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20.6.24

Cristina Fogazzi, in arte L’estetista Cinica e la lotta di classe contro chi ostenta Puzzo di povero” L’imprenditrice si difende accusando di discriminazione i follower che hanno cominciato a criticarla

  Generalmente  gli articoli  di   Selvaggia  Lucarelli   non li  digerisco  ma  qui  ha  ragione   e  conferma   quando  ho  riportato  in :   Estetista cinica, bufera sul mega party a Brera fra libri antichi e opere d’arteMusica da discoteca e abbuffate negli spazi dove agli studenti non è concesso nemmeno bere acqua. E lei si giustifica: «Non mi pare sia un museo così visitato, le mie influencer una vetrina per l’estero» .  e   il commento lasciatomi su  fb   



Una scelta a dir poco inaudita. Con 80000 euro vai nella miglior discoteca del luogo al massimo. Ciò che stupisce è che era compresa l'assicurazione in caso di danni causati dagli ospiti. Inoltre lo stesso spazio è stato più volte richiesto da varie associazioni culturali a cui è stato prontamente negato. Chissà se gli ospiti hanno mai letto un libro



  • Il Fatto Quotidiano
  • » Selvaggia Lucarelli


  • Cristina Fogazzi, in arte Estetista Cinica, è l’imprenditrice travolta dalle critiche perché per celebrare un anno di “ Overskin” ” il brand make-up della sua azienda Veralab, ha affittato la Pinacoteca di Brera e la Biblioteca Braidense sborsando 95.000 euro. L’aspetto più interessante della vicenda è l’ondata di proteste e indignazione che ha travolto Cristina Fogazzi e quello che l’accaduto racconta, perché è molto di più di un semplice “inciampo reputazionale” che travolge Veralab (l’azienda si riprenderà, non è certo la sua fine). È il sintomo acuto di un cambiamento in atto nel mondo degli influencer provocato dallo scandalo Pandoro e un sintomo che si traduce in una insofferenza sempre più manifesta nei confronti dell’esibizione del privilegio 2.0 in tutte le sue sfumature. Gli influencer più l un g i mi ra nt i hanno intercettato la rivoluzione in divenire e il rischio che oggi si corre nel riproporre sui social il modello Ferragnez (ostentazione del lusso, sovraesposizione dei minori), altri non sanno decodificare il cambiamento e persistono nello sfoggio di regali, acquisti, status.
    L’ESTETISTA CINICA, un’imprenditrice di talento che ha fondato la sua fortuna sulla lungimiranza nel comprendere le potenzialità dell’e-commerce e sulle sue doti comunicative arrivando a fatturare 70 milioni di euro, è inciampata più volte, negli ultimi tempi, sul mostro che lei stessa ha creato. Il mostro è un brand (Veralab) che è pericolosamente vicino al personal brand (Estetista Cinica/cristina Fogazzi), visto che tutti identificano le sue creme e i suoi prodotti con la sua persona. Fogazzi ha iniziato la sua scalata nell’imprenditoria puntando sulla genuinità, sulla narrazione della piccola estetista di provincia che grazie all’intuito e al lavoro è riuscita a fondare un impero. Negli anni la sua comunicazione da “familiare” è diventata sempre più simile a quella dell’influencer e imprenditrice che ce l’ha fatta, diventando uno strano ibrido: da una parte c’è lei che continua a giocarsi la carta della donna semplice che mostra pancia e cellulite, che si punta il telefono sul viso e lancia anatemi con l’accento bresciano contro chiunque la critichi (“non ce la faccio a stare zitta”), dall’altra l’imprenditrice che inizia a comprarsi tutti gli spazi e gli influencer possibili per adv (Chiara Ferragni compresa), al fine di dimostrare che Veralab sia una potenza sul mercato.
    Piano piano, il suo stesso marchio ha iniziato a diventare una specie di influencer che si imbuca ovunque, una sorta di proiezione del suo slancio di onnipotenza con tutte le criticità del caso: Veralab ha il suo carro brandizzato al Pride (perché come i Ferragnez insegnano i diritti civili fanno posizionamento), Veralab conquista l’albero di Natale in piazza Duomo a Milano, Veralab va al Festival di Venezia, Veralab è sponsor di Sanremo (con delle agghiaccianti installazioni tipo trenini e persone travestite da spumoni detergenti), il tutto con Cristina Fogazzi in prima linea a raccontare sui social la sua emozione: l’emozione dei soldi che comprano spazi commerciali e che sono pure una chiara estensione del suo ego.
    Non a caso Fogazzi vive la presenza del suo marchio a questi eventi scintillanti come fosse una vetrina per se stessa e i suoi amici influenc er (avvocate, influencer, consiglieri comunali che poi si porta anche in barca e in vacanza). Nel tempo, l’esibizione di quella che molti definiscono “cricca dell’estetista” ha iniziato a innervosire i vecchi, affezionati follower. Anche la scelta di alcune i nfluencer quali Paola Turani per promuovere i prodotti Veralab ha provocato non poca insofferenza. Turani è nota per l’ostentazione continua di regali, beni di lusso e per i famosi “home tour” della sua villa. Ultimamente ha postato un contestassimo video in cui apre un pacco contenente una borsa Gucci del valore di 3.000 euro dicendo che l’aveva comprata un mese prima ma l’aveva dimenticata nell’armadio. Un tempo questi contenuti generavano un engagement positivo, dopo la caduta dei Ferragnez l’esibizione volgare del privilegio provoca orde di commenti risentiti e critici. Cristina Fogazzi si è difesa dalle accuse affermando che lei ha pagato l’affitto della biblioteca come tante altre aziende, che promuove la cultura, che le persone ce l’ hanno con lei perché sono classiste e lei “puzza di povero”. Non ha compreso, dunque, quanto la società viva di correzioni e aggiustamenti e quanto un’influencer che è anche una imprenditrice debba riuscire a captarli per adeguare la sua comunicazione ai cambiamenti in atto. Il tempo dello sfoggio vanaglorioso 2.0 di ciò che si può comprare con i soldi è finito. Inutile poi fare vittimismo perché non viene trattata come un’azienda, ma venga identificata come “Cristina Fogazzi ex povera” perché questa identificazione l’ha creata lei, decidendo di essere influencer prima ancora che imprenditrice. Fogazzi, negli anni, ha espresso le sue simpatie per Calenda, ha accusato Elly Schlein di determinare la morte del Pd, ha rilasciato interviste dando lezioni di etica e giornalismo, ha scelto con cura le cause su cui spendersi facendo ben attenzione a escludere quelle che potevano intaccare il suo business (Ucraina sì, Gaza no). COME  I FERRAGNEZ hanno usato la beneficenza per posizionarsi e per superare il complesso dell’avidità, lei ha usato l’arte (biblioteca compresa) per tentare di posizionarsi e superare il complesso di essere “un’estetista”. Ha una tenace insofferenza per il dissenso, tanto che ha l’abitudine di contattare spesso in privato chiunque la critichi, che siano giornalisti o persone comuni. Tenta non di rado di inglobarli nella sua sfera di influenza.Molti definiscono Fogazzi “una che si muove come Berlusconi” perché appena individua un nemico prova a portarlo dalla sua parte, a offrirgli lavoro, amicizia, inviti, collaborazioni. E, se i Ferragnez dopo un inciampo pubblico utilizzavano i bambini in qualità di “scudo reputazionale”, lei usa spesso e allo stesso modo i suoi dipendenti dicendo che sì magari ha sbagliato, ma “ho decine di dipendenti a cui do da mangiare”. Ed è buffo che accusi i suoi detrattori di classismo quando spesso usa un’espressione così classista per definire coloro che rappresentano la sua forza lavoro e che danno da mangiare a lei, la quale banchetta seduta davanti a tavole ben più ricche di quelle dei suoi lavoratori. Insomma Fogazzi, così attenta alla data di scadenza delle sue creme, dovrebbe capire che anche la sua modalità di comunicazione aveva una data di scadenza. E ha continuato a usarla, senza accorgersi che è arrivata l’ora di sostituirla.

    28.11.22

    l''inseguimento e la ricerca di foto a tutti costi delle persone vip o non vip non è giornalismo il caso dei giornalisti allontanati da una bambina di sette anni

     Ciò che  è  successo  ,  Aurora Ramazzotti è un ulteriore prova   di ciò  che orami  è  normalità    cioè    che  il  Gossip   è tracimato    anche  sui  giornali   " normali  "     conferma   della mia  scelta nonostante  sia    stato ( ed  in parte lo sono tutt'ora  )  un gran pettegolo    ,  di non  voler più fare  il giornalista . Infatti   preferisco  fare qualcosa  che  sa  di giornalismo  vero e proprio   piuttosto  che  giornalismo mediatico   . dove  gli editori    visto che tira    di più un ... ehm  il   gossip   che  quello   che  succede   alla povera  gente   ti obbligano   ad  andare a fare certi servizi a  tutti i  costi . 

      da   repubblica  e   https://www.informazione.it/ 

    La bambina di 7 anni, figlia di Michelle Hunziker e Tomaso Trussardi, ha visto un fotografo appostato fuori da casa della sorella maggiore e l'ha rincorso per allontanarlo e impedirgli di invadere la privacy della famiglia.
    Un'attenzione che Aurora Ramazzotti ha dimostrato di apprezzare, postando su Instagram una storia dedicata all'impresa della piccola Celeste, sottolineando la bellezza del suo gesto protettivo: "Mia sorella che allontana il paparazzo è tutto" ha scritto come commento. L'influencer e il compagno Goffredo Cerza - 26enne romano che lavora nel campo del marketing, al suo fianco da cinque anni - sono in attesa del loro primogenito, di cui hanno svelato il sesso nel corso di un "gender reveal party", una festa ad hoc organizzata all'inizio del mese di ottobre, pochi giorni dopo aver ufficializzato la notizia dell'allargamento della famiglia con uno sketch affidato ancora una volta a Instagram.
    Tutta la famiglia si è stretta intorno alla futura mamma - dai genitori Michelle Hunziker ed Eros Ramazzotti, che hanno più volte ribadito di essere entusiasti di diventare nonni - alle sorelle minori.

    Infatti   

    Da quando ha confermato la notizia della propria gravidanza, Aurora Ramazzotti è un'osservata speciale da parte dei paparazzi, che la seguono ovunque alla ricerca dello scatto perfetto: questa volta però la 27enne influencer milanese ha potuto contare su una guardia del corpo d'eccezione, la sorellina Celeste Trussardi. La bambina di 7 anni, figlia di Michelle Hunziker e Tomaso Trussardi, ha visto un fotografo appostato fuori da casa della sorella maggiore e l'ha rincorso per allontanarlo e impedirgli di invadere la privacy della famiglia. 

    18.7.22

    Nessuno pagherà per la strage di via D’Amelio, ma l’Italia è troppo scossa dal dramma Totti-Blasi per indignarsi

      leggi prima 
    Il 1992 è in balia della corrente, si allontana lento ma inesorabile, trascinando nell'oblio tutti i misteri di uno dei fatti più inquietanti della storia della Repubblica.

    “Non parteciperemo agli anniversari di via D’Amelio. Ci asterremo fino a quando lo Stato non ci spiegherà cos’è accaduto davvero“. Così Fiammetta Borsellino, figlia del giudice assassinato insieme alla sua scorta, ha annunciato la volontà di disertare tutte le cerimonie previste in ricordo del padre. Avreste il coraggio di darle torto? A maggior ragione ora, che da poche ore il tribunale di Caltanissetta ha dichiarato prescritte le accuse per due dei tre poliziotti imputati di aver depistato le indagini sulla strage di via d’Amelio. I due, accusati di calunnia con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, avrebbero indotto e forzato le false confessioni di Vincenzo Scarantino, l’uomo che nel 1992 mentì sulla sua partecipazione all’attentato, dando luogo a un depistaggio che avrebbe portato alla condanna di persone innocenti.
    In altre parole, come troppo spesso accade, anche stavolta nessuno pagherà. Vite e destini annientati da quella prescrizione che nessuno, dalle parti di Roma, ha mai avuto davvero intenzione di riformare.“A parte che ho ancora il vomito per quello che riescono a dire, non so se son peggio le balle oppure le facce che riescono a fare“. Così dice Ligabue e noi conosciamo fin troppo bene che tipologia di faccia occorra per riempirsi la bocca di Falcone e Borsellino, per sfoggiarli su t-shirt e mascherine, per poi sostenere un referendum come l’ultimo aberrante sulla giustizia.
    Una chiamata alle urne dove (alla faccia di chi proprio come Borsellino diceva che “un politico in odor di mafia, anche se non condannato, non va candidato“) sono stati in grado di chiederci di abolire la legge Severino sull’incandidabilità e la decadenza da ruoli politici per le persone condannate, tra gli altri, proprio per reati di mafia e terrorismo.
    E anche se non è andata come lor signori avrebbero voluto, non possiamo spacciare per una nostra vittoria il mancato raggiungimento del quorum. Dei leader politici veri, degni di questo nome, non avrebbero mai strizzato l’occhio all’astensionismo, ma invitato apertamente e senza paura a votare contro, toccando le corde giuste. Un Paese con un minimo di memoria storica avrebbe dunque sotterrato il quesito sulla Severino sotto milioni di “no”, in onore degli eroi che hanno dato la propria vita nella lotta alla criminalità organizzata e alle sue perverse ramificazioni nei palazzi del potere.
    La sete di verità da noi è fonte inesauribile di frustrazione, la ricerca di giustizia in Italia è un’eterna lotta contro i mulini a vento, dove chi vuole sopravvivere spesso deve farlo da solo, destreggiandosi tra menzogneri di professione, politicanti da passerella e indifferenti cronici. E ogni 23 maggio, così come tutti i 19 luglio, sfumano i confini tra social e vita reale: su quella passerella tanto cara a chi si nutre di salotti, voti e sondaggi, a sfilare, puntuali, sono sempre e solo parole vuote, quelle dal like facile. Dai microfoni e dagli smartphone sgorgano i soliti patetici appelli a “non dimenticare”, quelli con scadenza a 24 ore.
    Il 1992 è in balia della corrente, si allontana lento ma inesorabile, trascinando nell’oblio tutti i misteri di uno dei fatti più inquietanti della storia della Repubblica. 30 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio: avremmo potuto, avremmo dovuto presentarci meglio a questo triste appuntamento. C’era chi nutriva una speranza, c’era ancora chi aspettava una sentenza che restituisse dignità al dolore di appartenere a un Paese che continua imperterrito a nascondere la parte migliore di sé.
    Non tutti sanno che subito dopo l’attentato, Lucia Borsellino, l’altra figlia di Paolo, volle a tutti i costi vedere ciò che era rimasto del padre e che non si limitò a questo. Decise di ricomporlo e infine lo vestì all’interno della camera mortuaria. Poche ore dopo avrebbe sostenuto un esame universitario, lasciando incredula l’intera commissione.Dobbiamo ammetterlo. Avremmo un po’ tutti bisogno di mettere da parte, anche solo per un attimo, la separazione tra Totti e Ilary Blasi o le avvincenti lezioni di una perfetta sconosciuta che vuole insegnarci a parlare in corsivo e ritrovare quella voglia di saperne di più. Di mettere insieme i pezzi mancanti, di focalizzarci sugli “influencer” che contano davvero, semplicemente di imparare dalla dignità disarmante e dalla forza di Lucia Borsellino.

    16.10.21

    un eroe per caso a tempio pausania ed eroi dello sport italiano che hanno conti o residenze fittizie o vere all'estero per non pagare tasse in italia

     Il primo caso  è presa  d'account  facebook  di  

    tSnrdmh 
    Quest'Uomo, che è per fortuna anche un Vigile del Fuoco, è un Eroe. Ne sono io testimone. Tore, così tutti lo chiamiamo, ma Salvatore il suo nome proprio (e mai come in questo caso "nomen-omen"), era con me
    che parlava e scherzava riempiendo le bottiglie alla storica fontana di Pastini intorno alle 20:00, quando ad un certo punto sono giunte trafelate persone di cui una che urlava nel buio volgendo lo sguardo all'insù sul muraglione. E lassù nel buio si è intravista prima una sagoma, poi è apparso un uomo sedersi spalle alla strada, poi ancora, mentre da sotto le urla seguitavano, voltarsi e sedersi con entrambe le gambe che penzolavano giù.
    A quel punto Salva-Tore ha mollato tutto e come mosso da un istinto felino si è arrampicato su dei muri che fanno da spalla al muraglione vicino alla fontana. E lo ha fatto - mi si creda - come appunto un felino o l'uomo ragno-Spiderman (guarda caso uno degli eroi preferiti da bambini e adulti in tutto il mondo: l'angelo custode che tutti vorremmo accanto nei momenti di pericolo). Poi l'ho intravisto
    Bisognava ora solo aspettare e pregare e sperare. Attimi di suspence durata pochissimo perché, di nuovo come un felino che ghermisce una preda con un balzo, da sotto si sono viste le braccia di Salva-Tore avvinghiare fulmineamente da dietro il pover'uomo e rovesciarlo a terra ai suoi piedi. correre sotto il muraglione per un breve pezzo e risalire sulla ferrovia dal tratto meno illuminato.
    Bisognava ora solo aspettare e pregare e sperare. Attimi di suspence durata pochissimo perché, di nuovo come un felino che ghermisce una preda con un balzo, da sotto si sono viste le braccia di Salva-Tore avvinghiare fulmineamente da dietro il pover'uomo e rovesciarlo a terra ai suoi piedi.


    Bisognava ora solo aspettare e pregare e sperare. Attimi di suspence durata pochissimo perché, di nuovo come un felino che ghermisce una preda con un balzo, da sotto si sono viste le braccia di Salva-Tore avvinghiare fulmineamente da dietro il pover'uomo e rovesciarlo a terra ai suoi piedi.
    Insomma, Salvatore/Tore, che non era in divisa - allenato però al dovere civico e alle imprese anche dall'essere sempre un Vigile del Fuoco - ha davvero compiuto un'azione Eroica, con straordinarie doti di capacità fisica e lucidità mentale in un momento davvero critico.
    (foto del muraglione da Gallura news)

    Il secondo caso è questo


    26.7.20

    il caso di Mahmood e della ferragni come promoter ei musei l'arte piegata a merce

    L'immagine può contenere: 1 persona, testo
    sembrerò  un vecchio ,  all'antica    ma  Montanari    ha  ragione  . e  condivido    questo  suo intervento   sul  fatto del  16\7\2020   sotto riportato a sinistra   . 
     Anche  se   ha  dimenticato   ( ma   forse lo reputava  ovvio  ed   scontato  da parlarne solo alla fine   per    chi  ancora  non ha  mandato il cervello  all'ammasso   \  in cassa integrazione  oppure mancanza  di  spazio nell'articolo  per  approfondire  meglio  tale  metodo  )   che   tale  battaglia  dovrebbe  essere  combattuta   anche  fuori  dagli ambienti  scolastici ed  accademici    e  senza    nozionismo    altrimenti i  giovani   che   già  le    giudicano  anticaglie   o cose  vecchie   o  vi si  avvicinano  per  imitazione  passiva 

      Come le pecorelle escon del chiuso
      a una, a due, a tre, e l'altre stanno
      timidette atterrando l'occhio e 'l muso;
      e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
      addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
     semplici e quete, e lo ’mperché non sanno;
      sì vid’io muovere a venir la testa
      di quella mandra fortunata allotta,
      pudica in faccia e ne l’andare onesta.
                       dante  Purgatorio canto III   79-84

    Amazon.it: "Ciao, Prof!" - Porcino Ferrara, Cristian A. - Libri   solo perchè  ne  ha  parlato  un  vip  o  si è  fatto  un  selfie . Va bene   aprirsi e  contaminarsi   per  aprirsi al mondo  ed   hai  giovani    come  fa   ed   ha  raccontato   nel   suo  libro Ciao  prof   (   foto  a  destra )   e  da  noi recensito   ed  intervistato    l'amico  prof  cristian    porcino






































    ma  qui    si mortifica   e  si mercifica   l'arte.

    P.s

    questo post era pronto alla pubblicazione   quando  su twitter  ricevo questo commento che  da  origine   alla discussione  sotto riportata 

    @ciriacomerolli 
    ciriaco merolli
    Cosa vuol dire senza nozionismo? Spieghi! Magari pressappochismo, superficialità, confondere le date, e quindi i contesti in cui le opere d' arte assumono il loro preciso significato...
    6:27 PM · 26 lug 2020

    Giuseppe Scano #restiamoumani #facciamorete
    @redbeppeulisse
    1h In risposta a @ciriacomerolli
    senza un complesso di nozioni, di mere notizie non approfondite né sinteticamente elaborate e organizzate; solo con il metodo di insegnamento che privilegia la quantità di nozioni acquisite rispetto alla formazione critica dell'allunno\a . ma fargliela vivere cioè portandoli nei musei , alle mostre , facendoli vedere diapositive di foto delle opere



    ciriaco merolli
    @ciriacomerolli
     ·56min
    Questo a scuola si fa. Lo so perché sono un insegnante.



    Giuseppe Scano #restiamoumani #facciamorete
    @redbeppeulisse
     ·42min In risposta a
    @ciriacomerolli
    mah . forse negli ultimi anni . io mi sono diplomato allo scientifico nel 1995 e storia dell'arte l'ho studiata a pappardella giusto per prendere la sufficienza perchè in disegno tecnico ero una frana ed non c'era proiettore e\o visite a musei . cosa che invece ho avuto all'università dove all'esame di storia dell'arte ho preso 30




    ciriaco merolli
    @ciriacomerolli
    ·1h In risposta a  @redbeppeulisse
    E nozione e nozionismo sono parole prive di senso, inventate da una certa teoria della didattica, che immagina si possa prescindere dalla cronologia e dalla precisione delle informazioni.


    12.4.18

    BEBE VIO SU TOPOLINO ma i media non hanno qualche altro atleta disabile da santificare ?

    Ma basta non se ne può più ci manca solo che spunti fuori quando apri la moca del caffè...ma basta, trattatala con rispetto, come una persona qualsiasi. 

      da  https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/04/11

    Niente limiti per Bebe Vio che diventa anche un fumetto su TopolinoLa schermitrice 21enne, medaglia d’oro di fioretto alle Paralimpiadi di Rio 2016, ha sempre amato le sfide, anche quelle considerate impossibili. Una fra tutte? Quando ha deciso di farsi un selfie con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, superando le regole imposte dai servizi di sicurezza a stelle e strisce. Bebe, in pochi anni ricchi di trionfi sportivi internazionali, è diventata un simbolo vincente di vitalità, determinazione, passione agonistica e soprattutto rispetto delle diversità per un mondo fatto di inclusione per tutti, in particolare per i bambini con disabilità. Così a renderle omaggio ci ha pensato anche Topolino. Il numero 3255 del settimanale della Disney, in vendita dall’11 aprile con una nuova veste grafica e rinnovati contenuti, per l’occasione speciale ha dedicato alla campionessa nata a Venezia, e colpita a 11 anni da una meningite fulminante che l’ha portata all’amputazione di gambe e braccia, un nuovo personaggio chiamato Bebe Pio.

    Con i testi di Francesca Agrati, i disegni di Mattia Surroz e le foto di Barbara Santoro, Bebe è protagonista di tre brevi storie che traggono spunto da fatti realmente accaduti della sua vita, dal selfie con il predecessore di Trump alla passione per la moda e i tacchi alti, passando per l’amatissimo nonno che conserva tutti i suoi trofei. “Se c’è un ostacolo, c’è anche una soluzione. E bisogna iniziare proprio dai bambini”, dice rispondendo alle domande dell’intervista dei due Toporeporter Giulio e Andrea di otto anni, “perché i grandi ce li siamo già giocati, mentre su di voi possiamo ancora contare. Se un bambino vede una delle mie protesi non si volta dall’altra parte, ma mi chiede come funziona, mi tocca, mi chiama Barbie Robocop. E’ figo. Tanti grandi, invece, mi guardano strano, scantonano: la non conoscenza crea la paura”.La giovane autrice del libro “Se sembra impossibile, allora si può fare” è protagonista anche di un filo-diretto con i lettori di Topolino grazie all’iniziativa “Scrivi a Bebe”. L’obiettivo è invitarli a inviare a superbebe@topolino.it messaggi e disegni dedicati al tema “Supereroi oltre le barriere”. I migliori tra quelli inviati verranno pubblicati sul numero di Topolino di metà giugno, in occasione deiGiochi senza barriere, l’appuntamento che si terrà il 14 giugno allo Stadio dei Marmi di Roma organizzato dall’associazione Art4sport della famiglia Vio. L’organizzazione è nata per aiutare i portatori di protesi a praticare il loro sport preferito, trovando nella passione sportiva un motivo per reagire alla malattia.





    Sai di aver raggiunto il successo, non quando vinci l'oro a Rio 2016, ma quando la Disney ti dedica la tua versione papero con storia annessa 
    😁😁


    11.3.16

    perchè non parlo qui o su fb del delitto Delitto Varani,

    Musica  pere  sdrammatizzare  :




    a tutti quelli\e che mi chiedono :_<< nulla sull'omicidio di Roma ? >> oltre a non essere tanto per i casi di cronaca nera , anche s e a volte ne ho parlato o lasciassero che ne scrivesse . E poi ne hanno già parlato e se ne continua a parlare nei media e la rete .Infatti
    Luca Varani
    Tv, siti web, giornali, quando si ritrovano tra le mani un caso di omicidio ricco di particolari morbosi, si sa, ci vanno a nozze . È quello che sta succedendo in questi giorni con la storia del giovane Luca Varani ucciso da Marco Prato e Manuel Foffo, rei confessi. C’è tutto: alcol, droga, sesso, bagordi, festini, inspiegabile crudeltà , omosessualità , ecc . Per questo i media non smettono di parlarne e  chi sa  fino  a   quando continueranno   nonostante gli assassini siano già stati arrestati e
    fondamentalmente non ci sia alcun mistero da risolvere. C’è però tanto squallore, tanto sbigottimento davanti a una vicenda del genere, tanti dettagli schifosamente morbosi che “fanno audience” e vengono spolpati fino all'osso dai giornalisti  e  non .
    È così dovuto intervenire  (  cosa   che  di solito  non  fa  con il normale  sciacallaggio  , forse perchè  n è una persona   VIP  o vicino a tale mondo  )    il Garante della Privacy che, con una nota, invita i media alla sobrietà. Ecco il testo:

    “In riferimento all'omicidio di Luca Varani, si è riscontrato nelle cronache giornalistiche di questi giorni un eccesso di particolari riguardanti la vita sessuale e familiare dei soggetti coinvolti (compreso il rapporto di filiazione della vittima), che colpisce nei propri sentimenti e affetti le rispettive famiglie.
    Il Garante per la protezione dei dati personali rivolge un appello a tutti i media affinché, nell'esercizio del legittimo diritto di cronaca riguardo ad un fatto di sicuro interesse pubblico, mantengano sobrietà, responsabilità e sensibilità ed evitino accanimenti informativi sul caso, astenendosi dal riportare dettagli eccessivi e limitandosi a profili di stretta essenzialità”

    Ora  mi  chiedo e   chiedo a quelle persone     che mi  chiedono come mai non ne parlo   :  ma  che senso ha stare ancora a parlare di queste due "persone" ,ancora  ( non è il mio caso ) a giustificarle perché'sotto effetto di cocaina e alcol,ancora a scrivere le loro inutili dichiarazioni per salvarsi il culo farsi dare il minimo della pena .

    La vittima, Luca Varani, e Marco Prato, uno dei due killer


    Infatti Il problema e'che sono persone malvagie, indipendentemente dalla loro sessualità , come tante .Ricordarsi i particolari della serata fa intendere la consapevolezza delle azioni compiute . Anche Mario Alessi ha ucciso un bambino senza droga e senza alcol ..........!
    Concludo Concordando con quanto dice Sara Caruana snei commenti nella pagina fb del quotidiano l'unione sarda tutto ciò è assurdo... Pensare che dei bravi ragazzi possano nascondere tante depravazioni, quali alcool...droghe e atteggiamenti omosessuali...senza che nessuno si accorga di nulla...famiglia...ragazze...amici.
    Datemi pure del moralista , dell'auto censore tanto non me ne può fregare de meno . Se non ne parlo non è , come potrebbe ipotizzare qualcuno , che voglia fare come il fascismo che vietava di parlare sui giornali di fatti di cronaca nera , ma il fatto è che spesso i casi di cronaca vengono trattati come se fossero fiction da gente che non ha alcuna cognizione di cosa sia un processo penale. E per colpa di questo modo di operare ci vanno di mezzo tutti: professionisti, imputati, indagati e persone offese e loro familiari . Se si osservasse in modo corretto e si ascoltassero davvero i vari interventi si coglierebbe immediatamente la differenza tra chi svolge la professione di criminologo ed avvocato e chi invece si improvvisa per apparire in TV e internet . << Il problema principale è >> come giustamente dice Pierluigi Antonio nei commenti a questo post sulla pagina facebook di logichecriminali << che la causa dell'invasione delle trasmissioni che trattano casi di cronaca è soprattutto pecuniario, i responsabili dei palinsesti non fanno altro che sfruttare la morbosa brama di sapere dello spettatore (che non è la stessa cosa della fame di conoscenza) e volente o nolente tutti gli attori chiamati a partecipare non sono altro che ingranaggi per far aumentare lo share e gli introiti a vari livelli. Do ragione a Flaminia, un buon professionista deve studiare i fatti dal punto di vista oggettivo perché la verità è li e non nei giudizi di pancia che il popolo della tv è abituato a dare.>>

    Ma  sopratutto     rispondo a


    Esteban Laquidara Omissione mediatica per nascondere un omicidio di una coppia omosessuale?
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    Giuseppe Scano per niente perchè non c'è niente d'aggiungere alla crudeltà di tali individui . non m'importa se siano omo o etero . sempre bestie sono
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    Non so più che altro dire e mi fermo qui lasciandovi a questa canzone della mia infanzia ( anche se sono del 1976 ) : Vengo anch'io. No, tu no (1967) di F. Fiorentini - D. Fo - E. Jannacci

    6.11.13

    Iosefa idem il coraggio di rincominciare partendo dalla fine e M.Tyson partendo dall'inzio e arrivando alla fine

    musica consigliata Bill Conti - Gonna fly now (Rocky)

    In questo caso, come  le  altre  , cerco di  appplicare  il  : << Nolite iudicare, ut non iudicemini (Vangelo secondo Matteo 7, 2)>> oppure  << Nolite iudicare, et non iudicabimini" (Luca 6,37)  >> oppure ancora  "Chi sono io per giudicare?" (Papa Francesco).
    Dico solo che l'articolo su tysn me lo fa sentire vicinissimo come l'imperatore indiano Ashoka che dopo tante guerre e strage di uomini si converti' al buddismo e prese ad erigere templi e non piu' eserciti e guerre



    dal'unione sarda del 3\11\2013


    Iosefa Idem, gloria poi dimissioni E il coraggio di ripartire dalla fine
    di LUCA TELESE


    Quel giorno, il 24 giugno del 2013, se lo ricorda bene: «Ero sul volo Dusseldolf-Roma. Ero andata in Germania per il matrimonio di mia sorella. In Italia esplodeva la polemica sulla mia casa. Quel giorno sono morta. Ero la ministra affondata, imprigionata nella fila numero otto. Piangevo. Le mie dimissioni erano diventate inevitabili». Non ne ha parlato a lungo, adesso lo racconta. Non ha voluto rispondere a nessuna domanda, adesso spiega.
    IL PIANTO SOLITARIO Quel giorno Iosefa Idem, campionessa tedesca prima e italiana poi, quindi senatrice del Pd e infine ministra se lo ricorda bene: è il giorno in cui in quel pianto silenzioso nella
    poltrona di un volo di linea è finita una delle sue tre vite. Il giorno dell'addio al governo. Oggi, pubblicando l'autobiografia, con il coraggio che i campioni veri hanno, ha deciso di partire da quella sconfitta, per raccontare (anche) le pagine più belle della sua carriera. Iosefa, per gli amici “Sefi”, ha intitolato il proprio libro Partiamo dalla fine (Mondadori, 245 pagine), proprio per dire questo: chi vince deve sempre saper ripartire dal fondo, da quello che non va, dalla cifra che non torna. Quando l'ho incontrata per intervistarla le ho fatto rivedere le immagini di quella sua ultima conferenza stampa a Palazzo Chigi, quella con cui - prima di quel viaggio in Germania - si era difesa ruggendo: «Mi hanno chiamata Sefi la furbetta dell'Imu... Mi hanno dato della puttana...». Per un attimo la Idem di oggi è rimasta interdetta guardandosi: «Non mi ero mai riguardata. E - ammette - oggi rivedendomi non mi piaccio. Non ero me stessa, non ero io. Ero una persona che si sentiva accusata ingiustamente e braccata dai media. Era vero che mi hanno braccata. Ma ho dato il peggio di me».
    IL CASO IMU Adesso invece può parlare di quella vicenda: dell'Imu agevolata sulla sua seconda casa, delle polemiche feroci, della palestra che c'era dentro, dell'accusa di abuso edilizio. «Il giorno in cui ho visto Maradona fare il gesto dell'ombrello - mi dice - ho pensato: non posso sembrare nemmeno lontanamente come lui. Ho tutte le mie ottime ragioni, la mia spiegazione, ho pagato l'ammenda di tremila euro che mi hanno comminato, ma non posso confondermi con lui. Oggi dico: sulla casa ho sbagliato. Ma ho sbagliato perché non ho controllato abbastanza, non perché ho mentito. Ho sbagliato perché ho commesso una leggerezza e non ho controllato i miei collaboratori, non perché volessi nascondere qualcosa. Sulla vicenda della palestra - spiega la Idem - non sono stata incastrata da qualche indagine, ma dalla mia stessa richiesta di sanatoria, la Scia, che ho depositato perché ammettevo una irregolarità e mi offrivo di sanarla. Per la vicenda della residenza sono stata leggera - dice ancora - ma sarei pazza se, come ha ipotizzato qualcuno, avessi fatto figurare la mia residenza sotto un tetto diverso da quello di mio marito per risparmiare duecento euro l'anno!». Fa una pausa. «In ogni caso - conclude - posso essere orgogliosa di questo: in un paese in cui non si dimette nessuno, io per tutto questo ho pagato: ho lasciato un posto da ministra». E poi: «Fino a quella polemica la gente mi vedeva con l'aureola. Dopo per mesi ho sentito il peso di una gogna. Adesso sono in pace».
    VITA COME UN ROMANZO Se però oggi vi parlo della Idem, è perché il suo Partiamo dalla fine non è solo uno slogan, ma anche il racconto avvincente di chi dopo aver raggiunto traguardi impensabili si volta indietro e prova a spiegare come ce l'ha fatta. È un viaggio intrigante, questo percorso a ritroso, anche per chi non è appassionato di sport o di atletica. Perché Iosefa ha una vita che pare un romanzo, o uno di quei film americani che partono male e finiscono con un lieto fine. Prima di vincere trentotto medaglie, infatti, prima di diventare l'unica donna (fino ad ora nessuna meglio di lei) che è riuscita a partecipare a otto diverse olimpiadi, la Idem è stata una ragazza capace di dubitare cento volte del proprio talento. Una atleta di cui a 24 anni, e prima che battesse ogni record di longevità, il suo allenatore tedesco arrivò a dire: «Iosefa ormai sei troppo anziana per diventare campionessa». Lei stessa dice di sé: «Ho un cuore da 56 battiti a riposo: certi campioni ne contano la metà. Ho una soglia anaerobica normale. L'emoglobina bassa, l'ematocrito di una casalinga». E ride. Dopo i primi anni di gare, il padre, uomo di provincia e di buonsenso arriva a dirle: «Senti, fai il concorso per diventare poliziotta: se con lo sport non riesci a combinare nulla, almeno un lavoro sicuro lo hai». E lei il concorso, quando era una atleta tedesca, lo fa e lo vince pure.
    È vero però che la Idem ha cambiato paese, e cittadinanza, perché sente che il mondo, e la mentalità in cui è cresciuta non le bastano più. Ma il cuore di tutto sono quelle benedette partenze false. «Io, in tutta la mia vita, ho avuto sempre la partenza lenta: sono un diesel». La partenza lenta è quella che la frega in tuta la prima parte della carriera, nelle prime due olimpiadi combattute portando il tricolore tedesco. Il suo allenatore tedesco la tempesta di allenamenti, le impone uno stile da caserma, le fa crescere dentro insicurezze e dubbi.
    SCEGLIE L'ITALIA Poi la svolta. Conosce il suo futuro marito, Guglielmo, un romagnolo che allena una squadra di pallavolo. Sceglie insieme lui e l'Italia. Insieme inventano un nuovo metodo. La Idem prende la cittadinanza italiana. Cambia il lavoro sul corpo, ma soprattuto quello sulla sua testa: «Sono quello che sono perché ho sommato al rigore tedesco la fantasia italiana. Oggi so che l'agonismo sportivo è come un muscolo: se vai in canoa pensando solo al risultato sei sempre in lotta tra i tuoi muscoli e la tua volontà. Ma il muscolo contratto - osserva la Idem - è un muscolo che fatica di più, e alla fine si spezza». Cambiare paese significa cambiare vita: trovare un nuovo metodo di allenamento con Guglielmo, dire addìo ai ritiri-prigione, fare dei figli, e portarseli sorridendo in giro per il mondo come pochi altri. «In una olimpiade mio marito si arrabbia: non puoi rimanere concentrata se ti svegli la notte per il piccolo. Lo farò io». Così la Idem riesce a partire più veloce, a passare dal bronzo all'oro, ad arrivare a quella ultima olimpiade, nel 2012: «A Londra sono arrivata quinta- sorride - ma alla mia età per me è stato come prendere un oro». Perché questa è l'ultima lezione: «I traguardi non sono tutti uguali». Adesso la Idem fa la senatrice. Sa che il suo difetto è sempre partire lenta. Ma ha imparato che sulla sua canoa - come nella vita di tutti - chi non perde il controllo e l'equilibrio arriva sempre lontano.




    da repubblica del 4\11\2013












    Mike Tyson a 47 anni è un uomo diverso dalla “belva” campione del mondo dei pesi massimi. Ora si confessa in un libro. Emanuela Audisio l’ha incontrato a New York



    Mike Tyson, c'era una belva: "Cerco solo tranquillità gettatemi nella polvere"
    Mike Tyson Arrogante, rabbioso e violento, picchiatore sul ring, disperato fuori: una vita di pugni e droga, alcol e solitudine. L'ex pugile si confessa mentre esce la sua autobiografia
    dalla nostra inviata EMANUELA AUDISIO






    Mike, c'era una belva Cerco solo tranquillità gettatemi nella polvere

    NEW YORK - La sua arroganza sul ring era splendida. Una rabbia genuina, i sottotitoli non servivano. Un mostro attraente. Brutto, sporco, cattivo. Ora ha gli occhi bui, le cosce grosse, e sbadiglia spesso. Un animale stanco che sbatte tristemente la coda. Da campione dell'eccesso a uomo dimesso. Letargico, cloroformizzato. Chiede un piatto di spaghetti con gamberetti. La solita voce da gattina. Il tatuaggio maori che copre metà del viso non mette più paura, un vecchio graffito stinto. Più vere le cicatrici sulle sopracciglia. Mike Tyson, 47 anni, tanti soprannomi, da King-Kong al Cannibale, da Iron Mike a conte Ugolino della boxe. Ma anche tanta sostanza: il più giovane campione mondiale dei massimi della storia a soli 20 anni. Un picchiatore, il re dei ko: 44 in 58 incontri. Vi staccava la testa senza problemi. Pure l'orecchio, masticato e sputato come un chewing-gum. Se soffrivate, meglio. A lui non fregava. Un bruto. Molto bravo e very fast. Ci sono cattivi mediocri, lui non lo era. Puntava al bersaglio grosso. Era ripagato: vita da nababbo, 300 milioni di dollari in tasca. Tutti bruciati. In bancarotta dal 2003. Come e dove lo racconta nella sua autobiografia "True" (Piemme edizioni, dal 19 novembre in Italia) scritta con il giornalista Larry Sloman. Una vita pesante: droghe, pugni, alcol, dolore, solitudine, tradimenti. Un angolo disperato. Da cui oggi implora di uscire. Vuole una mano.
    La sua arroganza sul ring era splendida. Una rabbia genuina, i sottotitoli non servivano. Un mostro attraente. Brutto, sporco, cattivo. Ora ha gli occhi bui, le cosce grosse,e sbadiglia spesso. Un animale stanco che sbatte tristemente la coda. Da campione dell'eccesso a uomo dimesso.



    Letargico, cloroformizzato. Chiede un piatto di spaghetti con gamberetti. La solita voce da gattina. Il tatuaggio maori che copre metà del viso non mette più paura, un vecchio graffito stinto. Più vere le cicatrici sulle sopracciglia.
    Mike Tyson, 47 anni, tanti soprannomi, da King-Kong al Cannibale, da Iron Mike a conte Ugolino della boxe. Ma anche tanta sostanza: il più giovane campione mondiale dei massimi della storia a soli 20 anni. Un picchiatore, il re dei ko: 44 in 58 incontri. Vi staccava la testa senza problemi. Pure l'orecchio, masticato e sputato come un chewing-gum. Se soffrivate, meglio. A lui non fregava. Un bruto. Molto bravoe very fast. Ci sono cattivi mediocri, lui non lo era. Puntava al bersaglio grosso. Era ripagato: vita da nababbo, 300 milioni di dollari in tasca. Tutti bruciati. In bancarotta dal 2003. Come e dove lo racconta nella sua autobiografia "True" (Piemme edizioni, dal 19 novembre in Italia) scritta con il giornalista Larry Sloman.
    Una vita pesante: droghe, pugni, alcol, dolore, solitudine, tradimenti. Un angolo disperato. Da cui oggi implora di uscire.
    Vuole una mano. «Sono diventato vecchio troppo presto e intelligente troppo tardi». Ha otto figli, una, Exodus, è morta a quattro anni nel 2009 strozzandosi per sbaglio con una corda.< Tyson, è stata una fatica scrivere? «È stata una sofferenza, riandare indietro a tutto quello che mi è successo. E non mi sono nemmeno censurato. Non ne esco per niente bene. Un egoista, un porco, un arrogante, un bullo, una merda, troppo ubriaco, quasi sempre drogato.
    Erba e cocaina, insieme. Morfina. Allucinogeni. Malato di sesso. Abbonato alle orge, se non eravamo in venti non mi divertivo. Un manesco che sragionava. Per dirla con uno slogan: boxing, bitches and babies. Pugni, puttane,e bambini. Non mi sono mai sentito amato, a quel punto chissenefregava di comportarsi bene. Sono stato a Saint-Tropez, belle feste e yacht da sogno, ma c'erano solo bianchi. Mi sono sentito a disagio, io sono un topo da strada, vengo dal ghetto. Da ragazzo non sapevo nemmeno cosa fosse l'igiene, nessuno mi aveva detto che bisognava pulirsi il sedere. Nel libro non ci faccio una bella figura. Ma non mi importa: io rivendico il ghetto, gli appartengo, non mi vergogno».

    Però Hollywood veniva ai suoi incontri.

    «Adoro Barbra Streisand, anche lei è di Brooklyn. È sempre stata carina con me, le ho anche detto che ha un naso molto sexy. Con Naomi Campbell ci siamo attratti, eravamo tutti e due agli inizi, mi hanno subito detto che dovevo lasciar perdere, lei stava diventando una modella importante. Sono andato a Neverland da Michael Jackson che continuava a ripetermi quanto fosse importante riposarsi la notte e mi chiedeva: tu dormi? Come potevo sapere che si faceva fare delle pere micidiali per prendere sonno? Magic Johnson venne a testimoniare per me quando si trattò di ridarmi la licenza dopo il morso a Holyfield, ma le sue parole non mi piacquero per niente. Disse che voleva insegnarmi a diventare un uomo d'affari, che conoscevo i soldi, ma non li capivo, e li davo via.

    Che c'è da capire sui soldi?
     O li hai o non li hai».

    E John Kennedy Jr. arrivò a trovarla in carcere.

    «Nel '99 quando ero rifinito in prigione nel Maryland per un tamponamento, anche umano. Cinque mesi in cella. Conoscevo John da quando andava in bicicletta a New York, mi aveva invitato nell'ufficio dove pubblicava "George". John venne in aereo con l'istruttore.
    Mi pregò di non dire alla sua famiglia della visita, non ero ben visto. Mi spiegò che era male aggredire verbalmente e fisicamente qualcuno. E che il mondo è pieno di stronzi da mandare a quel paese, ma dentro di te, senza urlare davanti alla gente.
    Diceva che ero lì solo perché nero. Voleva portami con lui ad Aspen. Ma non ci sono neri ad Aspen, gli dissi. Ne convenne.
    Allora gli chiesi di raccomandarmi a una sua cugina, governatrice del Maryland. Avevo già fatto quattro mesi, me ne aspettava un altro. Non la conosco, mi rispose. Ma se giocate insieme a football ad Hyannis Port, replicai. Sorrise e se ne andò.
    Guarda caso, poco dopo fui liberato».

     Le sue prigioni però non sono state un dramma.

    «Tre anni per uno stupro non commesso. Ho fatto sesso sì, ne ero malato, ma in tante si sono approfittate e mi hanno fatto causa. Ho anche filmato i miei incontri a letto, ho comprato video porno nei negozi, usato il Viagra, dormito negli stripclub, ho tradito e ritradito, preferivo le spogliarelliste, già nude. Non ne vado fiero, ma l'ho fatto. In carcere mi incontravo con una donna, varie volte al giorno, usavo lo stratagemma del vestito allacciato con dei bottoncini. Ordinavo i pasti fuori, pure per gli altri. Se qualcuno aveva bisogno, risolvevo io. Pagavo anche i funerali dei miei amici che nel frattempo venivano uccisi. Chiamavo al telefono a carico del destinatario, poi mi sono anche procurato un cellulare. Il carcere non riabilita, anzi disabilita, diventi paranoico. Larry King venne ad intervistarmi, mi lamentai, non potevo mica dirgli la verità che Versace mi mandava gli inviti.Sono sempre stato un material boy». Tanto, tutto, troppo.

    «Cafone, volgare, miserabile.

    Ce l'ho scritto in faccia. Entravo nei negozi e compravo tutte le Rolls, le amplificazioni dentro costavano più dell'auto. Presi la casa più grande del Connecticut: 13 cucine, 19 stanze da letto, volevo metterci 19 ragazze, la mia camera era di oltre 600 metri quadrati, mi sembrava di essere Scarface. Per più di una settimana ho dimenticatoa terra una sacca con 100 mila dollari. Mi piaceva la storia dei grandi pugili: Jack Johnson, campione dei massimi, avvolgeva un fazzoletto attorno al pene per farlo sembrare più grande e suscitare l'invidia sessuale dei bianchi. Joe Louis si faceva di coca e di donne. Ma di lui nessuno parla male. Il cattivo sono sempre stato io, non i falsi buoni. In tutte le cliniche di disintossicazione che ho frequentato c'erano attori, cantanti artisti. Di loro non si sarebbe mai detto, eppure venivano da me a cercare roba. Io avevo tutto del tossico, ero riconoscibile, loro no. E questa è la gente che vuole insegnarmi come vivere? Si fottano con le loro belle maniere. Io sono scoppiato ogni volta che hanno tentato di rendermi mansueto. Non è la mia identità fare la scimmia ammaestrata. Prendete Holyfield: sul ring mi ha dato 15 testate, ma per tutti era un santo perché cantava i gospel. Mi hanno dovuto tenere in cinquanta. Ero una belva, molto più della mia tigre».

    Che fine ha fatto Kenya?
     gelosa di me. Dormivamo a letto insieme, la portavo ai miei incontri, la lasciavo in albergo e lei distruggeva la stanza. Ho dovuto comprare un camion con 18 ruote per trasportarla. Si è mangiata il tetto di una mia Maserati e ha mozzicato anche una signora che era venuta ad ammirarla. Gli animali sono strani, ti fanno avvicinare, e un bel giorno decidono che ne hanno abbastanza».

    Las Vegas non è il posto migliore per una tigre.

    «Nemmeno per un leone, stava in giardino, metteva pauraa tutti. Mi ha morsoa un braccio, all'ospedale mi hanno dato sei punti, non ho detto che era stato lui, anche se l'avrei ammazzato». Più bello stare lassù, in cima al mondo, o a terra? «Meglio ora. Senza gloria.

    Non bevo più champagne, non ho la Ferrari ma sono più consapevole. Cerco di stare lontano dai guai, di non avere problemi, di non tradire mia moglie, di fare una vita normale. Mi sveglio presto, alle 4-5, faccio ginnastica, accompagno i bimbi a scuola, vado in palestra nel pomeriggio e la sera a nanna alle sette. Mi mantengo facendo l'ospite, documentari, pubblicità. Guardo avanti, ringrazio di non essermi preso l'Aids, con tutti i rapporti non protetti con professioniste del mestiere. Ho avuto fifa quando ho iniziato a perdere peso, anche perché io sono ciccione di natura, ho tempestato i dottori, invece era solo un'intossicazione alimentare presa a Cuba».

    La boxe di Ali aveva altre letture. La sua?
     «Non ero Ali. Sono un depresso cronico, lo era anche mia madre, morta alcolizzata, mia sorella, obesa, si è fatta un tiro di coca sbagliato, e non si è più risvegliata, io ho fumato l'eroina da ragazzo, da piccolo mi addormentavo con un bicchiere di gin Gordon, a 11 sono passato alla cocaina. Di cosa stiamo parlando? La mia lista di farmaci è stata sempre lunga: Decapote, Neurontin, Zyprexa, Abiligy, Cymbalta, Wellbutrin XL, Tricor, Zocor. A parte qualcosa per il colesterolo sono tutte droghe, stabilizzano l'umore. Mi battevo per me, per chi non ha soldi, ho rubato per comprarmi i vestiti per il funerale di mia madre, buttata lì senza una lapide. Mia madre non mi ha mai baciato, picchiava i suoi uomini, mai vista dare una carezza. Quando il reverendo Jackson mi ha ribattezzato, da grande, io mi sono portato a letto una corista, che avevo subito adocchiato. Volevate discorsi intelligenti sulla società?». Il pugilato l'ha salvata o condannata? « La boxe mi ha dato una grande opportunità. Non è colpa sua. Ancora non capisco come Cus D'Amato, che mi ha preso dal riformatorio e che per me è stato come un padre, abbia potuto vedere in me un campione del mondo. Avevo solo 13 anni, e nessuna autostima. Ma nella boxe ci sono squali e profittatori. Gente che si avvantaggia e guadagna su dolori e debolezze umane. I pugili sentono, mica sono scemi, D'Amato agli inizi mi aveva perfino portato da un ipnotizzatore». Come va la disintossicazione? «Sono pulito da due mesi e mezzo. Cerco tranquillità.
    Quando muoio voglio una lapide con la scritta: Ora sono in pace. Chiedo il funerale più povero del mondo. Nessun abito bello, nemmeno la bara voglio, buttatemi nella polvere. Ma sono sicuro che i pugili del futuro verranno a trovarmi, così come io sono andato sulle tombe dei grandi del passato. Prima ero qualcosa. Ora mi basta essere qualcuno. Per me e la mia famiglia»..






    Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

    Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...