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presente nei bar o negli oratori , oltre che nelle case private ( mi ricordo che ne avevo uno anch'io ) e di cui conservo fra i miei tanti gingli della mia libreria una pallina
fonte blog della nuova sardegna
Un dribbling da marciapiede
Su richiesta di un amico lettore del blog, ripubblico un pezzo che scrissi sulle pagine della Nuova Sardegna un paio d’anni fa.
La carambola sul muro? Consentita, previo accordo tra le parti. Il pallone? Il proprietario ha il privilegio della prima scelta quando si fanno le squadre e può decretare la fine della contesa quando la mamma lo reclama a casa per cena. La traversa? In caso di assenza dei pali, vale l’altezza raggiunta dal portiere a braccia alzate, misurata a occhio volta per volta, dopo lunghe e accese discussioni.
Non è un nuovo sport: sono alcune delle regole dimenticate, appartenenti al codice non scritto di un calcio che non c’è più. Rudimentali “gentlemen’s agreement” tra giovincelli pronti a darsi battaglia per l’onore del quartiere, del rione, del palazzo.

Negli anni Duemila gli adolescenti giocano poco a pallone; se lo fanno vengono inquadrati presto nelle scuole calcio. Nessuno spazio per la fantasia, nessuno spiraglio per un tentativo di dribbling: un solerte allenatore esperto di tattica fermerebbe il gioco per sgridarti e spiegarti che in quella zona di campo si può solo verticalizzare e che questa cosa inutile di provare a saltare l’uomo è anacronistica e proprio non va bene. Lasciala fare a Messi, “lui sì che c’è buono”.
E così i piccoli Messi allevati in provetta crescono a pane e “due tocchi”, a crostatine e diagonali. Ma quando arriveranno a 15 anni si renderanno conto di due cose: la prima, già difficile da accettare, è che di Messi ce n’è uno solo. L’altra, ancora più traumatica, è che nessuno di loro avrà mai avuto la possibilità di provare a imitarlo davvero, quel tale Messi.Perché non avranno mai provato in