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7.6.23

Quelle "signorine per bene che giocavano a calcio" e sfidarono il duce: la prima squadra di football femminile



da  https://cultura.tiscali.it/storie/articoli/


Nasceva novant'anni fa a Milano. Libri, articoli e uno spettacolo teatrale prodotto dalle compagnie Meridiano Zero, Teatro Tabasco, Compagnia Vaga per la regia di Laura Garau scritto e interpretato da Michele Vargiu che sta girando l'Italia raccontano la vicenda del Gruppo Femminile Calcistico milanese

                                     di    Francesca Mulas


“Si può essere signorine per bene e da casa e praticare al puro scopo ginnasstico lo sport del calcio”. Così la giovane milanese Losanna Stringaro difendeva novant'anni fa, sulle pagine del quotidiano Il Littorio, il suo Gruppo Femminile Calciatrici, la prima squadra di calcio femminile nata in Italia. L'esperimento, come lo chiamarono le stesse fondatrici, durò poco meno di un anno ma rivoluzionò per sempre la visione dello sport italiano e fu una preziosa prova di coraggio e libertà nel tempo in cui il fascismo imponeva la sua visione autoritaria e oppressiva sulle donne.





La storia, ancora poco nota, è stata ben raccontata dalla giornalista Federica Seneghini che tre anni fa ha dato alle stampe per le edizioni Solferino "Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il duce", un saggio che ripercorre la vicenda di Rosetta, Giovanna, Marta, Elena e le altre donne coraggiose che, appassionate di calcio, scelsero di dare vita a una squadra tutta al femminile sfidando i pregiudizi e gli stereotipi che volevano le donne chiuse in casa mentre gli uomini si occupavano di politica, cultura, lavoro e sport.

 Oggi quello stesso incredibile coraggio è al centro di "Le fuorigioco", spettacolo teatrale prodotto dalle compagnie Meridiano Zero, Teatro Tabasco, Compagnia Vaga per la regia di Laura Garau scritto e interpretato da Michele Vargiu che racconta la storia del GFC, il Gruppo Femminile Calcistico milanese nato tra il 1932 e il 1933; lo spettacolo, che da mesi sta girando il Paese, andrà in scena il prossimo 23 giugno a Sestu, provincia di Cagliari, per il festival “Storie di donne, donne e la storia”.



                                 L'attore Michele Vargiu nello spettacolo "Le fuorigioco"

Era l'autunno del 1932 quando un gruppo di ragazze fondò la squadra per sole donne. Nonostante allora questo sport fosse roba da uomini, le intenzioni delle giovani erano serissime: crearono un programma con regole ben precise e lo inviarono a tutti i giornali perché lo pubblicassero, con l'obiettivo di cercare altre donne interessate a entrare in squadra. Il gioco era diverso da quello maschile: le partite erano divise in due tempi da 15 minuti l'uno, si calciava rasoterra e il pallone era "poco più grande di una palla di gomma, di quelle con cui giocano i bambini". Insieme alla nota stampa le "tifosine", come loro stesse si chiamavano, allegarono anche una foto di gruppo realizzata in uno studio fotografico.
Il 26 marzo 1933, davanti a un pubblico di parenti e amiche, ci fu il primo allenamento della squadra, mentre a fine maggio il giornale "Il Calcio Illustrato", l'unico che prese sul serio l'idea e diede spazio alle notizie del GFC, dedicò un'ampio spazio a interviste, commenti, opinioni intitolato "Un'ora con le calciatrici milanesi". Il giornalista notò un gioco piuttosto lento, scarsa abilità e parecchia inesperienza, tuttavia il suo era un punto di vista finalmente serio a fronte di tanti commentatori sarcastici, e sottolineava "poca agilità in corsa, cadute che erano dei crolli, assenza di dribbling, abuso del colpo di punta al pallone, pochissimi i colpi di testa e gli shoots" nel gioco delle ragazze, come riporta lo studioso Marco Giani nell'articolo "'Amo moltissimo il giuoco del calcio'. Storia e retorica del primo esperimento di calcio femminile in Italia" pubblicato nella rivista La Camera Blu del 2017. "Costituiamo una famiglia sempre in aumento, ci vogliamo bene, e continueremo", così Losanna Stringaro al giornalista de Il Calcio illustrato.



Arrivava nel frattempo l'autorizzazione al gioco da parte di Leandro Arpinati, che in quei mesi presiedeva il Coni e la Figc, a patto però che le ragazze giocassero a porte chiuse; le calciatrici furono costrette a chiedere un certificato medico a Nicola Pende, direttore dell’Istituto di biotipologia individuale e ortogenesi di Genova, allora considerato tra i medici più autorevoli dal fascismo, che diede il suo consenso: "Io credo che dal lato medico - scrisse - nessun danno può venire né alla linea estetica del corpo, né allo statico degli organi addominali femminili e sessuali in ispecie, da un gioco del calcio razionalizzato e non mirante a campionato, che richiede sforzi di esagerazioni di movimenti muscolari, sempre dannosi all’organismo femminile. Giuoco del calcio dunque, sì, ma per puro diletto e con moderazione!".
Conquistato il sì dalle autorità politiche e sanitarie, non restava alle ragazze che giocare: la prima partita ufficiale si disputò l'11 giugno 1933 nel campo milanese Paolo Filzi tra le milanesi "G.S. Ambrosiano" e il "G.S, Cinzano" che conquistò la vittoria con una rete a zero su gol di Mina Bolzoni; sugli spalti, un migliaio di persone. Pochi mesi dopo Leandro Arpinati lasciò la presidenza del Coni e il suo posto venne occupato da Achille Starace, gerarca fascista e uomo meno incline alle sperimentazioni rispetto al suo predecessore, che impose la fine del Gfc suggerendo altri sport "più consoni" al genere femminile.
L'esperienza di Elena Cappella, la più piccola della squadra ad appena 14 anni, Giovanna, Gina, Rosetta e Marta Boccalini, Losanna Stringaro, Brunilde Amodeo, Maria Lucchese e le altre giovani coraggiose si concluse così. Se le partite erano terminate restava invece eterno l'esempio del gruppo di coraggiose che scelsero di rompere gli stereotipi e mostrare al Paese che le donne potevano liberarsi dal ruolo di angeli del focolare e cercare divertimento e libertà in un campo sportivo. A queste donne pochi anni fa il Comune di Milano ha intitolato una strada nella zona di Parco Sempione.

6.4.17

Vince la Juventus: tre romanisti apprezzano Esplode un nuovo caso social dopo tre mi piace messi su Instagram da altrettanti calciatori giallorossi al passaggio di turno dei bianconeri.


da  Sportal.it  del  6\4\2017

Il clima non è di certo dei migliori in quel di Trigoria. Per strappare lo scudetto alla Juve servirà quasi un miracolo, eliminazione dall'Europa League e ultima, ma non di importanza, la bruciante eliminazione in Coppa Italia nel doppio confronto del derby contro la Lazio.

A mettere benzina sul fuoco ci pensa un episodio che ha provocato non poche polemiche: 3 "like" messi da Nainggolan, Rudiger ed Emerson Palmieri all'ex compagno Pjanic, alla foto che ha postato mercoledì il bosniaco su Instagram.
La foto in questione ritrae la squadra juventina dopo il passaggio del turno, che è valso la finale, negli spogliatoi del San Paolo.
I tifosi hanno reagito in maniera diversa: c'è chi ha lasciato sotto dei commenti di cattivo gusto, c'è chi invece riconosce che certe amicizie vanno oltre i colori della maglia con cui si scende in campo, eccone uno: "il valore dell'amicizia. La Roma ha altri problemi, non certo il like a una foto di Pjanic".
L'amicizia tra Pjanic e la maggior parte dei giocatori della Roma non è qualcosa di nascosto, anzi più volte documentata dai social, in particolare il rapporto con il suo grande amico Nainggolan, con il quale Miralem va spesso in vacanza. 

4.9.14

Fa coming out in famiglia e viene picchiato dai genitori in nome di Dio. VIDEO SHOCK




da http://lezpop.it/ 11:28 29/08/2014






Fare coming out in famiglia non è sempre rose e fiori. Anzi, a volte può rivelarsi un vero e proprio inferno. Così com’è successo a Daniel Ashley Pierce, un ragazzo americano di 20 anni. Daniel ha fatto coming out lo scorso ottobre e apparentemente sembrava che tutto andasse bene, fino a quando mercoledì scorso, i suoi nonni, suo padre e sua moglie, sono entrati in camera con l’intento di fargli cambiare idea sulla sua sessualità.
Daniel ha registrato un video, dove non si vedono i volti dei presenti ma si sentono chiaramente le voci, in particolare una voce femminile, probabilmente sua nonna, che condanna l’omosessualità del ragazzo in nome di dio. «Puoi credere in ciò che vuoi, ma io credo nella parola di dio, e dio non crea nessuno così. È solo una strada che hai scelto di seguire». Daniel prova a spiegare ai suoi familiari che la sua non è una scelta, e che è scientificamente provato. Ma la donna continua, «puoi tirare in ballo la scienza, ma io seguo la parola di dio». La discussione si fa sempre più animata, fino a quando appare chiaro che i familiari di Daniel hanno intenzione di cacciarlo di casa. Lui si rifiuta e da quel momento in poi, la situazione degenera. Nel video si sente chiaramente che una donna si scaglia contro Daniel, picchiandolo e insultandolo.






Ecco come ha commentato il ragazzo su Facebook:


What a day…. i thought that waking up at 9:48 and being 15 mins late to work was going to be the biggest problem today. but i didn’t know that my biggest problem was going to be getting disowned and kicked out of my home of almost twenty years. to add insult to injury my step mother punched me in the face repeatedly with my grandmother cheering her along. i am still in complete shock and disbelief [all sic]

Che giornata. Pensavo che essendomi svegliato alle 9:48 e che arrivare in ritardo al lavoro di 15 minuti sarebbe stato il maggior problema della giornata. Ma non sapevo che il problema più grande sarebbe stato quello di essere ripudiato e cacciato dalla casa dove ho vissuto quasi vent’anni, per di più la moglie di mio padre mi ha picchiato in faccia più volte e mia nonna che la incitava. Sono ancora scioccato e incredulo.

Il video, prima postato sulla sua pagina Facebook, poi ripreso da Dan Savage The Stranger di Seattle, è diventato virale. E attraverso la piattaforma GoFundMe sono state raccolti finora circa 19 mila dollari per sostenere Daniel. Nel frattempo, la famiglia di Daniel si rifiuta di parlare ai media e si è limitata a lasciare un messaggio vocale al ragazzo chiedendogli di rimuovere il video.


24.11.12

QUANDO L' UNICA MANIERA DI VIVERE E' MORIRE

Poichè due parole sono poche  è una  è troppo  ,  cosi  rispondo anche a chi mi dice  : << perchè visto che sei contro l'omofobia  , non hai parlato di  quel  ragazzo  suicidatosi a Roma  >> , con questo  post  preso   da http://apocalisselaica.net/radar-laicita/democrazia-atea/quando-lunica-maniera-di-vivere-e-morire


                            Un ragazzino di 15 anni si è tolto la vita impiccandosi nella propria abitazione a Roma.


Messo alla gogna e deriso da compagni di scuola ed insegnanti per la sua omosessualità, per il modo di vestire, perchè così deve essere nella logica di una società indottrinata dal regime di controllo.

E' l' anno 2012, il liceo è un prestigioso liceo scientifico dedicato a Cavour, anche se di scientifico pare non avere nulla, anzi, rimane ancorato a vecchi teoremi superstiziosi gestiti dai modelli religiosi.
Il ragazzino suicida non chiedeva nulla di atipico alla vita, voleva viverla all' insegna di se stesso, voleva esprimere, giocare, studiare come tutti gli altri coetanei, nemmeno chiede oggi di diventare un martire, un' icona un simbolo.
Deriso sia in ambiente scolastico che su Facebook dove era stata allestita una pagina col puro scopo di trasformarlo in un essere uscito male, vestito in rosa, col nome storpiato al femminile.
Oggi il liceo scientifico Cavour di Roma si preoccupa di salvaguardare il buon nome ed il prestigio, tramite la preside ci fa sapere che il liceo è aperto mentalmente e condanna l' omofobia, nessuna derisione in classe, mentre la pagina di Facebook solo un bel momento fra amici. Nessuna parola spesa davanti al dolore della vittima, costretta ad infliggersi la punizione più estrema: la morte.
E' da sottolineare che il suicidio è avvenuto poco dopo il rimprovero davanti ai compagni di scuola da parte di un insegnante, perchè il ragazzino aveva lo smalto alle unghie.
Un rimprovero che lascia sbalorditi, specialmente se a farlo è un insegnante di un liceo scientifico, incapace di comprendere che la vita e la sessualità che genera sono poliedriche.
Oggi quest' insegnante occupa ancora il proprio posto di lavoro anche dimostrando di non essere adatta all' insegnamento.
C' è da domandarsi a quale incantesimo il popolo italiano sia esposto, perchè tolleranza, intolleranza, stupidità, omofobia sono solo termini per descrivere degli idioti lontani anni luce da qualsiasi forma evolutiva.
Manifestazioni, fiaccolate, iniziative, tutto ciò che viene proposto risulta inutile davanti ad una società non ricettiva.
Il condizionamento mentale ha vinto sulla logica ed è un condizionamento di tipo teocratico, gestito fino dall' infazia dalla Chiesa Cattolica che continua a proporre immagini di famiglie tradizionali alla "mulino bianco", famiglie che esistono solo nell' utopia. Indottrinamento religioso e fascista, anticostituzionale che si beffa dei principi di uguaglianza costringendo il "non tradizionale" a nascondersi e vergognarsi.
Onestamente sarebbe più utile spiegare nelle scuole che esistono diversi tipi d' amore, diversi tipi di famiglia, piuttosto che sprecare ore per un indottrinamento religioso omofobico e maschilista basato sul nulla storico.

Perchè questa non sia una morte inutile, per dare di nuovo la vita a questo ragazzino, bisogna consentirgli di esistere e con la massima dignità.
Servono leggi laiche, leggi che puniscano severamente ogni forma di discriminazione sia in ambito politico che religioso, sia nel sociale che nel privato.Allora chi governa, forse, avrà fatto qualcosa di giusto e di condivisibile


Marco Dimitri
Democrazia Atea 



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