Il giorno dopo il funerale di sua madre, Moira si è messa a cercare ogni fotografia in cui la potesse rivedere. Ha sfogliato gli album di famiglia ed è andata da parenti, amici e dal fotografo del paese, soprannominato ironicamente “lo sciupamusi”, per raccogliere tutte le immagini in cui ritrovarla. Aveva bisogno della sua presenza, di guardarla e di vederla viva nel mondo. Mamma Lorena, che aveva solo cinquant’anni, se ne era andata all’improvviso il giorno di San Lorenzo, quello delle stelle cadenti. Moira, che da tre mesi era lontana da casa per finire la tesi di laurea, non poteva accettare quella scomparsa improvvisa e così ha inventato il suo modo per tenerla vicina.
“Gemellini” © Moira Ricci. Le fotografie sono tratte dal libro di Moira Ricci, edito da Corraini, “20.12.53 – 10.08.04” dedicato a sua madre Lorena
Ognuno di noi nella vita deve fare i conti con la perdita dei genitori, provare a elaborarla, trovare una strada per andare avanti. Se accade quando si è già adulti e i genitori sono anziani, allora siamo aiutati dall’idea che sia il corso naturale delle cose, ma se la perdita avviene prima di essere diventati davvero “grandi” allora è qualcosa che ci portiamo dentro, in modi diversi, per sempre. E che spinge a cercare forme per trasformare il dolore e la mancanza.
Ho incontrato Moira Ricci, artista e fotografa, a Milano, dove insegna fotografia in un liceo artistico. Abbiamo dialogato insieme alla scrittrice Maria Grazia Calandrone e alla regista Alina Marazzi, perché ognuna di loro ha dedicato parte della propria opera (un progetto fotografico per Moira, due romanzi per Maria Grazia e un film documentario per Alina) a elaborare il dolore della perdita della madre.
L’occasione è stata una mostra di fotografie, alla Fabbrica del Vapore di Milano fino al 17 marzo, che si chiama “Straordinarie” e raccoglie 110 ritratti di donne italiane che con il loro percorso testimoniano la possibilità di affermarsi oltre pregiudizi e discriminazioni.
Mentre osserva quelle foto della mamma che sta raccogliendo in giro per la Maremma, per la precisione nel Parco dell’Uccellina dove è nata e cresciuta, Moira sente che non vuole accontentarsi di guardare. Non vuole mettere insieme un album da sfogliare ma vuole entrare nelle foto, prendere sua madre e riportarla fuori. «Ero talmente scioccata da questa perdita improvvisa che mi sforzavo di immaginare un modo per stare con lei». Come fare per entrare nella foto? «Bisognava diventare parte dell’immagine, dovevo essere anch’io una foto». Per poter far parte di quel momento però era necessario innanzitutto essere coerenti con il tempo, la moda, lo stile e i colori dello scatto originale. Così Moira comincia a studiare ogni singola immagine, lo fa giorno e notte per i primi due anni, cerca i vestiti e le scarpe del tempo, la pettinatura corretta, e inizia a fotografarsi con una piccola macchina digitale. Prova centinaia di scatti, finché non arriva l’immagine perfetta, che rispetti l’atmosfera e abbia le luci e le ombre giuste. Poi ritaglia la sua presenza digitale e la applica sulla foto tradizionale.
"20.12.53-10.08.04" - (mamma-con-maestra) © Moira Ricci
"20.12.53-10.08.04" - (mamma-innaffia) © Moira Ricci
«Avevo deciso di farlo senza nascondere nessuno e senza sostituirmi ad altri, perché volevo rispettare la foto com’era. Volevo entrare dentro, tornare nel passato e andare ad avvertirla del pericolo». Perché Lorena è morta per i postumi della caduta dalle scale del cantiere della casa nuova che si stava costruendo con il marito Tonino. «Nelle foto io la fisso con sguardo preoccupato come per metterla in guardia di non cadere e portarla via con me. La verità è che volevo stare con lei e siccome non era più possibile l’ho fatto nelle foto».
Nei primi due anni Moira crea 15 collages, poi rallenta: «Nel tempo sono stati sempre meno, perché elaboravo il mio lutto e cominciavo a fare altro, a guardare avanti e fuori. Queste foto restavano però un luogo di incontro con lei e amavo l’idea di entrare per parlarle, per raccontarle le cose nuove, per esempio che era nato suo nipote».
Alla fine del progetto le foto con Lorena saranno cinquanta, come gli anni che la madre aveva vissuto e Moira si inserisce vicino alla madre anche quando lei era ragazza o bambina, in un tempo in cui non c’era ancora. «Rispetto a mio fratello e al mio babbo sono riuscita a elaborare meglio la perdita, questo lavoro è servito molto a ritrovare la luce e a non ammalarmi. Mi ha aiutato a fare i conti».
"20.12.53-10.08.04" - (fidanzati) © Moira Ricci
"20.12.53-10.08.04" - (mamma-in-negozio-che-lavora) © Moira Ricci
Lorena faceva la parrucchiera, aveva risistemato il porcile del podere, e ci aveva fatto il negozio. «Il mio modo per contestarla nell’adolescenza era di farmi i capelli di mille colorazioni, lei impazziva perché fino a quel momento ero il suo modello per provare le pettinature».
La grande lezione che Lorena ha dato a Moira, quella che ha cementato il loro amore, è stata l’indipendenza. «Qualunque cosa io chiedessi, dallo stereo al motorino, lei rispondeva: “Quando andrai al lavoro te lo comprerai”. Così già a 13 anni sono andata a fare la raccolta dei pomodori, delle cipolle e poi la vendemmia. E l’anno dopo, quando avevo l’età giusta, ho cominciato a fare la cameriera e la barista nei campeggi a Talamone».
A 18 anni e mezzo Moira si trasferisce a Milano per studiare fotografia alla Scuola Bauer: «Mamma era stata chiarissima con me e mio fratello: “Chi esce di casa se la deve vedere da solo”. Io mi mantenevo facendo mille lavori: la bagarina alla Scala, la disegnatrice di fumetti, soprattutto manga giapponesi, su mutande che vendevo rigorosamente in nero fuori dalle discoteche, davanti all’Università Statale, nei mercatini e nelle fiere. Per un periodo ho posato come modella nuda all’accademia della terza età. Non mi sono vergognata di nulla, ma ero orgogliosa di essere indipendente».
"20.12.53-10.08.04" - (passeggiata-a-casa-di-nonna) © Moira Ricci
"20.12.53-10.08.04" - (mamma-cucina) © Moira Ricci
«Indipendenza però non ha mai significato lontananza: mi chiamava tutte le sere, era molto presente e c’era sempre. Mi diceva che dovevo viaggiare e mi spingeva a scoprire il mondo. Le raccontavo tutto, ogni cosa che mi accadeva e ogni persona che incontravo. Per questo ho sentito l’urgenza di continuare a stare nelle cose con lei, anche se soltanto in una fotografia».
e dalla nuova sardegna la seconda
Sassari «Quando mi troverò davanti al presidente della Repubblica, sarà come se con me ci fossero il sorriso di Giulia e il cuore di tutte le persone che ogni giorno sostengono il nostro progetto. Giulia Zedda non c’è più da quasi 6 anni ma il suo sorriso non si è mai spento e la scia luccicante di bene che continua a lasciare al suo passaggio sta per arrivare sino al Quirinale. Il 20 marzo, alla cerimonia di consegna delle trenta onorificenze al Merito della Repubblica Italiana, ci sarà anche Eleonora Galia, la mamma di Giulia. Il nome dell’attivista cagliaritana è stato infatti inserito da Sergio Mattarella nell’elenco delle “cittadine e dei cittadini che si sono distinti per attività volte a contrastare la violenza di
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Eleonora Galia e sua figlia Giulia zedda scomparsa sei anni fa |
genere, per un’imprenditoria etica, per un impegno attivo anche in presenza di disabilità, per l'impegno a favore dei detenuti, per la solidarietà, per la scelta di una vita come volontario, per attività in favore dell’inclusione sociale, della legalità, del diritto alla salute e per atti di eroismo». Eleonora Galia, in particolare, verrà insignita del prestigioso riconoscimento “per la tenacia e la costanza con la quale, nel ricordo della figlia, aiuta i bambini malati rallegrandoli con giocattoli e finanziando investimenti nelle strutture ospedaliere che li ospitano”.
Il sogno di Giulia Raccogliere e distribuire alle famiglie in difficoltà tutto ciò che serve per i bambini, sin dall’età neonatale. Era questo “Il sogno di Giulia” ed è questo il nome dell’associazione di volontariato che Emanuela Galia e suo marito Alfio Zedda portano avanti per mantenere fede al desiderio della loro bambina, scomparsa all’età di 10 anni, nel 2018, dopo un lungo calvario per un tumore al cervello. «Ci siamo io e mio marito, è vero – dice la responsabile del progetto –, ma siamo letteralmente circondati e sommersi dall’impegno e dalla generosità dei soci, di tantissimi cittadini comuni e a una squadra di professionisti di ogni settore: medici di tutte le specializzazioni, avvocati, insegnanti, pasticceri, amici che ci supportano da ogni parte d’Italia. Per questo dico che quando andrò da Mattarella sarà come avere al mio fianco un esercito di persone generose. E non ho neanche idea di chi ci abbia segnalato al Quirinale».
Vita vissuta I progetti dell’associazione ricalcano le esperienze che la famiglia Zedda ha sperimentato sulla propria pelle negli anni della malattia di Giulia. «Molte iniziative nascono in effetti sulla falsariga delle nostre disavventure: come non riuscire a prenotare una visita in tempi brevi attraverso il cup, come ritrovarsi fuori dalla Sardegna e non sapere come muoversi, o entrare in una stanza per il ricovero che non è accogliente per un bambino. Noi ci siamo passati e ci siamo trovati soli. Allora abbiamo creato una rete di specialisti che garantiscono visite gratuite in tempi rapidi, abbiamo tassisti amici a Roma, persone in grado di supportare in tutti i modi una famiglia che si trova in quella difficile condizione. E nel reparto di Pediatria di Sassari, dove Giulia è stata curata per un periodo, abbiamo acquistato arredi colorati e reso più bella una stanza grigia».
L’associazione con sede nel quartiere di Is Mirrionis è il fulcro di iniziative che hanno portata rilevante a livello sociale. Qui vengono raccolti e ridistribuiti alimenti, indumenti (anche abiti da sposa), attrezzature di ogni genere per l’infanzia, strumentazioni per visite specialistiche; vengono organizzati campi estivi per famiglie in difficoltà, pagati ombrelloni al mare per famiglie con figli disabili, acquistati occhiali. E tanto, tantissimo altro. «Non ci siamo mai pianti addosso – spiega Emanuela Galia –. Come nel bellissimo disegno che ManuInvisible ha fatto sulla serranda della nostra sede, siamo rifioriti dal dolore e l’abbiamo trasformato amore. Rivediamo il sorriso di Giulia nel sorriso degli altri bambini e ogni giorno torniamo a casa arricchiti
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Naufragio di Cutro, il pescatore che per primo diede l'allarme: "Non riesco più a entrare in acqua"
Vincenzo Luciano è diventato, suo malgrado, uno dei simboli del naufragio di Steccato di Cutro. La notte del 26 febbraio 2023 fu il primo ad arrivare sulla spiaggia e a dare l'allarme. Cercò di salvare più persone che potè, ma si ritrovò a recuperare i corpi delle vittime che affioravano dall'acqua e dal quelgiorno non ha mai più smesso di tornare su quella spiaggia. Quello che invece non è mai più riuscito a fare, come dice
in questa video intervista , è uscire con la sua barca per pescare. Le immagini terribili di quei giorni sono impresse nella sua mente, ricordi ancora troppo lucidi per poter tornare a vivere il mare che lui ben conosce
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Sempre sulle cariche a freddo cariche sui cortei pro Palestina, e sulla replica della polizia: "difficoltà operative " che riconosce come I manifestanti non stavano fermi
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