Cosa vuol dire nascere talassemici?
«Significa che appena vieni al mondo ti devi abituare all'idea dell'ospedale, anzi degli ospedali. Devi sottoporti, colpa dei globuli rossi malati, a continue trasfusioni di sangue: è l'unico modo per rigenerarli».
Pendolare casa-ospedale-casa già da bambino.
«Ti abitui rapidamente a questa condizione. Conosci altri talassemici, gente come te, e quindi diciamo che la vivi come una cosa quasi normale. Il difficile arriva quando cresci, soprattutto nell'adolescenza».
«Si comincia ad avere i primi approcci con le ragazze e il mondo diventa improvvisamente più complicato».
Facile cadere nella depressione.
«A me non è successo. La mia fortuna è avere una famiglia, un padre soprattutto e sopra tutti, che mi ha sempre incitato a vivere la vita più normalmente possibile: leggere, guardarsi intorno, lavorare, insomma fare quello che fanno tutti gli altri senza sentirmi mai un disabile».
«Tante ma se hai la famiglia giusta alle spalle, riesci a neutralizzarle. È capitato con qualche ragazza».
Più difficile innamorarsi?
«No, questo no. Succedeva invece che, frequentando con una certa insistenza una coetanea, i genitori facessero presente - col garbo che l'ipocrisia sociale impone - che in ogni caso non poteva esserci futuro».
«Esatto. Ma non me l'hanno mai sbattuto in faccia in modo così brutale. Ho sempre incassato senza soffrirne eccessivamente e lasciando lo sconforto per qualcosa che valesse davvero la pena. Avevo altro da pensare».
«L'ospedale. È diventata, esente Imu, la mia seconda casa. Nella migliore delle ipotesi ci andavo, e ci vado, quattro volte al mese: due per i prelievi di sangue e altre due per le trasfusioni. Te le raccomando, le trasfusioni».
«Servono eccome. Ma quando il sangue che ti trasfondono è infetto ti becchi, come il sottoscritto, pure l'epatite C».
A tu per tu con la morte.
«Un talassemico se la porta dentro. Sapevo che raramente si riesce ad andare oltre i trent'anni, dunque ho messo in conto tutto».
«Che avrei vissuto poco, che pian piano l'eccesso di ferro mi avrebbe ucciso, che i miei amici talassemici (a forza di incontrarci abbiamo imparato a volerci bene) avrebbero fatto la mia stessa fine. Era un destino segnato, il nostro. Io, poi, potevo vantare un'esperienza come pochi».
«Della morte. Non è della morte che stavamo parlando? La mia famiglia è stata sterminata dall'anemia mediterranea: cinque zii uccisi dalla talassemia. Con un precedente così, non potevo certo mettermi grilli per la testa. Peggio, illudermi, sperare. Ho scelto una strategia diversa: reagire».
«Sembrerà ridicolo ma mi sono fatto l'idea che la talassemia era un guerriero da sconfiggere. Tutto qui. Il problema era solo quello di trovare il coraggio per farlo. Sono convinto che la forza di volontà abbia un peso enorme in una guarigione. Sennò, quando il trapianto di cuore m'ha preso in contropiede, mi sarei sentito finito con troppo anticipo».
«Quando mio padre mi ha portato in Cardiologia all'ospedale Brotzu di Cagliari stavo bruciando gli ultimi minuti: troppo ferro nel cuore, impossibile sopravvivere. Faticavo per andare dal letto al bagno, non avevo la forza di muovermi».
«Certo che no. Mio padre si è ben guardato dal riferirmi quello che gli avevano detto i medici. Vedrai, qualcosa succederà, mi incoraggiava. Non immaginava che ero in grado di leggergli lo sguardo. Mi rendo conto che non è semplice stare a guardare un figlio che muore a nemmeno 26 anni. Poco importa sapere da prima, da molto prima, che era tutto prevedibile».
Al trapianto non c'era alternativa?
«Purtroppo no. Anzi: si pensava proprio di no. Fino a quando non hanno sperimentato sulla mia pelle un farmaco non ancora autorizzato».
«Certo. Ma c'era poco da scegliere: mi restava pochissimo da vivere. Roba di giorni, anche se a me non avevano detto nulla».
Quando ha intuito che quel farmaco funzionava?
«Non saprei dire con precisione, ho vissuto giorni piuttosto confusi. Ricordo tuttavia d'essermi accorto che a un tratto il respiro era un po' più lungo, più consistente del solito. Sul momento non ero in grado di valutare l'importanza di questo segnale. Posso dire soltanto che mi sentivo leggermente meglio, stavo uscendo pian piano dal ruolo del quasi-morto. Ma di questo, in fondo, ero sicuro».
«Sapevo di non voler morire. Sapevo d'essere un cadavere in lista d'attesa ma sono sempre stato convinto che in qualche modo da quella lista sarei uscito. Non avevo proprio voglia di andarmene all'altro mondo. È bellissima, la vita».
Quando ha capito d'essere salvo?
«La faccia di mio padre, che teneva i contatti con i medici, era una specie di inconsapevole bollettino-meteo. Passano le settimane e io mi accorgo di respirare sempre meglio. Dopo qualche mese, il cardiologo mi informa che ero stato depennato dall'elenco dei pazienti in attesa di trapianto».
«Giuro, non ho afferrato fino in fondo tutto quello che mi ha detto. Ero troppo felice per concentrarmi. Dopo la talassemia, dopo l'epatite C mi stavano comunicando che avevo finalmente vinto una battaglia. Battaglia che, per quanto mi constava, doveva invece essere l'ultima. Un film che avevo visto troppe volte».
«Nel passaparola tra di noi, noi talassemici voglio dire. Capitava che non vedevi una delle solite facce agli appuntamenti per le trasfusioni e allora capivi. Inutile fare domande: era una sorte che ci riguardava tutti, sapevamo non solo il quando ma anche il come. Uccisi da troppo ferro: che bestialità».
Tutto questo è passato. Oggi?
«Che dire? Sono un uomo normalissimo. Vado a caccia grossa e magari, durante le poste, ingurgito un po' di medicine: beh, poca cosa se penso a quello che ho passato».
«Pure. Essere invalido civile non preclude lo svolgimento di attività fisiche, ovviamente a livello non intensivo, non agonistico. Buggerru, che è il luogo dove mi piace vivere, ha l'habitat ideale per questo sport».
D'accordo ma ci vuole fiato.
«E io ne ho. Il cuore è tornato ad essere perfetto o quasi. Mi controllo, ovviamente; amministro i miei sforzi quando sono sul surf e mi guardo bene dal fare le maratone di tanti miei amici».
«Soprattutto senza esagerare. Ma è una sensazione impagabile quella che ti regala il mare, questo mare. Gli devo molto. Mi piacerebbe saper spiegare cosa si prova a stare in cima a un'onda, super-impegnato a conservare un equilibrio ballerino che è poi il segreto della felicità».
Per questo festeggia due volte Natale?
«Ho un doppio Natale, perché negarlo? A parte quello istituzionale, ne ho personalmente un altro che cade a primavera, coincide con le dimissioni dall'ospedale. Non è Natale poter raccontare d'essere uscito dall'ingresso principale del Brotzu anziché dall'obitorio?»
Feste a parte, com'è cambiato?
«Da allora nulla è più come prima. Neppure io sono più quello di una volta. Avevo una disperata voglia di vivere e neppure un attimo di rassegnazione: questo mi ha salvato, ne sono certo. Non volevo infoltire il cimitero di famiglia».
Che futuro ha programmato?
«Ne ho uno bellissimo. Convivo da quindici anni con una ragazza meravigliosa, Stefania. Vorrei un lavoro per sposarmi. La mia fidanzata comincia ad essere stanca d'essere soltanto compagna. Vuol diventare moglie e ha sicuramente ragione. Questo per quanto riguarda il futuro programmato: vuol sapere se ho anche un sogno nel cassetto?»
«Mi piacerebbe diventare padre e nel frattempo vedere la talassemia completamente debellata o almeno curata meglio di quanto non accada oggi. Che dice, sogno troppo in
grande?»
* http://it.wikipedia.org/wiki/Talassemia