In occasione del secondo anno dalla tragica alluvione nelle Marche del 15 settembre 2022, che ha causato 13 decessi e ingenti danni, è stato rilasciato un fumetto in memoria di Mattia Luconi.
Mattia, un bambino di soli 8 anni, era uno dei 13 sfortunati che persero la vita nel disastro, rapito dalla furia delle acque del fiume Nevola mentre si trovava in
macchina con la madre nel territorio di Senigallia, Ancona. Silvia e Tiziano, i genitori di Mattia, hanno voluto questo tributo per dare un significato alla tragedia che ha sconvolto le loro esistenze. L’intero fumetto, intitolato “Le avventure di Mattia”, è disponibile su Instagram tramite l’account “Mattia a matita” e l’intera striscia è opera dell’artista Veronica Janise Conti, amica di famiglia.
Il piccolo Mattia viene rappresentato nel fumetto insieme ai suoi adorati gatti, che parlano per lui. Una delle scene più commoventi descrive Mattia che racconta l’ultimo ricordo della madre, i suoi occhi: “Mi teneva stretto, poi… – continua – poi sono arrivato qui”, “dopo un lungo viaggio”. La scena finale mostra Mattia in compagnia dei suoi due gatti sulla riva di un fiume pacifico, un dettaglio enfatizzato dall’illustratrice attraverso le parole del ragazzino stesso.La tragica notte del 15 settembre 2022 vide un torrente inghiottire Noemi Bartolucci, una ragazzina di soli 17 anni, che nel fumetto viene raffigurata sorridente mentre accanto a Mattia, lo rassicura dicendogli: “Non ci hanno dimenticato”. Le comunità dei paesi di Barbara e Ostra, tra i più afflitti dall’alluvione, insieme a tutta la regione delle Marche, “non dimenticheranno mai lei o le altre vittime”, affermano gli abitanti di questi due paesi che commemorano la tragedia con momenti di preghiera e contemplazione.
“Mi premeva creare un manifesto. Per me sia Mattia che Noemi, – afferma l’autrice del fumetto introducendo il suo lavoro – rappresentano il simbolo di un’infanzia e una giovinezza strappate via per negligenza, disinteresse, mancanza di previsione del futuro. Dovevo sottolineare che no, non tutti gli adulti sono negligenti, disinteressati e con gli occhi serrati. Ed è per questo che il fiume scorre pacifico e limpido, perché ci sono persone che non dimenticano ciò che è accaduto. È un modo per dire che la vostra memoria è protetta e quindi voi siete al sicuro”.“Poi, – continua – avevo bisogno di sentire il peso del loro sguardo su di me. Quando Noemi dice al piccolo: ‘Guarda, Mattia’, sta rassicurando lui e nella stessa occasione sta parlando a noi: ‘Vedete, ci siamo e vi osserviamo, che cosa state facendo? Perché il mondo sia degno di noi'”.“E queste 15 illustrazioni – conclude Veronica Janise Conti – sono un richiamo alla nostra coscienza, un avvertimento ma anche una carezza, un abbraccio, un sentimento di presenza”.Due anni addietro, l’orribile nottata portò rovina e decesso: 13 individui persero la vita, 50 rimasero feriti, 150 costretti a spostarsi e lesioni pari a due bilioni di euro. Mattia, che era stato sommerso dalla violenza del Nevola, venne scoperto otto giorni successivi, disteso nel fanghiglia, con addosso la sua favorita maglietta verde e gialla, a una distanza di 13 chilometri in discesa dal luogo dove era stato sommerso dal fiume straripato.
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Come una gran tempesta/ noi scuotemmo l’albero della vita/ fino alle più occulte fibre delle radici/ ed ora appari cantando nel fogliame/ sul più alto ramo che con te raggiungemmo. –
Pablo Neruda (Il figlio)
Paolo dice che non è riuscito a fare il miracolo. Non si era reso conto che le fiamme avevano già invaso la sua auto. Ha estratto dall’abitacolo prima sua moglie Veronica paralizzata dallo choc. Poi Andrea, il figlio più grande. Erano pieni di ustioni tutti e due. E lui, con il corpo che esplodeva dal calore, ha provato ad aprire lo sportello posteriore per mettere in salvo anche la piccola Laura legata al seggiolino. Il fuoco ha sigillato la lamiera e il suo sforzo sovrumano non è servito a niente. Non ce l’ha fatta a salvarla. Laura e i suoi cinque anni sono scivolati via per sempre davanti ai suoi occhi.
Paolo non se lo perdona. Come se questo disastro fosse colpa sua e non dell’Aermacchi
delle Frecce Tricolore che schiantandosi sulla strada si è trasformato in una bomba, mandando in pezzi la sua esistenza e quella dell’intera famiglia Origliasso.Erano le 16 e 50 del pomeriggio. E domani è passato un anno. Anche il tempo si è bloccato. I ricordi sono un elastico che riporta gli Origliasso sempre nello stesso punto, alla stessa ora, nello stesso inferno. «Ho reagito troppo lentamente», dice Paolo. Sua moglie, Veronica, gli accarezza un braccio. «Non è vero. Senza di te, io e Andrea non saremmo qui. È successo tutto in quindici secondi, lo sai, e tu rimani il nostro eroe». È bella Veronica. Fa la maestra elementare e ha uno sguardo dolce, la voce ferma, le idee pulite, i segni delle fiamme ben visibili sulle braccia e sulle gambe. Anche lei fatica a rimettere il cuore in equilibrio mentre aspetta una giustizia che non arriva, incapace, in 365 giorni, di consegnare anche solo la perizia sul motore del Caccia. Con questo ritmo ci vorranno dieci anni. «Ma noi, per ripartire, per sederci attorno al tavolo da pranzo tenendoci per mano, pronti ad andare avanti, abbiamo bisogno di risposte».Come ti rialzi quando muore un figlio? Come li rimetti assieme i cocci? È l’inimmaginabile, l’inaccettabile. Al punto che nella nostra lingua non esiste neppure una parola per dirlo. Se viene a mancare un marito sei vedova. Se perdi un padre sei orfano. Ma se perdi Laura? Non solo non sai cosa sei, ma non capisci neppure “come” potrai continuare ad essere. Dov’è lo Stato quando hai bisogno di lui? Quando è lui ad averti fatto del male?San Francesco al Campo, cintura elegante di Torino. Villette curate, basse, circondate dal verde. Il silenzio è rotto solo dal rumore degli aerei che decollano dall’aeroporto di Caselle, otto chilometri più in là. È la prima volta che gli Origliasso, accompagnati dall’avvocato Luigi Chiappero, raccontano la loro storia, ripercorrendo le tappe di una via Crucis infinita. Sono piemontesi discreti, abituati alla bellezza delle piccole cose. «Come mille altre famiglie». La pesca, le partite di pallone di Andrea e la felicità di Laura, che invece di camminare saltellava. «Non piangeva mai. Voleva che tutti fossero felici. E quando litigavamo ci sgridava. Dormivamo nella stessa stanza, perché stavamo ristrutturando il piano di sotto. Quando lei si svegliava, alzava la testa e mi guardava con quello sguardo furbetto che voleva dire: mamma posso venire lì a farmi coccolare? Non può capire quanto mi manca quel momento. Il 16 settembre dell’anno scorso è stata l’ultima volta. Eravamo in casa solo io e lei. L’ho tenuta stretta a lungo. Eravamo felici». Il racconto scorre lento, pieno, difficile, doloroso. Impossibile non sentire il battito accelerato di cuori pieni di amarezza.Le finestre abbassate per ripararsi dal sole di mezzogiorno. I nonni seduti sul divano di una sala da pranzo con i mobili in legno. C’erano anche le loro braccia a sostenere la famiglia quando tutto rischiava di andare a pezzi. Adesso il primo pensiero è per Andrea, il figlio grande, una promessa del calcio, che a 13 anni fa i conti con una rabbia che non se ne vuole andare. «È un ragazzo magnifico. Cerchiamo di essere forti anche per lui. Che nei primi giorni, quando mi vedeva andare in bagno a piangere, mi correva dietro e sussurrava: “mamma, come stai? Se vuoi un bacio io sono qui”. Non è facile per lui. Non lo è per nessuno».Paolo, un omone con gli occhi di un azzurro trasparente che lottano con le lacrime, dice che Andrea pretende di sapere perché è successo proprio a loro. È una cosa che lo manda ai matti. «Vorrebbe che qualcuno glielo spiegasse. Ma una spiegazione non c’è. Io a 50 anni lo posso accettare, ma lui come fa? Non è facile gestire questa rabbia fine a se stessa».In attesa che un processo ricostruisca ufficialmente i fatti, gli Origliasso restituiscono i fotogrammi precisi dei minuti che precedono il disastro, ripercorrendo le assurde curve del destino. Erano appena tornati da una partita di pallone di Andrea e Laura non doveva essere con loro. Solo che aveva appena cominciato un corso in piscina e così Paolo e Veronica avevano approfittato dell’uscita in macchina per andare a comprarle un costume. «Arrivati a Caselle ho sentito un boato. Poi le fiamme alte. Il fungo sulla pista d’atterraggio dell’aeroporto. Gli alberi si piegavano. Non sapevo nulla dell’esercitazione delle Frecce Tricolori. Istintivamente ho pensato a un attacco russo. Erano giorni pieni di tensione, mi sono detto: ecco, ci stanno bombardando. Un’idea che mi ha accompagnato per l’intera giornata, anche quando siamo andati all’ospedale ed era chiaro che i russi non c’entravano niente. Volevo salvare la mia famiglia. Ce l’ho quasi fatta. Ma quasi non basta».La voce di Paolo trema, lo sguardo si perde in un punto lontano. Veronica lo osserva con tenerezza. Dice: «Io ho ricordi più confusi. Sono una donna intraprendente, abituata ad affrontare i problemi. Ma in quel momento mi è successo qualcosa. Un black out. Non riuscivo a muovermi. È stato Paolo a tirarmi fuori dall’abitacolo. In mezzo alla strada ho incrociato il pilota dell’aereo. Ricordo di avergli detto che mia figlia stava bruciando in macchina. Si è messo le mani tra i capelli». Il pilota era il maggiore Oscar Del Dò, oggi accusato di disastro aereo e di omicidio colposo. Nessuno sa perché abbia perso il controllo. Si sa che il suo Aermacchi era decollato assieme ad altre nove Frecce Tricolori dirette a Vercelli per le prove dell’Air Show e che dopo pochi secondi Del Dò si è paracadutato all’esterno. Forse un difetto meccanico, forse una manovra sbagliata, forse un Bird strike, uccelli andati a infilarsi nel motore, magari a causa di una disattenzione dell’aeroporto che pure in giornata era intervenuto più volte per allontanare cornacchie e gabbiani. Forse. Nient’altro che forse. Un mucchio di forse.Per ora sono queste le risposte a disposizione di Paolo e Veronica, mentre la procura di Ivrea, titolare non solo di questa indagine, ma anche di quella per il disastro ferroviario di Brandizzo, è travolta da una montagna di fascicoli da smaltire. Quasi duemila per ogni singolo sostituto contro una media nazionale di quattrocento. Per rimediare il ministero, dopo avere definito Ivrea la Cenerentola delle procure nostrane, ha deciso di inviare nel 2025 tre uditori giudiziari di prima nomina. Una barzelletta. Risate incivili sulla pelle di famiglie come quella degli Origliasso. «Io lo vorrei incontrare Del Dò, non c’è stata ancora l’occasione», dice Paolo. «Io non sono pronta», dice Veronica abbassando lo sguardo per la prima volta. Si è ripromessa di non piangere. «Per Laura. Glielo devo. Lei era la nostra luce. Quest’anno sarebbe andata in prima».Anche a Veronica, a scuola, hanno affidato una prima. «Le colleghe mi hanno chiesto se volevo cambiare. Ho detto di no. A volte incontro le mamme delle bambine che erano in classe con Laura. Parliamo. Mi faccio raccontare come stanno. Ci tengo davvero a saperlo. Mi fa un po’ male. Ma è giusto così. Adesso mi dico che in questa nuova classe avrò venti nuovi figli miei. I bambini sono pieni di magia».Paolo sospira profondamente. I ricordi lo assalgono. Tutti tranne uno. «Non mi tornano in mente le ultime parole che mi ha detto Laura». Veronica corre in suo soccorso. Lei li ha presenti gli ultimi istanti. Le coccole. Poi quando papà è arrivato con la macchina per andare verso Venaria è stata lei ad assicurare Laura al seggiolino. «Mi ha chiesto di metterle il suo braccialetto con l’orsetto. Un braccialetto a pressione. Sa cosa mi fa più male?». No. «Che ho mentito ai miei figli». Non capisco. «Ogni volta che erano in difficoltà, che si facevano male, che avevano paura, io dicevo loro: non vi preoccupate, ci sarà sempre mamma a proteggervi. Non sono stata capace».Avrei voglia di dirle che non era possibile. Che ci sono cose più grandi di noi. Che non siamo Dio, qualunque cosa voglia dire. Che nessuno controlla il destino. Che a me lei, loro, i nonni, mi sembrano favolosi e perfetti. Solo che, per fortuna direi, le parole mi restano incastrate in gola. «È passato un anno e noi, seguendo anche i consigli degli psicologi, abbiamo ripercorso ogni singola tappa della nostra vita usuale cercando di attraversare il dolore. Il Natale, i compleanni – quello di Laura era il 30 marzo, le ho fatto la torta anche stavolta – la Pasqua, le vacanze in un camper dove mi sembrava di vederla saltare in ogni angolo, e adesso la ripresa della scuola. È complicato. Lo sarebbe un po’ meno se la giustizia non ci lasciasse in questo limbo».La vita sospesa. Collassata in un attimo eterno. La solita strada per tornare a casa. Tutti assieme. Quella felicità piccola e inarrivabile. «Quando siamo arrivati a Caselle il navigatore ha consigliato a Paolo di andare a destra. Lui lo ha ignorato come sempre perché d’abitudine fa una strada diversa, più rapida. Così ha girato a sinistra. E io l’ho rimproverato. Poi una palla di fuoco ha travolto le nostre vite