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7.7.21

Sebastiano Vitale Il poliziotto che fa il rapper ed La disabilità li aveva allontanati, l’arte li ha riuniti. La storia di due fratelli che hanno trovato il modo di superare le barriere

 Sebastiano  vitale    in arte    Revman   È nato a Palermo ed è cresciuto a Lecce, ma la voglia di imparare, di studiare e di migliorarsi lo hanno spinto ancora più lontano dalla sua città di nascita, infatti grazie al suo lavoro oggi Sebastiano  vive a Milano. Un  rap  secondo  https://fai.informazione.it/



Sicuramente, il cantante rap Revman è riuscito a catturare l'attenzione di un
asto pubblico con i suoi giochi di parole e le frasi veloci e accattivanti. Il suo vero nome è Sebastiano Vitale e di professione fa il poliziotto a Milano. La sua candidatura a Sanremo e la successiva ingiustificata esclusione ha fatto alzare i toni ai suoi fans.
Il rapper Revman ha un parlare veloce e accattivante che va oltre il rap.
Revman è certamente una delle più grandi sorprese della musica per ragazzi e anche per i meno giovani, poiché sta ottenendo grandi successi sulle piattaforme digitali a partire da Youtube, Facebook, Instagram, Twitter, Linkedin e tanti altri, grazie alle sue canzoni belle e appassionanti e, soprattutto ai sapienti testi caratterizzati da un vasto uso di termini "polizieschi" che vanno contro la malavita.

  Infatti     a  confermarlo    è     questa  intervista     rilasciata   a  https://www.ioacquaesapone.it/ di luglio  2021


«Ho cominciato ad appassionarmi al movimento artistico e culturale definito Hip Hop all’età di 16 anni, ballando
break dance insieme ad altri ragazzi vicino ad una chiesa, precisamente in una piazzetta che un sacerdote ci aveva messo a disposizione. A causa di un lieve infortunio procuratomi durante gli allenamenti, dopo anni di movimenti rotatori caratteristici di questa danza ho dovuto mettere in pausa la mia attività di ballerino. In quel breve periodo, però, non mi sono fermato e ho iniziato a canticchiare le canzoni sulle quali prima ballavo, capendo che cantare sulle note Hip Hop mi piaceva di più che ballarci su, così ho iniziato a scrivere i miei primi testi rap. Mi sono sempre piaciuti  i messaggi sociali contenuti in quel genere musicale, soprattutto quelli affrontati nel rap più antico».

Così è nato Revman, il tuo nome d’arte: cosa vuol dire? 
«Non ha un significato particolare. L’ho creato perché mi piace la sonorità che produce, nel tempo però ho pensato che potesse essere un acronimo in cui R sta per Rispetto, E per Energia, V per Verità, M per Musica, A per amore, N per Natura, parole che per me sono molto importanti». 

Cosa vuoi comunicare?
«Sono cresciuto in Salento, dove la musica popolare è ricca di significato e questo ha influenzato molto il mio modo di scrivere: in effetti i miei testi sono ricchi di contenuti e sensibilizzano su vari temi. Voglio trasmettere dei messaggi positivi, con la speranza che possano essere di sostegno a chi si trova in difficoltà». 

Tu sei diventato anche poliziotto. La divisa, come la musica, può essere un’alternativa alla strada?
«Far appassionare i ragazzi a qualcosa come l’arte, la cultura e la musica può dare loro un obiettivo e quindi non farli finire in brutte strade. Il rap racconta la strada mentre un uomo in divisa la vive, ci lavora. Quindi, più che un alternativa, entrambe le cose possono rappresentare degli strumenti per vedere la vita in modo differente, dalla parte della legalità». 

La tua attenzione alla legalità si evidenza anche da uno dei primi brani che hai composto. 
«Esatto. Uno dei primi brani che ho scritto è intitolato “Musica contro le mafie”. Con questo singolo ho riscosso un discreto successo e tanti sono venuti a conoscenza della mia passione per la musica rap e del mio lavoro di poliziotto. Quando pubblicai questo brano fu molto condiviso da amici, colleghi, associazioni e vari utenti del web. Con quell’estratto ho partecipato al concorso “Musica contro le mafie” dell’associazione Libera. Una parte del singolo l’ho utilizzata per dare il mio contributo per la premiazione del premio denominato Annalisa Durante, conferitomi dall’omonima associazione a febbraio 2021. L’evento attraverso diverse metrologie ha trasmesso messaggi di giustizia e rispetto delle regole». 
Nei tuoi brani tratti il tema della legalità e non solo.
«Sì. Ho scritto un brano sull’inquinamento ambientale causato dal rilascio spropositato di plastiche in natura, di Cyberbullismo e in un brano intitolato “Il gelo” ho parlato anche di quest’ultimo, intimo e freddo anno». 

Sei un ragazzo di periferia: quanto può essere pericolosa?
«Le periferie di solito sono un po’ più abbandonate e trascurate. Il Sud ha le sue trappole e penso sia difficile affermarsi se il luogo dove vivi è limitante. Alle nuove generazioni, però, voglio dire che c’è sempre un’alternativa a quella vita priva di significato che alcuni luoghi propongono. Tutti abbiamo la possibilità di essere migliori e di essere utili al prossimo e per fare questo bastano piccoli gesti quotidiani. Insieme possiamo acquisire sane abitudini che portano un beneficio comune. Io vengo dalle periferia  e ho studiato in un istituto professionale alberghiero e, pur non avendo chissà quali studi alle spalle, sono riuscito a vincere il concorso nella Polizia di Stato con il massimo dei voti in tutte le prove. Inoltre, ho continuato a fare musica e ho avuto tante soddisfazioni. Ho vinto vari premi come quello dedicato a chi tramite l’arte e la cultura ha portato lustro alle forze dell’ordine, denominato “Premio Apoxiomeno”. Un’altra grande soddisfazione è stata cantare al teatro Massimo di Palermo, il terzo teatro più grande d’Europa dopo quello di Vienna e Parigi». 

Senti che c’è stato un momento in cui la tua vita è cambiata?
«Un cambio di passo sicuramente è arrivato quando ho raggiunto la mia stabilità economica e sono arrivato a Milano. Prima però ho vissuto a Bologna, dove ho fatto il militare per due anni, questi ultimi fondamentali nel mio percorso di vita, perché mi hanno permesso di vivere in una città universitaria che mi ha fatto crescere tanto. Per un breve periodo della mia vita ho anche vissuto in Canada per poi trasferirmi definitivamente a Milano: questa città dà tante possibilità e a me piace molto». 

Vai anche nelle scuole?
«Prima del Covid sì. Faccio l’insegnate di musica rap, insegno ai ragazzi a scrivere dei testi riguardanti l’ inclusione e insieme affrontiamo diversi temi sociali. Nell’ultimo anno ho provato a incontrare i ragazzi attraverso la Dad, ma è difficile trasmettere questi messaggi a distanza. Con alcuni di loro abbiamo scritto un brano sul  tema del bullismo, sono stati bravissimi perché hanno espresso i propri pensieri, io ho sistemato i loro versi e insieme abbiamo creato una canzone. L’intero progetto è stato realizzato nell’ambito del progetto LexBulli del Comune di Milano. Quando vado nelle scuole non dico subito che lavoro faccio, rompo prima il ghiaccio attraverso la musica rap: utilizzando un linguaggio molto vicino a loro riesco a conquistarli e alla fine quando svelo che sono un poliziotto tutti i pregiudizi verso la divisa vengono abbattuti. Questo è importante perché avvicina i ragazzi alle istituzioni».                                                                                    

oltre  a ver  ascoltato   la  canzone 

che   A febbraio ha ricevuto il Premio Annalisa Durante categoria Istituzioni
“Non mi aspettavo di essere contattato per un premio così importante. Sono onorato di averlo ricevuto. Il quadro che mi è stato spedito ha un significato simbolico molto forte. Ricorda lo splendido sorriso della piccola Annalisa Durante, giovane vittima innocente di Camorra. Quella di Annalisa è una storia di profonda tristezza e che deve farci riflettere perché questi fatti non accadano mai più..


Ora Non sono un granchè amante di questo genere e delle sue corrennti ma questi due brani sono molto belli

Infatti Solo chi lavora in strada( forze dell'ordine o disordine dipende da casi , 118 , associazioni per i senza tetto , ecc ) capisce queste parole !! ma soprattuttto uno di quelli che non è usa violenza verbale gratuita , misoginia , ecc come quelli del genere trap . Sta riscutendo ottime recensioni tra i fruitori del genere . Infatti secondo <<
Rappa meglio della maggior parte degli emergenti e chi lo nega è solo perché guarda la sua divisa piuttosto che la sua abilità. Poi per carità, ha molto da migliorare ma ho sentito molto di peggio. Parliamo del testo? Bel testo, dice cose oggettivamente giuste e condivisibili che i finti gangsta non possono capire a causa della loro ignoranza. Tutti gangsta a chiacchiere, ma per lo più siete minchioncelli che, come fa intendere nella canzone, appena si trovano spalle al muro cantano tutto piangendo.>> ironitaly96

l'altra storia    è  quella  degli   EMOTIONAL COLOR 
Simone, diplomato in architettura e design, e Leonardo, affetto da un ritardo cognitivo con aspetti dello spettro autistico, vivono a Rozzano (Milano). Il progetto di gioco-arte “Emotional Color”, ideato da Simone, sostiene e attiva progetti di inclusione sociale e autonomia per ragazzi affetti da disabilità, attraverso attività, mostre ed eventi organizzati nelle scuole, locali, gallerie d’arte e associazioni. Dal 2018 sono state realizzate più di 200 opere personali e oltre 20 opere collettive. Sulla pagina Facebook e Instagram _emotionalcolor_ Simone condivide video e immagini dei momenti di pittura con Leonardo, i quadri realizzati e notizie degli eventi. Il sito è www.emotionalcolor.com. 
sempre  da    ioacquaesapone  giugno\luglio 

Mio fratello non è figlio unico

La disabilità li aveva allontanati, l’arte li ha riuniti. La storia di due fratelli che hanno trovato il modo di superare le barriere





Una stanza riempita di tele, barattoli di vernice e pennelli, e un unico ordine: divertiti! Nasce così Emotional Color, un progetto di arteterapia destinato a finanziare progetti di inclusione sociale e autonomia per bambini e ragazzi disabili, che ha avuto la forza di ricucire un legame tra due fratelli reso difficile dal ritardo cognitivo del più piccolo, incapace di esprimere le proprie emozioni. Simone Manfreda, 26 anni, e Leonardo, 17, sono sempre stati molto uniti, ma con il trascorrere del tempo le diverse esigenze e interessi li hanno allontanati. «Non condividevamo le stesse cose come fanno due fratelli “normali”. Io non frequentavo le sue numerose visite in ospedale e lui non frequentava il campetto da calcio con me. Vedevo gli amici che con i fratelli facevano di tutto, io invece con il mio non riuscivo a relazionarmi. Appena maggiorenne, ho iniziato a viaggiare, ho vissuto in Spagna e a Londra, anche per evadere da questa situazione». 
 
Fino al 2018 quando hai deciso di affrontarla. 
«Ero tornato dalla Spagna, stavo per ripartire, ma non me la sono sentita. Dovevo trovare qualcosa che mi permettesse di relazionarmi con Leo. Ho cominciato a sperimentare varie attività, dalla piscina alle carte da gioco, ma senza risultati. Poi un pomeriggio ho provato a coinvolgerlo in una mia passione: l’arte. Con lo scotch ho plastificato pareti e soffitto di una stanza della casa, ho comprato tele e colori e ho chiamato Leonardo. I suoi occhi si sono illuminati appena ha visto la stanza. Non ho avuto il tempo di dirgli “dai Leo entra” che c’era già colore ovunque. Io giravo le tele, gli passavo i colori e lui si è divertito a sporcarsi di colori. Per la prima volta ero suo compagno di giochi». 
 
A ispirarti è stata una mostra vista a Londra. 
«L’artista credo fosse un papà che faceva una cosa simile con il figlio in una stanza grande. Ho provato a farlo a casa. Non avevo mai visto prima Leo divertirsi così tanto. Senza rendermi conto tramite quel gioco Leo stava dando vita a tele coloratissime, piene della sua energia. Parenti e amici hanno iniziato a chiederci se i quadri fossero in vendita, da lì ho pensato che poteva nascere qualcosa di bello per tanti ragazzi come Leo». 
 
Quali sono gli obiettivi e i progetti in corso?
«L’obiettivo è finanziare, attraverso il ricavato dei quadri e la nostra partecipazione a eventi pubblici, progetti di inclusione sociale e autonomia per ragazzi disabili. Per seguire con più costanza il progetto nel 2019 mi sono licenziato. Abbiamo sostenuto delle iniziative sociali con alcune associazioni e stiamo coinvolgendo le scuole per sensibilizzare i ragazzi al tema. Sogno di avere un atelier nostro, con una parte adibita a galleria dove esporre i quadri di Leo e quelli realizzati da altri ragazzi durante gli eventi, e un laboratorio, dove realizzare eventi e ospitare chiunque voglia esserci».
 
Cosa ti ha insegnato questa esperienza?
«A vedere le cose fuori dagli schemi convenzionali e scoprire che la disabilità può essere un’opportunità di confronto e crescita».       

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