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29.11.25

diario di bordo n 156 anno III libertà d'opinione e conflitto israeliano palestinese il caso Mohammed Shahin., chi ha rubato il natale gli islamici secondo i. leghisti ed affini , i buonisti d'accatto , i centri commerciali ?., l'arte del kintsugi-arte-giapponese-metafore

oggi la rubrica parlerà di : libertà e dissenso , repliche social , ed altre riflessioni suscitate dalla puntata dela 3 stagione un professore. Iniziamo
Nel vergognoso trattamento che il governo italiano ha riservato a Mohammed Shahin vi sono decenni di islamofobia, il veleno utilizzato dal sistema per scatenare la più semplice delle guerre orizzontali, quella che da sempre fa presa sull'immaginario collettivo di un occidente vittima di una mendace operazione mediatica di demonizzazione e disumanizzazione dei popoli mediorientali.
E mettiamoci dentro anche una vagonata di orientalismo, che è l'approccio fondamentalmente razzista dell'occidente nei confronti dell'oriente, che
non ha diritto di parola perché è fuori della sfera del reale, è mera categoria (a)culturale, che esiste solo nella rappresentazione alterata che l'occidente dà di esso. Oggetto di descrizione, dunque, inesistente di per sé e quindi intrinsecamente soggetto a dominio coloniale e discriminazione culturale, come lo definì Edward Said.
Se non fosse per queste due categorie, nulla di ciò che accade sarebbe stato possibile, né la disumanizzazione di un popolo altrimenti meritevole di essere giudicato eroico secondo tutti i parametri del pensiero logico né la vendetta applicata dagli stati verso i segmenti più deboli della catena di solidarietà per Gaza: chi non possiede cittadinanza e quindi diritti, meglio se musulmano da offrire in pasto ad una pubblica opinione come comodo capro espiatorio su cui riversare la frustrazione per i propri diritti erosi, e per la povertà materiale e morale che avanza, inesorabile come una piccola morte.
Il sangue dei musulmani, e la loro miseria, sono anzi particolarmente apprezzati nel sottobosco delle società occidentali, in cui vegetano ampi strati di popolazione per lo più incolta, alla perenne ricerca di vittime sacrificali su cui riversare decenni di alienazione per le ripetute sodomizzazioni violente da parte del potere e alla cui pancia si rivolge il sovranismo becero, quello che da Fallaci a Salvini - ma il fenomeno è assai più antico - ha propagandato la liceità dell'ultimo razzismo socialmente accettato, quello anti-arabo e anti-islamico.
Lo abbiamo visto con Souzan Fatayer, docente di lingua araba e membro della Comunità Palestinese Campana, candidata alle ultime elezioni regionali e sottoposta a gravissimi attacchi personali, con offese irripetibili, dal primo all'ultimo giorno della sua campagna elettorale per il solo fatto di essere straniera e palestinese, e lo vediamo oggi, con il provvedimento di espulsione arbitraria nei confronti di una persona, incolpevole se non di aver testimoniato a favore del diritto e della giustizia in Palestina, in ciò che si configura come vigliacco atto di vendetta politica da parte di un sistema che fa affidamento sul sostegno dei segmenti più disagiati del paese. [ ... continua qui sulla https://www.facebook.com/antonella.salamone.52/ ] Se proprio è vero che sia colpevole di antisemitismo ed odio anche se sembra che risulta il contratrio sentite la testimoianza sotto , non lo si può condannare fare scontare la pena in italia invece di mandarlo i un paese nel quale essendo un dissidente rischia di finire come Giulio Regeni .

 

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Ormai novembre volge al termine e dicembre è alle porte ma già dall'inzio del mese , neppure in tempo di una trequa che subito dopo i morti ed santi il cosidetto hallowen iniziano i prodromi della melensa atmosfera natalizia con pubblicità e decorazioni ed vetrine , luminarie nelle vie cttadine iniiza ad appiccarti addosso

Pippo e l'ultimo viaggio di Babbo Natale (Mignacco/M. De Vita) - TL n°1569, del 1985
Infatti si è nel caso in cui a realtà supera la fantasia ...40 anni fa preparare l'albero con così tanto anticipo era generalmente vista come una cosa stramba alla Pippo ( vedere foto a sinistra ) mentre oggi, complice anche il consumismo imperante, è diventata la normalità... anzi, rispetto al calendario che viene mostrato, oggi in tanti lo hanno già addobbato prima di lui ma altri s'indignano per fortuna


! Ma almeno fosse solo questo .
Come ogni anno le solite polemiche sul buonismo d'accatto da non confondere con laicizzazione vera che storpia e censura \ riadatta i testi natalizi delle recite ( ecco un fatto recente avvenuto in una scuola ) e le proteste strumentali dei falsi credenti e a tei devoti come a cui replico condividendo il video sotto alle teorie razzistiche \ sovraniste islamicofobiche in quanto non ci sono solo i mussulmani o islamici che non festeggiano il natale e le sue feste . Ma anche altre religioni \ confessioni alcune di derivazioni cristriane cattoliche . Ricollegandomi anche al discorso di prima ,ecco perchè non faccio più , anche a costo di pedere like e deludere chi di voi lettori c'era affezionato o a chi locercava nei motori di ricerca non faccio più la classica guida di sopravvivenza alle festività natalizie .








 
Infatti ormai è come combattere contro i mulini a vento \ una battagli perso visto che i media e internet insomma lo stesso sistema mediatico \ culturale e la massa s'appropriano delle tue stesse armi

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 tutto  si  ripara  prima  o  poi   basta  volerlo     ed  impegnarsi  . cioè apllicare alle relazioni  (  non solo  sentimentali )  L’antica arte Kintsugi viene dal Giappone e si ispira ai vasi riparati . Infatti   Abbiamo  come  suggerisce   il sito  https://cultura.biografieonline.it/kintsugi-arte-giapponese-metafore/ da me  consultato  e  a da  cui  ho  preso  foto  e  notizie  riortate  sotto   tanto da imparare dai popoli dell’Oriente. L’antica arte giapponese del Kintsugi trasmette una preziosa lezione di vita rivolta a tutti, prendendo spunto dalla sapiente e antica tecnica di mettere in evidenza le fratture dei vasi rotti.

Kintsugi: i cocci di una ciotola riparati con l’oro

Kintsugi: in cosa consiste?
Noi occidentali siamo soliti buttare un vaso quando questo cade e si rompe, seppure a malincuore perché trattasi di un oggetto prezioso. In Giappone, invece, la rottura di una ciotola, di un vaso o di una teiera diventa un’occasione per renderli ancora più pregiati.
Proprio grazie alle fratture provocate dalla rottura, la pratica giapponese del Kintsugi aggiunge valore all’oggetto, evidenziando le linee e restituendogli una nuova opportunità.
Il termine giapponese “kintsugi” deriva da “kin” (che significa letteralmente “oro”) e “tsugi” (che sta per “ricongiunzione, riunione, riparazione”).Kintsugi: due vasi riparati con polvere d’oro. (Foto dal sito: francinesplaceblog.com)

Per rimettere insieme i pezzi di un oggetto rotto i giapponesi utilizzano un metallo prezioso (di solito oro o argento liquido oppure una lacca di polvere dorata). Quando i cocci si riuniscono vengono fuori alcune nervature che rendono più originale il pezzo.
Le cicatrici, anziché privare l’oggetto del suo valore, gli conferiscono un aspetto unico ed irripetibile. Le ramificazioni che si formano per la rottura vengono esaltate con l’applicazione del metallo. La tecnica del Kintsugi permette di realizzare vere e proprie opere d’arte partendo da un oggetto rotto, che per definizione è imperfetto.
Le origini del Kintsugi
Alcuni oggetti laccati sono stati rinvenuti circa 5.000 anni fa. Ciò significa che la tecnica Kintsugi affonda le sue radici nell’antichità. Da millenni i giapponesi utilizzano come sostanza collante la lacca urushi, che si può ricavare dalla pianta “Rhus verniciflua” (Albero della lacca, chiamata anche Lacca cinese).
Alcuni documenti accreditati fanno risalire l’origine di tale tecnica artistica al XV secolo. Si racconta che l’ottavo shogun Ashikaga Yoshimasa ruppe la propria tazza da tè e decise di farla riparare da alcuni esperti artigiani.
Questi applicarono alla tazza dello shogun la tecnica del kintsugi, riempiendone le fessure con resina e polvere d’oro.
Per riparare gli oggetti con questo metodo sono necessarie diverse fasi e inoltre il tempo di essiccazione può consistere in un mese o più.
Kintsugi: dettaglio di una saldatura con l’oro

Il Kintsugi e le sue Metafore per la Vita
Quante lezioni di vita possiamo apprendere dall’antica e sempre attuale arte del kintsugi! La prima, più importante di tutte, è che non si deve buttare un oggetto perché si rompe.
Recuperare un rapporto
Come il kintsugi restituisce nuova vita ad un oggetto rotto impreziosendo le fratture con il metallo prezioso, così nella vita dobbiamo cercare di recuperare le relazioni o i rapporti prima che si logorino del tutto.
Resilienza
Altra lezione fondamentale del kintsugi consiste nell’applicare la Resilienza. Questa è la capacità di reagire alle avversità della vita con coraggio, considerando le esperienze dolorose come occasioni di crescita. Come il kintsugi mette in evidenza le crepe di un vaso rotto, così noi dobbiamo imparare ad esibire e valorizzare le cicatrici della nostra vita, senza vergognarci di esse. Anzi, secondo la metafora del kintsugi sono proprio le cicatrici a rendere un’esistenza unica e preziosa.
Simbolo dello Yin e Yang
Applicazioni moderne delle metafore del kintsugiMentre noi occidentali stentiamo ad accettare le crepe (sia fisiche che spirituali) e piuttosto siamo portati a considerarle come segni di fragilità ed imperfezione, la cultura orientale da millenni accetta e valorizza la compresenza degli opposti, che fluiscono insieme in maniera armoniosa – come lo Yin e lo Yang
I giapponesi, millenni fa, avevano già compreso che le imperfezioni estetiche possono assumere forme nuove rendendo gli oggetti ancora più preziosi. Proprio come succede a noi: chi ha sofferto ed esibisce con orgoglio le ferite dell’anima è una persona consapevole e di certo preziosa per gli altri.
Secondo la moderna psicoterapia, il kintsugi giapponese è un ottimo spunto di riflessione per imparare la resilienza. Una dote che non è innata e che serve a tutti per vivere meglio anche le peggiori avversità che la vita riserva.

8.8.25

stilista precoce . il caso Edoardo Melis ha appena 18 anni. di Pabillonis sud sardegna



Negli ultimi tre giorni è stato impegnato nel suo paese natale con una mostra dedicata ai suoi bellissimi abiti, che taglia e cuce da solo.Al centro della sala spicca uno splendido abito da sera rosso che parrebbe disegnato da Valentino, invece è del nostro giovane talento sardo.Che spazia da abiti inspirati al Settecento sino ai tailleur delle donne d'affari 2.0. Fa piacere vedere questi giovani talenti sardi realizzare i propri sogni.Auguriamo ad Edoardo una brillante carriera.










Foto Melis di Stefano Cruccas, foto abiti Francesca Casula,

18.4.25

DIARIO DI BORDO SPECIALE . Mamma coraggio pianta un campo di 30.000 tulipani per far felice la figlia di 5 anni operata al cervello per una malatttia rara ., carne si o no a pasqua che noia. scontro tra la bramilla e la codiretti , Il tour nell’isola dello chef giapponese Atsuyoshi Hanazawa : «A Tokyo vorrei portare il porcetto»

  da  cronache della sardegna   e non solo di  Maria Vittoria Dettoto



Mamma coraggio pianta un campo di 30.000 tulipani per far felice la figlia di 5 anni, dopo che la bambina viene operata al cervello a causa di una malattia rarissima.🌷🌷🌷


La storia commovente che riporto oggi è una storia d'amore, di sofferenza e di rinascita e parla della piccola, splendida, dolce Sofia.
Sofia è una bambina di cinque anni affetta da una malattia rarissima, della quale soffrono 27 persone in tutto il mondo . Poco tempo fa la bambina è stata sottoposta ad una delicata operazione al cervello per affrontare le continue crisi epilettiche dovute alla sua malattia, che comporta una mutazione del gene KYM2.L'operazione si era resa necessaria perché la bambina con il tempo era diventata farmaco resistente e per lei era l'unico modo per stare meglio. La bambina viene ricoverata all'ospedale Meyer di Firenze per affrontare l'intervento chirurgico. Accanto a Sofia ci sono sempre i suoi genitori che non la lasciano mai sola, né di giorno, né di notte.È proprio durante una notte passata in corsia che la madre di Sofia, la 28enne Greta Turrini, alza gli occhi verso il cielo e vede in una finestra dell'ospedale toscano il disegno di un tulipano su un vetro . . Promette alla figlia che se l"operazione al cervello andrà bene, le dedichera' un campo di tulipani.L'operazione riesce e Greta non ha più le crisi epilettiche



La madre ed il padre comprano 30.000 bulbi di tulipani dall'Olanda e li piantano in un terreno a Castelnuovo Rangone in provincia di Modena . Qui la famiglia riproduce tutte le storie che racconta nelle favole a Sofia, che grazie a questa iniziativa sta meglio ed è felice. Sua madre ogni giorno alle 16 si traveste da Peppa Pig, il personaggio dei cartoni preferito di Sofia e le racconta una nuova storia
.Ogni giorno che passa è per questa bambina e la sua famiglia un nuovo giorno, una nuova lotta alla malattia. Un simbolo di resistenza che si rinnova e rifiorisce, come quei tulipani che si sbagliato colorati e profumati verso il cielo. La vita che cresce e si rinnova. L'azienda di tulipani, la Tulip Wonderland che porta il nome di Sofia aperta il 30 marzo, è stata presa d'assalto da tutti coloro che si sono affezionati al progetto, a Sofia ed ai suoi genitori







La madre ha voluto dedicare a sua figlia queste emozionanti parole che toccano il cuore di tutti/e noi, a corredo di una foto di Sofia in braccio alla mamma nel campo di tulipani.
"A te io dedico tutto questo.
Incredibile come in quattro anni sei riuscita a stravolgere completamente la mia vita!
Tu che così piccolina mi hai sempre insegnato il vero significato della parola " lottare " Io invece ti insegno a credere sempre nei tuoi sogni!".

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leggendo   la   news  

Brambilla: «Stop strage di agnelli» Cualbu: «Mangiarli è tradizione»  Polemica di Pasqua tra la presidente della Lega difesa degli.animali e Coldiretti  L'onorevole: «Passate adieta vegetariana». Il presidente: «Comprate carne locale»

Mi  girano .....   tanto da    non riportare  rispetto a  secondo articolo  del giornale   locale  (  la  nuova  sardegna  )  ma     solo il titolo  . Soprattutto quyando  chi conduce  tale  battaglia  lo fa   ipocritamente  . Infatti  La deputata Michela Vittoria Brambilla chiede a noi di non mangiare agnelli e capretti a Pasqua, una "strage di cuccioli strappati alle madri", e   fin qui niente  eccezionale ci starebbe perchè  chi non condivide le   campagne  contro l'abbandono degli aimali  il maltrattamento degli animali, chiede l'abolizione della sperimentazione animale, della caccia, dei circhi con animali, degli zoo, dell'uccisione di animali da pelliccia, della macellazione rituale e dell'allevamento intensivo. Il problema  è la coerenza   visto   che ha   ed  è <<  sotto processo per i suoi rapporti con aziende che commerciano salmoni e gamberetti.[73][74][75][76][77]  >>( wikipedia  )   .
Ma  però 
Chissà se penserà lo stesso anche dei cuccioli di salmoni e gamberetti. Vedetevi la puntata di Report sulla signora Brambilla. Ve la consiglio.Eccovi il link  : << Report 2024/25 - Dalla parte di (quasi) tutti gli animali - Video - RaiPlay >>Ora  dopo questa  deviazione   riprendendo   il  discorso  Visto      che    ad    ogni  festività  natalizia   o  pasquale   vengono dette  sempre  le  stesse  cose   d'entrambi gli schieramenti    la  stessa polemica  e contrapposizione  inutile  . ogni  uno   faccia  come crede ,  ma non   rompete  . prendete esempio  da quanto ha detto Papa  francesco tempo  fa  <<  Mangiate quello che volete a Pasqua, il sacrificio non è nello stomaco, ma nel cuore. Si astengono dal mangiare carne, ma non parlano con i loro fratelli o familiari >> e  non ci rompete  

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  veniamo alla  seconda    storia  sarda . 

Unica osservazioe che  mi sento di fare  ,  da profano non  da  cuoco  ( so   malapena farmi un uovo soo o una  pasta  a  burro ) , è   che  può fare la stessa  ricetta    sarda   con il maiali nostrani on  è  per  forza necessario che  lo  debba importare  . 

   dala nuova  sardegna     del 18\4\2025
                                      

                                    di Rachele Falchi

Il tour nell’isola dello chef giapponese  Atsuyoshi Hanazawa: «A Tokyo vorrei portare il porcetto» Nella capitale nipponica ha un locale di cucina sarda. A Mores la prima puntata del viaggio a tema «seada»

                              


Mores Fa un certo effetto riconoscere quel legame tipico sardo verso la propria terra, quello che infiamma viscere e pensiero, che tu sia dentro o fuori dall’isola. La Sardegna, quando le appartieni, diventa un meraviglioso tormento. Atsuyoshi Hanazawa dall’isola si è fatto travolgere, all’isola si è abbandonato.

Classe 1960, giapponese doc nato e cresciuto a Tokyo, Hanazawa nella sua vita è sempre stato un artista, muralista per la precisione. Una carriera ricca di collaborazioni molto importanti, uno studio di pittura aperto nel cuore della capitale, nell’elegante quartiere di Jiyugaoka. Circa quindici anni fa la cosiddetta “folgorazione sulla via di Damasco”: galeotto fu un lavoro commissionatogli da un ristorante sardo a Tokyo e il primo incontro con la seada. Quell’esplosione di sapori lo ha inebriato e tramortito, talmente tanto da stravolgere per sempre il corso della vita.

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In questi giorni era a Mores, primo giorno del suo ottavo viaggio in Sardegna, insieme a una piccola comitiva di amici e clienti giapponesi che lo hanno voluto accompagnare in questo nuovo pellegrinaggio. Si perché ormai la Sardegna è cosa sacra per lui. «Tutto è cominciato da quell’assaggio – racconta Hanazawa, da una panchina di legno in un piccolo angolo di Mores, che guarda al campanile antonelliano – volevo sapere tutto su questo dolce e sulla Sardegna; così, grazie ad alcuni amici comuni, ho conosciuto Marco Sulas di Galusè e gli ho chiesto di creare per me un viaggio su misura, tutto a tema seada». Non cercava solo una ricetta: voleva capire, entrare nella cultura che l’aveva generata, scoprirne i segreti, i gesti, le mani, le storie. «Quella che poteva sembrare apparentemente una follia – ricorda Marco Sulas, ormai amico fraterno e punto di riferimento di Hanazawa in Sardegna – si è tramutata per tutti in una favolosa occasione: per noi di cimentarci in un progetto estremamente sfidante grazie al quale abbiamo compreso meglio come raccontare e promuovere la nostra terra, mentre per Hanazawa questa straordinaria esplosione di passione verso il nostro popolo, le tradizioni, i luoghi e ovviamente l’enogastronomia ha permesso di trasformare un’idea bizzarra in realtà in meno di sei mesi».

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Nel 2013 apre il Seadas flower caffè, nel cuore di Jiyugaoka, non un semplice ristorante ma un angolo autentico di Sardegna in Giappone che Hanazawa gestisce personalmente, insieme ad Akiko Okabe, dividendosi tra fornelli e colori. Un luogo che non solo serve piatti sardi, ma racconta la Sardegna, ogni giorno, tutto l’anno. Un’impresa vera, cresciuta con dedizione, passione e rispetto. Lì tutto parla di Sardegna: le pareti sono decorate con maschere tradizionali, tappeti, ceramiche, fotografie. La cucina è un omaggio sincero: gnocchetti, culurgiones, pane carasau, vini sardi e naturalmente le seadas, vero simbolo del locale.

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«Siamo diventati piuttosto bravi e fedeli all’isola, realizzando i suoi piatti tipici, ma purtroppo soltanto uno mi è impossibile da replicare in Giappone: il porcetto. Nel mio Paese è molto complicato reperire il maialino da latte – ci spiega Hanazawa – e così resta ancora un desiderio inespresso, far provare ai miei amici e clienti giapponesi questa prelibatezza unica. Ne andrebbero matti». Non è solo un ristorante, però. Il Seadas Flower Caffè è anche la sede dell’Associazione Isola Sardegna Giappone, punto di riferimento per i sardi residenti nel paese del Sol Levante e per chi, incuriosito da un piatto, finisce per innamorarsi di un’intera cultura. Il locale è diventato un piccolo ambasciatore d’isola: racconta storie, tradizioni, promuove esperienze, scambia emozioni. Il legame con la Sardegna è diventato per Hanazawa una missione personale. Non si limita a riprodurre piatti o vendere souvenir: racconta l’anima dell’isola a chi non la conosce, la traduce con sensibilità, la restituisce con cura. Ogni volta che torna in Sardegna, come questa volta, è un ritorno a casa, ogni visita un’occasione per imparare, scoprire e raccontare.La sua mappa affettiva si allunga ogni anno: Tonara, Aritzo, Nuoro, Alghero, Castelsardo, Cagliari, ogni luogo lascia un segno e si riflette poi in un dettaglio del suo ristorante, in un ingrediente, in un ricordo condiviso con i clienti. In questi giorni, accompagnato da Marco Sulas, il gruppo sta vivendo un viaggio esperienziale alla scoperta di una nuova parte dell’isola autentica: da Usini a Mores, dalle coste di Orosei alle strade della Barbagia, tra Bitti, Nuoro e Dorgali, fino alla Marmilla. Un itinerario disegnato per toccare luoghi, sapori e persone, la Sardegna meno patinata, che si concluderà il 23 aprile proprio come tutto è cominciato: nel 2013 a Tonara, questa volta a San Gavino Monreale, Hanazawa realizzerà come omaggio per l’isola un murale a testimonianza di questo incredibile legame con la terra sarda.

14.2.23

Nuoro La signora di pasta, fagioli e cozze mezzo secolo di Trattoria Sardegna Semplicità e lentezza: i due ingredienti della cucina di Tonina Siotto

 

 Nuova  sardegna  12\2\2023 

 
Nuoro
In una città che cambia e non sempre in meglio, loro sono una certezza. Un approdo sicuro da 50 anni. Un conforto per molti grazie alla semplicità e alla gentilezza che non passano mai di moda. Mezzo secolo di piatti preparati con lentezza (da sua maestà la “pasta e fagioli con cozze” un vero evergreen ad altri in menù) che qui è una virtù capace di dettare i giusti tempi, quelli della cucina di una volta. Qui, da Tonina Siotto e Ciriaco Demitis, titolari della storica Trattoria Sardegna nel centro di Nuoro, in via D’Azeglio, in una zona dalla toponomastica risorgimentale, la frenesia non era di casa prima, figuriamoci ora che i due gestori vanno sulla settantina e hanno deciso di offrire i loro servizi solo a

pranzo. Per i coniugi si tratta di centoquarantaquattro primavere in due portate bene, anzi di più, anche grazie ai ritmi di un lavoro, confermano loro stessi, che li tiene in forma, con la mente fervida e il passo deciso. La palestra dove si allenano quotidianamente – domenica esclusa – è il locale nello stretto vicolo. Spazio spartano con cinque tavoli, incluso quello “presidenziale”, dove si accomodano loro e a turno i commensali amici per consumare il pasto quotidiano. Da mezzogiorno fino alle 14 il locale si riempie come per incanto. Clienti abituali e commensali occasionali forestieri che arrivano grazie al passaparola, unica pubblicità utilizzata dalla trattoria. «Sono arrivata qui che avevo appena vent’anni e mio fratello che gestiva il locale è stato per me un vero maestro», racconta la cuoca nel suo regno, una cucina piccola ma essenziale dove ha appena preparato un battuto di aglio e prezzemolo fresco e una delle pentole ai fornelli inizia a gorgogliare. «Cucinare per me è una grande passione e lo faccio ancora con entusiasmo. E la volontà di andare avanti non manca. In questi cinquanta anni abbiamo incontrato tanta gente. Tutti si sono rapportati con rispetto e noi li abbiamo accolti facendo sempre del nostro meglio. E così vogliamo continuare». Suo marito Ciriaco che gestisce soprattutto la sala ma all’occorrenza sa cosa fare anche in cucina avvicina il cliente e centellina le parole. Quando si accorge che può osare lancia qualche citazione latina patrimonio ancora intatto dei suoi studi classici e per un periodo profumati dall’incenso. Per anni quando soffiava forte il vento sardista è stato anche il segretario dell’avvocato Mario Melis che ricorda sempre con ammirazione. «Qui sono venuti e vengono tutti. Magistrati, professionisti, artisti, muratori, forze dell’ordine e pastori. E noi trattiamo tutti allo stesso modo», dice Ciriaco che sembra un attore di un film dei primi anni Ottanta. Il locale assomiglia a un set di quell’epoca con alcuni pezzi forti oggi da arredamento old style come il grande frigo dispensa e il telefono al muro con rotella osservato da vicino da una fotografia di Padre Pio. «Un tempo squillava e i clienti sapevano che a pranzo li potevano trovare anche qua», dicono. Ma la pasta e fagioli o la minestra con merca più che raccontarla si deve assaggiare qua. Poi a renderla ancora più saporita e autentica c’è il contesto. Un pezzo di Nuoro e della sua storia da tenere stretto il più possibile. «Oggi a differenza di quando abbiamo iniziato noi si può pranzare ovunque, anche nei bar. Prima al massimo, lì si poteva mangiare un panino. L’offerta si è ampliata ovunque», aggiungono Tonina e Ciriaco che guardano il tutto con un certo disincanto ma conservando l’ottimismo. «La spesa la mattina con l’attenzione alla qualità e ai fornitori di alcune materie prime, come la carne e il pesce, vera base del menù sono il primo tassello della giornata. Poi con pazienza nascono i nostri piatti che la gente, i clienti continuano ad apprezzare. Per noi è una grande soddisfazione e il carburante giusto per andare avanti».

19.2.11

Il fabbricante di suoni perduti Mondo Usai, 53 anni, l'artigiano speciale di Seneghe


anche se mi sento come la  video intervista da me   fatta  ne sono per  un identità aperta  e non chiusa   ,  elogerò sempre  chi coltiva  la memoria  ed  il proprio passato   come la  storia  qui sotto

Il fabbricante di suoni perduti
Mondo Usai, 53 anni, l'artigiano speciale di Seneghe
 unione sarda del 19 febbraio 2011


LORENZO PAOLINI

SENEGHE
L'uomo che fa parlare le zucche con le canne, i tergicristallo (meglio, l'anima di metallo coperta dalla plastica) con le interiora del maiale (debitamente essiccate). È solo questione di tempi e modi. Ma prima o poi tutto, sollecitato nel modo opportuno, rimanda a suoni variamente articolati. Guai ai rifiuti abbandonati, ai legni che riposano a bordo strada, al metallo che va arrugginendosi. Mondo Usai, 53 anni, artigiano speciale (una guida turistica tedesca lo colloca fra le attrazioni isolane, il che ha imposto a sorpresa una disponibilità a farsi visitare come se fosse Saccargia), ha sviluppato un radar. Con un colpo d'occhio sa misurare la capacità di parola degli oggetti, il sapersi fare suono. Se passa l'esame, la cosa - qualunque essa sia - prende la via del magazzino. Oltre il giardino della fantastica casa ristrutturata di Seneghe, due stanze interdette a moglie e figlia. L'effetto è fra il museo e il suq, un deposito impazzito con una misteriosa forma d'ordine. A quel punto, sotto la luce di una lampada, la zucca diventerà una cassa armonica, il metallo uno scacciapensieri (accordabile, e scusate se è poco), la pelle di capra un tamburo. E sarà il tempo della musica.
IN COSTA AZZURRA La esse è pastosa e sibilante, non c'è traccia di erre arrotata, il corpo è brevilineo e scuro, mani importanti. Eppure c'è stato un tempo in cui Mondo - l'artigiano prediletto dai musicisti isolani - era Raymond Michel, giovanotto francese di belle speranze. Padre emigrato nel nord della Francia alla ricerca di lavoro, poi trasferito nel Sud, vicino a Cannes, per sfuggire a un clima che fiaccava i bronchi (asmatici) del figlio. «Fino al diplomSENEGHEa, per me la Sardegna era vacanza di 15 giorni durante l'estate fra Seneghe e Nughedu Santa Vittoria, i paesi dei miei genitori». 
Parlava solo il francese e l'Isola era straordinariamenSENEGHEte lontana dalla Francia. «Eppure sapevo che sarei venuto a vivere qui, come un sesto senso. E quando sono arrivato, ho proprio cancellato il francese, per un po' mi dava fastidio parlarlo. Solo da poco ho ripreso ad ascoltare il radiogiornale da Parigi».
CURVA A GOMITO I luoghi possono essere importanti quanto gli incontri. Per lui il punto di svolta fu nientemeno che Tadasuni, museo degli strumenti SENEGHEmusicali di Don Dore. Un gioiello di storia e passione (che, per inciso, morto il fondatore, starebbe prendendo la via della Penisola) messo in piedi da un sacerdote geniale. La prima visita è del 1980, «sapevo fare al massimo 5 accordi con la chitarra, anche se ascoltavo già da allora buona musica». Una folgorazione. Nella collezione, c'è una delle storie di Sardegna più palpitanti che si possano immaginare. Un quadro antropologico-musicale così esaustivo da non essere replicabile. Da bravo studente, porta a casa un libro e comincia ad applicarsi. E comunque il mal di Sardegna esplode all'improvviso e Raymond in un attimo cambia nazionalità (e nome) con famiglia al seguito.SENEGHE
MOLTEPLICI TALENTI Nelle mani ha già un mestiere, imparato in Francia. Conosce le piante come neanche un botanico, sa potare, innestare, è appassionato di coltivazioni biologiche. Trova un lavoro alla Provincia: nella pausa pranzo un collega tira fuori un coltello e inizia a intagliare un'ancia. Una linguetta, un pezzetto di canna che trasmette il suono allo strumento. Una rivelazione. È inverno e da quella sera il giovane giardiniere, nelle serate davanti al camino, ha sempre accanto a sé canne e coltelli per sperimentare l'arte. Torna a Tadasuni, guarda le vetrine con occhio clinico, manda a memoria dettagli. Dove montare l'ancia? Il primo esperimento è un flautino di Gavoi, con i fori fatti a caldo, una lama di coltello di distanza fra ciascuno. Poi quello di Isili dove i nodi del legno hanno un'importanza musicale. Gira impazzito per i paesi, compra i modelli. «Gli strumenti sardi tradizionali hanno pochi fori, massimo cinque. Sul piano musicale hanno molti limiti: se vuoi fare il ballo sardo, è perfetto. Altrimenti ti mancano proprio i suoni, le note. Ho deciso di tentare di farle aumentare e, prova dopo prova, è venuto fuori un pippiolu, lo zufolo».
LE REGOLE AUREE Mai tagliare le canne con la luna crescente. Mai in un mese che non sia febbraio. Mondo Usai le tenta tutte ma la materia prima non è docile come la sua immaginazione: «Lo sanno bene gli artigiani che realizzano i tetti con le canne. Negli altri periodi marciscono, diventano rugose, si seccano, arrivano i tarli. I tempi della natura hanno un senso, l'ho imparato quando facevo il potatore. Sugli agrumi, per dire, si lavora a giugno, negli altri periodi fai male alla pianta». Poi va scelto con cura il luogo. Da anni i suoi rifornitori preferiti sono i corsi dei fiumi accanto a San Vero Milis. C'è ogni tipo di canna, quelle delle launeddas e bambù alti come pioppi.



ESPERIMENTO RIUSCITO Dopo tanto provare, la creatività fervida regala il primo strumento tradizionale eppure nuovo di zecca. «C'è la possibilità di suonare in tre tonalità, sol la si , cambiando semplicemente la posizione del dito». I tempi del battesimo del pubblico sono pronti. Dopo sei anni di esperimenti, quando lo invitano in un celeberrimo resort di Santa Margherita di Pula per un'esposizione, decide di provare. Si porta dietro tutto, tradizione e parti della fantasia applicata con rigore alla tecnica. Bingo. «Ho venduto tutto, anche i modellini che avevo comprato tanti anni prima per studiarli. Seicento mila lire in una volta, ero emozionato». Molla il lavoro alla Provincia, la moglie colta e amorevole approva. Ecco la professione della vita, anche se è complicato imbrigliarla in una definizione: costruttore di strumenti musicali. Quelli del passato, delle feste di piazza, della solitudine, dei banditi. E quelli di domani, che prendono forma senza sapere cosa ne sarà di loro.
RACCOLTA DIFFERENZIATA Gli ultimi arrivati sono cilindri di legno, usati fino a non molto tempo fa dai caseifici per dare la forma al formaggio. «Se ne sono disfatti tutti per sostituirli con quelli di plastica e io sto cercando di recuperarli». Possono diventare il corpo di un tamburo ma anche un sacco di altre cose. Poi ci sono i metalli di ogni ordine e grado, vecchie lame di seghe da campagna sfogliate - striscia dopo striscia - come se fossero arance. Poi pezzi di tende, vecchie bombolette spray e chiodi (nel risultato finale, siamo dalle parti delle maracas). Non si butta via nulla, neanche le corna degli animali e certe parti delle viscere. In vetta però ci sono le zucche, crocorigas di qualunque forma e dimensione. Svuotate e essiccate, sembra siano nate apposta per diventare la cassa armonica delle benas (ma nelle benas cun corru l'amplificatore è un corno di vacca). Beninteso: anche per i materiali di recupero vale un setaccio stretto, si sceglie mica si raccatta. Per dire, le canne scelte per le launeddas sono tutt'altra storia rispetto a quelle usate per i flauti.
PICCOLO GENIO La produzione è esposta in bell'ordine sui tavoli, appassionati e musicisti (tutti i sardi, da Cordas et Cannas a Marino Derosas) passano spesso a dare uno sguardo. Ma le soddisfazioni spesso si nascondono negli oggetti più piccoli, meno balzani. Nella forma essenziale della sua trunfa, lo scacciapensieri, per esempio. Sorpresa: quel suono metallico si può accordare con una vite regolata da una chiave a brugola. Le centinaia di ragazzini che hanno frequentato per anni i suoi laboratori per la costruzione degli strumenti nelle scuole della zona (da Arborea a Ula Tirso ad Ardauli, «ora sono interrotti perché non ci sono più soldi») ne erano affascinati. Altri strumenti sono infinitamente più complessi, sia che derivino dalla tradizione sia che siano improvvisazioni sul tema. Per dire, da anni gira per i paesi (Sedilo e Bosa, soprattutto) nella speranza di sentire dal vivo una serragia, una vescica di maiale secca e piena d'aria su cui scivola una corda sfregata da un archetto di lentischio. Inutilmente: mai sentita. Lui comunque continua a costruirle. Nella saletta prove amatoriale, ce n'è una collegata con l'impianto di amplificazione: effetti speciali. Altri strumenti sono invece figli legittimi della fantasia. Tipo la banzucca , una simil-chitarra di bambù e zucca, pezzo unico.
PERFEZIONISMO Siccome gli strumenti sardi più tipici richiedono respirazione circolare (quella che gonfia la bocca come una sacca di zampogna e consente di far uscire il suono senza interruzioni) l'ha fatta subito sua. E per un asmatico è un'impresa da medaglia. E anche nella ricostruzione di autentici pezzi da museo, l'uomo è pignolo. Giusto per il trimpanu, compagno dei banditi del secolo scorso, si è preso qualche licenza. La norma vorrebbe che si utilizzasse un cilindro di sughero («il primo, da un albero mai utilizzato prima») e una pelle di cane conciata. L'animale doveva esser morto di fame perché la pelle fosse perfetta. Un po' troppo, francamente. Si ovvia con una pelle di capra. E poi una corda bagnata nella pece, sistemata al centro del cerchio, da tirare. Il risultato è un suono profondo e lugubre, come un immenso rumore gastrico che si immagina rimbombare per valli e radure. Infastidisce le orecchie degli uomini ma nei cavalli (il mezzo dei carabinieri di allora) pare susciti terrore e fuga incontrollata.
Fra flauti e armoniche, aleggia un profumo di mirto che inebria. Nella stanza accanto, il distillato casalingo è quasi pronto. Ma c'è in preparazione anche la tintura madre di elicriso, lo sciroppo alla menta selvatica e altre delizie. E si duole di non saper ancora preparare gli oli essenziali: eucalipto e timo farebbero un gran bene ai polmoni. Anche qui, una questione di tempi, di equilibri. Di sinfonia. Musica, insomma.
paolini@unionesarda.it

27.2.09

Mostra Fotografica "Sardegna, un altro pianeta" a Milano

Ciao a tutti.

Chiunque dovesse trovarsi a Milano il 28 febbraio e 1 marzo e, sardo o no, dovesse amare particolarmente quella magnifica terra che è la Sardegna, potrebbe essere interessato a visitare la mostra fotogafica "Sardegna, un altro pianeta".

Verranno esposte quarantacinque fotografie del maestro Franco Fontana e di due giovani fotografi, Paolo Bianchi e Sveva Taverna.

Franco Fontana mostra il paesaggio sardo con i suoi colori e la sua forza primitiva. Paolo Bianchi le donne e le maschere, simbolo di una terra arcaica in perenne conflitto con la modernità, mentre Sveva Taverna si concentra su volti e persone, i loro legami e i loro rituali.

La mostra si terrà presso la Società Umanitaria, in via San Barnaba 48 a Milano il 28 febbraio e il 1 marzo. L'orario è dalle 10 alle 18 e l'ingresso è libero.

Una piccola anteprima la si può avere qua.

2.1.09

Senza titolo 1138






<…NATALE CON CHI VUOI!>


 


 


SENTITE A ME! FIN D'ORA.


PER IL PROSSIMO NATALE,


NON SFORZATEVI DI OSSERVARE


 


LA TRADIZIONE CHE RECITA :


<NATALE CON I TUOI…> !


 


FA’ COME PER PASQUA:


<… PURE NATALE CON CHI VUOI!>


 


Passate le feste...


Questo è uno scritto, sempre purtroppo riproponibile,


da me edito nel gennaio 1994


 


Quello stato d’animo  confuso e vagamente 


depresso che segue le feste è forse


un’occasione per interrogarsi


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       Le feste – non  esitiamo a dirlo – sono ormai  un  dramma  sociale; qui infatti l’uomo condensa tensioni  d’ogni  natura,  superiori   alla   propria quotidiana portata per un  intero anno. Le festività natalizie non vengono colte come occasione di riscoperta del proprio prossimo  da amare come sé stessi: è che, per amare il proprio prossimo come se stessi, bisognerebbe innanzitutto amare, vale a dire capire, e accettare, sé stessi come si è.


 


       Ma le feste natalizie (ma anche quelle pasquali, o di ferragosto...) sono troppo piene di luoghi comuni da osservare, tali che si obbedisce – come al classico riflesso condizionato – al dovere di  “stare con i tuoi, a Natale” e “con chi vuoi a Pasqua”, anche quando non ne hai alcun piacere. Eppure un altro topos, come quello dei “parenti come le scarpe, che più son strett’ e più fanno male”, viene spesso osservato quasi tutto l’anno! (*)


 


       E’ che si coltivano troppe speranze, aspettative cioè che gli altri – sempre gli altri – si comportino “come dico io”. Indubbiamente, non c’è nessuno che dentro non senta, comunque, quella vitale scintilla d’amore altruistico, seppure soffocata dai piaceri del mondo che mortificano lo spirito. Ma questo spirito chiama comunque a raccolta: un’annosa palude vien scossa dalla sua falsa quiete, dall’immobilismo, per ridestare alla vita individui languenti d’una società sempre più rotolante verso il precipizio d’un coma profondo.


 


       Ogni festività vede il messaggio della vita e dell’amore, smarrito e ricoperto di persuasivi messaggi che distruggono la capacità di intendere e volere. E il sentire che certe cose si fanno per dovere (da parte di una madre verso un figlio, ad esempio(*) può rendere l’idea di come il rapporto non possa non nuocere sia alla madre – che non agisce per “piacere” – sia al figlio, che –essendo un individuo con proprie antenne – recepisce gli effetti negativi del dovere: a che pro’ quindi fare una buona azione se non è condita dalla gioia e dalla voglia di dare serenità e armonia? Tanto vale non farla, questa buona azione; se non altro il rapporto potrà dirsi franco; infatti la madre non avrà accumulato – nè per sé nè per il figlio – quella tensione stressogena, che porta a manifestare comportamenti patologici per sé, nell’immediato, e -per il figlio- in prospettiva.


 


       La gente è malata tutto l’anno e non se ne accorge, finché, in prossimità delle festività, non si sente costretta a fare a meno delle proprie abitudini quotidiane, costretta a rapporti sostanzialmente indesiderati (fare buon viso a cattivo gioco).


 


       Così, un’occasione di intima condivisione e solidarietà viene sprecata, lasciando il posto ad un illusorio “tanto rumore per nulla”: il “clou” d’ogni festa, come gli spari a mezzanotte a San Silvestro, è preceduto dall’ansia di riportare la propria intima solitudine – mascherata a volte da esteriore e grassa allegria – tra le proprie più rilassanti quattro mura domestiche.


 


       Caso apparentemente strano: tutti pare che stiano bene  prima delle feste, ma durante e dopo...! Il fatto è che vi è un indaffararsi dapprima entusiastico per manifestare, con una sorta di mero baratto di doni materiali, l’intenzione – non seguita dall’azione – di donare anche se stessi, che resta spessissimo bloccata e richiusa in sé: quanti ripensamenti e pentimenti!


 


       La Tradizione diviene una catena che ci fa tossicodipendenti:  sappiamo già che riunirci per le feste ci farà male, ma lo facciamo lo stesso. Il fatto è che non si prende coscienza che la propria Coscienza ha bisogno, appunto, di prendere coscienza: “Una parete, immensa, unisce due stanze, se parete non c’è che mi divida da te”.


Fiore Leveque


 


 


(*) un esempio calzante: Parenti serpenti!)


 


AAA NUOVO DE NICOLA CERCASI  1^ puntata


http://scuoladivita.splinder.com/post/19302061    


 


DA DIOGENE A CRISTO GESU’ 2^ puntata De Nicola


http://scuoladivita.splinder.com/post/19399226   


 
 


 

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...