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2.1.17

125 anni fa il primo sbarco a Ellis island, luogo simbolo dell'immigrazione Da lì oltre 12 milioni di persone tra il 1892 e il 1954




Era il primo giorno dell'anno 1892 ed era una fredda domenica d'inverno, quando la "migrante" zero entrò negli Stati Uniti attraverso la Porta d'Oro di Ellis Island. Annie Moore, di 15 anni, era partita dall'Irlanda 12 giorni prima insieme ai fratelli Anthony e Phillip e fu la prima persona a transitare per la nuova stazione di ispezioni federale nel porto di New York. 



Prima, il centro deputato all'accoglienza degli emigranti era Castle Garden che però si rivelò insufficiente ad accogliere l'enorme massa di persone in cerca di fortuna oltreoceano. Così si decise che sarebbero passati da Ellis Island, un piccolo isolotto artificiale di fronte a Manhattan, un tempo adibito dall’esercito americano a deposito di armi e di munizioni. Un luogo di lacrime e di speranze che oggi è un santuario di ricordi, un prezioso scrigno dove andare alla ricerca delle proprie radici. Collegandosi al sito dell'Ellis Island National Museum of Immigration si accede alle liste dei passeggeri delle navi che trasportarono milioni di persone e di sogni attraverso l'Atlantico. Annie Moore ebbe in dono monete d'oro e d'argento, disse che le avrebbe tenute per sempre per ricordare quel giorno, come riportò il New York Times raccontando l'evento. Dopo di lei e fino alla sua chiusura, nel 1954, 12 milioni di persone sfilarono davanti ai funzionari di Ellis Island e si sottoposero ai controlli sanitari obbligatori. Sembra che il 40% degli americani abbia almeno un antenato transitato per l'isola. Gli italiani costituirono il gruppo più numeroso: furono oltre cinque milioni e mezzo. La traversata dall'Italia durava quasi un mese e la Statua della Libertà annunciava l'arrivo alla meta. Nel 1910 sbarcò un giovane Rodolfo Giuliani, nonno dell'ex sindaco Rudy Giuliani con un centinaio di altri "manovali". Nel 1930 l'archivio segnala l'arrivo di Mary Ann MacLeod, futura madre di Donald Trump, aveva 18 anni appena. Arrivava dalla Scozia con 50 dollari in tasca per lavorare come "domestica". - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Accadde-oggi-125-anni-fa-il-primo-sbarco-a-Ellis-island-luogo-simbolo-dell-immigrazione-951f32a0-d2f0-4270-a7b1-84dcab2dc2e0.html

31.7.14

Da Sassari alla cattedra di Microbiologia in California, Manuela Raffatellu racconta il suo sogno americano


L’attitudine a bruciare le tappe l’ha dimostrata sin da piccola «ho imparato a leggere prima di aver compiuto due anni, grazie a mia madre, docente di Lettere alla scuola media» e, a vedere i risultati, l’ha mantenuta intatta nel tempo. Laurea con 110 e lode a 24 anni in Medicina e Chirurgia a Sassari, Manuela Raffatellu, vive dal 2002 negli Stati Uniti. Qualche settimana fa è diventata professore associato con “tenure” -col posto fisso – di Microbiologia e Immunologia alla facoltà di Medicina dell’UCI (Università della California, Irvine), 149 esima nel ranking mondiale secondo il QS World University Rankings 2013, e prima assoluta tra quelle americane nate meno di 50 anni fa.                                                                                                                                                        A 38 anni, la docente sassarese vanta una serie impressionante di riconoscimenti; citiamo in ordine sparso: il premio ICAAC della ASM (Società Americana di Microbiologia), l’Astellas della IDSA/NFID (Società Americana di Malattie Infettive) e quello della fondazione Burroughs Wellcome
Fund per lo studio delle malattie infettive. Nel 2013 e nel 2014 è stata menzionata per la qualità eccellente del suo insegnamento all’interno dell’università ed è stata invitata a tenere diversi seminari, incluse alcune lezioni magistrali, in tutto il mondo: dalla Svezia a Taiwan, dalla Germania al Messico e in tanti prestigiosissimi atenei quali Berkeley e Stanford.
«Attualmente – racconta – faccio soprattutto ricerca di base, dirigo un gruppo di otto persone e insegno Microbiologia e Immunologia agli studenti del corso di Medicina. Mi interessoprincipalmente dell’interazione di batteri patogeni come la salmonella con l’ospite e con il microbiota, la flora normale intestinale. Con la mia équipe studio anche i meccanismi d’azione dei probiotici, batteri che hanno effetti positivi sulla salute; ci occupiamo inoltre del potenziale sviluppo di vaccini. Passo la maggior parte del tempo nel mio ufficio a scrivere lavori scientifici e progetti. Quasi ogni giorno mi confronto con gli studenti, i dottorandi e i post-doc: analizziamo i dati e discutiamo gli esperimenti successivi. Circa una volta al mese faccio un viaggio per illustrare la mia attività. Faccio circa 50 mila miglia di volo ogni anno».                                                                                                                                     Un talento, il suo, che non è sfuggito al sistema a stelle e strisce, lestissimo ad accaparrarsi sistematicamente i migliori, puntando su merito e trasparenza. Due principi che, soprattutto in Italia, riempiono da anni il dibattito pubblico ma che sono poco praticati, diversamente da quanto avviene negli USA, come racconta lei stessa: «Sei anni fa, superando la concorrenza di 150 candidati, una ragazza straniera di 32 anni ottenne all’unanimità l’incarico di realizzare un laboratorio; le affidarono 700 mila dollari per comprare strumenti, assumere personale e fare ricerca. Nel tempo ha portato all’università molti più soldi di quelli che le erano stati concessi e, quindi, si è rivelata un ottimo investimento. Quella ragazza ero io. Questa fiducia nei giovani non esiste altrove, che io sappia».Certamente non nel nostro dove, da decenni, i posti di responsabilità sono occupati militarmente dalle stesse persone; alfieri di un sistema ingessato che ci tiene inchiodati malinconicamente ai nastri di partenza della competitività, spingendo chi vuole emergere a cercare altri approdi. Una scelta, quest’ultima, che Manuela Raffatellu ha preso 12 anni fa: «Sono andata via perché volevo imparare a fare ricerca e capire se quella poteva essere la mia strada. Ho scelto gli Stati Uniti perché sono ancora il Paese più all’avanguardia in questo settore e anche perché sono la terra delle opportunità. Recentemente sono andata alla cerimonia per i nuovi dottorandi di tutte le facoltà della mia università, c’erano giovani di 100 nazionalità differenti che parlavano 80 lingue diverse. Credo che la forza degli Stati Uniti sia proprio l’accoglienza e la valorizzazione dei migliori, indipendentemente dalla loro provenienza. Io dico sempre ai ragazzi che mi scrivono dall’Italia e che vogliono venire qui per fare un’esperienza lavorativa di pensarci bene; questa è una realtà difficile da lasciare. L’altra faccia della medaglia è che gli USA sono basati sulla competizione. Mi rendo conto che questo stile di vita non è adatto a tutti. La mia esperienza sinora è molto positiva, sono riuscita a realizzare molto di più di quello che pensavo. Il mio progetto è continuare a fare il mio lavoro ad alti livelli e contribuire alla formazione di altri ricercatori. Tuttavia – conclude Manuela – non escludo di poter tornare in Italia, un giorno, se si dovessero presentare le opportunità giuste».
Giovanni Runchina

30.8.13

adesso anche per fare i parrucchieri \ barbieri bisogna emigrare ? Massimo Cossu,Nuorese di 33 anni: il padre lo voleva impiegato, lui dirige la Ferretti a Los Angeles

da  l'unione  sarda  online del 30\8\2013

Il nuorese che fa i capelli a Brad Pitt

NUORO Da Nuoro a Los Angeles, sulle ali sarde del sogno americano. Laurea in lingue e letterature straniere, anni di Suap (Comune di Nuoro, e non solo), vincitore di concorso in banca, insegnante. Attuale professione: parrucchiere di Brad Pitt, Melanie Griffith, Dakota Johnson, Reese Witherspoon, per citare giusto alcuni dei nomi dell'Olimpo del cinema internazionale che gli affidano la propria chioma.

Ha solo 33 anni, Massimo Cossu, nuorese fin nel midollo. Ma già una lunga sfilza di stellette che ne fanno un navigato self made man. Uno di quelli che ce l'ha fatta. E con le sole proprie forze: «Ci credo», dice lui, «gli Stati Uniti sono la patria della meritocrazia e se hai le skill, le competenze, allora puoi davvero sperare di arrivare. Chi vale, chi si dà da fare, da qualsiasi gradino della scala sociale provenga, sa che troverà chi lo valorizza».Il segreto? Caparbietà, coraggio, intraprendenza. E un pizzico di educata sfrontatezza. Marce in più che lo hanno condotto a Parma dritto dritto dal re dei coiffeur di lusso, Rossano Ferretti, 25 saloni nel mondo, italiano, ma dalla cifra manageriale americanissima. «L'ho contattato personalmente tre anni fa», racconta il giovane, «e sono andato a Parma a consegnargli il curriculum. Da quel momento è iniziata l'avventura. Ha creduto in me e mi ha affidato la responsabilità delle sedi statunitensi».Oggi Massimo Cossu è direttore niente meno che degli spazi Ferretti di Los Angeles, New York e Miami, e in procinto di seguire in prima persona le nuove aperture a Las Vegas, Chicago e San Paolo in Brasile. E pensare che quello della parrucchieria per lui è sempre stato, sì, passione, ma fino a poco tempo fa poco più che un hobby: «Nonostante il mio percorso, diciamo canonico, liceo, università, selezioni nelle pubbliche amministrazioni e in qualche istituto di credito, volto soprattutto a non deludere le aspettative dei miei», rimarca, «il mio desiderio fin da piccolo era però quello di fare il parrucchiere, tant'è che dopo la maturità mi sono concesso un anno sabbatico per l'apprendistato. Poi ho frequentato Lingue a Sassari, e ho iniziato a seguire la trafila regolamentare di un italiano medio. Intendo collaborazioni, contratti a progetto, supplenze. Tutte esperienze molto interessanti di cui ho fatto tesoro». Ma la malinconia di un'incompiuta esistenziale ha la forza della goccia che scava la roccia.A trent'anni la svolta, vacanza di due mesi a New York e l'illuminazione: «Ho ripreso le redini della mia antica aspirazione, ricordo ancora un giorno, ero appena tornato dall'America, ricevetti da una banca la telefonata in cui mi comunicavano che avevo vinto la selezione. Li ringraziai e dissi loro che rinunciavo, poiché non me la sentivo di passare una vita circondato da barriere di plexiglass. Davanti a me c'era mio padre, per poco non gli venne un infarto. Ora la mia famiglia è serena, perché mi vede felice e realizzato».A giorni il rientro nella sua bella casa di Beverly Hills: «Con nel cuore la mia isola, i suoi profumi e tutti i miei affetti», conclude mentre gli occhi brillano già di nostalgia.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...