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9.6.21

Morto don Mario Riboldi, ha dedicato la sua vita ai rom e sinti: "Scelse di vivere il sacerdozio da nomade"

 Ha vissuto a lungo in roulotte in un campo rom di Brugherio e ha condiviso la sua vita con i rom e i sinti italiani di cui è sempre stato amico e referente. Ieri è morto a 92 anni, don Mario Riboldi, il prete di frontiera che più di chiunque altro negli ultimi 50 anni è riuscito a interpretare i bisogni di un popolo che ha vissuto come una minoranza ai margini delle grandi città, Milano in primis.Lo avevamo intervistato una decina di anni fa proprio a Brugherio, nella sua casa mobile, in mezzo alle altre roulotte e vicino alla "cappella" dove celebrava ogni mattina la messa per i cattolici del suo campo. Era il loro consigliere spirituale e con loro tante iniziative aveva organizzato a favore del dialogo e dell'integrazione sociale. Da


quando la sua salute si era deteriorata, viveva in una casa di riposo di Varese, lì dove è mancato ieri.
"È morto don Mario Riboldi, un uomo buono di Dio e uno dei più cari amici dei Rom e Sinti in Italia, Europa e in mezzo mondo - racconta in un post su Facebook Stefano Pasta,  di Sant'Egidio di Milano - Ho avuto la fortuna di essergli amico e aver tante occasioni con lui per condividere preghiere, parole, pranzi, sogni, preoccupazioni, pensieri per tanti rom e sinti. Tanti sono i ricordi dei momenti vissuti insieme: ricordo quando - avevo appena finito le superiori - mi raccontò come aveva iniziato la traduzione del Vangelo di Marco in una delle tante lingue romanes che parlava. Ogni incontro era l’occasione per un nuovo aneddoto, vicino e lontano nel tempo".

 
 
 
 
 
Don Mario Riboldi era stato incaricato di seguire come cappellano i rom di Milano dal cardinale Carlo Maria Martini, che aveva accettato la sua scelta di vivere il sacerdozio da nomade, vivendo nel contesto fragile e particolare in un accampamento autorizzato ma non certo comodo. Riboldi non aveva difficoltà ad ammettere che lo stile di vita in fondo arcaico e rurale dei rom gli era consono, forse per una sua autenticità così rara nei tempi di oggi. 
"Con Sant'Egidio avevamo la tradizione della preghiera per i defunti rom e sinti a Milano, a cui ogni anno hanno partecipato tanti amici rom - aggiunge Pasta -. Don Mario ha dedicato la sua vita ai rom e sinti, che amava. Ha testimoniato cosa vuol dire vivere la testimonianza, radicale e non scontata, del Vangelo. Lo ricordo nella preghiera e credo la sua bella vita sia un dono e anche una responsabilità per tutti noi".

Cordoglio arriva anche dalla Diocesi che ricorda la storia di questo prete, ordinato nel '53, appoggiato dal cardinale Montini futuro Papa Paolo VI, e dal 1971 al 2018, per 47 anni,incaricato diocesano per la Pastorale dei Nomadi. Svolse diversi ruoli in ordine alla evangelizzazione dei rom, sinti e camminanti sia come responsabile diocesano che nazionale, portando agli onori degli altari il 4 maggio 1997, per la prima volta nella storia il gitano Ceferino Jimenez Mall. Preziose le sue traduzioni nelle varie lingue rom della Bibbia, di testi liturgici e canti.
«Scompare un prete che ha saputo vivere con radicalità la testimonianza del Vangelo e un punto di riferimento per la comunità rom. La sua scelta di farsi povero tra i poveri, di vivere come un rom, pur non essendolo, è stata una provocazione anche per molti credenti, costretti dal suo esempio a interrogarsi sui tanti luoghi comuni di cui questo popolo è ancora vittima e ostacolano, purtroppo, la sua piena integrazione», dice Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.

5.3.17

Il miracolo di Scampia






La baracca del campo rom di Scampia dove vive la donna della storia con i suoi quattro figli

Grazie alla segnalazione di padre Domenico Pizzuti, 80 anni, Scampia

Lavoro a Scampia da anni, mi scrive padre Pizzuti, seguo le famiglie del campo rom spontaneo di via Cupa Perillo. E’ una piccola storia questa, dice: magari non interessa. Non interessano i rom, in generale. Lo spirito del tempo è quello di scatenare gli ultimi contro i penultimi, alimentare le paure, costruirci sopra carriere e profitti. Non sono mai i penultimi ad avvantaggiarsi della cacciata e dell’ostracismo degli ultimi, però: sono sempre i primi, fateci caso.
Gli sfruttatori, i caporali, gli scafisti, i corrotti. Alcuni esponenti politici che fondano le loro fortune sull’odio e sul disprezzo che coltivano. Parlare di Scampia non porta voti né consenso, in genere non se ne parla se non per alimentare l’epica degli scugnizzi pistoleri. Il crimine che ha la meglio sullo Stato. Poi però, dice questo anziano gesuita, chi vive a Scampia “a volte vede accadere qualche miracolo, e questo è uno”. Magari si potrebbe di tanto in tanto dare voce anche a qualcosa di buono che accade. Magari, infatti. Dunque ecco il piccolo miracolo di Scampia.
C’è una madre con quattro figli. Otto, sei, quattro anni e 18 mesi. Il marito è in carcere. Vive nel campo rom di via Cupa Perillo. “L’ho ascoltata, negli ultimi due anni ho dato l’aiuto che potevo perché i figli andassero a scuola e avessero i libri, spesso l’ho accompagnata nei suoi tragitti: ho visto che, secondo le sue possibilità, sempre pensava prima ai figli che a se stessa. Solo ai figli, direi”. Lunedì 2 gennaio il maggiore, otto anni, raccatta da terra un fuoco d’artificio che gli esplode in mano. Ferite gravi, ospedale. Al Santobono il medico del Pronto soccorso fa, come di dovere, una relazione agli assistenti sociali.
Arriva un primo controllo alla baracca di lamiera dove la donna vive. Lei capisce che le possono togliere i bambini. “In due giorni trasforma, da sola, la baracca. Vi allego la foto”. Lo spiazzo ripulito, tende colorate alle finestre, un tavolo a cui far sedere le assistenti sociali, lo spazio interno – non lo vediamo, lo descrive padre Pizzuti – “diviso da una parete di legno colorato, un letto grande per i più piccoli e un ambiente separato per i due maschi più grandi. Tappeti a terra, rimediati, e un divano”.
E’ stato sicuramente il timore di perdere i figli, dice il gesuita, a metterla in moto nel tentativo di “mostrare di essere all’altezza di quello che pensa che il mondo del benessere si aspetti da lei”. Non è l’unica: “Molte donne al campo cercano di dare ai figli una vita dignitosa che è quello che più conta nella vita di tanti, forse di tutti: non lasciamole sole”.
I bambini non hanno colpe. Trovo di seguito la mail di Gioia Cesarini, presidente dell’associazione “A Roma, insieme”, che invita a sottoscrivere una raccolta di fondi per consentire fino a giugno il proseguimento del servizio di trasporto dei bambini di Rebibbia a nidi esterni. Per un complicato motivo (mancano i soldi, certo: è sempre una questione di priorità) da due anni il IV municipio non rinnova il contratto per il trasporto pubblico. Servono 3600 euro, non i milioni di certi appalti portatori di voti e consenso. Qui come donare. Il commento di Salvini lo do per noto, può almeno in questo caso risparmiarselo.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...