Visualizzazione post con etichetta le stotrie. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta le stotrie. Mostra tutti i post

8.4.22

Sordi, non sordomuti la storia di di Gloria Antognozzi figlia udente di genitori sordi segnanti.

 non si finisce mai   d'imparare  e di rimettere   in discussione ciò che hai imparato . Infatti   anch'io   cadevo nell'errore  di  cui  si parla   nella lettera    sull'ultimo n  de settimanale oggi   che      ho trovato  ed  riporto sotto  insieme  alla  vicenda    di Gloria Antognozzi  (  foto  a sinistra )  figlia udente di genitori sordi segnanti. Studia alla facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione presso l’Università di Roma 3.
 Lavora come Assistente alla Comunicazione, Interprete LIS ed è socia fondatrice nonché Presidentessa dell’Associazione  CODA Italia ( https://www.codaitalia.org/ per  maggiori  informazioni    su  tale  mondo   su  cui esistono  pesanti  pregiudizi   e  sui cui m'identifico  pure  io  visti i  forti problemi di sordità  ).

Gentile direttore,
gli Oscar alla pellicola I segni del cuore – Coda rappresentano per la comunità dei sordi una soddisfacente vittoria a ben 35 anni dall‘ultimo film Figli di un Dio minore, ma in articoli e titoli si utilizzano termini molto obsoleti, come “sordomuto”, “linguaggio” dei segni, “linguaggio mimico-gestuale”, “non udente”. Grazie alla Legge 95/2006 art.1 la persona è definita sorda a tutti i sensi di legge e decade il termine “sordomuto”, inappropriato, dal momento che il sordo può imparare a parlare, in quanto l’apparato fonatorio è integro. I sordi preferiscono il termine “sordo”, invece di “non udente” perché è la negazione di un qualcosa che non esiste. Inoltre i sordi non usano un linguaggio ma la Lingua dei Segni Italiana (LIS – senza i puntini fra una lettera e l’altra), una lingua che ha una propria struttura, regole grammaticali, sintattiche, morfologiche e lessicali come una qualsiasi lingua parlata. Non esiste la lingua dei segni universale, così come non tutto il mondo parla l’esperanto. Infine, non è neanche corretto dire o scrivere “Linguaggio mimico-gestuale”. I sordi usano segni che non vanno confusi con la comune gestualità utilizzata dagli udenti per enfatizzare un discorso e rispettano regole sintattiche ben precise.


                                            Vanessa Migliosi, presidente Movimento Lis subito



La casa coi lampeggianti quando suona il telefono, l’infanzia passata a far da interprete fra i genitori e il mondo. Come Ruby, la protagonista di Coda - I segni del cuore, il filmdell’Oscar, Gloria Antognozzi vive sospesa tra due realtà. E in una, c’è solo il silenzio

La prima volta che Gloria Antognozzi ha cantato in pubblico, in una chiesa gremita, suo padre si è addormentato e sua madre ha dovuto tirargli una gomitata. «La gente aveva le lacrime agli occhi e i miei si guardavano attorno straniti: ma che avranno da piangere, tutti? E quand’è che tocca applaudire?».

Romana di Portonaccio, 29 anni, qualche giorno fa Gloria è andata a vedere CODA – I segni del cuore, miglior film agli Oscar. E ha pianto, «perché parevo io». Anche Gloria, come Ruby, la protagonista, è la figlia udente di genitori non udenti. Anche lei è cresciuta tra due mondi, uno che sente e l’altro che parla con le mani. Anche lei ama i suoi genitori ma ha sentito la fatica di dover fare da tramite, «semplicemente perché senza di te tua mamma non può neanche comprare un’Aspirina». Oggi, il suo essere “diversa figlia di diversi” Gloria lo vive come una ricchezza: interprete Lis, la lingua italiana dei segni, lavora con alunni non udenti, gira documentari, ha tradotto le canzoni di Emma e Irene Grandi a Sanremo. Ma per lei, trovare una sintesi tra la vita in casa e quella fuori, tra quel continuo “noi” e “loro”, non è stato facile.

Lei cantava, ma ha smesso. Perché?

«Mi sembrava di fare un torto ai miei genitori. Quando mi hanno ammessa all’Accademia di Santa Cecilia non sapevo che dire: come glielo spiego che ho una bella voce? Per loro esiste solo il silenzio».

Come si è innamorata del canto?

«A casa nostra, ovvio, la musica non c’era. Finché un giorno mio padre arrivò con uno stereo per me e mia sorella Susanna, udente anche lei. Guardavo questo coso come fosse un alieno, ricordo che passai una giornata ad ascoltare I migliori anni della nostra vita, a nastro. Mi addormentai abbracciata alle casse».

Quando ha capito di vivere in una famiglia diversa dalle altre?

«Subito. Gli altri bambini chiamavano la mamma e lei arrivava, io, se mamma era girata di là, dovevo andare a tirarle la maglietta. Ho imparato a chiedere l’acqua prima con le mani che con la voce, a casa nostra esisteva un lampeggiante per il telefono e uno per il campanello. E poi c’erano le domande dei compagni, a scuola».

Cosa le chiedevano?

«Di tutto. Perché i miei genitori avessero una voce strana, se potevano guidare, perfino se sapevano leggere. Per alcuni era una curiosità bella, un’amica che veniva spesso a giocare a casa nostra aveva imparato a segnare: “buongiorno!”, “posso avere un succo di frutta?”. Qualcuno ci invidiava pure un po’, perché io e Susanna potevamo par

lare in codice e nessuno ci capiva. Nel quartiere, però, mi hanno chiamata a lungo “la figlia della muta”. Che poi, mia mamma è tutt’altro che muta: quando alle superiori mi bocciarono e la preside le rivelò che avevo saltato un sacco di lezioni, la sentii gridare fin giù dalle scale. Lì cominciò la stagione dei colloqui alternati coi professori».

Alternati?

«Sì, perché mamma aveva capito benissimo che mia sorella e io traducevamo la metà di quello che le dicevano gli insegnanti. “Sua figlia ha fatto un compito da schifo” diventava “S’impegna molto ma potrebbe migliorare ancora”. Era furiosa: “Ma mi pigliate per scema?”. Finì che agli incontri sulle pagelle di Susanna mamma portava me e ai miei faceva tradurre lei».

Quanto le è pesato, questo continuo fare da ponte?

«A12 anni stavo in banca a contrattare il mutuo per i miei, e chi lo sa come si segna “tasso d’interesse”? Mia sorella e io abbiamo dovuto crescere in fretta, più in fretta di quanto fosse giusto. Ma la colpa non è dei miei genitori, che ci hanno sempre fatto vivere la nostra diversità come una ricchezza. La colpa è di una società che non si organizza per sostenere chi non sente, che non provvede agli interpreti, che non informa. L’anno scorso, quando mia mamma ha chiesto a una commessa la cortesia di abbassarsi la mascherina per poterle leggere le labbra e capire cosa dicesse, quella si è messa a urlare e l’ha allontanata. La pandemia è stata un disastro».

Nel film c’è una scena in cui Ruby chiede a sua madre: «Avresti preferito che fossi come te?». È una domanda che ha fatto anche lei?

«Come no. Mamma mi ha sorriso e ha risposto che sì, quando siamo nate ci avrebbe voluto sorde, ma poi s’è detta “pazienza, impareranno questo e quello”. Le dirò di più: ci sono stati momenti in cui io stessa avrei voluto essere uguale a mamma, a papà, ai loro amici con cui passavamo ogni vacanza, in cui mi sono chiesta a che mondo appartenessi. È difficile trovare un confine».

Se un giorno fosse lei, la mamma?

«So cosa intende, la sordità è ereditaria. Esiste un test genetico per capire se sei portatore, ma io ho deciso di non farlo. Se avessi un figlio, lo amerei e basta».

Lo psicolinguista americano Harlan Lane diceva che la sordità non è un handicap, ma una cultura.

«È verissimo. I sordi hanno una loro storia, i loro poeti, il loro modo di raccontare il mondo, un loro sense of humour e ne vanno orgogliosi. Infatti si dice “sordo”, “non udente” è una formula offensiva, non identitaria. E l’identità sorda per loro conta moltissimo, perfino quella regionale. Il segno di “daje”, per dire, ce l’abbiamo solo a Roma, a Torino mica lo conoscono».

E la bella voce di Gloria? Dove trova spazio, in tutto questo?

«Sto lavorando su me stessa per capirlo. Oggi canto solo quando vado in motorino, per strada. Certo, un palco tutto mio... Ora so che mamma non può sentirmi, ma gli altri sì. E forse è venuto il momento di farci la pace».


28.2.22

non partecipano ai concorsi er un lavotro e poi si lamentano se a parteciparvi ed essere assunti sono gli stranieri Il borgo di Mussomeli, rimasto senza medici, è sommerso da migliaia di candidature dall'Argentina.






Il dottor Che Guevara va in Siciliadi Giada Lo Porto
Il borgo di Mussomeli, rimasto senza medici, è sommerso da migliaia di candidature dall'Argentina. Merito di una giovane coppia che vanta parentele rivoluzionarie

Gli argentini Erica Moscatello e Javier Raviculè. foto di Igor Petyx



MUSSOMELI (Caltanissetta). C'è un paese in Sicilia dove tutto è possibile, o almeno così sembra. A Mussomeli, borgo medioevale nella valle dei Sicani, una coppia argentina imparentata con Ernesto Che Guevara ha da poco stretto un accordo con il sindaco (proveniente, per inciso, da Fratelli d'Italia) per aiutare l'ospedale cittadino rimasto senza medici. Quello che è successo dopo ha dell'incredibile. In poco più di un mese alla email del Comune sono arrivate oltre sessantamila candidature di medici argentini pronti a trasferirsi, dall'oggi al domani, in un borgo che conta appena diecimila abitanti. L'ospedale dell'entroterra siciliano, dove fino a poco tempo fa non si trovava un solo professionista disposto a prendere servizio, tanto che gli ultimi bandi dell'azienda sanitaria provinciale erano andati pressoché deserti, ha così scalato la lista dei desideri dei sudamericani.
Vietato ammalarsi
Di certo non se lo aspettava il sindaco Giuseppe Sebastiano Catania che, a fine dicembre, provocatoriamente, aveva redatto un'ordinanza ad hoc: "Divieto di ammalarsi". Era sceso in strada arrabbiatissimo, con il foglio in mano per mostrarlo a tutti. Anche adesso continua a portarlo con sé.
Nell'ospedale lavorano un solo chirurgo, un solo anestesista e nessun pediatra. Tre reparti su sei sono chiusi per carenza di personale e le famiglie con bambini devono fare sessanta chilometri ogni volta per arrivare a Caltanissetta o ad Agrigento e far visitare i piccoli. Ma nella disastrosa Sicilia senza camici bianchi a volte basta un incontro per sparigliare le carte. "Sono arrivate una valanga di email" si stupisce ancora il primo cittadino, "abbiamo già scaricato oltre quattromila curricula. I posti disponibili sono una quindicina. Ci sono stati giorni in cui arrivava una email al minuto. Incredibile, davvero" aggiunge divertito.
Non solo neolaureati e specializzandi, persino professionisti, uno dei quali alla guida di dieci cliniche private in Argentina, hanno fatto richiesta. Tra loro, Diego Colabianchi, che può vantarsi di avere visitato Leo Messi, ed Eduardo Seminara, uno psichiatra che ebbe in cura Diego Armando Maradona.

Il sindaco Giuseppe Sebastiano Catania (FdI) davanti all’ospedale di Mussomeli. foto di Igor Petyxf


In cerca di un pediatra
Ora, non è che il seme della follia si sia improvvisamente sparso in Argentina. Centrale, in tutta questa vicenda, è quella coppia di argentini arrivata a Mussomeli la scorsa estate per visitare il Paese e che, alla fine, non se n'è più andata. Erica Moscatello e Javier Raviculè ("come "Pupi" Zanetti, anche se il più grande resta Maradona" tiene a precisare lui) ormai sentono la Sicilia come casa loro. Sono due quarantenni impegnati da anni nel settore della consulenza strategica per le pubbliche amministrazioni. Dopo aver acquistato casa a un euro nel borgo - per frenare lo spopolamento le antiche dimore disabitate vengono cedute al prezzo di un caffè - hanno messo le loro competenze e i loro innumerevoli contatti a disposizione del Comune. Gratis, s'intende. "Appena arrivati ci siamo resi conto della carenza di medici" osserva Erica, "abbiamo un bambino anche noi e volevamo renderci utili. Ci siamo detti: perché non sfruttare le nostre conoscenze? Abbiamo contattato il rettore dell'Università argentina di Rosario, Franco Bartolacci, un caro amico, e stretto una partnership". L'Ateneo sudamericano ha pubblicato una manifestazione di interesse rivolta a tutti i medici del Paese e diffuso i recapiti del Comune di Mussomeli. È così che le email sono cominciate ad arrivare a una velocità supersonica, e in massa. "Inizialmente volevamo capire se ci fosse o meno un interesse da parte dei medici del nostro Paese a trasferirsi" dice Javier, "siamo rimasti senza parole pure noi".
Il passo successivo? La pubblicazione entro i primi di marzo del bando ufficiale da parte dell'Asp in cui convergeranno le oltre 60 mila candidature. Poi sarà attivata una commissione dell'azienda sanitaria che si occuperà delle selezioni. In questi giorni la coppia argentina e lo stesso sindaco hanno provato a fare una preselezione, convocando alcuni candidati via Skype o WhatsApp. Ma è un lavoro che porta via giorni e notti. "Do una mano anche io" interviene il figlio della coppia, Fidel. Non poteva che chiamarsi così, vista la parentela della madre con il celebre guerrigliero rivoluzionario Ernesto Che Guevara, medico pure lui, e pure lui argentino di Rosario, guarda a volte il caso. "Il "Che" era cugino di mio padre" racconta Erica. "Ma non ci sono colori politici quando si tratta della salute dei miei cittadini" dice il sindaco: "Certo, sentire Fratelli d'Italia e Che Guevara nella stessa frase fa sorridere anche me".
Il bando su misura
C'era innanzitutto un problema, fondamentale, da dirimere. "Abbiamo chiesto all'Asp di redigere un apposito bando localizzato per il solo ospedale di Mussomeli aperto anche ai medici stranieri" spiega il sindaco "e, in più, di aprire la selezione anche ai medici extra Ue non ancora provvisti del decreto di riconoscimento dei titoli rilasciati dal ministero della Salute. C'è già una norma in tal senso, l'articolo 6 bis della legge 126 del 2021, con la quale il legislatore prevede la possibilità di affidare gli incarichi in deroga al riconoscimento dei titoli, vista la carenza cronica di specialisti in tutta Italia. Il senso è: risolviamo il problema e facciamo arrivare i medici, per riconoscere i titoli c'è tempo. L'azienda sanitaria adesso deve recepire questa modifica". Dopo la pubblicazione del bando saranno concessi venti giorni per presentare ufficialmente le domande. I primi medici non arriveranno fino ad aprile.
Seimila euro lordi al mese
Ma che cosa stuzzica davvero l'appetito di questi camici bianchi? Perché salutare l'Argentina per trasferirsi in un mondo piccolo, dove le signore fanno ancora il pane caldo al mattino e mettono a essiccare i pomodori fuori di casa, e dove ci si dedica all'agricoltura e si portano al pascolo gli agnelli?
Per i più giovani, conta senz'altro lo stipendio di seimila euro lordi al mese, con la possibilità di vivere da pascià acquistando casa a un euro e ristrutturandola spendendone non più di 40 mila. Per i professionisti navigati, forse è la suggestione di abitare in un paesino a oltre 700 metri sul livello del mare, che guarda verso la rocca di Sutera immersa tra nuvole e cielo con il suo campanile antichissimo che quando suona si sente per tutta la valle. Lo spiega al telefono in un italiano perfetto il dottor Colabianchi: "Per me e mia moglie dal punto di vista professionale potrebbe sembrare un passo indietro, ma siamo entrambi legati all'Italia, desideriamo far vivere ai nostri figli esperienze diverse in altri luoghi del mondo, e poi c'è il fascino del piccolo paese, di una vita tranquilla". "In Argentina c'è una situazione politico-economica incerta e la criminalità è diffusa" aggiungono con amarezza Erica e Javier, "Rosario è pericolosa come Chicago, qui invece sembra un paradiso in terra".

L'artista di Panama Tiziana Serretta con le chiavi della casa acquistata a 1 euro


Forse a qualcuno basta davvero godere di un luogo dove piove solo venti giorni l'anno, e del quale tutti parlano con entusiasmo. Finora in 270 si sono trasferiti qui tra argentini, belgi, russi, australiani. L'ultima arrivata è Tiziana Serretta, artista di Panama accreditata all'Onu per i progetti di Agenda 2030. A Mussomeli ha acquistato due case: "Sono qui per creare una comunità d'arte", dice. Si respira aria di innovazione nel paesino che pare dormiente e invece non lo è. "Da aprile parte delle case a 1 euro saranno destinate ai giovani startupper che vorranno creare economia in paese" annuncia Dhebora Mirabelli della Confederazione siciliana piccole e medie imprese. L'obiettivo? "Il futuro. Mussomeli diventerà un acceleratore digitale d'impresa".

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...