Clima appunto ‹‹ che tende a sdoganare la subcultura del sessismo. Sta riemergendo una mentalità machista che oggettivizza il corpo della donna, fa passare la violenza di gesti e parole come goliardia e tende a trovare sempre giustificazioni per i carnefici ». È un’analisi impietosa quella della scrittrice palermitana Evelina Santangelo ( foto a destra ) nell'intervista rilasciata sotto a repubblica d'oggi sullo stupro di gruppo di cui è rimasta vittima una diciannovenne palermitana, prima stordita con l’alcol e poi trascinata in un cantiere. Un’analisi che allarga lo sguardo a tutti i livelli sociali e istituzionali.
Quale meccanismo scatta nel branco?
«Dal racconto della ragazza emerge che la violenza è stata premeditata al bar. Non c’è stato nulla di occasionale. Viviamo in una società in cui gli uomini odiano le donne libere, non sottomesse, pronte a ribadire la propria autodeterminazione. Questo odio si esplicita con violenze materiali, sino al femminicidio, e immateriali, nelle varie forme di sottomissione psicologica. Lo stupro di Palermo è la tragica conseguenza di qualcosa di strutturale nella società, una mentalità viscerale che oggettivizza e sessualizza il corpo della donna».
Ci sono contesti specifici in cui questa mentalità attecchisce?
«È una mentalità diffusa, come dimostrano certe domande poste anche nei tribunali alle vittime di violenza. Come eri vestita? Avevi bevuto? Avevi tirato cocaina? Sono probabilmente le stesse domande che covavano nella mente del barman accondiscendente nei confronti delle richieste degli stupratori di versare ulteriore alcol nel bicchiere della ragazza, ma anche nella mente degli stupratori che continuavano a ripetere “poi ci pensiamo noi”. Come se lo scandalo, la provocazione fosse intrinseca al corpo e al comportamento della vittima, così come le conseguenze»
Si può parlare di cultura dello stupro?
«Mi ha colpito l’espressione di uno dei ragazzi che per giustificare i suoi comportamenti parlando all’amico: “La carne è carne” o ancora “eravamo cento cani sopra una gatta”. Come se la violenza fosse dettata da uno stato di natura e i rapporti tra persone fossero fondati sull’istinto e la sopraffazione. In un Paese in cui negli anni Novanta, dopo tante battaglie, si è arrivati a considerare lo stupro come un crimine contro la persona e non contro la morale pubblica, riconoscendo così i diritti della vittima, tutto questo è inaccettabile. Ho l’impressione che ci troviamo in una fase di grande regressione e di crescente machismo. E forse il fatto che si è arrivati solo 27 anni fa a riconoscere la natura di offesa alla persona dello stupro c’entra: è come se sopravvivesse il retaggio di una mentalità dura a morire».
Nessuno è intervenuto per aiutare la ragazza che chiedeva aiuto. Palermo è indifferente, distratta o assuefatta alla violenza?
«Non parlerei di Palermo in generale. Penso però che questo voltare le spalle sia il segno della subcultura che ancora attecchisce nelle viscere del Paese, anche nelle nuove generazioni. In qualche modo serpeggia in molti l’idea che la ragazza se l’è cercata. O forse non siamo abituati a riconoscere la violenza di gesti e parole prima che diventi crimine. Il barman continua a versare alcol stando al gioco di quelli che di lì a poco stupreranno la ragazza, la gente intorno assiste come se si trattasse di pura goliardia. Lo stupro invece comincia già nelle connivenze di chi al bar è stato partecipe a gesti e parole che avevano già insiti l’epilogo. A forza di sottovalutare la violenza di genere considerandola innocua, si finisce per spianare la strada ai peggiori crimini».
A Firenze due ragazzi sono stati assolti perché secondo il giudice non avevano capito che la vittima non era consenziente al rapporto sessuale. Anche questo fa parte della subcultura di cui parla?
«Il caso Firenze è scandaloso e si inserisce in una lunga lista di sentenze contro il corpo della donna. Qualche anno fa un giudice assolse da un’accusa di stupro sostenendo che la ragazza non fosse abbastanza avvenente. Nella cultura dello stupro c’è sempre la tendenza a trovare attenuanti e a considerare questi atti episodici e improvvisi come accade per i femminicidi».
Perché si filma la violenza e la si condivide sui social?
«C’è l’idea di aver compiuto un’impresa in cui il corpo martoriato della donna diventa trofeo da mostrare. Filmare ha a che vedere con una sorta di autorappresentazione di virilità e di impunità. D’altro canto in questo Paese si sta diffondendo il senso di impunità, complice il clima che si respira».
Quale clima?
«Penso al libro “Il mondo al contrario” del generale Vannacci, al primo posto nelle classifiche di Amazon. Un libro omofobo, antifemminista, antiambientalista e razzista. Ma anche alle parole del presidente del Senato Ignazio La Russa, intervenuto pubblicamente con tutto il peso del suo potere per difendere il figlio contro la ragazza che lo ha accusato di stupro, prima che un tribunale si pronunciasse. La vicenda di Palermo si iscrive in un clima politico che lascia spazio a dichiarazioni di peso istituzionale improntate all’odio, al sessismo, alla violenza, alla discriminazione».