per i 30 anni della strage di via d'amelio iniziamo ad evitare che falcone e borsellino siano solo dei santini pulicoscienza e a buttare via la retorica e a guardare l'abbisso

in  sottofondo
J.S. Bach: French Suites

  tra  3  giorni ricorre il  30   enale  della strage  di   via  d'amelio   che  dire   che non  stato   già  detto  o  scriito   ma  soprattutto  cadere    nella    retorica   ?   non concetrandosi solo  su  di lui  ma  anche  sulle   persone della sua   scorta  e far parlare  eo riportare   come   ho fatto io  nel post  : 


<<   La strage di via  d'amelio   19 luglio 1992 non  fu solo ucciso    Borsellino  ma  anche   Manuela  Loi  , Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina >>  interviste a familiari  dei  sui agenti  della scorta  , la  sorellla  di Emanuela loi  in  questoi  casoi   .  Un buon puti  di partenza  sarebbbe    di    provare     a  mettere in atto    questa  poesia di Salvo Vitale   di 


                                   Parole

"Siamo tutti bravi,

facciamo le manifestazioni,

ci mobilitiamo per ricordare i morti,

sì, la memoria è necessaria,

un popolo senza memoria

è un popolo senza storia,

e blablabla,

sapienti architetture di parole,

con fiocchetti, analisi,

interventi scritti, applausi,

giacca e cravatta sotto il sole torrido,

apprezzamenti per i successi conseguiti,

parate disparate,

presenza d’obbligo delle forze dell’ordine,

strette di mano, baci, targhe,

e più recentemente alberi,

rassegne dei tipi più squallidi,

in rappresentanza delle istituzioni,

il presidente, il deputato,

il sindaco, gli assessori,

il capitano, l’arciprete, i parenti,

apoteosi del cerimoniale,

passeggiate sul sangue dei morti,

scoramenti, scornamenti,

se ci va lui non ci vengo io,

verifiche dei partecipanti,

la città che non c’era,

Peppino è vivo,

non certo tra i compagni a pugno chiuso,

perché Peppino è morto

e non lotta più insieme a noi,

Paolo vive,

non certo tra i camerati a braccio alzato,

perché Paolo è morto nel caldo di luglio,

assieme ad altri di cui possediamo l’elenco

e ad altri ancora che non ne fanno parte,

e poi, dopo la morte l’imbalsamazione,

la tumulazione nel pantheon dell’immobilità

la cera nelle orecchie per non sentire le urla,

lo stupore, l’angoscia del mare della morte

che si chiude sulle loro teste per sempre,

dentro uno spazio senza tempo.

L’applauso è un addio che ci distanzia

dalla condivisione delle loro scelte.

Più amara l’apparenza dell’impegno

che nasconde un qualche interesse.

“Noi ci dobbiamo ribellare…”

E come?

Chi si permette di dirlo è un sovversivo"


 e   fare   come  suggerisce     quest  articolo  https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/05/23/falcone-e-borsellino-non-sono-dei-santini-buttiamo-via-la-retorica-e-guardiamo-labisso/6600913/  di Domenico Valter Rizzo  in particolare  : << [...] Due santini, avvolti nella carta velina della retorica. Gli “eroi antimafia” diventavano qualcosa di avulso dalla realtà. Si parlava del loro sacrificio, ma sempre meno del loro lavoro e si cominciava a trattare sempre con più sufficienza chi faceva e si faceva domanda sul perché erano morti. Complice una cultura da strapaese e una folta schiera di giornalisti innocui, che sostituivano l’analisi con l’aneddotica.E così comincia il grande mascariamento. Li abbiamo visti sfilare certi paladini dell’antimafia. Una schiera che incarnava, dandogli plastica fisicità, l’assunto, allora mal calibrato sull’obiettivo, di Leonardo Sciascia quando parlava di professionisti dell’antimafia. Eppure in questi trent’anni persino l’analisi di Sciascia non basta da sola a decifrare ciò che è accaduto. Sciascia indicava come obiettivo la carriera. Questo è valso per alcuni soggetti: poliziotti, giornalisti con passato ambiguo, qualche politicante, ma non può bastare a descrivere ciò che è avvenuto dietro i cartoni con l’effige di Falcone e Borsellino. L’antimafia che diventa sistema di potere con metodologia mafiosa. Che non usa i killer per ammazzare a colpi di pistola chi non si piega; tiene invece i fili di tanti burattini istituzionali, di magistrati, di poliziotti di uomini dell’intelligence che, più o meno ingenuamente, diventano gli strumenti per assestare colpi pesantissimi a chi osava opporsi al sistema di potere. .... >>   Ritornare  quindi alle  origini  della   lotta  alla mafia   e  ridare  dignita  al motto  “La mafia è una montagna di merda”,  come  diceva Peppino Impastato. Anche  se   prima  dirlo  a  Cinisi, sul finire degli anni Settanta significava morire. Dirlo   oggi  è  diventato   uno sport assolutamente innocuo ed era anzi il viatico per ricucirsi l’imene, dopo aver frequentato i peggiori postriboli. Infatti  Persino Totò Cuffaro, condannato per mafia ci prova con un certo successo a ripulirsi con un “la mafia fa schifo” scritto sui manifesti. Bastano pochi anni di prudente silenzio per ripresentarsi riverniciati, applauditi e rispettabili. Cuffaro ad esempio viene impudentemente chiamato, fresco di patria galera, a far da relatore ad un paio di corsi deontologici per i giornalisti siciliani, senza che nessuno, tranne un collega che, schifato, abbandonerà la sala, abbia avuto niente da ridire e ad oggi, insieme a Marcello Dell’Utri, altro ex galeotto, indagato a Firenze per le stragi del ’93, è uno dei grandi architetti del centrodestra in Sicilia. 
 <<  Bisogna  >>  come dice sempre Domenico Valter Rizzo  nell'articolo   de il fatto citato nelle righe precedenti <<   ricordarsi di quell’estate bastarda e di tutte quelle che sono seguite e ridare umanità, concretezza, realtà a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Questo povero, sventurato Paese non ha bisogno di altri santi e santini. Non ha bisogno di eroi inarrivabili. Ha bisogno di far propria la dignità che ha perso. Le icone lavano la coscienza, deresponsabilizzano: è accaduto con la Resistenza con la quale il Paese si è lavato la coscienza dal servile ed entusiasta consenso al fascismo ed è accaduto con l’uso iconico ed innocuo delle sagome di cartone di Falcone e Borsellino. Basta una bella parata una volta l’anno e siamo autorizzati a voltarci sempre dall’altra parte.Allora buttiamole via le foto, le scritte, le frasi. Buttiamo via la retorica e guardiamo l’abisso, perché se non lo guardiamo l’abisso, non troveremo mai la forza per combattere il mostro che si annida dentro quell’abisso e dentro noi stessi.>>  Come  metterlo in atto  ?     lo  suggerisce    sia il gesto di fiammetta   Borsellino   (  figlia  di Paolo  )   che   Con una decisione carica di dignità, Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, ha appena annunciato che non parteciperà alla commemorazione della Strage di via D’Amelio  sia    le  dichiarazioni di  Salvatore  Borsellino  ( fratello di paolo  )  ad Adnkronos.com  più  precisamente    qui

Per noi -prosegue Borsellino con l'Adnkronos  - la memoria non si riduce a una sola data, magari sovrapponendo anniversari di stragi diverse per lavarsi la coscienza più in
fretta. Per la memoria, la verità e la giustizia si lotta 365 giorni all’anno e stavolta, nel trentennale delle stragi, poiché si scateneranno i megafoni della retorica e si alzeranno anche le voci di chi -da tempo- ha perso il diritto di parlare, mentre si ripetono -da parte del Consiglio Superiore della Magistratura- gli stessi errori perpetrati a suo tempo con Giovanni Falcone, abbiamo deciso di celebrare il 19 luglio all’insegna del silenzio". 






Per la memoria, la verità e la giustizia si lotta 365 all'anno, non uno  soltanto  e  per  lo  più   ne giorno comandato  e  spesso  pulicoscienza  





Commenti

Post popolari in questo blog

s-come-selen-sposa-s-come-sara-sex due destini che s'incrociano

"Meglio in cella che testimone senza scorta" Ex pentito della banda di Is Mirrionis ruba un furgone e si autodenuncia in questura

la canzone preghiera dei cugini di campagna racconta di Jole ed Ettore, i fidanzatini sassaresi lei morì di leucemia, lui si uccise