi distintive della versificazione rap. Siamo sicuri che Dylan ha sentito e apprezzato questa interpretazione perché è inclusa all’interno della colonna sonora di uno dei suoi film (Masked and Anonymous, del 2003), composta principalmente da canzoni dylaniane tradotte in altre lingue (è presente anche Non dirle che non è così di De Gregori). Che piaccia o no, l’unico modo di rendere necessaria – e non per forza riuscita, ma è un rischio da correre – la rielaborazione di un classico è stravolgere l’oggetto di partenza, manipolarlo spudoratamente, rinunciando ad ogni retorica. Come una pietra scalciata è in questo senso positivamente straniante, e paradossalmente fedele allo spirito di rottura che contraddistingue la Like a Rolling Stone del 1965.
Metto in vendita a malincuore il mio secondo sax tenore per incassare qualche soldo in vista della spesa per la conclusione del mio primo disco a mio nome.
Come alcuni sanno, sono un appassionato dei vecchi Grassi, da alcuni anni suono esclusivamente questi vecchi esemplari. In questo caso, parliamo di un Tenore Grassi Wonderful del 1977, completamente slaccato in tutto il corpo escluso il chiver che è stato lasciato intatto.
Il sax si presenta in condizioni ottime e solo la mia fissazione con l'altro vecchio ammaccato senza nome mi ha portato a tenere questo solamente di scorta. Ma si sa che i rapporti con gli strumenti sono davvero particolari e individuali e, nel mio caso, non tengono minimamente conto del fattore del valore di mercato o della bellezza estetica.
E' un sax dal suono pieno e scuro, meccanica di concezione semimoderna, io l'alzerei un pò per le mie abitudini ma molti la preferiscono così. Per il resto, i tamponi sono in gran parte nuovi, solo due o tre, nella parte bassa, pur essendo ancora del tutto funzionanti, nel prossimo futuro saranno da sostituire.
Il sax vi arriverebbe con la sua custodia originale (quella a rettangolo, non quella della foto), rigida e voluminosa.
Lo metto in vendita a 1000 euri tondi compresa eventuale spedizione, chi viene a prenderselo in gallura (io abito a Luras ma va bene anche nei dintorni) avrà uno sconto di 50 euro.
Contattatemi per ogni domanda al riguardo anche qui su facebook.
Tutti i brani meritano un ascolto ripetuto e attento, e allora ci si rende conto che è difficile dire, non solo, quale sia il più bello ma addirittura quale sia il preferito, perché tutti hanno hanno una forte individualità e storia alle spalle, formata dalle suggestioni e esperienze che li hanno ispirati
Ad un primo ascolto le tracce che più mi hanno colpito sono state: 2 inizio del viaggio dopo " introduzione " della 1 interiore dalla crisi , la 5, perché si sente come un ricordo doloroso ed intimo genera bellezza tanto più bella in quanto struggente ricco di nostalgia e di rimpianti che creano la morte o malattia di una persona cara ,la 8 è riuscito a mettere in musica questo epitaffio di Bob Dylan tratto dal suo 11 Outlined Epitaphs (Undici epitaffi abbozzati) è il titolo di un poema scritto nei primi anni sessanta
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Sì, sono un ladro di pensieri ma non un ladro d'anime, prego ho costruito e ricostruito su ciò che è in attesa perché la sabbia sulle spiagge scolpisce molti castelli su quel che è stato aperto prima della mia epoca una parola, un motivetto, una storia, un verso chiavi al vento per aprirmi la mente |e per garantire alle mie idee da armadio un'aria da cortile.
Però, poi, ai successivi ascolti, i conti si pareggiano, tutti i brani salgono al livello dei preferiti al primo ascolto.
Lo so che questa auto recensione dell'autore ha già detto tutto La Musica mi ripara E' uscito nel marzo 2018 il mio primo lavoro discografico da leader, con la dicitura Danyart, (nomignolo che ho assunto diversi anni fa in via informale quasi per gioco e che oggi mi rende riconoscibile), dal titolo evocativo “La Musica mi ripara”, disco che contiene nove brani tutti di mia composizione, e tredici illustrazioni, da me eseguite con le tecniche matita e penna bic, di commento ai brani, dalla copertina, al booklet di 8 facciate, al retrocopertina con l’ autoritratto. In generale, per ogni brano si può consultare l’immagine e le impressioni corrispondenti, che possono indicare una vaga direzione sulle motivazioni che mi hanno spinto a scrivere i brani del disco. I titoli evocano atmosfere derivate dagli interessi storico, scientifico, sociologici che porto avanti da sempre assorbendo tutto ciò che osservo succedere intorno a me e nel mondo intero, per poi isolarmi e “ripararmi” nella musica che, nell’immaginario e nell’utopia dell’autore (me stesso), possa riuscire a trasformare in bellezza la tragedia di un mondo imperfetto e spesso violento. Il disco potrebbe essere definito di tipo “vinilico” per la particolare disposizione, in due facciate virtuali, dei brani, dal momento che le prime 5 tracce evocano atmosfere introspettive, sonorità e melodie derivate soprattutto dai miei interessi extramusicali e da situazioni umane personali e mondiali, composizioni che si allontanano leggermente dal jazz più tradizionale e canonico, mentre le tracce successive si rifanno maggiormente alla tradizione e all’improvvisazione su progressioni armoniche, modali e “free”.
per gentile concesssione dell'autore dell'intervista che trovate qui di Antonio Masoni di Gallura news
Per concludere, l’ultima traccia, dal titolo “Frammenti di cuore” è un brano dal gusto dolce/amaro, nel quale lascio l’esecuzione e l’interpretazione al mio collega pianista Simone Sassu, mettendomi da parte e riflettendo su pensieri, paure, insoddisfazioni, incertezze, fragilità, domande in cerca di risposte forse introvabili, che lasciano anche l’ascoltatore in una situazione di stallo, tra la quiete dell’atmosfera del brano e il subbuglio e il caos della mente. Hanno partecipato alla riuscita dell’album i fantastici musicisti: Fabrizio Fogagnolo (contrabbasso) Simone Sassu e Matteo Cara (pianoforte) Antonio Argiolas e Paoletto Sechi (batteria) Il disco è stato interamente autoprodotto da me, a partire dalle nove composizioni, alla registrazione dei brani, mixaggi, mastering e illustrazioni varie. Il Cd fisico è ancora acquistabile per 10 euro più eventuale spedizione direttamente da me con:
oltre all'intervista che troverete sotto possio solo aggiungere e consigliare vivamente di ascoltare il disco senza preconcetti, perchè sia nel suo caso che in tantissimi altri (non è certo l'unico che per varie motivazioni ha deciso di autoprodursi...), perché solo con un atteggiamento libero da ogni preconcetto ( il jazz fa .è come una scoreggia piace a chi lofa , ecc ) si può apprezzare pienamente un progetto artistico e la musica
Ok questo tuo ultimo cd, anche se in collaborazione con ottimi musicisti, è tuo . Ma a quando un cd in cui suoni tu da solo ?
Mi è capitato di suonare in solo abbastanza spesso, anche se per brevi apparizioni, collegate a serate o eventi come presentazioni di libri, narrazioni, esposizioni poetiche, performance di artisti, pre-serate o preconcerti di amici o colleghi. L’idea di un disco in solo sicuramente mi affascina molto e credo sia un obbiettivo, un sogno, che prima o poi cercherò di realizzare, ma forse ancora è troppo presto per avere un’idea del quando e del come potrò riuscire a confezionare un prodotto così complesso e delicato, in sostanza aspetto che il tempo giusto, la mia maturità come solista e artista, arrivi da sola, mettendoci da parte mia tanto impegno ma senza forzare i tempi.
Jazz freddo o jazz caldo, oppure visto il tuo carattere ribelle ed autodidatta semplicemente Jazz?
Non ho mai badato troppo alle definizioni, tanto meno alla differenziazione, alquanto vaga e ambigua, tra Jazz Freddo (Cool) e Jazz Caldo (hot), che trovo perlomeno superata da decenni. Nel mio caso, nel caso del mio disco “La Musica mi ripara”, si possono individuare diverse atmosfere, tutte estremamente profonde e significative, con richiami da generi anche esterni o periferici al jazz (sperimentale, ambient, fusion), a sonorità, armonie e ritmiche più propriamente vicine al jazz americano, al periodo bebop, modale e free. Ma quando scrivo un brano, questo arriva da ragionamenti e sensazioni che hanno a che fare più con la psicologia, filosofia, sociologia, storia, scienza, che con la teoria e la tecnica musicale. Ecco perché spesso i miei brani possono differire molto l’uno dall’altro se li si cerca di inglobare in un genere specifico.
Blues o Jazz Cuore o mente ? quando suoni usi di più il cuore o la mente? oppure come credo, ascoltando i tuoi lavori, entrambi ?
Come dici tu, indubbiamente la mia musica e il mio approccio musicale contengono entrambe le direzioni, quelle dell’anima più viscerale (cuore e anima) e quella della razionalità o progettualità (mente).Si può credo affermare con buona approssimazione che quando suono dal vivo prevale ampiamente la parte più irrazionale (cuore e anima), in un misto di dolcezza e aggressività che mi caratterizzano, mentre nella composizione e registrazione in studio, le due direzioni mediamente si equivalgono, con a volte la prevalenza di una parte o dell’altra, in un misto e oscillazione dei due pesi. In generale, comuqnue, sono un musicista dall’animo e approccio viscerale, più che organizzativo e razionale
Concordi con questa definizione : << Il jazz è uno di quei generi di cui ti innamori subito, a prescindere. Cominci ad amare quella canzone perché c'è qualcosa nel ritmo che parla di te, che racconta di te, che muove e smuove delle tue sensazioni, i tuoi ricordi, una manciata di pensieri, e nella gran parte dei casi non ha nemmeno bisogno di un accompagnamento vocale. È l'esempio di come la musica vada oltre, oltre ogni cosa. Di come la musica si faccia capire benissimo pur essendo solo aria e nell'aria. S'innalza con grinta ed arriva dritto verso la parte più intima di noi stessi, più propensa e vicina all'emozione riprodotta da quel ritmo.>> Presa da questo interessante articolo del https://www.huffingtonpost.it/
In generale mi piace questa definizione, che però estenderei non soltanto al jazz ma a tutta la buona musica fatta con intenzione positiva, artistica, comunicativa, in sostanza con interesse non solo economico o di raggiungimento della notorietà oppure ancora,non soltanto per rassicurare l’utente. A queste buone intenzioni, ovviamente, bisogna coaudiuvare la necessaria e indispensabile qualità.
Oltre alla banda musicale locale, hai mai avuto altre occasioni di collaborare con tuo fratelloMassimiliano, ottimo trombettista?
Certamente! Abbiamo suonato per anni nella Tinto Brass Marching Band, oltre ad esibirci in formazioni di media grandezza per concerti dedicati alla musica dei Blues Brothers e simili. Massimiliano avrebbe probabilmente potuto fare come me il professionista, ma la vita lo ha portato ad altro,e questo ha permesso a me di dedicarmi completamente alla musica, perchè lui, da subito, ha contribuito al sostentamento della nostra famiglia che aveva un padre non più abile al lavoro ad appena 51anni, e quindi bisognosa di un aiuto. Io, dal mio canto, ho potuto aspettare e godere un po’ di questo piccolo favoritismo per concentrarmi maggiormente nello studio del sax e nell’elaborazione della mia arte, che richiede lunghi tempi, concentrazione e periodi di assoluta dedizione ad essa senza troppe interferenze e preoccupazioni esterne.
Nella vitareale, poi hai riparato quelle cose che sono alla base del cd?
Ti dirò, probabilmente il cd stesso, o meglio l’averlo concluso, mi ha permesso di riparare certi “guasti” nella mia testa, che da troppo tempo stava andando verso una direzione distruttiva, estremamente tormentata, negativa, per la quale ho rischiato grosso. L’ultimo brano del disco, come detto in un’autorecensione “L’ultimatraccia, dal titolo “Frammenti di cuore” è un brano dalgusto dolce/amaro, nel quale lascio l’esecuzione e l’interpretazione al mio collegapianista Simone Sassu, mettendomi da parte e riflettendo su pensieri, paure,insoddisfazioni, incertezze, fragilità, domande in cerca di risposte forse introvabili,che lasciano anche l’ascoltatore in una situazione di stallo, tra la quiete dell’atmosferadel brano e il subbuglio e il caos della mente.” Ecco, una volta concluso questo pezzo, sono obbiettivamente riuscito a rialzarmi, e con estremo vigore ho ritrovato la luce perduta, che mi permette di vivere meglio questa breve vita terrena, pur mantenendo sempre la mia caratteristica personalità sensibile e tendente all’assorbire la negatività e la tragedia per trasformarle in arte e musica che esprimano soprattutto bellezza
Progetti per il futuro?
Nel futuro più immediato c’è la volontà di suonarela musica del disco organizzando concerti sia nei dintorni che oltre l’isola, cosa non facile ma per la quale mi batterò tenacemente. Ho poi già pronto, in pratica, il repertorio del prossimo disco, con annesso titolo e sonorità. Vedrà la luce o il prossimo anno, oppure fra due, dipenderà molto dal fattore economico (produrre un disco comporta spese molto importanti per un musicistaindipendente) e anche dalla risposta che riceverà questo primo lavoro appena uscito.In generale, vorrei che la mia musica venisse ascoltata e suonata ovunque possibile, e che, soprattutto, causi nell’uditore sensazioni profonde, siano esse positive o negative, ma mai neutre, perché considero una reazione indifferente molto più negativa di un sentirmi dire che i miei brani siano brutti o troppo tristi.Altra cosa, per un futuro senza limiti, coltivare altri sognianche esterni alla musica, come quello di vedere la città di New York, patria del jazz del periodo più fecondo, e altri luoghi storici come Giza e le sue incredibili Piramidi, le antiche città sumere e turche, o Machu Picciu in Perù...E poi, la cosa più bella della vita, innamorarmi di nuovo e vivere una grande storia d’amore senza pensare troppo a quanto dovesse durare ma solo viverla pienamente, con serenità, rispetto e bellezza.
concludo con il trailer da 5 minuti del mio disco "La Musica mi ripara", così da assaporare velocemente le atmosfere che potete trovare nell'album. I cui brani sono 9 e tutti accompagnati da illustrazioni eseguite dall'autore che troverete nella copertina e nel booklet del disco fisico. A breve ci sarà l'inserimento del lavoro anche negli store digitali, ma io continuerò a consigliare l'acquisto del disco fisico proprio per l'unicità del tutto.Un disco da ascoltare ma anche da guardare toccare, leggere, come si facevano un tempo.
Molti di voi mi dicono che pubblico solo storie prese da i giornali e\o dai vari siti online, ma nessuna di mia o trovata da me
Ebbene oggi saranno accontentati . Nel post d'oggi racconto ovviamente sotto forma d'intervista \ chiacchierata la storia del compaesano Daniele Carbini ( foto a destra presa dal suo facebook ) Un ragazzo che dopo la laurea in filosofia 110\ 110 con una la tesi su Nietzsche: filosofia e pittura :
Il testo si pone l'obiettivo di mostrare come la filosofia sia uno strumento di fatto artistico ad uso della mente.
Il saggio analizza la filosofia nietzschiana al fine di mostrare come la conoscenza non sia altro che un mondo linguistico ed artistico.
Vengono messe in evidenza correlazioni e stringenti affinità di pensiero (a conferma della premessa) tra il pensiero di Nietzsche e diversi pittori (e le loro opere) quali kandinsky, Van Gogh, Pollock.
Infine, si mostrano affinità di pensiero tra Nietzsche, Wittgenstein, Lao-tzu, Chuang-tzu ed il pensiero orientale in senso più largo (ovvero taoismo, buddhismo, zen e buddhismo ch'an) e come, in definitiva, il pensiero che ne esce fuori sia una dichiarazione della filosofia come arte.
ed una decennale esperienza nel settore Informatica - Telecomunicazioni fatta iniziando da semplice programmatore per poi scalare tutti i passi fino ad arrivare infine ad architetto del software decide dal gennaio gennaio 2006 ( nel momento in cui la ditta familiare compiva 30 anni di vita ) di abbandonare Roma e la sua carriera di professionista di progettazione del software e per dedicarsi, insieme al resto della famiglia, all'attività molitoria, assicurando un segno di continuità e innovazione tecnologica, nel pieno e assoluto rispetto della tradizione ormai quarantennale . La ditta si occupa di farina e grani qui la loro storia e qui la loro pagina facebook ) che produce sfarinati di GRANO DURO di alta qualità artigianale, ottenuti dalla macinazione dei migliori grani sardi che vengono acquistati direttamente dai produttori . Infatti dalla pagina facebook
Il semolato di grano duro (senza estrazione di semola) del Molino Carbini Nicola è un prodotto di alta qualità artigianale. Da sempre l’azienda ha focalizzato la sua attenzione su un prodotto senza compromessi in merito alla sua qualità e tipicità. Per questo motivo il prodotto è da considerarsi unico nel suo genere. In genere le industrie molitorie da un chicco di grano estraggono i sottoprodotti (cruscami e farinacci, principalmente usati nel comparto zootecnico), il semolato, la semola e la farina di grano duro. Ognuno di questi viene poi venduto al mercato separatamente e indirizzato ad usi molto specifici. Il Molino Carbini invece ha scelto, fin dai suoi inizi, di realizzare un prodotto che esclude solo i sottoprodotti e di offrire alla clientela un prodotto a «corpo unico», cioè semola e semolato vengono tenuti insieme, offrendo una ricchezza di sapore ineguagliabile nelle altre soluzioni. Questi risultati però non sarebbero possibili se alla base non vi fosse un’accurata scelta della materia prima, il grano, selezionato e raccolto nei migliori campi della Sardegna, il quale offre un gusto ed un sapore tra i migliori e più rinomati al mondo.In uno scenario mondiale completamente aperto e globale, il Molino Carbini Nicola ritiene che la migliore promozione di un prodotto sia data della sua assoluta tipicità, legata alle tradizioni culturali del proprio territorio, diventandone elemento identitario. Consumare il semolato del Molino Carbini è riscoprire i reali sapori della Sardegna in ogni pane, pasta o dolce che andrete a realizzare. Il Semolato di grano duro (senza estrazione di semola) del Molino Carbini Nicola è ideale per realizzare pani tipici, paste fresche e dolci tradizionali. esaltandone gusto e profumi.
ed ora vai con la storia intervista
ti senti più' mugnaio o filosofo ? non vi è distinzione reale tra le due cose. la filosofia è attività molto pratica e concreta. la mia attività di mugnaio, come qualunque altra attività che ho svolto, non è che una possibile declinazione di quello che è il mio pensiero filosofico. non ha importanza ciò che fai ma come lo fai e quanto è in corrispondenza con il tuo pensiero. la filosofia ridotta a mera teoria a sé stante è vuoto esercizio intellettuale che non serve a nulla e che tradisce l'amore per la filosofia stessa.
come mai non hai coltivato , magari insegnando o scrivendo libri tematici come fanno altri laureati in filosofia ? in verità mi farebbe piacere trovare il tempo per organizzare le mie riflessioni e realizzare un testo dall'aspetto organico, ordinato. In verità scrivo molto, in modo disordinato e spesso dettato dall'urgenza del presente. Uso molto i social, perchè amo stare in mezzo alla gente e con essa la condivisione ed il confronto. Non amo i club esclusivi degli intellettuali, amo l'umanità e di essa voglio farne parte. Mai scelto di fare l'insegnante, non è nelle mie corde, non amo i programmi nozionistici e ripetitivi. Mi capita di fare lezioni private. Scrivo diversi articoli per testate di cultura e di informazione su internet. Nel 2004 è stato pubblicato un mio romanzo e ho pubblicato in diversi periodici.
cosa è per te la filosofia e che collegamento ha , visto che ci hai fatto una tesi in merito , con l'arte e con la musica ( vedi esempio lavori di cristian porcino o quelli di Giuseppe Pulina )? ti rispondo con un famoso aforisma di Nietzsche, "l'arte vale più della verità". Vi è sempre un processo creativo, che va al di là del mero fatto oggettivo. La scienza stessa è creativa, senza questo impulso sarebbe ferma. Il motore creativo dell'umano è l'essenza dell'evoluzione dell'innovazione. Non può esserci arte se non è accompagnata dalla passione, dall'amore di realizzare ogni cosa.
Secondo te come è stato proposto qui . insegnare filosofia ai bambini dalle elementari va bene o no ?
Quest'ultimo Natale ho regalato ai miei nipotini Sofia, Alice e Nicola, che frequentano tutti le elementari, il libro di Platone per bambini. Non conosco risposta migliore di questa.
Durante i tuoi viaggi , soprattutto quelli che fai su è giù per la sardegna , ti è mai capitato per parafrasare la strada dei Mcr ( qui il testo originale)
Di tutti i poeti e i pazzi \che hai incontrato per strada \hai tenuto una faccia o un nome\
una lacrima o qualche risata\e ascoltare le voci dei matti \incontrato la gente più strana \e imbarcare compagni di viaggio di cui qualcuno è rimasto\ qualcuno è andato e non s’è più sentito \ e magari rincontrarlo lungo la strada \Di tutti i paesi e le piazze \dove hai fermato il furgone
hai perso un minuto ad ascoltare \ qualche ubriacone \le strane storie dei vecchi al bar >> nei miei viaggi quotidiani vivo ogni momenti significativi di umanità e spesso ritrovo la declinazione pratica di molte teorie filosofiche. Ci sono dettagli che fanno la differenza. I dettagli, che spesso trascuriamo sono spesso la chiave che ti aprono la radura.
se si o anche no hai trovato qualche altro " filosofo ? incontrare filosofi nel senso tecnico del termine è difficile. bisogna partire dalla premessa di cosa si considera per filosofia e cosa si considera filosofo. la filosofia è un mestiere? o è uno strumento del pensiero?
qual è l'episodio più curioso che ti è capitato durante i tuoi viaggi
quello più bello
quello più brutto non ho una risposta a queste domande. Visto il proliferare di filosofi copia - incolla ed da salotto ( ogni riferimento a persone e fatti è puramente casuale 😀😆 ), io che consideravo la filosofia qualcosa d'astratto riferendomi a questa vecchia canzone anarchica \ libertaria :
tesi poi poi rimessa in discussione dall'aver imbarcato su Facebook e sul mio blog alcuni filosofi , ti chiedo si può ancora parlare di filosofia ? Quindi filosofia non accademica , come sembra dai tuoi scritti sui social (facebook ,twitter) ed dai tuoi interventi da moderatore durante le presentazioni letterarie tenute dalla ormai ex libreria max 88 , o filosofia accademica ? su facebook si sente l'esigenza di emergere. da un certo punto di vista è la celebrazione edonistica dell'ego, dove ognuno vuole distinguersi dalla massa e avere successo all'interno del proprio contesto. in molti vogliono far vedere che sono qualcosa e non niente. se vogliamo è anche comprensibile come esigenza: essere confusi nella massa, essere insignificanti e non considerati è un qualcosa che può fare stare male. da qui nasce il desiderio di mostrarsi e di dimostrare di avere una sostanza che merita attenzione. insomma si cerca di emergere per far vedere che c'è qualcosa di interessante che dovrebbe attirare l'attenzione di chi legge. diciamo che sarebbe più saggio immergersi e piegare la schiena, darsi una formazione seria. a quel punto si emergerà in modo naturale e si brillerà di luce propria.di filosofia si deve parlare sempre, è necessaria e fondante. la filosofia è il cuore di ogni conoscenza. non esiste materia o argomento che non abbia il proprio fondamento nella filosofia. La filosofia è il graal della conoscenza e della comprensione. ma la filosofia andrebbe mostrata più che discussa.
Prima d'incominciare il post d'oggi,chiedo scusa ai miei 40 lettori , ma a causa di problemi con il mouse non potevo fare granché sul mio blog .Ma adesso dopo le scuse , veniamo al post d'oggi Qualche giorno fa, mentre aspettavo di pagare i quotidiani e il primo numero della nuova stagione d'Orfani , trovo esposto in edicola il primo nunero di Adam Wild il nuovo fumetto della Bonelli .
Incuriosito : dalla presentazione fatta dall'autore il 26/set/2014 e d a cui sono tratte foto e video durante la conferenza stampa di Sergio Bonelli Editore. in cui si elencava La nuova vita di Dylan Dog. Le novità della prossima stagione editoriale. ( orfani e Adam Wild ) e Le future strategie aziendali nel settore multimediale.
La presentazione di AW e nwei primi 15\20 minuti
delle buone recensioni dal discreto passaparola . Ma soprattutto dal promo o meglio dal booktrailler ufficiale
Lo prendo in mano , lo sfoglio e mi dico lo prendero più in là adesso ho i soldi contati.Ma soprattutto non mi andava, anche se essendo un paese piccolo dove ci si conosce tutti indirettamente o direttamente,ed essendo l'edicolante sia mia amica e lei e la sua famiglia nostri clienti nè di fare buffi debiti nè farmelo lasciare da parte e ripassare come faccio spesso .
Ed ecco che in quanto due giorni dopo , nelle edicole del centro era esaurito , decido per colmare questo mio senso di colpa o vuoto ( ogni tanto riempirlo fa bene ) di scambiare quatto chiacchiere su facebook con l'autore Gianfranco Manfredi e da qui è nata questa intervista che m'induce a comprare il secondo numero ( per gli altri non saprei in quanto lo spazio nella libreria inizia a scarseggiare sempre più ) trovate qui sotto . Buona lettura
Ultimamente con Magico Vento
e Adam Wild ti stai
avvicinando al romanzo storico come mai
?
In realtà è da quando ho cominciato a scrivere romanzi (cioè
da “Magia Rossa” uscito al principio degli anni 80) che tratto temi storici. Ci
sono due generi narrativi per cui non mi ritengo molto adatto:
l’autobiografismo e il romanzo cosiddetto “d’attualità”. I romanzi più o meno
autobiografici della generazione dei baby boomer impallidiscono di fronte a
quelli delle generazioni precedenti che avevano attraversato due guerre
mondiali e dunque, se non altro per questo, erano frutto di vissuti assai più
drammatici. L’attualismo credo sia una piaga del nostro tempo, un vizio di
origine giornalistica, e grave sintomo di una mancanza di visione delle
prospettive storiche. Non si sa da dove si viene e non si sa dove si va. Per
questo ci si concentra sul presente. E’ un presente che fa da piccolo rifugio .
Un tirare a campare giorno per giorno.
In Adam Wild hai scelto l'africa e non
l'Asia o l'america del sud per
denunciare il colonialismo ed
indirettamente il neo colonialismo ?
Adam Wild è un’avventura. Non denuncia. Mostra. Sono due
cose diverse. Molto diverse. Non ho mai fatto fumetti ideologici, tantomeno propagandistici. Nei
miei fumetti tutti i principali personaggi , anche i cattivi, esprimono una
propria visione. Non voglio sovrappormi ai personaggi, voglio lasciarli vivere.
E il giudizio spetta ai lettori. Adam Wild rispetto ai precedenti ha però una
linea più netta, in quanto il protagonista è un combattente antischiavista. La
scelta si esprime chiaramente fin dalla copertina del primo numero, in cui Adam
spezza le catene della schiavitù.
In AW si parlerà
anche indirettamente di
Ebola ?
No, non c’è nessuna testimonianza d’epoca, in proposito.
Affiorano però temi che hanno risvolti contemporanei: lo sterminio degli
elefanti, per esempio, o un doppio episodio ambientato in Nigeria che può
spiegare in parte certe vicende attuali come il rapimento delle ragazze da
parte di Boko Haram. Ci sono corsi e ricorsi, nella Storia.
Cosa ne pensi dell'importazione nel
fumetto italiano e più
precisamente in quello Bonelliano del metodo Americano della Variant
delle copertine ? è una cosa buona o pessima
?
La prima cosa buona è che finalmente la Bonelli si sia
decisa a vendere qualcosa a Lucca. Partecipare alle fiere senza i fumetti sul
banco, l’ho sempre considerato un non senso. Certo… Sergio Bonelli non voleva
nuocere alle edicole e nemmeno ai banchi dell’usato ed era lodevole, in questo.
Ma vendere un prodotto speciale è un’altra cosa e non contraddice le
indicazioni di Sergio. L’altra cosa buona è che il Variant non si limita a una
cover diversa, ma contiene quindici pagine in più di making off dei vari
fumetti , dunque è davvero qualcosa di molto particolare e per lettori
affezionati.
Queste scelte di marketing
aumentano gli introiti forse, ma diminuiscono la stima SICURO. Primo : comprare
una variant e accorgersi solo dopo che la copertina non c’entra nulla con i
contenuti è assai deludente , ho visto persone allontanarsi da un prodotto per
molto meno.
Io tutta questa importanza alle copertine non l’ho mai data.
Sarà che ho cominciato a scrivere romanzi ben prima di scrivere fumetti e per
esperienza so che non c’è la minima relazione tra copertina e contenuto. Ci
sono stati best seller, anche recenti, con copertine orrende e viceversa
copertine raffinatissime per romanzi mediocri che non hanno venduto niente. Di
sicuro, riguardo ai fumetti americani,
capita spesso che a una copertina curatissima e affascinante corrisponda
un contenuto di basso livello grafico e autoriale. E’ questo che allontana i
lettori. Promettergli una cosa bella e rifilargli un prodotto scadente. Molto
meglio il contrario: una cover non particolarmente brillante e una storia
sorprendente. Ovvio che sarebbe meglio coniugare le due cose, d’altro canto
Sergio Bolli ci ha sempre insegnato che cover troppo sofisticate allontanano il
pubblico popolare che sofisticato non è.
Secondo : Amo DyD , ma bisogna riconoscere che una buona
fetta dei suoi fan ( di cui anche io faccio parte) ne continua la raccolta non
tanto per l' originalita' delle storie o per il dettaglio dei disegni , bensi'
per l'atmosfera ; non solo dell'opera in se , ma soprattutto dell'horror club ,
in cui le comunicazioni schiette e dirette degli autori ( soprattutto nel
preannunciare con tono di scusa ogni futuro rincaro previsto) hanno sempre
creato un'atmosfera di fiducia e rispetto . Questa atmosfera viene
indubbiamente contaminata quando si adoperano queste iniziative commerciali .
Il sentimento è quello di essere "traditi" nella fiducia , ne
consegue un desiderio crescente a boicottare tali iniziative ritenute
responsabili della fine di un qualcosa di bello che amavamo senza riserve , e
presto potreste trovare suggerimenti come questo : "IN VENDITA SOLO A
LUCCA ?? SI CERTO BASTA ASPETTARE 2 GIORNI E LO TROVO SU INTERNET AL 20% IN
MENO !
Pessima , la strada dell'avidità ... non è da Dylan !!
Non so, queste sono riflessioni tue. Secondo me il vero
problema è un altro. DYD si è abbeverato di cinema horror in un periodo in cui
l’horror era al top. Oggi l’horror attraversa una fase di profonda decadenza.
Dunque non c’è nulla da cui abbeverarsi. E
qualcosa vorrà pur dire se persino Stephen King pare propendere per il
thriller o quantomeno non mostra più lo stesso entusiasmo e la stessa carica
innovativa di un tempo riguardo all’horror. Questa fase passerà, credo che
l’horror come genere abbia ancora molto da dire, ma va totalmente rifondato.
Non è impresa facile.
Tu che nelle tue canzoni hai come
gli altri cantautori delle tua generazione combattuto
e demolito : << Mi han detto che questa mia generazione ormai
non crede\in ciò che spesso han mascherato con la fede\ nei miti eterni della
patria o dell' eroe (...) cit >> e poi
dopo magico vento crei un eroe
? Come mai questa
scelta ?
La mia generazione non è mai stata contro gli eroi.
Conoscendo autori latino americani ho scoperto anni fa che noi e loro siamo
tutti figli di Sandokan, del Conte di Montecristo ecc. Dopodiché un conto sono
le canzoni “generazionali” e dunque senza inni a presunti leader, un altro
conto è il racconto epico, che senza eroi non esiste proprio.
Non voglio rispondere adesso, perché la serie è appena
cominciata. E poi, a questa domanda devono rispondere i lettori. Saranno loro a
dire quali differenze hanno trovato.
Cosa ne pensi del
primo numero della seconda serie \ stagione di
Orfani ?
Uno mica parla del
lavoro di un collega quando per caso gli capita di uscire nello stesso periodo.
È stata proprio una cosa casuale. Se cascava un anniversario di Tex , Adam Wild
usciva insieme a Tex e se fosse stata pronta la nuova serie di Chiaverotti ,
Adam avrebbe potuto uscire insieme al nuovo personaggio di Chiaverotti. Perché
commentarsi l'un l'altro? Non è una cosa da fare. Se abbiamo qualcosa da dire,
ce lo diciamo direttamente. E poi abbi pazienza, ma io ho cominciato quando non
esisteva FB, e ho iniziato dai dischi. Non esisteva proprio che se uscivano
insieme un disco di Venditti e uno di Branduardi (per dire) qualcuno chiedesse
all'uno cosa pensava del lavoro dell'altro. E se anche l'avessero chiesto noi
avremmo trovato la domanda poco rispettosa di una minima etica di lavoro tra
colleghi. Dopodiché resta salva la libertá di ciascuno di esprimersi. Ma in
certi momenti, obiettivamente, si viene malintesi, perché se rispondi bello
passi per leccaculo, se rispondi brutto passi per invidioso, se rispondi così
così per superbo. Dunque è meglio parlarne a bocce ferme, se uno ha voglia di
parlarne. Quando uscì Orfani mi piacque e ne parlai molto bene. Qualcuno mi
giudicò un aziendalista. Vedi? A volte
non c’è neanche la libertà di essere sinceri. E comunque per giudicare una
serie, che non è un numero a se stante, ma è appunto una serie… è meglio
lasciarla sedimentare. E valutare, nel
tempo, se lascia tracce oppure no
diario appassionante e documentato che si legge come un romanzo e abbraccia tutta la carriera del cantante romano, dagli esordi agli ultimi tempi, ricco di testimonianze dirette di amici e fans.
- Cara Daniela, cominciamo proprio da questi ultimi. Dalle tue righe sembra emergere una differenza tra sorcini e zerofolli, zeromatti ecc., quasi fossero entità distinte. Come mai?
«Non è esattamente così. Un tempo, lo confesso, ero molto più draconiana. Nel libro ho voluto segnare uno spartiacque tra gli estimatori della prima fase, più eterogenei, e quelli arrivati dopo il 1980, quando appunto nacque il nomignolo tuttora in uso. In genere non amo le etichette e quindi nemmeno esordi».
questa, che tende ad "appiattire" tutto in una sorta di pensiero unico. Non si tratta di snobismo, ma voglio poi sentirmi libera di esprimere le mie sensazioni, positive o negative che siano, senza essere considerata "traditrice della causa". Ma, ripeto, adesso è solo una puntualizzazione".
- Hai insistito molto sull'ultimo scorcio dei '70, sottolineandone il lato ludico e non soltanto drammatico...
«I '70 furono effettivamente anni travagliati, sfregiati direi: terrorismo, strategia della tensione, droga, servizi deviati... Una slavina che aveva subito una violenta accelerazione dopo l'assassinio di Pasolini. Ma io li ricordo pure felici. Non solo per la giovane età, ma per quella ventata di novità portata proprio da Zero: una piccola "rivoluzione" dei costumi, colorata, pacifica, ma significativa e senza ritorno. Renato, col trucco provocatorio e le canzoni esplicite, mise definitivamente in crisi i ruoli ingessati della coppia e della famiglia (e la famiglia, non dimentichiamolo, è lo specchio della società), ancora fortemente arcaici, che il Sessantotto non era riuscito a scalzare, soprattutto dal sentimento comune. Rese, a suo modo, pubblico il privato. Non portò la fantasia al potere, ma in alcune case forse sì. E fu un periodo di audaci sperimentazioni in campo artistico. Ecco, di questo le cronache non raccontano nulla. La considero una mancanza piuttosto grave».
- Aggiungi che hai amato pure il Renato anni '90, quelli della rinascita...
«...e dell'umiltà. Probabilmente pochi si accorsero che dietro quella nuova corsa verso il sole c'era un uomo mutato nel profondo, ammaccato, maturato ma inevitabilmente diverso pur nell'apparente continuità dei temi affrontati. La produzione si fece più barocca e tecnicamente impeccabile e al contempo, in particolare nella prima metà del decennio, segnata dai graffi e dalle mestizie degli anni precedenti. Ebbi l'impressione che Zero, ogni tanto, si voltasse indietro, con qualche sgomento, rammentando il recente passato. Questo me lo restituiva ancora molto umano, propositivo».
- Sembra infatti di capire tu preferisca questo suo lato umano, magari incompiuto, a quello di star inarrivabile e incontestabile.
«Senza dubbio. Per me il ruolo dell'artista è quello di sentinella, di accompagnatore se vuoi. Deve cioè aiutarti a esprimere i tuoi personali talenti. Ma questi, li hai o non li hai; non te li possono infondere né lui né nessun altro. Se qualcuno, o anche se stesso, attribuisce all'artista un ruolo simile, si attua una sorta di strabismo psicologico che altera la realtà». - Cristian, tu ti occupi della seconda parte della carriera di Zero. Come ti appaiono, oggi, quegli anni che anagraficamente non hai vissuto?
«Gli anni che per ovvi motivi anagrafici non ho vissuto direttamente sono quelli più importanti per capire e amare la sua musica. Anni splendidi e carichi di significato. Anni in cui l’estetica del suo linguaggio prendeva corpo e si dipanava in tutto il suo splendore. Un periodo davvero irripetibile e unico. Però grazie ai suoi album e alle numerose testimonianze video, sono riuscito a recuperare quasi tutto e posso ancora oggi godermi quell’età zeriana ormai sparita».
- Fra Amo I e Amo II quale preferisci e perché?
« Nel libro ho specificato che in un primo momento non mi aveva entusiasmato molto Amo capito I. Un disco senza alcun dubbio di qualità ma senza quell’anima zeriana che invece si riscontra, nel bene e nel male, nel II°capitolo. Il suo ultimo lavoro va inteso nel suo insieme e quindi direi di apprezzare alcune canzoni del I° e altre del II° Amo»
- E, in genere, quale preferisci dell'ultima produzione e quale ti sembra meno convincente. Spiegane le ragioni.
« Dell’ultima produzione di Renato preferisco "Cattura". Album in cui Zero si rivela e fa intravedere la sua anima. Attraverso le sue 13 tracce sonore Renato scrive in un pentagramma la sua biografia. Mentre l’album che non mi ha convinto del tutto è "Il dono". Quest’ultimo è un lavoro troppo frettoloso e poco in linea con gli standard qualitativi della sua carriera. A parte alcuni brani direi che è un disco da dimenticare».
- Quanta "spiritualità" c'è ancora nei testi di Renato e quanto si è invece perso?
« La spiritualità nei testi di Zero è stata sempre presente. Però adesso la sua fede si manifesta in un cattolicesimo fin troppo ostentato. Prima i suoi accorati appelli etici erano criticabili ma veri fino al midollo, mentre adesso in lui vedo tratti un po’ troppo conformisti nell’uniformarsi continuamente ai dogmi della Chiesa di Roma. Si sente la mancanza di quel Renato Zero smaliziato e talvolta ingenuo degli esordi».
questa, che tende ad "appiattire" tutto in una sorta di pensiero unico. Non si tratta di snobismo, ma voglio poi sentirmi libera di esprimere le mie sensazioni, positive o negative che siano, senza essere considerata "traditrice della causa". Ma, ripeto, adesso è solo una puntualizzazione».