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30.1.25

Monica Giorgi, ex tennista anarchica: 'Per gli ideali finii in galera. Lea Pericoli? Gemelle diverse. Ho dato del fascista a Panatta'


  da msn.it 

Se fossi morta, mai avrei cambiato idea». La porta del condominio di Giubiasco, distretto di Bellinzona, si spalanca sugli accadimenti più misconosciuti dello sport italiano. Sulla soglia di questa storia densissima e a tratti drammatica, lei, Monica Giorgi in Cerutti per matrimonio dichiaratamente di


convenienza con un cittadino svizzero, classe ’46, livornese, anarchica, atea, ex talento del tennis immolato all’attivismo politico negli anni in cui per l’ideale si poteva finire in galera con l’accusa (friabile) di aver partecipato a un rapimento di matrice politica. Aveva calpestato i courts con gli amici Lea Pericoli e Adriano Panatta e giocato a Wimbledon quando il 30 aprile 1980, la stagione terribile dell’omicidio di Piersanti Mattarella, del sangue nelle università (Bachelet a Roma, Galli a Milano), per le strade (Tobagi) e della strage di Bologna, Monica venne arrestata. Due anni dentro, sognando il blu delle sue onde («Domani si va al mare» è il bel titolo di un libro appassionato scritto per Fandango con Serena Marchi), una condanna a 12 derubricata per «associazione sovversiva», il capo d’imputazione di cui Giorgi va fiera. «Me lo tengo stretto, non discuto. È quello che volevo fare: sovvertire il potere. Con gli anarchici di Livorno, i volantini, i discorsi, l’attivismo: nulla più. Oggi non sarei così testarda: la vita mi ha cambiata. Non direi più ad Adriano che è un fascista perché ha scelto di andare a giocare la Davis da Pinochet».

Le radici a Livorno contano nel suo romanzo, Monica?
«Eccome! Livorno è la mia carne, il mio sangue, le mie parole. Mi chiedo se dopo tanti anni in Svizzera dovrei tornarci a morire. Dell’Italia mi attraggono gli odori, i sapori, le scritte sui muri. Ci vado volentieri, da quando le mie pendenze con la giustizia sono risolte. Però lascio anche che le cose accadano».


Ne sono accadute di cose, eccome: gli anni gioiosi del tennis, l’avvicinamento ai movimenti non violenti, le campagne a difesa dei diritti dei carcerati, l’esilio in Francia, la tranquillità in Svizzera.


«Le cose più belle sono quelle che capitano. Sono stocastica, aleatoria: qualcosa succederà. Preferisco essere illusa, piuttosto che pregiudizievole. Certo rischio la delusione, ma è da lì che scaturisce consapevolezza. Il processo mi ha fatto scoprire la mia dabbenaggine: siccome sono presuntuosa, ci sono passata sopra. Vede, io penso in livornese, che non è una lingua, è un vernacolo: viene da verna, schiavo, e lo schiavo subisce».


I primi guai quando la Federtennis italiana la squalifica per aver indossato a Johannesburg, in pieno apartheid, una T-shirt con un nero e una bianca che fanno l’amore.

«Indegna di rappresentare l’Italia, scrissero nella lettera con cui mi fermavano un anno. Ci sono cose che sono sfuggite di mano alla gioventù dell’epoca, ma eravamo pieni di entusiasmo. Il libro è stato un lavoro di espiazione catartico: ha riaperto le ferite, lascio che sanguinino. Da ragazza mi piaceva provocare il potere, a 79 anni invece lo comprendo: lo vedo come parte necessaria per cui certe cose devono finire o cominciare. Non mi giudico: ho fatto quello che mi sentivo».


In vacanza con Lea Pericoli imbrattò di escrementi lo yacht del vicino di banchina.
«Lea lo detestava: fu un gesto d’amicizia. La vera ingiustizia di quegli anni è la morte di Pinelli che vola giù dalla finestra della Questura di Milano. Quello è stato il mio ’68. Lea ed io eravamo agli antipodi solo all’apparenza. La divina e Monicaccia, come mi chiamava lei: che coppia»

Cosa vi legava?

«Ti muove quello che non hai. Io ero la parte che Lea teneva sopita. Erano i tempi in cui per farti un complimento ti dicevano: brava, giochi come un uomo. Sarà un uomo che gioca bene come me, ribattevo! Kant scrive che il cielo stellato è sopra di noi ma la donna il cielo stellato ce l’ha dentro. Lea mi chiedeva di Kafka, Gandhi, delle mie letture filosofiche, della rivista anarchica “Niente più sbarre”. Ci siamo volute molto bene. Tra tanti bifolchi qualunquisti, l’unico maschio con cui potevo parlare era Panatta. Quando giocavamo il doppio insieme e ci facevano un lob, fermava la palla: alt, qui lo smash lo faccio solo io!».

A Lea fece un gran regalo: la lasciò vincere in semifinale agli Assoluti ’71. Perché?
«Il regalo lo feci a me: volevo mettermi alla prova. Ero già incasinata con la politica, mi scrivevo con i detenuti anarchici, ritirarmi mentre stavo vincendo fu la mia personalissima protesta contro il sistema. C’era dell’autolesionismo? Non credo. Avevo consapevolezza dei miei limiti: sapevo che la Bassi in finale non l’avrei mai battuta. Lo rifarei mille volte. È un’economia un po’ perversa, lo riconosco. Sono vissuta di ideali, anche alla rovescia. Nell’ideale non c’è un sopra e un sotto, una destra e una sinistra. L’ideale, quando ci credi, è l’eterno. Ecco, io sentivo di dover seguire solo quello».


Ma a chi dava noia, in fondo. Se lo è chiesto?

«Molte volte. Eppure mi bastavano il mio tennis, il mio mare, una motocicletta, i miei libri, 100 mila lire al mese. Andavo a trovare in carcere l’anarchico Fantazzini e mi arrovellavo: che male faccio? Ma a quei tempi la controinformazione infastidiva tantissimo, e io mettevo in dubbio che Pinelli fosse caduto da solo dalla finestra. Sì, davo fastidio. E schiacciando un moscerino di 45 chili come me il potere dimostrò tutta la sua debolezza».


Ci ha messo del suo.

«Ammetto il gusto di esibirmi, anche in campo mi piaceva giocare con il fuoco. Mi chiami a rete? E io ti faccio una palla corta. Le valchirie rimanevano ferme sul posto. Ero agile, velocissima, rimandavo tutto. Per battermi dovevano sopraffarmi con la potenza, ma anche in quel caso le costringevo a farmi il punto due volte».


Da chi ha preso?

«Da mio padre l’estroversione, a costo di fallire per troppa esuberanza. Da mia madre l’essere parca: non tirchia, parca. È lei, con le sue imperfezioni e i nostri conflitti, ad avermi autorizzato a essere libera: se fosse stata perfetta, non me ne sarei mai andata. Invece si lamentava di me, terzogenita dopo due gemelle, in continuazione. Si è resa insopportabile: un dono. Quando lessi “L’ordine simbiotico della madre” di Luisa Muraro fu un’illuminazione».


Qual è stato il giorno più felice della sua vita?

«Il 29 aprile 1982, un giovedì. È il giorno della lettura della sentenza che mi riduce la pena a due anni, già scontati. Nell’aula del tribunale lancio un urlo belluino: domani si va al mareeeeee!».


Come fa a vivere a Bellinzona, tra le montagne?


«Eh ma torno spesso. E poi il mare preferisco andarlo a cercare: quando ce l’ho lì a disposizione, mi viene a noia».


L’incontro più forte?
«Giovanni, il custode della federazione anarchica livornese. Autodidatta, nudo davanti alla vita, miope, ma anche un accademico senza titolo di studio. Fu il primo a parlarmi delle fosse di Katyn, il massacro dell’intellighenzia polacca da parte dell’Urss. Quando morì Francisco Franco si fece un volantino. Volevamo scriverci: viva la morte. Intervenne Giovanni: macché, scriviamo viva la libertà!».


Rifarebbe tutto?

«Paro paro. Forse correggerei la mia ingenuità, ma è un puro esercizio retorico».


Anche le cose che le hanno provocato più dolore?

«Il dolore lo metto nello stesso paniere della felicità».


È vero che nel ’76 in Cile Panatta, memore delle vostre discussioni su Pinochet, propose a Bertolucci di indossare la maglietta rossa nel doppio di Davis anche come omaggio alla militanza dell’amica Monica Giorgi?
«Non lo so, non credo. Dovrebbe chiederlo a Adriano».


E la sua, di maglietta, quella della coppia mista che fece indignare il Sudafrica e la Federtennis, che fine ha fatto?


«Forse era a casa di mia madre ma con la sua morte è andata persa».


Segue il tennis, oggi? Jannik Sinner e i suoi fratelli l’hanno riportato in auge.

«Sì, questa generazione di giocatori mi ha riavvicinata al mio sport. Però non gioco più: mi fanno male le ginocchia. I miei preferiti sono Federer e Alcaraz, che è molto più divertente di Sinner. Adesso non gli serve per vincere, ma Jannik dovrà imparare a scendere di più a rete».


Oltre al tennis, chi è stato il suo più grande amore?

«Manrico, un uomo bellissimo che mai avrei immaginato potesse innamorarsi di uno sgorbio come me. E Maddalena, incontrata in carcere: con lei c’era molto più del sesso, che in una relazione non è necessario».


E la rabbia, motore potente, dove l’ha messa a quasi ottant’anni, Monica?

«Con quel fisichino dove vuoi andare? mi dicevano. Alle feste nessuno mi invitava mai a ballare. Mi sentivo inadeguata: ho fatto di tutto per riscattarmi. Ha ragione, la rabbia è una forza potente. Ma la mia, soprattutto, è stata passione di vivere».

1.5.22

come si celebra la squadra maschile ( Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Antonio “Tonino” Zugarelli) si ricordi anche la tennista Monica Giorgi che per protesta contro l'aphartaid fu espulsa dal FiT

 in  questi  giorni   dovrebbe uscire  il  documentario  Una squadra di Domenico Procacci  in  cui si  ricorda  la  vittoria   nel  1976  della  coppa  davis     della  nazionale maschile  di  tennis  .  certo  è un onore   perchè   Perché la vittoria di quella mitica insalatiera non è mai stata veramente e degnamente celebrata, ricordano a gran voce i campioni e protagonisti dell’impresa: Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Antonio “Tonino” Zugarelli, capitanati dall’inossidabile Nicola Pietrangeli. Avendo indossato   diurante  la partita  come  gesto doi protesta     contro il  regime  di
pinochet  una maglietta  rossa  la  vittoria non solo cade      nel   DIMENTICATOIO  quasi    totale  in quanto  perché percepita politicamente scorretta – il dibattito sull’opportunità che la squadra italiana di tennis andasse a casa dell’efferato dittatore di estrema destra a giocarsi la Davis era più acceso che mai – fu osteggiata dagli intellettuali dell’epoca, privata della diretta tv, “persino Modugno si mise in mezzo” ricorda il dream team, che invece partì – e vinse – nonostante il clima ostile. E non bastarono le magliette rosse omaggiate nel bel doc di Mimmo Calopresti del 2009, ma di cui a quel tempo “nessuno s’accorse” ricorda Panatta. E quindi   è giusto     che  Il mondo dello sport se l’è colpevolmente scordata, quello del cinema e della tv prova a risarcire.
Speriamo   che  si  faccia lo  stesso   ricordando  la  vicenda  ed il gesto politico a favore dei black della tennista Monica Giorgi nel Sudafrica razzista dei 70, un gesto che le costò la sospensione dalla Fit.


IN CAMPO COME NELLA VITA: STORIA DI MONICA GIORGI, LA TENNISTA RIBELLE CHE COMBATTEVA L'APARTHEID
Correva l’anno 1972 e a Johannesburg si disputava la Federation Cup.
Per la prima volta il governo Sudafricano concedeva la possibilità alle atlete di colore di partecipare ad una gara internazionale di tennis dentro i suoi confini. Questa scelta tuttavia non era affatto il preludio al miglioramento delle condizioni della popolazione nera, costretta a vivere
n un regime di violenta segregazione da cui sarebbe uscita solo molti anni dopo.
Nella delegazione italiana c’è Monica Giorgi, livornese classe 1946, che nel corso della sua carriera sarà per ben sei volte campionessa nazionale di doppio e parteciperà a quasi tutti i tornei del Grande Slam. Monica ha un’idea precisa sull’apartheid e sul razzismo. Li detesta. Così quando esce dagli spogliatoi dell’Ellis Park Stadium indossa una maglia in cui due coppie di piedi bianchi e neri sono sovrapposti, come a mimare un rapporto sessuale. Non solo, l’atleta italiana rivolge un saluto affettuoso agli spettatori di colore, rinchiusi in una piccola porzione di stadio più simile ad una prigione che ad una gradinata.
Il pubblico bianco non tarda a far sentire un lungo brusio di disapprovazione mentre quello nero resta ammutolito. La federazione Sudafricana invierà formale atto d’accusa a quella italiana, che al ritorno della Giorgi in patria decide di squalificarla per diverso tempo dalle gare internazionali.
Poco male per Monica, che prima e dopo questo gesto, resterà una tennista a dir poco controcorrente.
Fuori dalle righe tanto nell’estetica quanto nella costanza. Nel tennis di quegli anni in cui le ragazze portano sempre e solo la gonna, la Giorgi indossa irriverenti calzoncini. Fuori dal campo invece dei tradizionali party che i tennisti sono soliti benedire con la propria presenza, frequenta i circoli del movimento femminista di cui diventa un attivista instancabile.
È una che non sa stare in difesa Monica. Sempre all'attacco. Con la racchetta in mano diventa un simbolo di quel tennis che preferisce le giocate a rete e gli smash all’attendismo dei cosiddetti “pallettari”.
Con la penna invece si batte per i diritti delle donne e poi per quelli dei carcerati, fondando il collettivo “niente più sbarre”.
Sono prese di posizioni dure che le costano il biasimo e la scomunica di un ambiente, come quello del tennis di quegli anni, particolarmente classista. E soprattutto le costano un processo, con tanto di condanna in primo grado e assoluzione in appello, per un reato di sequestro che ovviamente non aveva mai commesso. È il prezzo che paga per frequentare circoli anarchici e ritrovi radicali, ma Monica lo paga senza problemi.
Con il tempo lascerà il professionismo ma mai la racchetta; né tantomeno abbandonerà i suoi ideali. Monica resterà per sempre “la ragazza con la racchetta in mano che sognava un mondo migliore.”

incuriosito ecco ulteriori news su di lei prese da wikipedia

Monica Giorgi

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Monica Giorgi
MGiorgi PMarzano.jpg
Monica Giorgi e Piero Marzano agli "Assoluti" del 1979
NazionalitàItalia Italia
Tennis Tennis pictogram.svg
Termine carriera1979
Carriera
Singolare1
Vittorie/sconfitte
Titoli vinti
Miglior ranking
Risultati nei tornei del Grande Slam
Australia Australian Open
Francia Roland Garros3T (19671969)
Regno Unito Wimbledon2T (1966)
Stati Uniti US Open
Doppio1
Vittorie/sconfitte
Titoli vinti
Miglior ranking
Risultati nei tornei del Grande Slam
Australia Australian Open
Francia Roland Garros2T (1966)
Regno Unito Wimbledon3T (1973)
Stati Uniti US Open
Doppio misto1
Vittorie/sconfitte
Titoli vinti
Risultati nei tornei del Grande Slam
Australia Australian Open
Francia Roland Garros
Regno Unito Wimbledon3T (1970)
Stati Uniti US Open
1 Dati relativi al circuito maggiore professionistico.
Statistiche aggiornate al definitivo

Monica Cerutti-Giorgi, nota anche semplicemente come Monica Giorgi (Livorno3 gennaio 1946), è un'ex tennistasaggista e insegnante italiana.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Carriera sportiva[modifica | modifica wikitesto]

Da junior ha vinto la Coppa Lambertenghi, a Milano (1960) [1].

Come singolarista, ha raggiunto il terzo turno al Roland Garros nel 1967 e nel 1969 e il secondo turno al torneo di Wimbledon nel 1966; in doppio ha raggiunto il secondo turno al Roland Garros, nel 1966, in coppia con Graziella Perna e il terzo turno a Wimbledon, nel 1973, in coppia con Daniela Marzano; mentre nel doppio misto ha raggiunto il terzo turno a Wimbledon, nel 1971, in coppia con Franco Bartoni[2].

Alle Universiadi di Tokyo, nel 1967, ha vinto due medaglie d'argento, nel doppio e nel doppio misto, in coppia, rispettivamente, con Alessandra Gobbò e Giordano Maioli.

È stata sei volte campionessa d'Italia nel doppio: nel 1964 e nel 1965, in coppia con Graziella Perna, nel 1968 con Roberta Beltrame, nel 1971 e nel 1979, con Anna-Maria Nasuelli e nel 1972, con Lucia Bassi. Ha vinto anche un titolo nel doppio misto, nel 1970, in coppia con Franco Bartoni.

Impegno politico e culturale[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1972 per protesta contro l’Apartheid, Monica Giorgi si presentò in campo, a Johannesburg, in Sudafrica, indossando una provocatoria maglietta con due piedi bianchi e due neri sovrapposti come in un rapporto sessuale. Al ritorno, a seguito di un esposto della federazione sudafricana, fu squalificata per un certo periodo[3].

Dopo il ritiro, essendo laureata in filosofia, ha insegnato storia e filosofia nei licei[3]Femminista, atea e anarchica, ha costituito l’associazione “Niente più sbarre”, con la tematica delle condizioni dei detenuti in carcere[4].

Ha scritto un saggio sulla filosofa francese Simone Weil, intitolato La clown di Dio, edito da Zero in Condotta, nel 2013, e pubblicato in estratto anche da Rivista anarchica[4].

Curiosità[modifica | modifica wikitesto]

  • Nel 1970 Monica Giorgi ha partecipato alla trasmissione televisiva Rischiatutto, concorrendo per la vita e le opere di Franz Kafka[5].

Palmarès[modifica | modifica wikitesto]

AnnoManifestazioneSedeEventoRisultatoNote
1967UniversiadiGiappone TokyoDoppio femminileArgento Argento[6]
Doppio mistoArgento Argento[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ ALBO D’ORO, su tcmbonacossa.itURL consultato il 26 febbraio 2019.
  2. ^ Tennis Abstract: Monica Giorgi WTA Match Results, Splits, and Analysis, su tennisabstract.comURL consultato il 26 febbraio 2019.
  3. ^ Salta a:a b Campioni da non dimenticare – Monica Giorgi, su spaziotennis.comURL consultato il 26 febbraio 2019.
  4. ^ Salta a:a b MONICA GIORGI Tennis, studio e anarchia, su nazioneindiana.comURL consultato il 26 febbraio 2019.
  5. ^ La Stampa, 16 ottobre 1970
  6. ^ In coppia con Alessandra Gobbò
  7. ^ In coppia con Giordano Maioli

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Monica Cerutti-Giorgi, La clown di Dio, Zero in Condotta, Milano, 2013.
  • Monica Cerutti-Giorgi, Franca Cleis e Karin Stefanski (a cura di), Alla luce del presente. Relazioni, pratiche e mediazioni di donne, Archivi riuniti delle donne del Ticino, 2010.
  • Monica Cerutti-Giorgi, (a cura di), Marirì Martinengo, Wanda Tommasi, Vita Cosentini, et. al., Il simbolico delle donne. Percorsi fra storia, filosofia e traduzione, Balerna. Ulivo, 2006.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...