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19.2.11

Il fabbricante di suoni perduti Mondo Usai, 53 anni, l'artigiano speciale di Seneghe


anche se mi sento come la  video intervista da me   fatta  ne sono per  un identità aperta  e non chiusa   ,  elogerò sempre  chi coltiva  la memoria  ed  il proprio passato   come la  storia  qui sotto

Il fabbricante di suoni perduti
Mondo Usai, 53 anni, l'artigiano speciale di Seneghe
 unione sarda del 19 febbraio 2011


LORENZO PAOLINI

SENEGHE
L'uomo che fa parlare le zucche con le canne, i tergicristallo (meglio, l'anima di metallo coperta dalla plastica) con le interiora del maiale (debitamente essiccate). È solo questione di tempi e modi. Ma prima o poi tutto, sollecitato nel modo opportuno, rimanda a suoni variamente articolati. Guai ai rifiuti abbandonati, ai legni che riposano a bordo strada, al metallo che va arrugginendosi. Mondo Usai, 53 anni, artigiano speciale (una guida turistica tedesca lo colloca fra le attrazioni isolane, il che ha imposto a sorpresa una disponibilità a farsi visitare come se fosse Saccargia), ha sviluppato un radar. Con un colpo d'occhio sa misurare la capacità di parola degli oggetti, il sapersi fare suono. Se passa l'esame, la cosa - qualunque essa sia - prende la via del magazzino. Oltre il giardino della fantastica casa ristrutturata di Seneghe, due stanze interdette a moglie e figlia. L'effetto è fra il museo e il suq, un deposito impazzito con una misteriosa forma d'ordine. A quel punto, sotto la luce di una lampada, la zucca diventerà una cassa armonica, il metallo uno scacciapensieri (accordabile, e scusate se è poco), la pelle di capra un tamburo. E sarà il tempo della musica.
IN COSTA AZZURRA La esse è pastosa e sibilante, non c'è traccia di erre arrotata, il corpo è brevilineo e scuro, mani importanti. Eppure c'è stato un tempo in cui Mondo - l'artigiano prediletto dai musicisti isolani - era Raymond Michel, giovanotto francese di belle speranze. Padre emigrato nel nord della Francia alla ricerca di lavoro, poi trasferito nel Sud, vicino a Cannes, per sfuggire a un clima che fiaccava i bronchi (asmatici) del figlio. «Fino al diplomSENEGHEa, per me la Sardegna era vacanza di 15 giorni durante l'estate fra Seneghe e Nughedu Santa Vittoria, i paesi dei miei genitori». 
Parlava solo il francese e l'Isola era straordinariamenSENEGHEte lontana dalla Francia. «Eppure sapevo che sarei venuto a vivere qui, come un sesto senso. E quando sono arrivato, ho proprio cancellato il francese, per un po' mi dava fastidio parlarlo. Solo da poco ho ripreso ad ascoltare il radiogiornale da Parigi».
CURVA A GOMITO I luoghi possono essere importanti quanto gli incontri. Per lui il punto di svolta fu nientemeno che Tadasuni, museo degli strumenti SENEGHEmusicali di Don Dore. Un gioiello di storia e passione (che, per inciso, morto il fondatore, starebbe prendendo la via della Penisola) messo in piedi da un sacerdote geniale. La prima visita è del 1980, «sapevo fare al massimo 5 accordi con la chitarra, anche se ascoltavo già da allora buona musica». Una folgorazione. Nella collezione, c'è una delle storie di Sardegna più palpitanti che si possano immaginare. Un quadro antropologico-musicale così esaustivo da non essere replicabile. Da bravo studente, porta a casa un libro e comincia ad applicarsi. E comunque il mal di Sardegna esplode all'improvviso e Raymond in un attimo cambia nazionalità (e nome) con famiglia al seguito.SENEGHE
MOLTEPLICI TALENTI Nelle mani ha già un mestiere, imparato in Francia. Conosce le piante come neanche un botanico, sa potare, innestare, è appassionato di coltivazioni biologiche. Trova un lavoro alla Provincia: nella pausa pranzo un collega tira fuori un coltello e inizia a intagliare un'ancia. Una linguetta, un pezzetto di canna che trasmette il suono allo strumento. Una rivelazione. È inverno e da quella sera il giovane giardiniere, nelle serate davanti al camino, ha sempre accanto a sé canne e coltelli per sperimentare l'arte. Torna a Tadasuni, guarda le vetrine con occhio clinico, manda a memoria dettagli. Dove montare l'ancia? Il primo esperimento è un flautino di Gavoi, con i fori fatti a caldo, una lama di coltello di distanza fra ciascuno. Poi quello di Isili dove i nodi del legno hanno un'importanza musicale. Gira impazzito per i paesi, compra i modelli. «Gli strumenti sardi tradizionali hanno pochi fori, massimo cinque. Sul piano musicale hanno molti limiti: se vuoi fare il ballo sardo, è perfetto. Altrimenti ti mancano proprio i suoni, le note. Ho deciso di tentare di farle aumentare e, prova dopo prova, è venuto fuori un pippiolu, lo zufolo».
LE REGOLE AUREE Mai tagliare le canne con la luna crescente. Mai in un mese che non sia febbraio. Mondo Usai le tenta tutte ma la materia prima non è docile come la sua immaginazione: «Lo sanno bene gli artigiani che realizzano i tetti con le canne. Negli altri periodi marciscono, diventano rugose, si seccano, arrivano i tarli. I tempi della natura hanno un senso, l'ho imparato quando facevo il potatore. Sugli agrumi, per dire, si lavora a giugno, negli altri periodi fai male alla pianta». Poi va scelto con cura il luogo. Da anni i suoi rifornitori preferiti sono i corsi dei fiumi accanto a San Vero Milis. C'è ogni tipo di canna, quelle delle launeddas e bambù alti come pioppi.



ESPERIMENTO RIUSCITO Dopo tanto provare, la creatività fervida regala il primo strumento tradizionale eppure nuovo di zecca. «C'è la possibilità di suonare in tre tonalità, sol la si , cambiando semplicemente la posizione del dito». I tempi del battesimo del pubblico sono pronti. Dopo sei anni di esperimenti, quando lo invitano in un celeberrimo resort di Santa Margherita di Pula per un'esposizione, decide di provare. Si porta dietro tutto, tradizione e parti della fantasia applicata con rigore alla tecnica. Bingo. «Ho venduto tutto, anche i modellini che avevo comprato tanti anni prima per studiarli. Seicento mila lire in una volta, ero emozionato». Molla il lavoro alla Provincia, la moglie colta e amorevole approva. Ecco la professione della vita, anche se è complicato imbrigliarla in una definizione: costruttore di strumenti musicali. Quelli del passato, delle feste di piazza, della solitudine, dei banditi. E quelli di domani, che prendono forma senza sapere cosa ne sarà di loro.
RACCOLTA DIFFERENZIATA Gli ultimi arrivati sono cilindri di legno, usati fino a non molto tempo fa dai caseifici per dare la forma al formaggio. «Se ne sono disfatti tutti per sostituirli con quelli di plastica e io sto cercando di recuperarli». Possono diventare il corpo di un tamburo ma anche un sacco di altre cose. Poi ci sono i metalli di ogni ordine e grado, vecchie lame di seghe da campagna sfogliate - striscia dopo striscia - come se fossero arance. Poi pezzi di tende, vecchie bombolette spray e chiodi (nel risultato finale, siamo dalle parti delle maracas). Non si butta via nulla, neanche le corna degli animali e certe parti delle viscere. In vetta però ci sono le zucche, crocorigas di qualunque forma e dimensione. Svuotate e essiccate, sembra siano nate apposta per diventare la cassa armonica delle benas (ma nelle benas cun corru l'amplificatore è un corno di vacca). Beninteso: anche per i materiali di recupero vale un setaccio stretto, si sceglie mica si raccatta. Per dire, le canne scelte per le launeddas sono tutt'altra storia rispetto a quelle usate per i flauti.
PICCOLO GENIO La produzione è esposta in bell'ordine sui tavoli, appassionati e musicisti (tutti i sardi, da Cordas et Cannas a Marino Derosas) passano spesso a dare uno sguardo. Ma le soddisfazioni spesso si nascondono negli oggetti più piccoli, meno balzani. Nella forma essenziale della sua trunfa, lo scacciapensieri, per esempio. Sorpresa: quel suono metallico si può accordare con una vite regolata da una chiave a brugola. Le centinaia di ragazzini che hanno frequentato per anni i suoi laboratori per la costruzione degli strumenti nelle scuole della zona (da Arborea a Ula Tirso ad Ardauli, «ora sono interrotti perché non ci sono più soldi») ne erano affascinati. Altri strumenti sono infinitamente più complessi, sia che derivino dalla tradizione sia che siano improvvisazioni sul tema. Per dire, da anni gira per i paesi (Sedilo e Bosa, soprattutto) nella speranza di sentire dal vivo una serragia, una vescica di maiale secca e piena d'aria su cui scivola una corda sfregata da un archetto di lentischio. Inutilmente: mai sentita. Lui comunque continua a costruirle. Nella saletta prove amatoriale, ce n'è una collegata con l'impianto di amplificazione: effetti speciali. Altri strumenti sono invece figli legittimi della fantasia. Tipo la banzucca , una simil-chitarra di bambù e zucca, pezzo unico.
PERFEZIONISMO Siccome gli strumenti sardi più tipici richiedono respirazione circolare (quella che gonfia la bocca come una sacca di zampogna e consente di far uscire il suono senza interruzioni) l'ha fatta subito sua. E per un asmatico è un'impresa da medaglia. E anche nella ricostruzione di autentici pezzi da museo, l'uomo è pignolo. Giusto per il trimpanu, compagno dei banditi del secolo scorso, si è preso qualche licenza. La norma vorrebbe che si utilizzasse un cilindro di sughero («il primo, da un albero mai utilizzato prima») e una pelle di cane conciata. L'animale doveva esser morto di fame perché la pelle fosse perfetta. Un po' troppo, francamente. Si ovvia con una pelle di capra. E poi una corda bagnata nella pece, sistemata al centro del cerchio, da tirare. Il risultato è un suono profondo e lugubre, come un immenso rumore gastrico che si immagina rimbombare per valli e radure. Infastidisce le orecchie degli uomini ma nei cavalli (il mezzo dei carabinieri di allora) pare susciti terrore e fuga incontrollata.
Fra flauti e armoniche, aleggia un profumo di mirto che inebria. Nella stanza accanto, il distillato casalingo è quasi pronto. Ma c'è in preparazione anche la tintura madre di elicriso, lo sciroppo alla menta selvatica e altre delizie. E si duole di non saper ancora preparare gli oli essenziali: eucalipto e timo farebbero un gran bene ai polmoni. Anche qui, una questione di tempi, di equilibri. Di sinfonia. Musica, insomma.
paolini@unionesarda.it

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