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Si dice: perché a una donna deve essere concesso di interrompere liberamente una gravidanza e non di portarne aventi una per conto di una altra donna? In altre parole perché l’aborto sì e la GPA no? Ci accusano di essere illiberali dimenticando che una cosa è un feto, un’altra un bambino. Con la surrogata c’è un neonato coinvolto. E ci sono i suoi diritti.
Proprio nei giorni di questo giugno, quando i cortei del Gay Pride cominciano a muoversi nelle nostre città per rivendicare i loro diritti, ma anche per festeggiare le vittorie ottenute, il movimento si divide sul tema della “surrogata”, definita con un termine più brutale “utero in affitto” o con uno più elegante “gravidanza per altri”. Da una parte le donne omosessuali che chiedono una riflessione perché la maternità è argomento troppo complesso per potersi risolvere con la regolamentazione della pratica della surrogata e dall’altro gli uomini omosessuali che chiedono, invece, che questa pratica sia resa legale anche in Italia. Roberta Vannucci, fiorentina, presidente dell’ArciLesbica nazionale e in quanto tale aderente al movimento LGBT, ovvero Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans, quello che organizza i numerosi cortei di giugno che hanno sostituito la grande manifestazione unitaria di Roma, per sottolineare ovunque in maniera più evidente la partecipazione e la presenza del Gay Pride, ci spiega le ragioni della divisione.
Come mai questa scelta non più unitaria tra voi lesbiche e donne e gli altri, gay, bisessuali, trans e uomini ?
Non è una scelta che nasce all’improvviso, poco prima dell’inizio dei cortei del Gay Pride di quest’anno, per minarne l’unità, come ci è stato rimproverato. Già nel 2012, nel nostro congresso, negli atti conclusivi pubblicati sul sito dell’associazione, mostravamo alcune perplessità sulla surrogata. Ma chi li legge i nostri atti? Gli uomini, si sa, sono poco attenti alla parola delle donne. Adesso, nel momento in cui il tema è diventato all’ordine del giorno, abbiamo deciso di dichiarare pubblicamente la nostra posizione che peraltro era quella di accettare la “gravidanza per altri” solo se solidale e opporci invece a quella commerciale. Ma i confini tra l’una e l’altra, lo stiamo scoprendo, sono assai fragili.
Quante sono le vostre associate?
Siamo all’incirca duemila ma le simpatizzanti, quella che “no, la tessera no”, sono molte di più. Nel 2015 il dibattito su questo argomento tra noi era stato intenso. Che vuol dire portare avanti una gravidanza come gesto di solidarietà nei confronti di una donna che non può farlo? Non ricevere niente in cambio, né l’aiuto per far studiare i figli all’università, né il contributo per acquistare una casa, né un regalo in segno di gratitudine? Oppure accettare questi vantaggi allargando il numero delle donne disposte a farlo? Sono tante le domande. E se si deve restringere alla sola gravidanza solidale come dobbiamo comportarci? Ammettere unicamente una sorella, l’amica del cuore, la cugina ed escludere tutte le altre? Sì, ma in base a quale regolamentazione?
L’accusa più frequente è che vietando la surrogata viene limitata la libera scelta delle donne.
Lo so. Si dice: perché a una donna deve essere concesso di interrompere liberamente una gravidanza e non di portarne aventi una per conto di una altra donna? In altre parole perché l’aborto sì e la GPA no? Ci accusano di essere illiberali dimenticando che una cosa è un feto, un’altra un bambino. Con la surrogata c’è un neonato coinvolto. E ci sono i suoi diritti.
Senza dimenticare che ormai a gestire questa pratica sono organizzazioni internazionali con avvocati, medici, cliniche specializzate e tanto, tanto denaro in mezzo.
Certo, perché per la maternità unicamente solidale non c’è offerta. D’altra parte perché una donna sana di mente dovrebbe accettare di crescere nel suo corpo un bambino di cui disfarsi alla nascita senza trarne alcun profitto? La realtà è una altra. Ci sono coppie sterili, e sono la maggioranza, che vogliono un figlio a tutti i costi, e poi ci sono le coppie omosessuali maschili che vogliono anche loro un figlio ma non possono per i limiti che gli impone la natura. Per esaudire questo desiderio si è creata una attività commerciale. Si sceglie una donatrice che fornisce l’ovulo, giovane, sana, bianca, bella, e si sceglie una donna che terrà nel suo utero questo ovulo fecondato, una donna spesso povera, bisognosa, a volte perfino di Paesi in via di sviluppo. E siamo già a tre donne: tre donne libere? Non lo so. Io credo che vada fatto una riflessione sulla genitorialità. Vengo dal femminismo e un pensiero su cos’è la maternità va tentato.
Si dovrebbe rivedere in Italia la pratica delle adozioni, forse.
Sì, anche questo. So benissimo che tra un figlio naturale e uno adottivo c’è differenza. E che, per la prima volta, in Italia, ci sono più bambini che coppie richiedenti. La legge sull’adozione va cambiata. Va estesa alle coppie omosessuali e ai singoli, con tutti i risvolti psicologici e sociali che questo può comportare. Sarà una lunga battaglia che siamo pronte a combattere. Ma volere un figlio che abbia almeno in parte il patrimonio genetico di una coppia a me sembra voler aderire a un modello antico di famiglia, a un concetto che non corrisponde neanche più alla nostra realtà sociale, a un archetipo patriarcale. Riflettiamoci. Anche in Italia ormai si è coppia in tanti modi, si è famiglia in maniere diverse. Perché il figlio deve essere solo sangue del mio sangue? O almeno di uno dei due membri della coppia? Vero, oggi la scienza lo permette, ma non mi pare una risposta sufficiente. Donare un figlio non è come donare un organo per salvare una vita: crescerlo per nove mesi significa passargli una parte di se stessi e privarsene può essere una violenza innaturale. E se poi, questo figlio, da grande volesse conoscere la donna che lo ha tenuto in grembo, che si fa? E come ignorare quella che ha fornito il suo ovulo cioè metà del patrimonio genetico nucleare di questo figlio? Quante madri ha un essere umano nato con la GPA?.
Gli uomini gay vi rimproverano di aver fatto una scelta egoistica prendendo questa vostra posizione.
Lo so. Noi lesbiche siamo donne, abbiamo ovaio e utero, un figlio se lo vogliamo lo possiamo mettere al mondo senza ricorrere al mercato. I maschi no. Ma quante cose gli uomini hanno potuto fare per secoli e noi no? C’è una differenza, certo, ma questi contratti, queste clausole, questi denari che vanno e vengono non ci sembrano una buona soluzione. Nel variegato mondo arcobaleno che è il nostro le posizioni sono tante su questo tema. Siamo state coperte di invettive, insulti, volgarità solo perché abbiamo espresso la nostra posizione. La maternità è questione troppo complessa che necessita di risposte problematiche. Vogliamo una riflessione. Una pausa. E l’abbiamo detto. Noi lesbiche abbiamo voluto avere una parola pubblica. Non per rompere il nostro fronte ma perché esprimersi è un diritto. Non vorrei fosse soprattutto questo ad aver turbato gli uomini con cui per anni abbiamo lottato e vinto molte battaglie.