Lo so che si dovrebbe e sarebbe più giusto aspettare a leggere tutto il libro, per recensirlo cioè poter definirlo valido o meno . Ma se una persona -- come suggeriva Nicola Tanda il mio compianto prof universitario di letteratura italiana -- ha gli strumenti critici o s'informa cioè legge la trama oppure sente dal vivo l'autore ad una presentazione della sua opera , lo sente o legge su media , o ha la fortuna ad intervistarlo per il suo sito \ blog , ecc dovrebbe essere in grado gia dalla quarta di copertina o da primi capitoli farsi al 90 % un idea in merito a ciò che s'appresta a leggere o regalare \ farsi regalare
Io ho appena iniziato a leggere i primi due capitoli fin ora ( trovate a sinostra la foto dell'autrice e sotto la copertina ) di La canzone di achille di madeline Miller , dopo averne sentito parlare e letto la quarta di coperina
Mi sta già , dalle recensioni , speciali di giornali , ricerchè web , ecc prendendo ed spronando ad andare avanti nella lettura Infatti mi sono ritornati alla mente e ho niziato un viaggio pindarico alla mia infanzia ed giovinezza cioè agli studi scuola media con racconti Omerici ( Illiade e Odissea ) e Liceali \ universitari l'Eneide di Virgilio . Ma soprattutto la bellissima e toccante canzone : Eurialo e Niso di Massimo Bubola - Gang e la recente lettura i qualche anno fa ( 2017 se no ricordo male ) del fumetto Bonelliano il sangue dei mortali --- copertina sotto al centro --- ovvero il n° 58 pe essere più precisi della collana Le Storie Bonelli, racconta le vicende della guerra di Troia da un punto di vista attualizzante e abbastanza originale. << Niente “riassunto esaustivo”, ovviamente, ma una chiave interessante che giustifica pienamente l’operazione di rilettura. ...... continua sull'articolo : Una rilettura pacifista (e fantasy) della guerra di Troia: 'Il sangue dei mortali' di Fumettologica >>
Il lavoro è firmato da Giancarlo Marzano, sceneggiatore di Dylan Dog dal 2004, per i disegni di Tommaso Bianchi, al suo esordio presso la casa editrice di Via Buonarroti.
Infatti mi sa che dovrò fare come suggerisce appunto la 4 di copertina del libro citato regalato da zio per natrale a mia madre
Dimenticate Troia, gli scenari di guerra, i duelli, il sangue, la morte. Dimenticate la violenza e le stragi, la crudeltà e l'orrore. E seguite invece il cammino di due giovani, prima amici, poi amanti e infine anche compagni d'armi – due giovani splendidi per gioventù e bellezza, destinati a concludere la loro vita sulla pianura troiana e a rimanere uniti per sempre con le ceneri mischiate in una sola, preziosissima urna. Madeline Miller, studiosa e docente di antichità classica, rievoca la storia d'amore e di morte di Achille e Patroclo, piegando il ritmo solenne dell'epica alla ricostruzione di una vicenda che ha lasciato scarse ma inconfondibili tracce: un legame tra uomini spogliato da ogni morbosità e restituito alla naturalezza con cui i greci antichi riconobbero e accettarono l'omosessualità. Patroclo muore al posto di Achille, per Achille, e Achille non vuole più vivere senza Patroclo. Sulle mura di Troia si profilano due altissime ombre che oscurano l'ormai usurata vicenda di Elena e Paride.
concludo lasciandovi alla versione audio il primo capitolo nella bellissima interpretazione del curatore deo canale youtube Storia&Storie! dove se volete trovate gli altri capitoli dell'opera in questione
scusate la brevità , ma scapppo la lettura del 3 capitolo m'attende
Beh, innanzi tutto perché mio padre tifava #inter: la rivalità era scontata, anzi doverosa. Poi perché #mazzola mi era antipatico mentre Gianni aveva lo stesso sorriso ironico e rassegnato del mio primo flirt, suo corregionale (lui di #vercelli, Rivera di #alessandria). Terzo perché quando calciava non pareva un calciatore ma un poeta. Gli altri giocatori, anche eccelsi, stavano tutti lì, nel rettangolo verde, al massimo nelle #figurinepanini, rigidi e spesso aggrondati. Rivera - benché talvolta nel nominarlo lo confondessi con #riva - aveva qualcosa di più e di diverso. Una vita sfuggente e sbarazzina - a #sanremo nella mia spiaggia veniva #elisabettaviviani, grande scandalo all'epoca, il #goldenboy allevato dai preti che aveva una figlia da una soubrette... e non intendevano sposarsi! -, non priva di interessi intellettuali, e poi lo sport, certo. Potevi fregartene del calcio - io ero fra quelli - ma non di Rivera, che se avesse studiato forse si sarebbe affermato in campo artistico. Sempre in punta di filo, come un azzurro #rococó, ma dentro, sangue caldo; sangue rosso(nero). Il #milan di Rivera non era americano come quello di #berlusconi: era un Milan di case e #barsport, ma tanta roba, tanta #italia: il Milan di #nereorocco, con la stella e quel nome da dio greco, da polverizzare qualsiasi spacconata a suon di quattrini. Anche tanta #famiglia, sì, pure Rivera ne ha avuta più d'una, ma non ne ha mai disgregato l'idea, tutt'al più ne ha messo in piazza la complessità, senza nascondersi. Oggi compie 80 anni. Non è "vecchio", nel bene e nel male, e meno male.
Lo so che non si può sempre stare a parlare di Pelè e che ci saranno i benaltristi che giustamente diranno ci sono cose più importanti . Ma certe imprese sono talmente memorabili anche una generazione che non lo ha conosciuto quando giocava e soprattutto non hanno tempo . Infatti un n giocatore che ha segnato più di 1.000 gol , ma anche no , può essere ricordato positivamente per averne mancato uno . Si se è un grande come Lui
Pelé è morto all'età di 82 anni e tutti gli stanno rendendo omaggio con tributi di vario tipo da ogni parte del mondo. Il fuoriclasse brasiliano era una leggenda vivente e l'affetto con cui viene ricordato ne è la riprova.
In queste ore stiamo ammirando, nuovamente, tanti gol e tante giocate che lo hanno reso O Rei ma c'è un episodio che rende bene l'idea del perché questo ragazzo nato a Três Corações è diventato il simbolo del calcio carioca. Guadalajara, Messico, è il 17 giugno 1970. Italia e Germania Ovest poche ore prima avevano dato vita alla ‘Partita del secolo' e la Seleçao vinse 3-1, raggiungendo gli Azzurri in finale.
Il numero 10 non segnò contro la selezione allenata da Juan Hohberg ma quel giorno nacque il ‘non-gol' più bello della storia del calcio. O Rei fu protagonista di una giocata favolosa, in cui ha dribblato il portiere avversario senza toccare il pallone.
Il passaggio di Tostao dalla sinistra mise Pelé solo davanti a Ladislao Mazurkiewicz, portiere della Celeste che provò ad anticipare il movimento e ad uscire sulla traiettoria del pallone: per questo motivo il fuoriclasse brasiliano decise continuare la corsa verso di lui ma di lasciare passare la palla e recuperarla pochi istanti più tardi in una posizione più defilata. Una giocata complicatissima da pensare, figuriamoci metterla in atto.
L'estremo difensore uruguagio rimase spiazzato da quel movimento e vide il pallone passare, con il suo avversario che stava già correndo per riprenderlo: Pelé arrivò sulla palla e, di prima intenzione, incrociò il tiro sul secondo palo senza controllarlo nuovamente ma la conclusione terminò di pochissimo fuori, tra l'incredulità dei presenti per quello che avevano appena visto.
La bellezza della giocata ha eclissato il fatto che non fosse finita con il gol e lo stesso Pelé in un'intervista di qualche anno più tardi ha ammesso di ripensare spesso a quel momento: “Sarebbe stato più bello se fosse entrata. Sogno ancora che la palla finisca in rete".
Un giocatore che ha segnato più di mille gol in carriera può essere ricordato positivamente per averne mancato uno? Sì, se si chiama Pelé.
Pelé non segnò in semifinale ma quel "non-goal" è entrato nella storia del calcio. Nella finale firmò il primo gol della Seleçao ‘ contro l'Italia con un colpo di testa fantastico e aprì la strada alla vittoria del terzo titolo mondiale del Brasile di Mario Zagallo, dopo quelli del 1958 e del 1962.
La curiosità dei bambini non ha limiti, soprattutto quando si tratta d'indagare realtà molto distanti da loro. Per trasmettere la passione per i libri e per la lettura, sarebbe bellissimo se i bimbi, oltre a frequentare librerie e biblioteche con spazi a loro destinati e con libri di qualità, potessero incontrare, di tanto in tanto, chi quei libri li scrive e li illustra, chi li dà alla luce.Infatti La prima risposta che ho dato alla figlia ( ha 15 anni ) di mio cugino che incuriosita dall'ultimo numero di Dylan Dog ( copertina a sinistra ) che innesta sulla vicenda principale una riflessione metanarrativa sul concetto di idea e una sorta di seduta di analisi leggera e brillante sul lavoro dello scrittore e sui meccanismi della scrittura è : << Forse dalla primavera , dai bei sogni , dai fiori di pesco e di ciliegio , dalle passioni che ci avvolgono dall'amore che ci unisce dal sangue e dalla carne >>( AntoAngelo Liori ) . Ma in verità per parafrare , sucusatemi se mi ripeto , ma purtroppo per me è cosi ( sfido qualcuno\a a dimostrarmi il contrario ) , questa bellissima canzone
le storie siamo noi . Infatti è proprio dall’esplorazione del proprio Immaginario e del proprio Mondo Interiore, che ovviamente va sviluppato con il << potenziare le proprie risorse creative. I PERCORSI DI DNLS prevedono una pratica guidata dei processi creativi, che grazie alla mediazione di molteplici codici artistici favoriscono la scoperta e lo sviluppo del principio creativo proprio di ciascun essere umano e lo sviluppo di nuovi linguaggi e codici con cui esprimersi, per un miglioramento globale della consapevolezza di se stessi e delle abilità comunicative e relazionali.>> come fa il progetto di Pratiche Artistiche per il Benessere, che propone laboratori espressivi di DRAMMATERAPIA, TEATRO CREATIVO, STORYMAKING e ARTE. qui su Dove nascono le storie
Bisogna aspettare che l’ispirazione giunga a illuminarci la mente, come facevano i poeti romantici dell’800, oppure è meglio lanciarsi in esperimenti di scrittura automatica come i surrealisti? Dipende tutto dal subconscio? Calma, gente: forse per trovare una buona storia non è necessario fare troppe peripezie.
Per scatenare la fantasia può essere sufficiente esplorare il quartiere come se fossimo turisti appena atterrati da Saturno, fare quattro chiacchiere con il vicino di casa che ci sembra un po’ matto, masticare una Big Babol, o mettere sul giradischi un LP che non ascoltavamo da anni. In poche parole, dribblare l’abitudine e cambiare, anche di poco, l’angolazione da cui guardiamo il mondo. Ogni piccola cosa diventerà la miccia capace di far partire una storia, ogni giorno sarà un’avventura.
Dove nascono le storie? Nascono dal ventaglio del caso o del destino, sgorgano come acqua dalle sorgenti delle famiglie, sorgono come alberi svettanti dalle insidie della vita come afferma ques articolo : Dove nascono le storie (tantestorie.it) .
Oppure dai racconti inventati o mescolasti di realtà come faceva mio nonno paterno con me e mio fratello quando eravamo piccoli , come dimostra anche il libro di H.Kuresishi riportsto a sinistra ( vedi Da dove vengono le storie? di Hanif Kureishi - Cronache Letterarie ) Ogni essere umano ha un suo patrimonio di esperienza di vita e di immaginazione, una ricchezza di storie che non chiede altro che essere sprigionata e portata alla luce.
Scrivere significa ampliare queste potenzialità, allenare il vostro sguardo ad osservare il movimento della vita. “Le cose che accadono”, come diceva Virginia Woolf.
Le grandi storie ci emozionano e ci appassionano perché parlano di noi, dei nostri drammi, dei nostri conflitti. Siamo noi Raskolnikov e Madame Bovary, Shylock e il giovane Holden.
Come scrittori il vostro compito principale è restare attaccati alla vita, alla realtà quotidiana, che non è mai misera, ai nostri desideri, alle nostre paure.
Le storie nascono da questo costante esercizio di osservazione che non deve venire mai meno: lo scrittore è un uomo che si preoccupa degli altri uomini, del suo tempo e del suo destino, delle ingiustizie
che patisce e delle gioie che prova.
Ogni storia che ci è stata raccontata, in un fiato da nostra madre dai nostri nonni \e che ci ha parlato dei suoi ricordi della guerra, o di un amico prima di partire per un viaggio, è uno spunto per una
narrazione.L’unico modo che esiste per scrivere e raccontare una storia è alzarsi e cominciare a farlo.Ma anche la nostra stessa diversità ha una storia ed è contenitore di storie Alcune diventate patrimonio universale come L'illiade e l'Oddisea . Concordo con quest articolo di (ferrucciogianola.com) : << Come nascono le storie Ci sono cose che sono in grado di condizionarci la vita in maniera profonda. Magari per tutta la vita e non lo sappiamo neppure. A volte sono cose che riteniamo senza importanza e rimangono sepolte nell'inconscio, poi in determinate condizioni si risvegliano e ci si trova di colpo ad avere delle risposte a quesiti che prima di quel momento sembravano insormontabili. Magari anche riguardo a come nascono certe storie che scrivo. Difficilmente mi chiedo da dove vengono certe idee che metto nei miei racconti. Di solito parto da un'immagine e da esperienze del mio passato ben presenti nella mente o da un fatto che mi colpisce o che mi ha colpito. A volte magari da studi. Insomma le casistiche sono tante. Ci sono però alcuni racconti talmente fuori da questi schemi e dai contesti miei abituali che più di una volta mi sono domandato del perché li ho scritti e cosa, sopratutto, li ha ispirati. A volte tuttavia riesco a darmi una risposta... Un paio di settimane fa, per esempio, mi sono passati davanti agli occhi dei video musicali e tra questi c'era un video con una canzone delle Orme. Ricordo di come questa canzone mi
piacesse molto quando ero bambino, tanto che fu una delle prime che imparai gli accordi per la chitarra. Ma fondamentale è il testo di quella canzone, Felona. Dico fondamentale perché mi ha fatto capire, riascoltandola, che le sfere contenute nel mio racconto Buio all'alba che cadono dal cielo dopo un buio improvviso, sono molto simili alle sfere di luce del brano firmato da Aldo Tagliapietra, Antonio Pagliuca e Gian Piero Reverberi. Luci che hanno dato vita a un racconto fantastico e metafisico, magari un po' diverso dalla mia produzione ma che non mi sento di ripudiare proprio perché il punto di partenza di questa storia era situato nel profondo del mio inconscio, finalmente decifrato.Be' forse, qualche colpa ce l'ha pure il quadro di Nino di Mei che ho inserito.
che altro aggiungere se non che la storia siamo noi . sta a noi prendere i nostri pensieri , i nostri sogni e le nostre fantasia e fermarle o in uno scritto o in qualunque altra forma
Il nome in se non mi diceva niente , essendo cresciuto negli anni 80\90 , proprio quando Tarcisio Burnignich era già andato in pensione . É dai miei genitori , oltre che dalla tv che parla della sua morte . E fra gli articoli coccodrillo che ne parlano ho trovato questo d repubblica del 26\5\2021 qui l'articolo completo . Articolo che conferma il mio commento , che è anche il titolo del post d'oggi
[...]
Ma anche gli immobili, venerabili e quasi eterni nella loro postura, una volta nella vita si concedono la vertigine del viaggio, come la prima e unica gita in aereo dei nonni. Dunque - e non in una partita qualsiasi ma nella mitica Italia - Germania = 4- 3 Messico '70 - Tarcisio Burgnich scappò di casa. Accadde nel primo tempo supplementare e sul risultato di 2-1 per i tedeschi, quando Muller aveva appena segnato e gli azzurri sembravano già depressi. Era un pericolosissimo momento di stanca, quando puoi perdere il filo e non ritrovarlo mai più E allora, chissà perché, Burgnich fuggì dal suo domicilio e si spinse in avanti, dall'altra parte del prato e del destino. Ci fu un calcio di punizione, e Rivera sapeva che Tarcisio di testa le prendeva tutte: quando lo vide dentro l'area, incongruo, come uno che avesse sbagliato indirizzo o si fosse perduto, Gianni calciò il pallone verso la capoccia del numero 2 ma fallì la misura e mirò troppo avanti. La palla, irraggiungibile per Tarcisio, carambolò tra l'azzurro e il tedesco Held che la respinse goffamente lasciandola, in pratica, quasi ferma. A quel punto, dopo un rimbalzostrambo, Burgnich colpì col sinistro, una specie di puntonata, e segnò. Poi corse a casa, cioè nella propria area, senza esultare. Aveva avuto la sua mattana ed era tempo di tornare in catena di montaggio.Come poi andò a finire lo sanno anche i sassi del ruscello, anche se non tutti ricordano i miracolosi salvataggi di Burgnich, uno addirittura in rovesciata sulla testa di Seeler. Questo portò gli azzurri in finale, e collocò Tarcisio nella sua seconda figurina estrema: lui che prova a saltare insieme a Pelè, angelo in decollo, irraggiungibile. Il re del calcio segnò di testa, anche questo lo sanno tutti, ma non tutti ricordano che Valcareggi aveva appena cambiato le marcature spostando Bertini su Rivelino e Burgnich su Pelè, che contro Bertini stava facendo un po' quello che voleva. L'azione del memorabile gol brasiliano si sviluppò proprio nel corso dell'infausto cambio di consegne, e Tarcisio arrivò in ritardo. Forse, sarebbe accaduto comunque.
"Dicevo a me stesso: Tarcisio, anche Pelé è un uomo di carne e ossa come tutti. Mi sbagliavo". Questo Burgnich lo ripeterà sempre, non potendo tuttavia scendere da quella fotografia, come da una scala troppo alta. Adesso, però, il tempo che tutto consuma ha concesso a Tarcisio di tornare quaggiù, dove né Pelé né la corruzione degli anni e della memoria potrà più disturbarlo. Sei stato un grande, Tarcisio. Hai finito bene il tuo lavoro.
Le aveva tutte Bellugi, anzi aveva perso tutto: prima una gamba, poi l'altra, poi l'intestino, poi è arrivato il Covid e con esso la mazzata finale. Non aveva più niente eppure sembrava così solido, con quella faccia contadina, le rughe profonde, gli occhi da bracco, sempre un po' casuali, come tutti i calciatori anni '70. Non divi ma soldatini di stagno, e le figurine Panini ce li restituivano così, fissi e variopinti. Fuori luogo, perché senza il pallone non esistevano. Bellugi era quel mondo, le domeniche pomeriggio, Novantesimo Minuto, l'Inter, mio padre. Che l'aveva trovato poco tempo fa a Niguarda, in attesa come gli altri, fisso ancora, ambedue le gambe fasciate. Lì Bellugi stava disputando l'ultima partita, nel chiarore di quella sala che sicuramente, ai suoi occhi, appariva un immenso campo di calcio. Un saluto cortese e senza fronzoli, l'annuncio buttato là, che gli avrebbero tagliato pure l'altra gamba, e quel "vediamo", il futuro comunque, perché la vita è un flusso e ti prevarica. Puoi non farcela, ma non devi restare in panchina.
Bellugi giocava ancora. Duramente e spontaneamente, a testa bassa, con una pietas quasi virgiliana. Cose maschili, ché il calcio ai tempi apparteneva a loro; non era però esclusione, semmai completamento. Alla fine, ci si riuniva attorno a un tavolo ed esisteva solo il noi. "Vediamo", il tempo non ci appartiene, ma ci siamo dentro e lo percorriamo tutto. Bellugi se n'è andato, e con lui il pudore che caratterizzava quel mondo. Quello per cui la stanchezza era una colpa, sempre, di fronte al terribile dono dell'esistere. Anche a brani, smozzicati, cadenti, ma oltre, ma anima, integri dentro, e al cuore nessuno arriva, pur se te lo mangiano.
una mostra interessante quella di franco pampiro inaugurata ieri e che si terrà al caffè gabriel di tempio pausania fino al 31 dicembre . Una mostra fotografica che anticipa quelle che saranno le celebrazioni e le discussioni che ci sarano l'anno prossimo per il 30 anni della fine della guerra fredda .
dalla nuova sardegna ed Olbia-Gallura del 12\12\2018
Una mostra alla goodby lennin ( film del 2003 Wolfgang Becker, interpretato da Daniel Brühl e Katrin Sass) .Infatti secondo un commento lasciato sul libro degli ospiti della sua mostra : << nelle tue foto ho ritrovato ciò che io, nel mio modesto andare, ho constatato in quel di Germania e dintorni. La sintesi di tutto ciò che a noi Italiani , viene nascosto e negato . Le tue foto , come gli uccelli; volano e portano lontano, la testimonianza di verità nascoste ma, visibili a chi, li sa guardare con occhio attento e critico. Di nuovo grazie, le tue foto sono testimonianze. >> Commento che dev'essere piaciuto allo stesso franco
visto che ha replicato su Fb
Sei uno di quelli che ha capito che con le immagini io voglio soprattutto documentare, e tento di farlo col mezzo che mi è più congeniale: giocare con la luce. Quando realizzi che il tuo messaggio è stato percepito dall'osservatore hai raggiunto il tuo scopo e, in questi casi, la fotografia diventa un pretesto, un mezzo per suscitare emozioni.
Emozioni , come testimoniano anche alcune foto da me scattate alla mostra , dettate dalla testimonianza attenta e sincera senza nascondimenti di maniera. Orgoglioso di tanto.
fotoo che rappresenta il titolo dellla mostra vedere locandina sotto
Una mostra , come potete vedere da altre die foto da me riportate
Un bel tuffo nel passato e un po' anche nella nostalgia . Una testimonianza ( vedere anche la locandina ) di come , nonostante il muiro e la bruttisma dittatura , vedere il desiderio di fuga dopo la perestroika e la glanost cuminata poi nel 1989 , ci fosse ed è durata per 50 anni una forte resistenza culturale non solo politico\ideologico al capitalismo selvaggio .
Anche se ancora convalescente dall'influenza rieccovi con voi
Pensate di sapere tutto sulla festa che si avvicina? Sfatiamo qualche mito
I regali sono impacchettati, l’albero è fatto, il Presepe è
quasi completo. Nelle strade le luminarie abbelliscono i monumenti e un
esercito di babbi Natale fa i turni nei negozi. Ci si prepara a gustare
qualche manicaretto tradizionale e a tagliare il pandoro e/o il panettone
o altri dolci tipici delle proprie regioni Non manca niente, nemmeno (purtroppo) le decorazioni con Babbo Natale che si arrampica…anche se nel mio paese quest'anno non si è vista
Ma come accade in molte festività, il Natale si porta dietro anche una certa quota di veri e propri miti di cui molti sono assolutamente convinti. Ecco i più diffusi secondo ( da cui ho deliberatamente preso e rielaborato l'intoduzione al post d'oggi ) http://www.wired.it/play/cultura/2014/12/19/bufale-natale/
1. Il Babbo Natale vestito di rosso è un’invenzione della Coca-Cola
Alzi la mano chi non ha mai ricevuto una catena di Sant’Antonio dove si spiegava come la bieca multinazionale di Atlanta avesse ridipinto Babbo Natale da verde a rosso. Persino nel primo paragrafo della voce sulla Wikipedia italiana si legge “Il colore degli abiti del Babbo Natale odierno è frutto delle campagne pubblicitarie della Coca Cola“, a cui poi è stato aggiunto “ci sono invero comunque tracce di Babbo Natale vestito di rosso e bianco già anni prima dei disegni pubblicitari della Coca Cola“.
Come spiega Snopes, in realtà non si tratta affatto di “tracce“. Fermo restando che la figura di Babbo Natale
si è molto evoluta nel tempo
col contributo di diverse persone,
l’immagine moderna di omaccione gioioso e vestito di rosso e di bianco
era già diventata uno standard prima che l’artista della Coca-Cola Haddon Sundblom creasse la famosa campagna del 1931.
Il successo di questa pubblicità ha sicuramente contribuito
a fissare a livello globale un’icona del Natale moderno, ma il meme (se
così possiamo chiamarlo) del Babbo Natale rosso in quel momento aveva
già vinto sui concorrenti.
2. Le stelle di Natale contengono un veleno mortaleI molti sono convinti che le stelle di Natale (Euphorbia pulcherrima) siano tanto belle quanto mortali. Basta fare una ricerca su Google
per vedere quanti siti mettano in guardia i consumatori sui rischi di
un’ingestione accidentale, sia per i bambini che per gli animali
domestici.
I molti sono convinti che le stelle di Natale (Euphorbia pulcherrima) siano tanto belle quanto mortali. Basta fare una ricerca su Google
per vedere quanti siti mettano in guardia i consumatori sui rischi di
un’ingestione accidentale, sia per i bambini che per gli animali
domestici.
I molti sono convinti che le stelle di Natale (Euphorbia pulcherrima) siano tanto belle quanto mortali. Basta fare una ricerca su Google
per vedere quanti siti mettano in guardia i consumatori sui rischi di
un’ingestione accidentale, sia per i bambini che per gli animali
domestici.
Si tratta di una vera e propria balla: la
tossicità della pianta è molto bassa, non è noto nemmeno un caso di
morte, o anche solo di gravi lesioni, in soggetti umani o animali che
abbiano ingerito sue parti. Come per tutte le piante del genere
Euphorbia, al massimo può verificarsi una reazione allergica quando i tessuti vengono a contatto con il lattice che secernono. Non è chiaro come sia nato il mito, ma secondo il sito Museum of Hoaxes all’origine potrebbe esserci il rumor di un bambino hawaiano morto nel 1919 dopo aver mangiato una foglia di stella di Natale.
Nonostante non siano mai esistite prove di questo evento, tra i
pediatri cominciò a diffondersi la convinzione che le piante natalizie
per eccellenza fossero un pericolo mortale.
Solo nel 1971 si mise alla prova la tossicità delle stelle di Natale con un esperimento,
ma, nonostante le altissime dosi somministrate a un gruppo di ratti,
questi continuavano a stare benone. Anche i dati successivi confermarono
che le paure che si erano diffuse erano del tutto immotivate, per
esempio secondo uno studio del 1996 tra il 1985 e il 1992 ben 27 persone hanno cercato, senza successo, di togliersi la vita mangiando un po’ di Euphorbia pulcherrima.
3. Più suicidi sotto le feste In un articolo di Marie Claire di questo 16 dicembre si legge “è risaputo che nei periodi di festa aumentano i suicidi“, ma in realtà le indagini epidemiologiche indicano da tempo che in dicembre la frequenza dei suicidi cala.
Il motivo per cui ci sembra plausibile, contro ogni evidenza
scientifica, che a Natale la disperazione possa prendere il sopravvento e
convincere le persone a suicidarsi è probabilmente che al nostro
cervello piacciono le storie, non le statistiche: un picco di suicidi
nel periodo dell’anno in cui tutti provano a essere un po’ più felici è
davvero un’ottima storia.
Secondo un rapporto
del The Annenberg Public Policy Center (Univerity of Pennsylvania)
quasi il 50% degli articoli sui suicidi scritti negli Stati Uniti
intorno al Natale del 2009, supportavano il mito del loro aumento
durante le festività. Esistono davvero periodi in cui i suicidi sono più
frequenti, ma coincidono col ritorno della primavera.
4. I tre Re Magi Nel presepe sono sempre tre, e i loro nomi sono Gaspare,
Melchiorre e Baldassarre. Verrebbe spontaneo pensare che queste
caratteristiche siano state tratte direttamente dai testi sacri, ma non è così. Il Vangelo dice solo che arrivarono dall’Oriente portando oro, incenso e mirra. Successivamente, specialmente nel cristianesimo occidentale, si pensò che i magi avessero portato un dono ciascuno.
Anche i nomi dei magi sono stati aggiunti
successivamente, così come la loro natura regale, che probabilmente fu
ricondotta alle profezia contenuta nei Salmi: “I re di Tarsis e
delle isole gli pagheranno tributo; I re di Etiopia e di Arabia gli
porteranno doni. E tutti i re l’adoreranno, Tutte le nazioni
gli serviranno“. 5. Il 25 dicembre è il compleanno di Gesù Cristo Con buona pace del sergente Hartman, è improbabile che il Gesù storico sia nato proprio il 25 dicembre. Anche in questo caso le Scritture non danno una data precisa, né forniscono molti particolari per determinarla.
Qualcuno ha provato a restringere il campo usando altri
elementi citati nelle Scritture, per esempio il Vangelo di Luca parla di
pastori con greggi al pascolo nel momento in cui si
viene a sapere della nascita del Messia, ma come potevano esserci
pascoli in dicembre? In realtà, come hanno fatto notare altri studiosi,
in Palestina le temperature invernali potevano essere
compatibili con il pascolo, quindi questo non basta a escludere una
eventuale nascita in dicembre.
Non esiste quindi un accordo tra gli studiosi su quando Gesù
sia nato, ma esiste invece un certo consenso su come è stata scelta,
nel IV secolo d.C., la data per celebrare l’evento. Sotto l’imperatore Costantino la festa del Sole invitto (Dies Natalis Solis Invicti), celebrata nelle vicinanze del solstizio d’inverno, venne
fatta coincidere con la festa per la nascita di Gesù. Nel 1993 Giovanni
Paolo II cominciò la sua udienza del 22 dicembre con queste parole:
Carissimi fratelli e sorelle, Eccoci giunti di nuovo a Natale, solennità liturgica che
commemora la nascita del Divin Salvatore, ricolmando i nostri animi di
gioia e pace. La data del 25 dicembre, com’è noto, è convenzionale.
Nell’antichità pagana si festeggiava in quel giorno la nascita del Sole Invitto,
in coincidenza col solstizio d’inverno. Ai cristiani apparve logico e
naturale sostituire quella festa con la celebrazione dell’unico e vero
Sole, Gesù Cristo, sorto sulla terra per recare agli uomini la luce
della Verità.
oltre i miti ormai definitivamente " smontabili " ci sono anbche dele bufale e della falsa solidarietà con vittime di attentati terroristici
Iniziamo dalle prime
BUFALA Kyenge: "I mercatini di Natale sono un'offesa per le altre religioni, andrebbero vietati" - da www.bufale.net
December 20, 2016, 9:59 pm
Mentre Facebook si appresta ad un giro di
vite sulle bufale, ci sono portali che, impenitenti, continuano a
perseguire le sirene di fama e viralità fino ai più grotteschi esiti.
Torniamo così al Corriere di Roma,che rilanciato dal portale news24roma , che ritira fuori una bufala del filone la Kyenge che fa cose:
Parole
che hanno suscitato indignazione e scalpore tra gli Italiani: quelle di
Cecile Kyenge, ex ministro dell'Integrazione del governo Letta,
l'esponente del PD avrebbe infatti commentato duramente la scelta di
organizzare in Europa i famosi “Mercatini di Natale”.
Secondo la
Kyenge infatti i Mercatini di Natale rappresenterebbero un'offesa per
tutte quelle religioni che non festeggiano il Natale. “I mercatini di
Natale sono un'offesa per le altre religioni, noi siamo ottusi e
ragioniamo solamente guardando a un metro di distanza da noi, dobbiamo
aprire gli occhi e guardare più avanti del nostro naso, i Mercatini di
Natale non rendono felici tutti i cittadini, andrebbero vietati”
Quantomeno
questa volta il viralizzatore ha fatto i compiti per casa e si è
ricordato che la Kyenge non è più ministro da un pezzo.
Una particolare menzione al disonore va al portale webnews24 che, non pago di aver ricondiviso una bufala,la infiocchetta e la impreziosisce con il classico ( corsivo mio ) fotomontaggio decisamente xenofobo e razzista dove al corpo della kyenge vengono assemlate fattezze di una grossa scimmia
da questi post e dalla guida di quest'anno sono esclusi perchè fortunatamente , a natale avvengono anche i miracoli i media nazionali non si sono concentrati sulle continue polemiche " buoniste " e " anti Buoniste " del fare o non fare reciste di natale o presepi \ decorazioni per non offendere o peggio perchè ce lo chiedono loro i profughi e gli immigrati
la seconda quella della solidarietà ipocrita delle vittime dei vili attentati in particolare l'ultimo di qualche giorno fa ( vedere post precedenti oltre che i miei social ed ora anche la mia pagina fb )
Io spezzo questo circolo ipocrita ed a senso unico. NON VUOLE DIRE CHE NON SIA SOLIDALE CON LE VITTIME DEL VILE ATTENTO ( LEGGETE PER MAGGIORI DETTAGLI IL MIO POST #JE SUIS CHARLIE ma anche # JE NE SUIS PAS CHARLIE e soprattutto # JE SUSIS BOKO HARAM La vera solidarietà
alle vittime di eccidi anti occidentali ma anche no non é questa . Poi
fate come vi pare
concludo questo post e questi extra alla mia guida del 2016 che riprenderà dopo il 26 di dicembre con questo augurio
Di tatuaggi ormai se ne vedono in tutte le forme e dimensioni e molto spesso hanno un significato molto personale, raramente di basano solo sulla moda del momento.
C’è un piccolo tatuaggio che sta diventando però una tendenza molto seguita soprattutto all’estero: un filo rosso legato a fiocco intorno al dito mignolo.
E’ difficile da notare, e spesso i tatuaggi più piccoli e nascosti sono quelli che celano un significato più importante e profondo. Per capire il significato di questo filo rosso è necessario conoscere questa antica leggenda cinese.
Il filo rosso del destino è una leggenda popolare di origine cinese diffusa in Giappone. Secondo la tradizione ogni persona porta, fin dalla nascita, un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra che lo lega alla propria anima gemella. Il filo ha la caratteristica di essere indistruttibile: le due persone sono destinate, prima o poi, a incontrarsi e a sposarsi.
LA LEGGENDA
il video Animato, disegnato, scritto e parlato da ZeroDx.
Wei era un uomo che, rimasto orfano di entrambi i genitori in tenera età, desiderava sposarsi e avere una grande famiglia; nonostante i suoi sforzi era giunto all’età adulta senza essere riuscito a trovare una donna che volesse diventare sua moglie.
Durante un viaggio Wei incontrò, sui gradini di un tempio, un anziano appoggiato con la schiena a un sacco che stava consultando un libro. Wei chiese all’uomo cosa stesse leggendo; l’anziano rispose di essere il Dio dei matrimoni e, dopo aver guardato il libro, disse a Wei che sua moglie ora era una bimba di tre anni e che avrebbe dovuto attendere altri quattordici anni prima di conoscerla. Wei, deluso dalla risposta, chiese cosa contenesse il sacco; l’uomo rispose che lì dentro c’era del filo rosso che serviva per legare i piedi di mariti e mogli. Quel filo è invisibile e impossibile da tagliare, per cui una volta che due persone sono legate tra loro saranno destinate a sposarsi indipendentemente dai loro comportamenti o dagli eventi che vivranno. Queste parole non convinsero Wei che, per sentirsi libero di scegliere da solo la donna da sposare, ordinò al suo servo di uccidere la bambina destinata a diventare sua moglie. Il servo pugnalò la bambina ma non la uccise: riuscì soltanto a ferirla alla testa e Wei, dopo quegli eventi, continuò la sua solita vita alla ricerca della moglie.
Quattordici anni dopo Wei, ancora celibe, conobbe una bellissima ragazza diciassettenne proveniente da una famiglia agiata e si sposò con lei. La ragazza portava sempre una pezzuola sulla fronte e Wei, dopo molti anni, le chiese per quale motivo non se la togliesse nemmeno per lavarsi. La donna, in lacrime, raccontò che quando aveva tre anni fu accoltellata da un uomo e che le rimase una cicatrice sulla fronte; per vergogna la nascondeva con la pezzuola. A quelle parole Wei, ricordandosi dell’incontro con il Dio dei matrimoni e dell’ordine che dette al suo servo, confidò alla donna di essere stato lui a tentare di ucciderla. Una volta che Wei e la moglie furono a conoscenza della storia si amarono più di prima e vissero sereni e felici.
Ora a 3 mesi del centenario dell'entrata in guierra dell'italia nella grande guerra e 100 dalle fondazione della Brigata Sassari riporto qui notizie che trovate su siti specialisti o d'appassionati come questo ottimo e documentatissimo sito d'appassionati chiamato apppunto : http://www.frontedelpiave.info in paeticolare qui ) libri di mmorie o di storici specialisti d'appassionati o di specialisti sullagrande guerra opppure nei tg o giornjali locali ( da cui sonp tratte le news sotto riportate ) , o nelle cronanche locali per il resto vine quasi ignorato o passa in secondo piano nonostante il grandissimo contributo , specie con i ragazzi del 1899 .
«La Brigata, tre volte fatta e tre disfatta»: una carica di eroismo I luoghi sacri: dall’Altipiano dei Sette Comuni al Monte Zebio, dalla Bainsizza a Caporetto e fino alla battaglia del Piave
A guardia delle due trincee conquistate la Brigata resta sino a maggio.Ha perso in battaglia 22 ufficiali e 213 soldati, feriti 59 ufficiali e 1536 soldati, nella difesa di gennaio-maggio 4 ufficiali morti e 9 feriti, 76 soldati morti e 410 feriti: «La Brigata fu tre volte fatta e tre disfatta» scriverà Bellieni: vi militeranno,in tutto, circa 16 mila uomini.
«Pro defender sa Patria italiana/ distrutta s’este sa Sardigna intrea», cantava il mulattiere salendo l'erta, ha scritto Camillo Bellieni, padre del sardismo,anche lui ufficiale della "Sassari".
I luoghi "sacri" della Brigata,nel prosieguo della guerra, sono altri quattro. Il primo, a giugno del 1916, è l'Altipiano dei Sette Comuni, sopra Vicenza,dove la Brigata deve precipitarsi a bloccare la pericolosa Strafexpedition austriaca: due mesi e mezzo di combattimenti,49 ufficiali morti e 106 feriti,456 soldati morti e 3.476 feriti.Nei mesi successivi, sino al giugno 1917, partecipò alla controffensiva sull'Altipiano e in Val di Ronchi.Il secondo è, sullo stesso Altipiano,ilMonteZebio e le sue trincee di Casara Zebio, Monte Fior, Castelgomberto. Vi si combatte dal 9 giugno all'8 luglio:
la giornata più tragica è il 10, quando l'"Azione K" inizia tragicamente con un errore della nostra artiglieria, che bombardaa lungo i soldati che stanno per uscire dalle trincee.
Nell'Archivio storico dell'Esercito Giuseppina Fois ha trovato un biglietto tutto macchiato del sudore del portaordini: c'è scritto «In nome di Dio, allungate il tiro, ci state massacrando ».
L'attacco si infrange contro i reticolati intatti, ci sono 8 ufficiali morti e 21 feriti, 99 soldati morti e 887 feriti
Il terzo è l'altipiano della Bainsizza. Per mesi, da ora, mancheranno dei dati ufficiali sul bilancio dei morti e dei feriti, i diari dei battaglioni sono stati perduti a Caporetto: ma quando si scende al piano «i reparti che si trovano vicino alla sua direttrice accorrono da ogni parte per vederli e applaudirli », è sempre Motzo che lo racconta nel suo “Gli intrepidi sardi della Brigata Sassari” pubblicato nel 1931.Il quarto evento è, a partire dal pomeriggio del 26 ottobre,la ritirata di Caporetto.Neanche qui la Brigata si smentisce. Chiamata a rallentare l'avanzata della spedizione austro-tedesca, mentre l'esercito si disfà al grido di "Tutti a casa" («Mai più un inverno in trincea», predicano i socialisti), fa di Codroipo uno dei nodi della strenua resistenza:«Vincemmo - dicono le memorie di guerra di un alto ufficiale tedesco - nonostante avessimo di fronte la più valorosa formazione dell'esercito italiano, la Brigata Sardegna».Il 9 novembre tutti i ponti sul Piave sono stati fatti saltare: il Genio è pronto a far saltare anche quello, ma mancano dei reparti.Il VII battaglione compare di lontano, il capitano Musinu lo ha portato in fila, fucile a spall'arm come a unaparata. Il battaglione passa il ponte,Musinu
dà "l'attenti a destr' " per salutare un gruppo di ufficiali,poi il ponte viene fatto saltare.
C’è anche un quinto luogo,sono i Tre Monti, Col del Rosso,Col d'Echele, Valbella, dove l'esercito italiano riprende l'iniziativa. Grande battaglia,dal 28 al 3 gennaio, grande vittoria.
Ci sono adesso anche i ragazzi del '99. La mattina dell'assalto nessuno in tutta la Brigata marca visita (quindici ufficialimorti e 43 feriti, 147 soldatimorti e 690 feriti).
Il 28 gennaio sarà la festa della Brigata, e un articolo dello Statuto aveva fissato in questo giorno la festa della Regione sarda.
E poi c’è il Piave. È la parte forse meno conosciuta dell'epopea della "Brigata Sassari",eppure sono giornate di ininterrotti scontri all'ultimo sangue,inesauribili corpo a corposulle rive del fiume. Gli austriaci sferrano l'ultimo grande assalto,tutte le formazioni italiane resistono. Il 28 giugno muore,a 28 anni, Attilio Deffenu,grande intellettuale, uno dei padri dell'autonomismo regionale.Il 29 ottobre la battaglia delPiave è finita. La "Sassari" passa il fiume «a guado, con l'acqua sino alla cintola», a Salettuol di Maserada e il 18 novembre raggiunge la linea di confine stabilita dagli accordi dell'armistizio, al limite orientale dei monti e i fiumi dove aveva combattuto
Gli austriaci iniziarono subito a temere quei sardi indiavolati
che attaccavano all’arma bianca e si abituarono a chiamarli
i “diavoli rossi”
Manlio Brigaglia
I primi battaglioni della Brigata passarono l'Isonzo il 24 luglio. Cominciava la guerra, la lunga fase della "guerra cadorniana", pagata soprattutto dalle fanterie mandate a sbattere, nei giorni di battaglia, contro i reticolati austriaci, preparati già da gran tempo prima, protetti da un'artiglieria pesante piazzata con particolare oculatezza: sino a Caporetto, la guerra di Cadorna fu una guerra di uomini (italiani) contro difese poco meno che insuperabili.Dove non bastavano le armi,dovevanosupplire gli uomini.
copertinma della domenica del corriere dedicata ala Brigata sassari
Per fare il loro dovere gli uomini della Brigata diventarono presto specialisti in assalti alla baionetta trasformati spesso in assalti all'arma bianca,in corpo a corpo mortali.Non è favola che gli austriaci temevano quei sardi indiavolati,si abituarono a chiamarli "i diavoli rossi".Il primo anno di guerra - da luglio a dicembre - fu contrassegnato da due grandi battaglie.
La prima, tra luglio e agosto,per prendere una fila cupa di boschi (Bosco Cappuccio,Bosco Lancia, Bosco Triangolare) e una posizione particolarmente munita, che i soldati chiamavano "il Trincerone".
In quegli scontri la Brigata perse 13 ufficiali e 54 furono feriti, 384 soldati morirono e 2.688 furono feriti. Si contarono anche i primi 57 fanti dispersi: termine con il quale le norme ufficiali accomunano caduti di cui nonfu trovato il corpo, altri fatti prigionieri e anche altri che forse erano fuggiti.La seconda, all'inizio di novembre,fu una battaglia particolare furore, per prendere una posizione in cui, in pochi metri di terra, quando vi arrivò la Brigata erano già morte centinaia di uomini. Due brevi trincee a poche decine di metri di distanza una dall'altra, che i nostri soldati chiamavano da quello che vedevano: la Trincea delle Frasche,
per come erano coperti i parapetti, e la Trincea dei Razzi,che da lì partivano ad illuminare la notte. Diverse formazioni italiane vi erano state decimate: mentre la Brigata saliva a prendervi posizione -
racconta Leonardo Motzo,"uno che c'era" - «dalla linea scendevano di corsa dei soldati che cercavano di allontanarsi al più presto possibile da quello che chiamavano 'l'inferno'».La Trincea delle Frasche
era lunga novecento metri e finiva nella Trincea dei Razzi, altri quattro-cinquecentometri:tutt'e due costruite da tempo,munitissime, distanti una cinquantina di metri dalle nostre,improvvisate. Il 151° prese posizione davanti alle Frasche,il 152° davanti ai Razzi.
I fanti balzarono dalle trincee a mezzogiorno preciso del 10 novembre: la nostra artiglieria aveva tentato invano di aprire dei varchi, sparando tutta la mattina. Ma i reticolati erano rimasti intatti, le mitragliatrici facevano il vuoto:la lotta fu cruentissima dappertutto - testimonia sempre Motzo -: «Morti e feriti si allineavano davanti ai reticolati, che tentavano di tagliare con le pinze».
A sera gli italiani sono ancora fuori dalle trincee, e viene l'ordine che restino lì, nella terra di nessuno, fradici di una pioggia continua e violenta: la mattina dopo gli attacchi sono di nuovo infruttuosi, e la
sera i reparti vengono fatti ritirare nelle trincee di partenza.
Ma la Brigata non molla.Quel poco di terreno di fangoe morti delle Frasche e dei Razzi è il luogo del battesimo "sardo" della Brigata. Per stroncare la resistenza austriaca si decide di far saltare i reticolati
con una serie di azioni notturne di piccoli gruppi. Al mattino del 12 l'artiglieria austriaca inizia un pesante bombardamento che durerà tutta la giornata: eppure i sassarini resistono agli attacchi. Il giorno dopo, appena dopo l'alba,il 152° parte all'assalto e dilaga nella trincea austriaca, gli occupanti si arrendono. L'indomani 15 il bollettino del Comando supremo racconteràla battaglia: «Sul Carso è continuata ieri l'azione.Per tutto il giorno l'artiglieria nemica concentrò violento e ininterrotto fuoco di pezzi di ogni calibro sul trinceramento delle Frasche, al fine di snidarne le nostre fanterie. Gli intrepidi Sardi della Brigata Sassari resistettero pienamente nelle conquistate posizioni e con ammirevole slancio espugnarono altro vicino trinceramento detto dei Razzi. Fecero al nemico 278 prigionieri dei quali 11 ufficiali». Il Comando,apparentemente violando l'abitudine per cui non si dichiaravano mai le formazioni e spesso neanche i luoghi dove combattevano, non solo cita la Brigata Sassari ma, forse trascurando la presenza di eroici "continentali" che vi militavano (Fapanni, Osimani,Romanelli, Taddei, Pascazio,Moscato, Villetti sono nomi di ufficiali morti o feriti già nella battaglia d'estate), nomina anche "gli intrepidi Sardi".Forse la maiuscola non ha altra motivazione che un'abitudine lessicale, ma l'aggettivo "intrepidi" non è evocato a caso.Si sottolinea una specificità
del corpo, per ora soltanto una peculiarità regionale. Ma da lì parte, in Sardegna ma anche in tutta Italia, una possente ondata d'entusiasmo e di orgoglio. Gli inviati speciali della grande stampa nazionale battono la grancassa. Il Comando supremo coglie la palla al balzo e pochi giorni dopo emana una circolare con cui dispone che qualunque soldato sardo di Fanteria che voglia passare alla "Sassari" basta che ne faccia semplicemente domanda.Nasce la "Brigata di ferro",guardata a vista dai giornali,esaltata per ogni sua esaltante impresa