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11.11.21

Scava-scava Tra affreschi “a luci rosse”, “botteghe di street food” e date di eruzioni spostate, il ministero Franceschini fa propaganda e marketing

Un classico esempio su  come  avere  i fondi anche internazionali        e  visibilità       ed  nascondere  le  magagne  facendo  propaganda  e  marketing Il metodo  del ministro Franceschini  .   


  • da  IL Fatto Quotidiano
  • Pompei&C., gli scoop-dopati tra milioni a pioggia e carriere

    METODO FRANCESCHINI “Scoperte sensazionali”

                                                      Leonardo Bison

    Potrete stare certi che tra qualche settimana sarà comunicata al pubblico una nuova scoperta archeologica eccezionale. E poi un’altra, nei giorni intorno al Natale. Seppur pochi tra i non addetti ai lavori se ne siano resi conto, la comunicazione archeologica propagandistico-sensazionalistica è diventata da tempo una cifra del ministero di Dario Franceschini, fatta di “scoperte sensazionali” che, troppo spesso, non lo sono. Ultima in ordine di tempo la cosiddetta “stanza degli schiavi” presentata dall’ansa sabato scorso come “ambiente intatto”. Peccato che non ci siano evidenze che lo associno proprio a schiavi, e che di intatto ci fosse ben poco: una colata di gesso, usata per riempire i vuoti lasciati nella cenere dai materiali deperibili scomparsi – con una tecnica usata dal 1863 –, dava l’impressione di stuoie e letti ben conservati – in realtà ricostruiti nelle forme dal gesso –, e tanto 

    FOTO ANSA
    La “stanza degli schiavi” Così è stata subito ribattezzata l’ultima scoperta a  Pompei qualche giorno fa


    bastava per far parlare di scoperta eccezionale. Solo l’ultima di una lunga serie di “scoperte” annunciate a mezzo stampa dal ministero della Cultura dal 2014 a oggi, con linguaggio che pesca dal cinema, come “l’ultimo fuggiasco”, “il tesoro della fattucchiera”, l’affresco “a luci rosse”, la “bottega dello street food”, o calchi di gesso presentati come corpi o ambienti intatti, quando non lo sono. Un trend comunicativo che nel 2019 è arrivato a parlare di “iscrizione che cambia la storia” – spostando la data dell’eruzione di Pompei da agosto a ottobre – per un’iscrizione che non faceva che corroborare l’ipotesi di una eruzione autunnale, già fatta propria dagli archeologi da decenni.
    Non è un atteggiamento mediatico che riguarda solo Pompei, divenuta vessillo di “successo, rinascita e riscatto”, usando le parole del ministro, ma anche altre realtà: il 15 ottobre Franceschini parlò di “scoperta sensazionale” riguardo il ritrovamento di uno scheletro di un individuo morto per l’eruzione a Ercolano, mentre il giorno successivo toccò a un relitto rinvenuto nel Canale d’otranto ottenere le luci della ribalta. Si tratta a volte di scoperte – o sarebbe meglio dire “rinvenimenti” – di grande rilievo, a volte meno, ma che inserite in questa centrifuga di comunicazioni roboanti rendono impossibile la comprensione del pubblico, oltre a fare ombra a ciò che eccezionale è davvero: ad esempio il ritrovamento di abitati in legno realmente ben conservato (rarissimo, ma accade occasionalmente nell’arco alpino) o di altri risultati di spessore la cui eco mediatica viene pressoché annullata dalle comunicazioni ministeriali.

    8.3.18

    speciale storie di donne : Giulia Nizzola e i pacchi di Pasta Magna applica la suia laurea ad “Packaging: scegliere con gli occhi” ., L’operaia e storica Rsu Fiom Angela De Marc Si laurea in filosofia con 110 alla Ca’ Foscari di Venezia e, con indosso il camice blu da lavoro della Zanussi, che era stato prima di sua zia e poi di sua mamma, dedica il traguardo a tutte le donne e gli uomini che hanno contribuito a rendere grande quell’azienda che oggi è l’Electrolux di Porcia. ed altre storie

    oggi 8 marzo raccolgo un post con storie di donne  La prima è tratta , come le altre due le ho prese dalla la pagina fb di geolocal,da http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2018/03/07 , mentre l'ultima  ma nnon per  questo meno importante  e bella   tratta  da  la  nuyova  sardegna  


    Giulia Nizzola e i pacchi di Pasta Magna

    MOGLIA-SUZZARA. Un prodotto lo si sceglie con gli occhi? Il bello, la forma pagano più del contenuto? Sono le domande che Giulia Nizzola, 22 anni di Moglia, domiciliata a Suzzara dopo il terremoto, si è posta nella propria tesi di laurea, incentrata su una ricerca sperimentale di neuromarketing e decisioni d’acquisto, per il corso triennale di Grafica all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia. Per arrivare alle risposte, Giulia ha elaborato un test, che è il titolo della sua tesi, “Packaging: scegliere con gli occhi” e i risultati che ha ottenuto hanno sorpreso anche lei.
    Giulia ha inventato un prodotto, una pasta, ha creato un logo, un marchio, una confezione (tutto finto naturalmente), poi con la collaborazione del personale del Conad Superstore di Suzzara, ha esposto il prodotto tra gli scaffali del supermercato. Una pasta gourmet, di quelle che si trovano nei ripiani dedicati ai prodotti artigianali o regionali ricercati; una pasta più costosa delle altre, però, avvolta in un bel sacchetto di carta grezza, come quella del pane, con tanto di logo scritto a mano, il nome dell’azienda (pure quella falsa) che ricorda la nostra terra Magna (è in dialetto), grano aureo prodotto a Mantova. «Volevo concretamente vedere - racconta Giulia - come le persone potessero reagire di fronte a un nuovo prodotto di cui non conoscevano né il brand produttore né la confezione: ho creato quindi un mio packaging. Ho dovuto aggiungere alcuni plus rispetto alle marche competitors perché il mio prodotto potesse farsi vedere ed essere diverso: il sacchetto di carta da pane, la scritta con stampi a mano, ho aggiunto anche un elastico alla confezione, da utilizzare per richiudere il sacchetto una volta aperto. Per poter realizzare il test, però, è stata di fondamentale importanza la disponibilità del direttore del punto vendita Conad Superstore di Suzzara, Roberto Lugli».
    Giulia racconta di aver preparato 45 sacchetti di pennette, farfalle, fusilli («ho preso i pacchi da 5 chili del Tosano, e il mio relatore ha stampato i sacchetti nella sua piccola tipografia»); la Conad le ha concesso per una settimana per esporli su tre ripiani dello scaffale della sezione gourmet e le ha permesso anche di restare di fianco agli scaffali per osservare i movimenti dei clienti. «Sabato 10 e domenica 11 febbraio, con la mia supervisione, solo cinque persone hanno guardato il prodotto, nessuna ha deciso di comprarlo; da lunedì 12 a venerdì 16 febbraio i sacchetti sono stati sullo scaffale senza la mia supervisione e 47 persone sono andate in cassa col prodotto. Poi le commesse hanno riferito loro che si trattava di una ricerca e quella pasta non era in vendita. Però siamo rimasti tutti sorpresi di quanto fosse piaciuto, tenendo conto anche del prezzo, 1,49 euro, il doppio delle paste comuni. Un risultato insperato. Quindi sì, ho avuto la risposta formulata nel mio test: la forma paga, l’abito fa davvero il monaco».
    La discussione della laurea è andata benissimo. «Eh già, 110 e lode finale che voglio proprio dedicare al direttore del Conad Lugli. Lo ringrazio di cuore per quello che ha fatto». Ora per Giulia cominciano gli stage in aziende e poi chissà, magari arriverà una carriera pubblicitaria.







    OPERAIA SI LAUREA IN FILOSOFIA:...
    Operaia si laurea in filosofia: camice blu e dedica ai lavoratori Zanussi
    Angela De Marco è una ex dipendente e storica Rsu della Lavinox. Ha saputo gestire tutti gli impegni meritandosi un 110
                                            di Giulia Sacchi





    PORDENONE. Si laurea in filosofia con 110 alla Ca’ Foscari di Venezia e, con indosso il camice blu da lavoro della Zanussi, che era stato prima di sua zia e poi di sua mamma, dedica il traguardo a tutte le donne e gli uomini che hanno contribuito a rendere grande quell’azienda che oggi è l’Electrolux di Porcia.L’operaia e storica Rsu Fiom Angela De Marco da ieri è dottoressa. Ha discusso la tesi di laurea magistrale sulle trasformazioni del lavoro nell’era neoliberista. Una tesi nella quale è racchiusa anche la storia di lavoro e di attività sindacale dell’ex operaia della Lavinox di Villotta di Chions.Un pezzo importante della sua vita, insomma. Un percorso non semplice, ma ricco di soddisfazioni, quello universitario, per Angela che è mamma di due bambini, ai quali ha dedicato la tesi. Contando solamente sulle proprie forze, è riuscita a gestire lavoro e famiglia e a coronare un sogno: chiudere il percorso di laurea triennale nel 2012 e poi quello magistrale ieri.Donna tenace e che non si ferma davanti a nulla, Angela ha studiato nei pochi momenti liberi: di notte e nei fine settimana. Sulla sua pelle ha provato quanto sia difficile per una donna gestire i tempi di conciliazione di lavoro e famiglia, e nel suo caso pure di università e sindacato.«Ho toccato con mano l’assenza di strumenti adeguati per sostenere le donne che lavorano, hanno figli e studiano – ha raccontato –. Ho avuto la prova di come tanti, dai politici al mondo delle istituzioni, si riempiano la bocca di tutele nei confronti delle donne che nella realtà si rivelano inesistenti. Nonostante il mio percorso sia stato pieno di ostacoli, non ho mollato: la laurea era una sfida che ho vinto».In questi anni di studio, Angela ha lavorato sodo non soltanto per non fare mancare nulla ai suoi bambini, ma anche per essere sempre al fianco dei suoi colleghi di Lavinox in momenti non semplici. Mentre preparava gli esami, l’azienda di Villotta di Chions è fallita: per l’operaia un colpo al cuore, che ha avuto ripercussioni pure sullo studio.«Sono stati mesi difficili e il percorso universitario ne ha risentito, subendo un rallentamento», ha raccontato. Ma nemmeno questo ha fermato Angela, che ha trovato il tempo per studiare tra una manifestazione sindacale e un tavolo di confronto a Unindustria. Episodi che rivivono nelle pagine di quella tesi in cui si parla di com’è cambiato il lavoro, soprattutto in fabbrica, e dei mutamenti che ha subito il mondo sindacale. Ambiti che sono entrambi in crisi.Un’analisi che non si limita a ripercorre il pensiero di filosofi e studiosi, tra cui Karl Marx, ma che indaga a fondo le dinamiche del cambiamento, mettendone in evidenza in primis le conseguenze negative e dando voce anche ad alcuni protagonisti, tra l’altro del Pordenonese.Angela ha intervistato il segretario generale della Fiom Maurizio Marcon, che ha un’esperienza da operaio alla Cimolai di Pordenone, ed Efrem Basaglia, operaio metalmeccanico della Savio macchine tessili e storica Rsu Fiom, oggi in pensione. «Interviste fondamentali per entrare nel vivo dell’argomento della tesi – ha spiegato De Marco –. Chi meglio di persone che hanno seguito da vicino il cambiamento del mondo del lavoro, tra aumento della precarizzazione e della disoccupazione, poteva proporre una riflessione su questa tematica?».La discussione della tesi per Angela è stata un momento di forte emozione: mentre illustrava il lavoro di ricerca, scorreva davanti agli occhi la sua vita.«Ho faticato a trattenere le lacrime – ha raccontato –. Dedico questo percorso a quanti hanno contribuito a rendere grande la Zanussi, con impegno e tra tante difficoltà, a chi lotta per avere un’occupazione e per i suoi diritti e a quanti hanno perso la vita per difendereil proprio lavoro. Da oggi sono sì una dottoressa, ma che non dimentica le sue origini. Rimarrò sempre un’operaia e sono fiera di avere indossato il camice simbolo delle tute blu in uno dei momenti più importanti della mia vita».


    Crisi e secondo figlio: resta disoccupata e fonda un'azienda
    Storie di donne: Stefania adesso vende decorazioni in tutto il mondo. Il suo racconto

    di Alice Ferretti




    PADOVA. Si è rimboccata le maniche ed è ripartita da zero, supportata da una grande forza d’animo, dalle sue passioni e da una bellissima famiglia. Così Stefania Taddeucci, 47 anni, mamma e imprenditrice, dopo un periodo di forte crisi è riuscita a fare del suo sogno il suo lavoro.
    Oggi è titolare dell’azienda “La banda del riccio”, dal nome della passione del figlio maggiore per questo animaletto. Stefania disegna e produce adesivi decorativi per le camerette dei bambini e la sua attività in soli tre anni si sta espandendo in modo significativo. «Sono presente in sette portali di e-commerce e vendo le mie decorazioni in tutto il mondo», spiega entusiasta l’imprenditrice.
    Non è stato semplice. Stefania, originaria di Firenze, ma che per amore diciannove anni fa si è trasferita a Noventa Padovana, fino al 2010 ha lavorato nell’ambito della moda. «Per vent’anni ho fatto la stilista per bambini, collaboravo con tutte le più grandi aziende, poi con la crisi le cose hanno iniziato ad andare male». Molte aziende d’abbigliamento per cui lavorava chiudono i battenti e le poche rimaste tardavano a effettuare i pagamenti. «In quel periodo sono anche rimasta incinta del mio secondo figlio, cosa che mi ha ancor più danneggiata. Quando mi presentavo nelle aziende con il pancione mi guardavano come un’appestata».



    Da qui per Stefania si è aperto un periodo difficile. «Ho smesso di lavorare e ho vissuto un anno di lutto. Ero in forte crisi e alternavo momenti di gioia per la bambina che stava arrivando a momenti di grande sconforto». I lunghi mesi di stop però non sono riusciti a fermare lo spirito creativo e ambizioso della mamma, che ne ha approfittato per reinventarsi. «Ho pensato di decorare la cameretta della mia bambina con degli adesivi. Ho realizzato i disegni e li ho fatti trasformare in adesivi da una ditta specializzata».
    E il risultato è arrivato da subito. Non appena la foto della cameretta decorata ha preso a girare in rete, e in particolare sui social network, hanno iniziato a piovere apprezzamenti. «L’idea piaceva. Inoltre il mio sogno è sempre stato quello di fare l’illustratrice per bambini. Ho pensato che quella poteva essere la mia strada», dice la mamma imprenditrice, che con le sue creazioni e un gazebo ha iniziato a girare i mercati di Padova e provincia raccogliendo curiosità e consensi. Così nel 2015, grazie anche ai consigli di Confartigianato, Stefania ha registrato il suo marchio e da quel momento è nata quella che è una vera e propria azienda. «Ho comprato un plotter e adesso faccio tutto a casa», spiega. «In un mese riesco a spedire in tutto il mondo circa 170 adesivi decorativi. Per ora sono da sola ma se l’azienda continuerà a crescere il prossimo obiettivo è aprire un laboratorio». Nell’ultimo anno l’azienda ha realizzato un fatturato di 100mila euro.
    «Ho tutto quello che si può desiderare. Un lavoro meraviglioso, che è anche la mia passione, e la possibilità di lavorare a casa, a contatto con mio marito e miei due figli».



    L'INTERVISTA - Guida il Comune da 9 anni, ma non chiamatemi sindaca
    Il primo cittadino di Onanì: «La parità di genere non c’entra con il linguaggio»
    di Silvia Sanna

    SASSARI. Sindaca o sindaco? Meglio sindaco, risponde subito Clara Michelangeli. Che, confessa, alla lunga discussione sulla parità di genere nel linguaggio non si è molto appassionata. Dal 2009 primo cittadino di Onanì, comune della Baronia di 390 abitanti, il sindaco Michelangeli, di professione agronomo e mamma di un bimbo, indossa la fascia da quando aveva 28 anni. Il secondo mandato si chiuderà l’anno prossimo e sull’eventuale tripletta ancora non ha deciso. Tutti in paese la chiamano sindaco perché lei preferisce così. «La verità? Non credo che l’utilizzo del genere maschile sia una forma di discriminazione nei confronti delle donne. La parità è altro».


    E' giusto festeggiare l'8 marzo?

    «Certo, la festa della donna è importantissima per ricordare le discriminazioni subite in passato, per manifestare solidarietà a chi vive in Paesi dove la donna subisce emarginazione, violenze e abusi. E soprattutto per ricordare chi per colpa di uomini violenti soffre e spesso perde la vita».

    La violenza di genere è un fenomeno in crescita, come combatterlo?

    «Io credo che prima di tutto debbano essere educati gli uomini. Il rispetto deve essere insegnato a chi non lo manifesta in maniera naturale. E gli uomini in gamba devono essere d’esempio per gli altri. Per questo oggi nelle piazze colorate di rosa e negli appuntamenti dedicati all’8 marzo, sarebbe bello vedere non solo donne ma anche mariti, fidanzati, fratelli».

    Flash mob, corse rosa, spettacoli teatrali e convegni: sono utili per contrastare la violenza sulle donne?

    «Sono importanti per almeno due aspetti: per sensibilizzare il numero più alto di persone sul fenomeno e per fare sentire le vittime meno sole. In una situazione di abusi la solitudine spinge a chiudersi in se stesse e fa crescere la paura».

    È questa paura che spinge tante vittime a non denunciare?

    «Credo che diversi sentimenti si mescolino. La paura, la vergogna, spesso la volontà di non turbare i figli, magari bambini. Ma incide moltissimo anche l’incertezza del dopo, di quello che accadrà se si decide di dire basta. Per questo serve una rete, la società deve essere in grado di accogliere e tutelare queste donne. E le manifestazioni dell’8 marzo, la condivisione di situazioni simili, il confronto delle esperienze, aiutano a capire che è possibile uscirne»

    Lei è mai stata discriminata in quanto donna da quando fa politica?

    «Non nel ruolo di sindaco. Ma in politica i pregiudizi resistono ed è difficile scardinarli. Soprattutto se decidi di fare il salto, mi è successo quando decisi di candidarmi alle Regionali».

    Qualcuno la criticò?

    «Mi dissero cose che a un uomo non avrebbero detto. “Sei sicura di volerti impegnare così tanto in politica? Hai riflettuto sul fatto che trascurerai la famiglia, il tuo bambino?”. Ci rimasi male, ebbi la conferma che la parità di genere è un sogno lontano».

    Il consiglio regionale ha approvato la legge sulla doppia preferenza. Sarà utile?

    «Una premessa: per fare politica bisogna avere una forte passione, e la passione non ha sesso. Per questo ritengo che la legge sarà utile per garantire una maggiore presenza di donne in consiglio regionale, che sono certamente poche. Ma neanche questa è la soluzione».

    Si spieghi meglio.


    «Le capacità, come la passione, non dipendono dal sesso. Sarebbe sbagliato votare una donna (o un uomo) solo per garantire parità numerica. Le forzature possono rivelarsi controproducenti. La vera parità arriverà quando le donne saranno premiate per il loro valore»

    31.1.16

    Chiude la libreria che rifiutò di vendere il libro di Schettino

    apprendo  da   tramite la pagina facebook    di  La cronaca  italiana  \  geolocal     che
    Chiude la libreria che rifiutò di vendere il libro di Schettino


    ‪#‎Livorno‬. Chiude la libreria che rifiutò di vendere il libro di Schettino. il negozio di via Marradi chiude i battenti e i proprietari affiggono alle vetrine i ringraziamenti ai propri clienti
    di Maria Giorgia Corolini




    La libreria Marradi

    LIVORNO. A farla salire alla ribalta delle cronache nazionali, passando da piccola libreria di provincia a conduzione familiare a simbolo del riscatto di migliaia e migliaia di cittadini nei confronti di un sistema che manda i disonesti in cattedra all'università e gli permette di pubblicare libri e promuoverli nei salotti tv, era stato un semplicissimo cartello scritto a mano: “In questa libreria non vediamo il libro di Francesco Schettino”.
    Chissà se la bella e sorridente venticinquenne Cristiana Ricci, all'epoca titolare della libreria Marradi, avrebbe potuto immaginare tutto il clamore che seguì all'articolo del nostro giornale, e che in pochi giorni la fece rimbalzare, insieme al cartello bianco e al suo negozio, su tutte le testate nazionali, senza distinzione di sorta. Per giorni non si parlò d'altro e non vi fu un solo livornese che non prese parte alla diatriba che vide opporsi sostenitori della libertà di espressione del codardo comandante a sostenitori della giovane libraia ribelle, che insieme alla sua famiglia e ai suoi libri entrò di diritto nel cuore di tutti. Ecco perché, a un anno di distanza, saranno in tanti a dispiacersi della chiusura della libreria Marradi: a dare l'annuncio gli stessi proprietari, che nella giornata di giovedì 28 gennaio hanno affisso alle vetrine due cartelli scritti a mano con cui avvertire e ringraziare tutti i clienti, uno ad uno, nome per nome.“Non chiudiamo per problemi economici, anche se la crisi non scherza: mia figlia Cristiana ha avuto un'occasione di lavoro irrinunciabile e per mio marito, che nella scorsa primavera si è intestato il negozio, gestirlo da solo è diventato difficile. Avremmo bisogno di una commessa, ma assumere una persona, ad oggi, è davvero impossibile” spiega la professoressa Maria Rosaria Sponzilli, che tra una lezione e uno scrutinio ha aiutato in questi mesi il marito Giovanni Ricci nell'attività commerciale
    Avevo bisogno di un po' di indipendenza e col nuovo lavoro ho trovato una mia strada- spiega Cristiana, che non nasconde il dispiacere- questi 5 anni mi hanno davvero arricchito, è stata un'esperienza bellissima che porterò sempre con me”. Alla Libreria Marradi, infatti, non si vendevano soltanto libri: come raccontano gli stessi proprietari, il negozio era diventato un luogo d'incontro e di amicizia, di scambio e di confidenza. Ecco perché la notizia è rimbalzata in fretta e ha colto molti di sorpresa, anche tra i clienti più affezionati: non appena hanno saputo che la loro libreria preferita stava per chiudere i battenti, in molti si sono precipitati a comprare qualcosa, o anche solo a salutare.

    Commossi i tre proprietari, che ai clienti e al quartiere hanno dedicato questa bella lettera: “Grazie a tutte e tutti, agli amici, ai conoscenti e ai clienti che sono diventati amici. Grazie a chi è entrato nella nostra libreria anche solo una volta. Con voi abbiamo parlato, riflettuto, criticato, abbiamo raccolto le vostre confidenze e voi le nostre. Ci siamo confrontati sulle letture e sugli autori scambiandoci e condividendo emozioni. Alcune volte, durante gli ordini scolastici, vi siete arrabbiati ma altre divertiti a provare con noi i nuovi giochi di legno, chi a lanciare freccette o a fare una partita a calcetto. Vi è dispiaciuto quando la “bimba” è andata a lavorare altrove ma avete apprezzato l'operato del “libraio spettinato” e aspettato i consigli dalla prof. Abbiamo scoperto persone meravigliose per le quali anche il solo fare una fotocopia era l'occasione per fermarsi e parlare della loro e della nostra vita e mostrarci il loro affetto. Nonostante tutto ciò è arrivato per noi il momento di chiudere, ora siamo tanto più ricchi certo non economicamente...ma nel nostro cuore! Grazie. E continuate a leggere!”.
    cco perché, a un anno di distanza, saranno in tanti a dispiacersi della chiusura della libreria Marradi: a dare l'annuncio gli stessi proprietari, che nella giornata di giovedì 28 gennaio hanno affisso alle vetrine due cartelli scritti a mano con cui avvertire e ringraziare tutti i clienti, uno ad uno, nome per nome.

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    Non chiudiamo per problemi economici, anche se la crisi non scherza: mia figlia Cristiana ha avuto un'occasione di lavoro irrinunciabile e per mio marito, che nella scorsa primavera si è intestato il negozio, gestirlo da solo è diventato difficile. Avremmo bisogno di una commessa, ma assumere una persona, ad oggi, è davvero impossibile” spiega la professoressa Maria Rosaria Sponzilli, che tra una lezione e uno scrutinio ha aiutato in questi mesi il marito Giovanni Ricci nell'attività commerciale.“Avevo bisogno di un po' di indipendenza e col nuovo lavoro ho trovato una mia strada- spiega Cristiana, che non nasconde il dispiacere- questi 5 anni mi hanno davvero arricchito, è stata un'esperienza bellissima che porterò sempre con me”. Alla Libreria Marradi, infatti, non si vendevano soltanto libri: come raccontano gli stessi proprietari, il negozio era diventato un luogo d'incontro e di amicizia, di scambio e di confidenza. Ecco perché la notizia è rimbalzata in fretta e ha colto molti di sorpresa, anche tra i clienti più affezionati: non appena hanno saputo che la loro libreria preferita stava per chiudere i battenti, in molti si sono precipitati a comprare qualcosa, o anche solo a salutare.
    La libreria Marradi chiude e ringrazia i clienti
    Il titolare Giovanni Ricci: "E' un dispiacere chiudere, ma mia figlia ha trovato un altro lavoro e da solo non ce la faccio". Quando Cristiana rifiutò di vendere il libro di Schettino (video Dario Marzi)
    La libraia di Livorno: ''Volevo solo che non mi chiedessero il libro di Schettino''
    Cristiana Ricci è la titolare della libreria Marradi di Livorno. Ha affisso un foglio con scritto ''In questa libreria non vendiamo il libro di Schettino''. La foto del cartello ha spopolato su Facebook, raccogliendo tantissima approvazione e qualche commento critico di chi le dice di averlo fatto solo per pubblicità. ''Il mio unico intento era mettere in chiaro che io quel libro non lo vendo, per rispetto delle vittime. Sono contenta che in tanti la pensino come me''. Video Daniele Marzi / Giulia Mancini




    Ora  è un grande dispiacere apprendere la notizia che un'altra attività , specie   culturale  ,ci lascia . Ma



    Aldo Lazzaretti
    Speriamo che la nostra libraia abbia fatto tesoro della brutta esperienza di rifiutare, anzi peggio, censurare le richieste dei lettori. Un editore, un imprenditore non possono credere alla "balla" dei costi di una commessa che avrebbe potuto con un po' formazione e di passione rilevare la libreria. Spero nuovamente in un escamotage pubblicitario per mantenere ancora in piedi una libreria per Livorno. Suvvia livornesi che avete figli in cerca di una professione, guardate le statistiche delle vendite librarie, i libri tornano a tirare forte ed il 2016 sarà un anno fantastico. Forza livornesi una nuova vitalità, "libreria editrice" come lo era Belforte. Andrà bene, parola di editore!

    7.9.14

    a quando in italia un freemarket ?



    alcune  foto qui presenti  sono   prese dalla galleria  di  repubblica   ( qui la  galleria  citata )   le foto postate sul profilo Instagram del Freemarket, che descrivono le ultime fasi di preparazione del locale, prima della sua apertura



    Erano   mesi che un gruppo di giovani danesi lavorava alla realizzazione di un luogo fisico per lanciare la sua startup.
    Finalmente a metà agosto è stato inaugurato a Frederiskberg quartiere di Copenaghen  un supermercato che ha adottato un'insolita strategia di marketing: "vendere" prodotti gratis. una fila lunga un centinaio di persone attendeva di entrare nel nuovo negozio  Con lo slogan "prova prima di comprare" Simon Taylor, fondatore di Freemarket, ha accolto i suoi clienti e promosso un nuovo modo di fare la spesa, "vendendo" prodotti alimentari gratuitamente in cambio di pubblicità sui social network. Il suo piccolo negozio è adatto a chi è aperto a sperimentazioni e disponibile a cambiare le regole classiche del "fare acquisti".

    Per aderire alla filosofia di Freemarket è necessario registrarsi al sito web del negozio e lasciare i propri dati personali: età, sesso, hobby. Ma la regola più importante è scattare una foto ai prodotti scelti e pubblicarli su Facebook, Twitter o Instagram corredati da descrizione e giudizio. Inoltre, il cliente deve pagare un canone mensile irrisorio - circa 2,50 euro - per il mantenimento del locale (anche le aziende, poi, versano una quota per esporre i propri prodotti). Può scegliere solo dieci prodotti al mese, tutti diversi tra loro. "È una nuova forma di pubblicità", afferma il fondatore, ex dipendente di un'agenzia pubblicitaria, che non ha fatto altro che rimodellare vecchie strategie di marketing, adattandole all'era del 2.0 della condivisione e del passaparola "internettiano". 



    Non è più, quindi, un'azienda che convince il consumatore a provare un prodotto (come era nella pubblicità tradizionale), ma è il consumatore a sceglierlo; non è più il marchio a decidere le sorti di un prodotto, ma è il cliente che esprime il suo parere. Infatti  Unica richiesta del punto vendita è quella di registrarsi al sito online del supermercato e lasciare una gran quantità di dati personali a disposizione delle aziende che vendono i propri prodotti nel Freemarket, oltre all'obbligo di postare sui social network Facebook, Twitter o Instagram foto e descrizione degli alimenti "acquistati". E' una "nuova forma di pubblicità" afferma il fondatore, Simon Taylor.









    Inoltre sempre  secondo repubblica  .it   


    In uno scambio di opinioni e soddisfazioni reciproche, Taylor segue il concetto chiamato "tryvertisin": l'azienda ottiene pubblicità per i suoi prodotti, informazioni sul cliente e allarga il bacino di contatti, mentre l'acquirente fa la spesa senza quasi mettere mano al portafoglio. Un dare e avere reciproco che all'azienda costa qualche alimento-prova da impiegare come test di un "gioco", mentre al cliente la "messa a nudo", ancora una volta, dei propri dati personali. Le norme sulla privacy sono rispettate ma, in un periodo storico in cui proprio grazie ai social network siamo continuamente monitorati, sarà questo un nuovo modo per essere "schedati"? Cloetta, Storck, Läkerol, San Pellegrino sono le aziende che hanno deciso di riempire gli scaffali del negozio. E per loro il Freemarket è un'occasione per testare i propri prodotti e il loro impatto su un mercato ridotto, analizzare il comportamento di acquisto e fare una valutazione prima di lanciarli a livello nazionale. Il negozio - che in principio era un sito online dove si effettuavano ordini recapitati dal postino - sta avendo feedback positivi: in meno di un mese è passato da 5.000 a 10.000 clienti. Dopo aver passato la prova del nove con un paese come la Danimarca, che Taylor definisce "difficile per l'affermazione di questa innovazione per lo spirito conservatore delle aziende", il fondatore sta già pensando di aprire altri Freemarket in Svezia e Finlandia nel 2015 e in Inghilterra nel 2016.

    aspettiamo con ansia   l'apertura  in italia    

    12.6.14

    chi lo dice che i musei antropologici \ degli antenati debbano per forza annoiare IL MUSEO DELL'ACCABBADORA di LURAS

       chi lo dice   che i  musei antropologici  \  degli antenati   debbano  per  forza  annoiare  ed essere meta  di
    dal   terzo url  riporto  sotto  
    nostalgici del tempo   che  fu   si ricrederà vedendo questo museo . n cui si parla oltre che della vita contadina in Gallura , di quello"S'Accabadora". Questa figura, che negli ultimi anni è ricomparsa nella memoria del popolo sardo in concomitanza con i fatti di cronaca legati all'eutanasia, svolgeva un compito difficile e delicato: quello di porre fine alle sofferenze e alla lunga agonia dei malati in fase terminale. Osteggiata dalla chiesa e dalla gran parte delle persone religiose, era, in realtà, protetta con il silenzio e pochi conoscevano la sua identità e i suoi modi di agire. Questa copertura è stata così efficace che, ad oggi, esistono studiosi che pensano che i racconti che fanno riferimento a S'Accabadora, non siano altro che leggende mitiche o che al massimo facciano riferimento a una figura che agiva in un antico passato. In realtà numerosi sono i viaggiatori e gli studiosi stranieri, giunti in Sardegna nei secoli, che fanno riferimento a questa figura.Questa intervista prova che in realtà, una figura di tal genere è esistita almeno fino agli anni Quaranta del secolo scorso.

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    scritto da: Matilde Gianfico12 Giugno 2014

    MUSEI
    I musei etnografici annoiano, da morire. E se la morte è causata da asfissia cerebrale per voce di racconti soporiferi su cosa facevano i nostri avi nelle lunghe giornate di lavoro per vivere e sopravvivere, non è difficile immaginare che questi luoghi di cultura, così come sono gestiti, celebreranno sempre e solo se stessi e saranno tanto più inefficaci quanto più vasta è l’eco prodotta da stanze vuote e inanimate da visitatori.Ma, se la morte arriva per mano di una donna che con un colpo secco di martelletto mette fine alle pene di un moribondo, l’interesse per quei racconti della tradizione isolana cresce e i visitatori di un museo aumentano.Succede a Luras,

    un piccolo borgo con meno di tremila anime, nella pancia dei monti del Limbara. Negli ultimi tempi il paese, che dagli anni ‘90 ospita un museo etnografico privato, è diventato meta di turisti, talvolta per caso, distrattamente interessati alla storia della forme di vita sociale e culturale della Gallura, e spinti invece dalla curiosità di conoscere una figura femminile, un po' madre un po' matrigna, nota in Sardegna col nome di accabadora, la donna che, da voci popolari e scarse fonti scritte, praticava l’eutanasia sul finire dell’ottocento.All’interno di un antico palazzo granitico, hanno trovato una sistemazione utensili, arnesi, reperti, accrocchi e testimonianze dell’antica civiltà gallurese, raccolte fin dall’adolescenza da Pier Giacomo Pala, proprietario del museo Galluras .



    Cosa offre di diverso il museo di Luras rispetto alle altre sette esposizioni regionali di tradizioni popolari tutte concentrate nella stessa provincia, è il racconto di una storia, che gli altri non hanno. Quella dell’accabadora, e del ritrovamento fortuito e fortunoso di un martello di legno, su mazzoccu, col quale pare, la donna infliggesse il colpo di grazia sul capo al malato sofferente e in fin di vita.Le storie bisogna anche saperle raccontare, e Pier Giacomo Pala importando la tecnica dello storytelling diffuso nel marketing 2.0, rapisce e coinvolge i visitatori lasciandogli impugnare l’arma del delitto. La ricostruzione di questo spaccato di cultura sarda silenziosa e omertosa, svela a credenti e miscredenti il mistero truce dell’ultima esecuzione, pare avvenuta nel 2003 in un paese vicino a Bosa, per metter fine alle sofferenze di un malato terminale di cancro. Che la figura di questa donna un po' misteriosa e un po' macabra sarebbe stata un'attrazione per il pubblico, Pala ci aveva pensato prima ancora che all’ufficio marketing dell’Einaudi, decidessero di cambiare in Accabadora (in sostituzione del prescelto L’Ultima madre) il titolo del romanzo di Michela Murgia, per spingere le vendite.
    Bella intuizione, buona la scenografia, stimolante il racconto, ma come ci arrivano i turisti a Luras?Il viaggio inizia dal web con prima tappa sul portale: un sito fai da te, con una semplice ed efficace architettura delle informazioni; un’attenzione per i testi scritti, le fotografie suggestive e una call to action (l’invito a compiere un’azione) in buona evidenza, sollecita l’acquisto del libro finanziato interamente dal proprietario.Indispensabile e visibile nella home page il widget del tour operator più influente della rete, Trip Advisor, la sacra bibbia del turista. Una recensione positiva su questo portale di viaggi ha l’effetto del moltiplicatore keynesiano (senza lasciarsi ingannare da profili fake e dichiarazioni pilotate).Un cospicuo numero di visitatori arriva al museo proprio attraverso questo canale e grazie ad una buona presenza del sito del museo sui motori di ricerca, blog e portali istituzionali; altri turisti invece sono naufraghi in un’isola muta, avversa alle segnaletica stradale e informativa, e come pecorelle smarrite arrivano a Luras, un borgo delizioso ma sconosciuto.Terzo fattore di
    successo per staccare un biglietto di ingresso di un museo delle tradizioni popolari in un piccolo centro della Sardegna, è la passione profusa dal proprietario, direttore e guida del museo, esperto conoscitore della donna accabadora, Pier Giacomo Pala che, realizzando il suo sogno con un investimento di capitale interamente personale, ha anche inventato il proprio lavoro.Nello scorso anno Pala ha registrato cinquemila presenze per un costo del biglietto pari a 5 euro a persona, seguendo inconsapevolmente una elementare e rudimentale strategia di marketing culturale: posizionandosi sul mercato dei musei etnografici con una storia interessante e misteriosa che i diretti concorrenti non possiedono, la racconta con passione e una vena di fantasia e fa quel tanto che può di pubblicità, seguendo le tendenze più diffuse in materia di comunicazione digitale. E siamo semplicemente a Luras.

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