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22.2.20

Il coronavirus sarà sconfitto o ridotto dalle grandi case farmaceutiche oppure con un rimedio naturale come quello di Youyou Tu, Nobel per la medicina 2015, che ha sconfitto la malaria ?

cazzeggiando su  vari aggregatori di   notizie   e  sulla  home  di fb   ho  trovato questa  notizia

da  http://italian.cri.cn/notizie/ 2020-02-11 15:33:19

UNESCO consegna a Tu Youyou l’Equatorial Guinea International Prize for Research in the Life Sciences




UNESCO consegna a Tu Youyou l’Equatorial Guinea International Prize for Research in the Life Sciences
Lunedì 10 febbraio presso la sede generale dell’Unione africana di Addiss Abeba, capitale dell’Etiopia, l’UNESCO ha consegnato a tre persone, fra cui la scienziata cinese Tu Youyou, il premio internazionale Equatorial Guinea International Prize for Research in the Life Sciences.
Questo premio è assegnato alle eccellenti ricerche condotte nell’ambito delle scienze della vita che migliorano la qualità della vita umana; il soggetto autore della ricerca può essere rappresentato da un singolo individuo o da un’organizzazione. La prof.ssa Tu Youyou dell’Accademia cinese delle Scienze mediche, già vincitrice del Premio Nobel per la Medicina (Fisiologia) nel 2015, ha conseguito questo premio per le sue ricerche sulle malattie parassitarie

Poi  sfogliando le bacheche dei miei contatti ho trovato  questo post
L'immagine può contenere: 1 persona, in piedi
Youyou Tu, Nobel per la medicina 2015, ha sconfitto la malaria con un rimedio naturale.
Oggi mi chiedo se un’altra Youyoy Tu potrà sconfiggere il coronavirus in Cina.
Se fosse vissuta nel Seicento, Youyou Tu sarebbe stata bruciata come una strega. La sua, infatti, è la storia incredibile di una scienziata che, partendo dalla medicina tradizionale di 1600 anni fa, ha trovato un modo per debellare quella malattia mortale, attraverso un principio attivo derivato dalla pianta dell'Artemisia.
Isolata dal mondo e dimenticata per decenni, la "maga delle erbe" è nata in Cina a Ningbo, nello Zhejiang, il 30 dicembre del 1930 ed è stata tra le prime donne ammesse alla facoltà di scienze farmaceutiche dell' Università di Pechino.
Laureata a 25 anni, si è tuffata nello studio della medicina tradizionale visitando migliaia di villaggi, parlando con stregoni ed erboristi, trascrivendo oltre 2 mila ricette popolari, memorizzando testi antichi ed estraendo 380 rimedi da oltre 200 piante. Si è poi iscritta all' Accademia della medicina cinese tradizionale e dopo 5 anni la sua fama di "maga delle pozioni" le ha riservato il passaggio decisivo.                                                                                                 Nel 1967, il Vietnam e gli alleati cinesi del Sudest asiatico contro gli Usa erano sconvolti dalla malaria, prima causa di morte anche in patria. In piena Rivoluzione culturale, Mao Tse-tung istituì un "piano farmaceutico segreto" per sconfiggere la "malattia delle risaie" che decimava i militari e a guidare il "Progetto 523" venne chiamata proprio Youyou Tu, non ancora quarantenne. Aveva un marito che fu mandato a lavorare nei campi e due figlie piccole affidate ai parenti.                                                             Dopo anni di esperimenti e ricerche, il colpo di genio le venne nel 1972, studiando le reazioni dell’ “Artemisia annua”: scoprì che bollirla la privava dei princìpi attivi, mentre l'estrazione a basse temperature salvava tutte le qualità.                                                                                                            Creò dunque l'"artemisina" e pubblicò, in anonimato, il quaderno «Raccolta di singole prescrizioni pratiche anti-malaria in 640 consigli», lo studio che, grazie al salvataggio di milioni di malati in Asia e in Africa, le è valso il Nobel.Lei stessa ha rivelato di essersi limitata a modificare una antica ricetta della medicina tradizionale cinese, confidata da una vecchia erborista dello Yunnan. E sempre Youyou Tu ha ammesso di essere stata costretta all'anonimato fino al 1977, l'anno successivo alla morte di Mao, di essere rimasta isolata dalla comunità scientifica internazionale fino al 1979 e di essere stata promossa ricercatrice dell'Accademia cinese solo nel 1980.                                                                                        Youyou Tu ha oggi lo studio nel suo povero appartamento, nascosto nel quartiere di Dongcheng, a Pechino. Chi l'aveva dimenticata adesso la ringrazia: e guarda con occhi meno prevenuti all'arte medica delle dinastie imperiali, che allo shock della cura preferisce la gentilezza della prevenzione.Per saperne di più: Sara Sesti e Liliana Moro, "Scienziate nel tempo. Più di 100 biografie", pag. 250, 16 €, Ledizioni, Milano 2020. In vendita nelle librerie e on line su Amazon, Ibs, Feltrinelli. Richiedibile a info@ledizioni.it

29.6.15

la Heineken ( la nuova proprietaria della birra moretti ) contro La birraia Francesca Lara creatrice della Birra la moretta



Francesca e suo marito hanno infatti iniziato la loro avventura nel territorio dell’Ogliastra (a Tertenia) nel 2009.IL loro obiettivo principale ? Realizzare la prima birra dell’isola a chilometro zero.


Essa va ad aggiungersi all'elenco delle

(....)
Le birraie italiane

Rosa Gravina

Come dichiara il completissimo The Oxford Companion to Beer – che riporta un’intera voce “women in brewing” – la recente crescita della birra artigianale negli USA ha in molti casi riportato le donne al centro dell’industria brassicola. Fino a far occupare loro il ruolo più importante in assoluto: quello di birraio. Se questo è vero per gli Stati Uniti, lo stesso si può dire per l’Italia, dove in modo analogo esistonoalcuni esempi di donne birraie. La “mamma” di tutte (nonostante la sua giovane età) è sicuramente Rosa Gravina, formatasi al Birrificio Lambrate prima di fondare, nel 2003, il Birrificio Artigiano. Qualche giorno fa il Corriere della Sera le ha dedicato un bell’articolo, in cui si ripercorrono i primi anni pionieristici della birra artigianale in Italia. Di cui, chiaramente, Rosa è stata una degli attori principali.

                                Francesca Torri

                        
francesca lara  
Ma Rosa è in buona compagnia. Francesca Torri è un’altra storica birraia italiana, legata al birrificio Mostodolce di Prato, attivo anch’esso dal 2003. Più recente (2012), ma sempre situato in terra toscana, è il birrificio La Badia, le cui birre sono brassate da Lavinia Barni, laureata in Scienze e Tecnologie Agrarie. Uscendo invece dai confini della Toscana – che probabilmente possiamo considerare la regione birraria più “rosa” in assoluto – troviamo il birrificio Jeb, aperto nel 2009 e guidato da due sorelle gemelle:Chiara e Donata Baù, con la prima che si occupa della produzione. In un vecchio post su Mobi Kuaska poi cita Francesca Lara del birrificio sardo Lara e Miriam del bergamasco Maspy. Ci sarebbe da inserire anche Carla del toscano (anch’esso!) Pevak, che però ha recentemente chiuso i battenti. E poi chiaramente c’è l’ultima new entry: Elena Di Martella Orsi di Birroir. Travalicando invece i confini nazionali, non possiamo non citare Giada Maria Simioni, attuale birraia dell’inglese Magic Rock e giudice in concorsi internazionali.


( .... continua qui su http://www.cronachedibirra.it/   foto comprese  esclusa  quella  di francesca lara  presa dall'unione sarda del 28\6\2015  )






Ma essa è recentemente è passata alla cronaca perchè nonostante il compromesso proposto Francesca Lara d'aggiungere al nome moretta il nome Lara la multinazionale della birra olandese le  ha  fatto causa 

come dice l'unione sarda







e http://www.algheroeco.com/ sempre d del 28\6\2015 e le ha dichiarato guerra legale perchè cambi il nome


Guerra di birre: Heineken contro la “Moretta”
La multinazionale pronta a trascinare in Tribunale un birrificio sardo per il nome troppo simile alla "Birra Moretti".


La multinazionale Heineken minaccia di trascinare in Tribunale il “Microbirrificio Artigianale Lara” della quarantaduenne Francesca Lara. Oggetto del contendere sarebbe la “Moretta”, birra artigianale prodotta nello stabilimento ogliastrino, nome che insieme a “Sennòra”, “Affummiàda” e “Piculìna” richiamano i vezzeggiativi con cui le quattro sorelle Lara (Sebastiana, Carmen, Sandra e Francesca) sono chiamate in famiglia sin da piccole. Seconda la Heineken proprio la “Birra Moretta” violerebbe le leggi «in materia di proprietà intellettuale» perché troppo simile alla famosa “Birra Moretti”, marchio acquisito dalla multinazionale nel 1996.









e qui la prepotenza e chiusura mentale della multinazionale  birraria  . Ora m chiedo ma la domanda è destinata volare nel vento come .... mi chiedo una birra artigianale può fare concorrenza a una multinazionale ----

13.6.15

Eco ignora o fa finta d'ignorare che anche grazie ai social a loro la Rete è un luogo più democratico anche se arrischio di populismo

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Puntualmente    arriva  (  trovate  l'articolo  sotto  )   la  bellissima  ,  io non avrei saputo   scrivere  di meglio  ,   ad  Umberto  Eco    da  http://www.ilfattoquotidiano.it/  del  13\6\2015    il che dimostra  come   internet  ed  i social siano  

Giulia Cecconi democratico ma stupido. perchè mentre molti intelligenti ci spendono il giusto,molti cretini passano giornate a scrivere cretinate. internet non ha filtro, è una fucina di cazzate e chiunque ci faccia un giro se ne rende conto.


Un arma a doppio taglio  





In principio era Indymedia. Nella sua declinazione digitale, per molto tempo l’attivismo mediatico è stato connesso principalmente a quell'esperienza; alla cui epoca, va detto, Internet era ancora primordiale nel suo funzionamento e soprattutto periferico nel circuito dei media.
Le proteste alla riunione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio a Seattle nel 1999 offrirono però una decisiva opportunità di riconoscimento reciproco per attivisti e professionisti provenienti da realtà nazionali spesso lontane, connotate da agende politiche e sociali apparentemente molto diverse. E negli anni successivi si formò poi una vera e propria rete internazionale di giornalisti indipendenti, di freelance, di programmatori e di hacker. Un network mondiale dunque, ma legato al movimento “no global” e dunque per questo anche elitario, con tutti i limiti che ciò comportava: poiché composto, in fin dei conti, da realtà che partivano dalla condivisione di una base ben confinata di valori e obiettivi e quindi non potevano che esprimere un mondo polarizzato, schierato, non pienamente inclusivo.
Nel primo quinquennio del 2000 è da qui, da questo modello di attivismo mediatico così connotato ideologicamente che è arrivato l’unico tentativo di una narrazione alternativa a quella dei mass-media tradizionali. E per anni, è dai media attivisti della rete Indymedia che governi e brand hanno dovuto guardarsi. Poi è arrivato il web 2.0, con i suoi assai “controversi”social network, e tutto è cambiato di nuovo. Radicalmente.
Oggi per essere un media attivista non servono specifiche competenze giornalistiche, informatiche, né di altro tipo. E’ sufficiente un indirizzo mail, da cui aprire un account Twitter o Facebook. Ne sa qualcosa, ad esempio, Nestlè, accusata recentemente in California di sfruttare illegalmente le risorse naturali, e messa sotto pressione non da un articolo ma da una valanga di post con gli hashtag #deforestation e#saveourwater.
Stessa esperienza la sperimenta da tempo la catena mondiale di fast food Burger King: dei primi 10 hashtag delle conversazioni social in cui è citata, tre sono negativi, poiché connessi allo spinoso tema dell’uso dell’olio di palma (#deforestation, #climate, #palmoil). Si tratta di due casi di studio citati nel “Food and Beverage Report 2015”, diffuso dall’azienda di social intelligence Brandwatch. Indirizzato principalmente ai brand in quanto potenziali clienti, fin dalle sue premesse il rapporto riconosce nei contenuti dei social media altrettanti messaggi e giudizi di rilievo, che le multinazionali hanno il dovere di monitorare, ascoltare, capire, e a cui talvolta può essere necessario anche rispondere, pena un calo di reputazione.
Secondo Brandwatch, per il settore della ristorazione i social media possono sì rappresentare un terreno di criticità – il volume di contenuto è altissimo, nel Regno Unito ad esempio una conversazione social su tre riguarda cibo e bevande – ma allo stesso tempo anche grandi opportunità in termini di fidelizzazione, grazie alla possibilità di incentivare la creatività degli utenti e le interazioni. E sui social, sostiene l’azienda di social listening, anche l’esito di una crisi è fortemente influenzato dalla reazione del brand alla stessa.
D’altra parte sappiamo bene che le multinazionali hanno spesso dalla loro parte gli influencer della rete, appositamente ingaggiati per sostenere il marchio con specifiche campagne di promozione. Come anche sappiamo che, altrettanto spesso, gli ‘attacchi’ di utenti sui social non sono affatto spontanei ma vengono organizzati preventivamente con la condivisione preliminare degli hashtag, dei link da far circolare, degli account da menzionare e coinvolgere, dei tweet da pubblicare. Dunque le stesse sfide dialettiche via web sono da tempo caratterizzate da metodi e da tecniche già predeterminate di vero e proprio guerrilla marketing, che di genuino possono talvolta avere ben poco.
Tuttavia, checché se ne dica, una cosa è certa. Dalla loro comparsa, i social media hanno senz’altro reso la rete un luogo molto più democratico, dialogico e paritario di com’era prima. Uno spazio in cui non esistono più rendite di posizione e dove – una volta vagliate la validità delle idee espresse, la capacità di argomentare e di comunicare e l’oggettività dei dati esposti – il giudizio finale è affidato all’intelligenza di ciascuno. Con buona pace di chi pensa di possedere la verità rivelata, chiunque egli sia.

27.2.12

il coltan nuovo oro bianco e gli effetti collaterali

 Lo  che questo post  verrà considerato dalle male  lingue   un copia ed  incolla  , ma  io me  ne frego e  avanti  . Perchè non  voglio   che 

Non credo ci  sia bisogno di commentare  ed  aggiungere  altro   parla da solo questo   articolo  in flash  tratto da http://www.slideshare.net/FilippoSardi/   che promuove  il http://www.umoya.org/