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2.7.13

La tenera storia di un'amicizia nella Olbia degli Anni CinquantaMario e il vecchio Ugo: un furto per la sua bara.

fra le tante   ovviettà e  fesserie   degli approffondimenti  estivi dei giornali   capità   di leggere  anche  storie interessanti  eccone  una  tratta  dall'inserto estivodell'unione sarda del  2\7\2013
di Piera Serusi
Olbia. Dietro il feretro c'era lui soltanto. I quattro uomini che portavano la bara, il frate di San Simplicio, un chierichetto con la croce. E Mario, che arrancava col capo chino e le preghiere in punta di labbra.«Chi est su mortu, Marie'?», gridò un giovane seduto sulla soglia di casa al passaggio del corteo funebre più corto del mondo. «Est unu amigu meu», rispose il ragazzino.«Tando benzo eo puru». Vengo anche io, annunciò quello alzandosi e mettendosi in coda con le mani giunte. Qualche centinaio di metri, il tanto di un eterno riposo, e sulla processione si abbatteva un'altra voce: «Chi est su mortu, Marie'?». Un amico mio, ripeteva il ragazzo. E allora vengo anche io. Fu così che, lungo il tragitto verso il cimitero di Olbia, la fila dei dolenti si rimpolpò e Mario Pischedda riuscì a fare un funerale degno di questo nome per il suo amico Ugo, l'uomo senza un passato.
«Di lui non sapevo niente, a parte il nome. Gli facevo molte domande, mi rispondeva: “Io sono la nullità che sta in questo mondo”. Però mi raccontava tante storie: della guerra, di grandi personaggi, di terre lontane. La nostra è stata un'amicizia durata solo un anno e mezzo, ma quanto mi ha dato...». Mario ha 68 anni, due figli e decine di canzoni registrate alla Siae. Scrive i testi per Pino d'Olbia, il Luciano Tajoli della Gallura, e suona nella band “Isola” con serate in Costa Smeralda e nei circoli dei sardi di mezzo mondo. La vita che sognava quel ragazzino con le scarpe rotte e un amico da accompagnare all'ultima stazione.Questa è una storia che sembra uscita da un racconto di Mark Twain. Una storia d'amicizia e di formazione, cuore e poesia, polvere e fame. Olbia, 1957. Mario Pischedda aveva 12 anni, tre fratelli, la quinta elementare e due lavori coi quali riusciva a portare a casa un po' di soldi per tirare avanti. Era diventato il capofamiglia dopo la morte del padre Francesco, agricoltore che curava i campi di grano. Il lutto portò via il babbo, il pane e il denaro, e così c'era da rimboccarsi le maniche per aiutare mamma Michelina a non lasciarsi piegare dalla disperazione. «Guadagnavo anche 70 lire raccogliendo sacchi di scarti di carbone da consegnare ai fabbri - racconta -. E in più, ogni santo giorno pulivo i gabinetti della nave “Lazio”: mi davano 50 lire più venti brioche».Erano i tempi della fame più nera, quelli. Non sarà mica a caso se la storia di una grande amicizia è cominciata con il profumo di un panino alla mortadella. «Io quell'uomo non l'avevo mai visto. Un giorno arrivò e occupò una stamberga in fondo alla via, poco distante dalla mia casa. Lo incontrai la prima volta mentre stava seduto su un gradino davanti all'uscio, tra le mani una grande pagnotta. Che fame. “Tieni appetito, eh?”, mi chiese. Aveva il viso di un vecchio, o perlomeno così sembrava a me che ero un bambino. Non era sardo; anni dopo ho ricondotto il suo accento alla parlata abruzzese. Non risposi né sì né no, feci spallucce. “Fame tieni tu, e fame tengo io”, disse lui mentre spezzava il panino in due. Aveva condiviso con me l'unico pasto di quella giornata. “Mi chiamo Mario e tu?”. Ugo, rispose. Non ho mai saputo nulla di più sul suo conto. Ma quel giorno ho conosciuto l'amico che mi ha spiegato il senso della vita e della morte. L'amico che, senza saperlo, mi ha aiutato a diventare un uomo».Ugo viveva nella casupola senza tetto, arredata con un letto di cartone e un focolare al centro della stanza. «Ogni mattina, prima di andare al porto per pulire i gabinetti del traghetto, passavo a trovarlo e lui mi preparava un caffè di cicoria e liquirizia, come quello dei tempi della guerra». E raccontava le storie, l'epopea dei grandi condottieri e le imprese dei campioni dello sport.Poi, un giorno, poco più di un anno dopo. «Un'alba di aprile. Lo trovai disteso sul suo letto di cartone. Era morto per il freddo. Cosa potevo fare, adesso, per lui? Un funerale, pensai, un bel funerale. Ugo aveva soltanto me al mondo. Andai da tziu Pippinu, il falegname. Me la fate una bara?, gli domandai. “Una bara? E dinare ne hai?”, mi chiese».Dinare? Accadde così che Mario Pischedda rubò per la prima e ultima volta in vita sua. «Presi 500 lire che stavano sul comò di mia mamma e tornai dal falegname. Vi bastano? chiesi. “Devo misurare il morto per vedere se è corto o lungo”, disse tziu Pippinu». Andarono alla baracca, presero le misure di Ugo e alla fine il baule di tavole venne fatto.E chi lo porta il morto?, gli domandò il vecchio vicino di casa zoppo che si era affacciato dentro la casupola mentre Mario, aiutato da tziu Pippinu, ricomponeva il defunto nella bara. Già, adesso bisognava organizzare il funerale. Il ragazzo corse in strada, bussò a un paio di porte e chiese aiuto a due giovani passanti. Quattro uomini. Se soltanto avessero accettato. «La portate una bara in spalla fino al cimitero?». Come no, fu la risposta, dacci solo l'orario. Mario volò in parrocchia, suonò al campanello della canonica e spiegò al frate affacciato sull'uscio che l'anima dell'amico era volata in cielo e che occorreva il viatico di una benedizione.Il funerale venne fissato per l'indomani, nel primo pomeriggio. Sotto un pallido sole di primavera, la bara di ruvido legno coi chiodi a vista sfilò - portata in spalla da quattro uomini - nelle vie quasi deserte. Davanti al feretro, il frate e il chierichetto. Dietro, Mario soltanto. «Chi est su mortu, Marie'?». Era un amico mio.

14.4.13

Firenze Fa arrestare il ladro, poi gli offre un lavoro


  dopo  la lettera  anonima  , e  significativa di   come si sente  un imprenditore  che licenzia i suoi dipendenti  scritta    a Napolitano  ( che  trovate  in questo mio post precedente  )  ecco da   la repubblica  10\4\2013  una  storia    ( fortunatamente  finita  bene ) tipica  insieme ai suicidi  in questo periodo di crisi   economica


Fa arrestare il ladro, poi gli offre un lavoro“Ho temuto che si potesse suicidare”Firenze, il gesto di un manager: “Non sono un santo, volevo dargli una possibilità”


LAURA MONTANARI 

FIRENZE  Ha fermato il ladro con un coltello, lottando e ferendolo appena al torace. Poi ha scoperto che era un disoccupato, uno che campa con 250 euro al mese e il giorno dopo gli ha offerto un lavoro.
«Che ladro può essere uno che viene a rubare con l’auto della moglie, uno che lavora tutta la notte per un bottino di 60 euro in fili di rame?»
 si è chiesto Paolo Pedrotti,62 anni(  foto  sotto   a  destra  ) veneziano, un vita spesa nelle gallerie d’arte contemporanea.
«Ho pensato a un’altra triste storia di crisi e disperazione,la mente è corsa ai suicidi di Civitanova arche». Pedrotti da pochi mesi vive a Cerreto Guidi, in provincia di Firenze: fa «temporaneamente » il manager in un residence appena ultimato dove gli  appartamenti sono tutti in vendita e disabitati. Tutti eccetto uno:quello in cui vive lui. Il ladro non lo sapeva, pensava di andare in un cantiere senza sorveglianza.
«Ho sentito dei rumori, lunedì prima dell’alba ho pensato fosse il vento, poi ho capito che doveva essere entrato qualcuno. Ho aperto la porta e c’erano le canaline elettriche sventrate e ho visto la
sagoma di un uomo che urlava: non ho fatto niente, niente. Era terrorizzato e gli ho gridato: chiamo
i carabinieri. Lui mi ha aggredito,ma io avevo il coltello. È scappato,è salito sull’auto e ha cercato
di venirmi addosso. A quel punto gli ho scagliato un sasso sul vetro e l’ho bloccato». I carabinieri,pochi minuti dopo, lo hanno arrestato.
Pedrotti ci ha riflettuto su qualche ora, quindi ha scritto una lettera al bracconiere del rame  facendola   
pubblicare ieri su “Il Tirreno”:«Caro ladro, nell'increscioso episodio che ci ha visti attori,con ruoli diversi. .. ho fatto una riflessione che ti pongo come proposta.Valutando che hai scardinato ben 32 cassette di derivazione  asportando ben 18 chili di rame che, venduto sul mercato a 3 euro ti avrebbe fruttato un bottino, al netto delle tasse, di 60 euro facendo comunque un danno di 6-7 mila... ti chiedo: ne valeva la pena?».
Quindi l’offerta, una seconda chance: «Ora, dopo qualche ora di detenzione e magari qualche
giorno agli arresti domiciliari, ti invito a passare dal cantiere. Porta con te un taglia erba e io ti prometto che ti farò tagliare il prato per 8 euro l’ora e se hai una compagna porta anche lei, ci sono 50
appartamenti da pulire. Penso sia il modo più consono per guadagnarti il denaro sufficiente a  un’esistenza quantomeno dignitosa. Ti offrirò un bicchiere di vino e cercherò di persuaderti a scegliere Ti aspetto, l’indirizzo tanto lo sai».
Non capita di frequente di andare a rubare qualcosa e trovare in cambio un lavoro: «Si ma non sono
un benefattore — tiene a dire il direttore vendite del residence — , non sono neanche un cattolico
praticante, piuttosto credo in quel che diceva Confucio: non dare un pesce a un uomo, ma insegnagli
a pescare».
La risposta del ladro non si è fatta attendere: Marcello Mucci, 54 anni,(  fotto sotto   con  la  moglie  a sinistra  ) 



 di Pistoia, ieri si è presentato al processo per direttissima (rinviato a metà aprile dopo che il giudice ha deciso di scarcerarlo  mponendogli soltanto l’obbligo di firma dai carabinieri). Quando ha saputo dell’offerta di un lavoro era incredulo e felice: «Siete sicuri?L’accetto a braccia aperte» ha detto.
«Rubavo rame per lavorarlo e creare portaoggetti e candelabri da vendere porta a porta» ha aggiunto
raccontando forse soltanto un pezzo di verità. Poi una storia di crisi e di disoccupazione, simile
a tante. Dal 2011 Mucci, ha perso il lavoro e adesso vive con 250 euro al mese, la pensione  d’invalidità della moglie: «Lavoravo come giardiniere e guadagnavo piuttosto bene. Sono stato licenziato in tronco perché dopo un  infortunio sul lavoro non ero più in grado di fare lavori pesanti».
Naturalmente con 250 euro non arriva a fine mese: «Abbiamo venduto l’oro che avevamo in casa,
adesso abbiamo messo in vendita i mobili su Internet. Sono quelli del salotto, di castagno, è un buon
legno... qualche cosa ci daranno no?”.

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...