Il cellulare: simbolo non più di uno status ma della dimensione esistenziale, del mutamento antropologico ormai avvenuto. La morte di Alika Ogorchukwu di Carmen Pellegrino

 



Non volevo vederlo quel video. L'ho visto.
Un uomo inerme è morto ammazzato da un altro uomo, poi quest'altr'uomo gli ha pure preso il cellulare. Il cellulare: simbolo non più di uno status ma della dimensione esistenziale, del

mutamento antropologico ormai avvenuto. La morte di Alika Ogorchukwu (chiamiamolo con lo stracazzo di nome seguito dal cognome, non nigeriano, non mendicante trentanovenne), come tante altre, conferma una delle modalità del morire all'epoca dei social su cui postare presto i propri sensazionali video mentre, ripetiamolo, un uomo inerme - inerme - muore ammazzato da un altro uomo che, forse, quel giorno non aveva altro da fare per la sua rabbia repressa che ammazzare un uomo inerme che chiede l'elemosina tenendosi da presso la stampella che lo aiutava a camminare.
Quelli intorno, cellulare alla mano, riprendono, gli dicono di smetterla, sembrano suggerire: ti sei sfogato abbastanza, mo' basta, arrivano le guardie, uè uè tu lo ammazzi...E quello infatti lo ammazza.
Si dirà: be' vorrei vedere te davanti a una scena del genere, avresti fatto lo stesso, saresti rimasta a guardare, che potevi fare?
Ha ragione la scrittrice Grazia Verasani quando più o meno dice che siamo una società di gente che guarda il vicino dallo spioncino, ne conta entrate e uscite, ma la sua vita non gli riguarda, se gli succede qualcosa fatti suoi.
No, io non sarei rimasta a guardare. Cominciamo a dirlo che non si può sempre restare a guardare. Che se non si interviene mentre un uomo uccide un uomo inerme stiamo omettendo soccorso. Io non sarei rimasta a guardare, lo voglio dire e me ne assumo la responsabilità. Almeno un calcio nei reni glielo avrei dato e lo so che avrei corso il rischio di finire come Alika Ogorchukwu, ma a quel punto non me ne sarebbe fregato niente.
La paura della violenza, della fame, o di ogni altro male estremo, è una malattia dell'anima. Questa nota di Simone Weil la portai con me a Genova, nel 2001. E sempre per non "farmi i fatti miei" ancora mi curo un braccio e un ginocchio.
No, non sarei rimasta a guardare, lo so con certezza.
Eppure anch'io "tengo famiglia", ma i fatti miei non mi interessano più davanti a un uomo inerme che viene ucciso mentre chiede l'elemosina da un altro uomo a cui quel giorno giravano così.

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