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29.11.17

ma pelè non era brasiliano ? Streltsov, il Pelé russo che l’Urss spedì in Siberia anziché ai mondiali ’58

da http://www.barbadillo.it/


StorieDiCalcio. Streltsov, il Pelé russo che l’Urss spedì in Siberia anziché ai mondiali ’58

Pubblicato il 29 novembre 2017 da Giovanni Vasso
Categorie : Storie di Calcio
Eduard Streltsov dsssSolo a vedere quel (primo) manifesto, rode tantissimo che ai mondiali di Russia non ci saremo. Quel poster promette già di diventare un’icona pop: stile cosmista, il portiere che si allunga a parare un pallone planetario. Quel portiere lo abbiamo riconosciuto tutti, è Lev Jascin. Il più grande di sempre, l’unico calciatore nella storia del calcio che è autenticamente indiscutibile.Il portiere, in sé, è il simbolo del calcio russo e prima ancora sovietico. L’epica del guardiano che respinge gli attacchi avversari, dell’indomito (estremo) difensore che si sacrifica per la squadra ha stregato l’intellingencija dell’Urss, come dimostrano film e opere teatrali dedicate al futbol’.Però, se Jascin è stato il talento maggiore, fu perché riuscì a esprimersi sempre, ad altissimi livelli, con la maglia della Dinamo Mosca e della nazionale Urss. Giocò sempre. A qualcun altro quest’opportunità non fu data. Anzi, finì a spalare ghiaccio, fatica e disperazione nei gulag.Eduard Streltsov fu un attaccante straordinario, modernissimo. Iniziò a incantare le platee russe a metà degli anni ’50, con indosso la maglia della Torpedo Mosca. Non lo prende nessuno, non lo ferma nessuno quel giovanissimo orfano, cresciuto nei cortili della fabbrica della madre, dove coltivò e fu notato il suo talento.

Era veloce, fantasioso, intelligente in campo. Segna e, soprattutto, fa segnare. Porta il ciuffo è un irriducibile indisciplinato, ama le feste, è irascibile, si diverte: come i più grandi campioni. Dal ’54 al ’58, la Torpedo sale ai più alti livelli del pallone, fa paura e vince contro i colossi. Bastona anche le squadre straniere e questo se per i russi è una novità piacevolissima, dopo anni e anni di solenni sconfitte internazionali.Il 1958 è l’anno cruciale per Streltsov: ci sono i mondiali, lui ha trascinato l’Urss alla qualificazione per l’avventura in Svezia. Intanto in patria lo vuole l’esercito, nel Cska. Lo reclama il Kgb, per la Dinamo. Lui rifiuta entrambi e firma la sua condanna.La firma per davvero quando, pur di partire e di togliersi davanti una grana legata alla presunta aggressione ai danni di una giovane donna, si fida dei funzionari e firma un verbale in cui s’assume ogni responsabilità contestatagli. Gli hanno promesso che quella firmetta sarebbe stato il pass per la Svezia. Invece gli montano contro un invincibile castello d’accuse. Arrivano al punto di affermare, i commissari e i responsabili dello sport sovietico, che se Streltsov fosse riuscito a raggiungere la Scandinavia, corrotto e imbelle com’era, si sarebbe dato subito alla macchia. Bisogna correggerlo, bisogna togliere di mezzo un corruttore di gioventù di questa potenza che rifiuta, per amore della maglia, di trasferirsi alla corte delle squadre del potere istituzionale. Lo spediscono al gulag quando ha appena compiuto ventuno anni.
Così il mondo (e la Russia più degli altri) perde l’opportunità di vedere all’opera – nel momento suo migliore – quello che, per tutti, sarebbe stata la risposta sovietica al grande Pelé che proprio in quell’anno e in quel mondiale si imporrà all’attenzione del calcio internazionale.Tornerà libero alla metà degli anni ’60 quando la Torpedo, che non l’ha dimenticato, gli offre un posto in squadra. Ma non è più lo stesso, nel 1965. La classe è ancora cristallina, il fisico è minato. Anche il ciuffo non c’è più, accusa un’incipiente calvizie che lo fa assomigliare più a Bobby Charlton che a Elvis Presley. Torna pure in nazionale, dove impone il suo talento, ma è con la squadra dell’industria automobilistica che ritorna mito.Morirà nel 1990, la sua Torpedo gli dedicherà lo stadio. A Luzhniki, il grande parco sportivo di Mosca, c’è una statua in suo onore. Che ricorda al mondo la bellezza ineffabile dello sport e l’orrore senza fine delle deportazioni sovietiche.

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