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2.12.25

il caso di Paride La Mantia : «Vietato abbellire il cimitero dei bambini».,Padre e figlio uniti nel volontariato Sergio e Francesco Asunis insieme sull’ambulanza del 118

da  unione  sarda  2\12\2025 
  




Cagliari 
Cimitero di San Michele, domenica, ore 10,30. L'area dedicata alle sepolture dei bambini, nel versante nord ovest del camposanto, è deserta.
A pregare, inginocchiato in silenzio, c'è soltanto un uomo. Nella lapide di fronte a lui è impressa un'unica data: 13 settembre 2002. Maria Eleonora, infatti, è morta quasi subito, appena poche ore dopo essere venuta alla luce. «Un piccolo infarto, forse, non si è mai capito». Da allora sono trascorsi 23 anni, ma per lo sfortunato papà quel giorno il mondo si è fermato. Non ha potuto vedere la figlia crescere, laurearsi, sposarsi, dargli un nipotino magari. Il destino ha voluto così. Tuttavia, anche se non ha fatto in tempo a conoscerla, l'ha sempre amata e di certo non l'ha mai dimenticata.
Un fiore ogni domenica
Ogni domenica Paride La Mantia, imprenditore edile cinquantenne, divorziato e padre di un altro figlio di 21 anni, si reca in cimitero a salutare la sua piccola e a portarle un fiore sempre diverso. Una tomba che spicca tra tutte le altre quella di Maria Eleonora, perché suo padre ha deciso di abbellirla posizionando un prato artificiale e realizzandovi intorno una struggente cornice di pietre bianche candide. Ma non si è limitato a questo. Stufo della desolazione tutt'attorno, ad ottobre ha scritto al Comune per chiedere di poter intervenire a proprie spese, con i suoi operai, per restituire decoro all'intera area dei bambini.
La visione
«Non prendetemi per matto», racconta, «ma dopo aver attraversato un brutto periodo ho avuto una specie di visione, mi è apparsa una bimba con un mazzolino di fiori in mano e ho pensato che mia figlia mi stesse chiedendo di fare qualcosa. Sarà una coincidenza, ma da quel momento mi sono risollevato e ora sento di avere una missione da compiere». Non solo per Maria Eleonora ma per tutti i bimbi che riposano accanto a lei. «A seguito delle mie segnalazioni sullo stato di incuria in cui si trova lo spazio», recita il testo dell'accorata missiva, «avrei il piacere di proporre alcune soluzioni, tali da renderlo più decoroso e fruibile. In base alla mia attività di piccolo imprenditore edile e visionando alcuni interventi in altri cimiteri dei comuni limitrofi, ho infatti avuto modo di farmi un'idea». Tra le proposte: il livellamento del terreno, la messa a dimora di un prato, l'utilizzo di ghiaia colorata. «L'auspicio è di poter contribuire ad una sistemazione più dignitosa per i nostri angeli».
Lo stop
La risposta è arrivata il 14 novembre, ma non è stata quella sperata. «Purtroppo, con dispiacere, dobbiamo comunicarle che, per quanto alcune idee siano positive ed esteticamente belle», scrive via mail la vicesindaca Maria Cristina Mancini, «per motivi di rispetto di norme di legge non sono realizzabili. La ringrazio, ma l'area sulla quale proporrebbe gli interventi è soggetta a stringenti norme e ampiamente regolamentata. Le salme sono destinate all'inumazione per un periodo di dieci anni e, quindi, sull'area verte l'attività del Servizio legata sia all'inumazione che all'esumazione. L'amministrazione ha potuto discrezionalmente evitare l'esumazione delle salme dopo i dieci anni nel Quadrato 3, dedicato ai bambini, ma non possiamo non considerare la possibilità, per necessità di spazi e gestione, che si debba farlo in futuro». Niente da fare insomma. Dal Comune grande sensibilità e vicinanza, ma la burocrazia, si sa, non ha cuore.

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Uno dei desideri più grandi per un genitore è quello di condividere un’esperienza importante con il proprio figlio. Per il 63enne Sergio Asunis, residente ad Assemini e volontario da vent’anni nell’“Sos volontari San Sperate”, il sogno si è avverato: la scorsa settimana è salito alla guida dell’ambulanza con al suo fianco il figlio neo diciottenne Francesco.
Un turno serale, fino a mezzanotte, durante il quale padre e figlio hanno salvato, insieme ad altri volontari, due vite, quella di una donna di 96 anni («Continuava a ripetere di stare bene per tutto il tempo», hanno raccontato i due sorridendo), l’altra di un giovane coetaneo di Francesco: «Il soccorso è una passione, uno stile di vita e un atto di altruismo che mi dà la forza di continuare e di trasmetterlo a mio figlio», ha detto Sergio.
Il “battesimo”
Sergio Asunis, operaio edile, da una ventina d’anni vive ad Assemini insieme alla moglie Angela e al loro figlio unico. Proprio ad Assemini ha conosciuto una volontaria (vicina di casa) che gli ha dato l’input per iniziare un percorso che sognava da quando, giovanissimo, era rimasto miracolosamente illeso in un incidente in sella al suo “vespino”.
Sergio ricorda benissimo la sua prima notte in ambulanza: «Era l’8 di marzo: codice rosso, incidente stradale, neanche un graffio. Rientrati in sede nuova chiamata: altro rosso, incendio, un morto». Visibilmente emozionato nel ricordare quel giorno, Sergio non nasconde che ad averlo scosso maggiormente è stato un’incidente sulla Statale 131 in cui erano rimaste coinvolte una ventina di suore: «Bisogna cercare di mantenere la calma, non sempre è facile». Tra le esperienze più divertenti ricorda un uomo che era andato a sbattere su un guardrail: «Indossava pantofole e vestaglia, senza mutande sotto!». Ciò che invece lo turba maggiormente? «Gli infarti, quasi mai ci si salva», ma soprattutto «i giovani coinvolti in incidenti che si potrebbero evitare».
L’eredità
Giovani che, inevitabilmente, gli ricordano il suo “bambino” diventato da poco maggiorenne: «Sono uno studente di quinta superiore - racconta, orgoglioso, Francesco - e circa un anno fa ho iniziato a collaborare col 118 in veste di centralinista. Ora sono un allievo assistente e posso finalmente salire in ambulanza». Il ragazzo dimostra maturità nonostante la giovane età: «Riesco a far coincidere senza problemi studio e volontariato». La curiosità gli è nata vedendo uscire il padre in turno: «Ascoltando i suoi racconti mi sono appassionato». Passione che, tuttavia, non dovrebbe sfociare in un lavoro: «Vorrei studiare Giurisprudenza, non Medicina». Mai dire mai, considerato il suo entusiasmo: «Quando arriva la chiamata l’adrenalina è alle stelle». Francesco è convinto che l’empatia sia fondamentale: «Io stesso sono stato trasportato una volta in ambulanza. Ero stato rassicurato e ora voglio aiutare gli altri». E conclude con un appello: «C’è bisogno di volontari, è sempre più difficile coprire i turni mensili».

10.8.19

ormai gratis non ce più niente o quasi ormai si pensa solo ai $€

in sottofondo
Charlie Charles - Calipso (with Dardust) ft. Sfera Ebbasta, Mahmood, Fabri Fibra






ormai si pensa solo ai $€ . Infatti una persona mi chiede sul mio account istangram : << Me lo pubblichi se ti va un articolo sul tuo blog o sito ? >> ed io dopo tutte le procedure perchè lo potesse pubblicare le direttamente lei stessa qui su queste pagine ( versione ufficiale ed approfondita dei miei Facebook account e pagina ed il mio twitter ) mi chiede : << Ma mica si paga ? >> .
IO gli rispondo : << No . Se intendi che sia una pubblicazione a pagamento o che si venga pagati per pubblicare cioè che pago te o gli amici che scrivono No . Qui sono solo volontari . Ma se li serve ( e se ti serve qualcosa ) potete chiederlo nel limite del possibile e vi posso aiutare non solo pubblicando l'articolo . Tipo mutuo soccorso . [..] >> . ebbene non si è più fatta viva . Ma vai e capiscela la gente . ormai il gratis non esiste più . Infatti senza soldi non si canta messa ovvero il famoso detto sine pecunia ne cantantur missae . Mi sa che



in particolare questa strofa ci ha azzeccato

Ho capito in un secondo che tu da me

Volevi solo soldi, soldi
Come se avessi avuto soldi, soldi
Prima mi parlavi fino a tardi, tardi
Mi chiedevi come va, come va, come va
adesso come va, come va, come va


4.7.17

Reggio Emilia, all'orale della Maturità prestano la voce al compagno disabile e Addio al nubilato... raccogliendo i rifiuti



Reggio Emilia, all'orale della Maturità prestano la voce al compagno disabileMarcello e Giorgia con Amrik 


L'esame di Amrik all'Istituto Manzoni di Suzzara è una storia di inclusione e solidarietà. Giorgia e Marcello hanno presentato davanti ai commissari la sua tesina

di ILARIA VENTURI

04 luglio 2017



REGGIO EMILIA - Sono entrati spingendo la sua carrozzina e davanti alla commissione hanno esposto la sua tesina. Amrik non può parlare, se non attraverso un programma al computer che associa le parole alle immagini. I suoi compagni di classe, Giorgia Vezzani e Marcello Rizzello, gli hanno prestato la voce. E' la Maturità di Amrik all'Istituto Manzoni di Suzzara, in provincia di Mantova: una storia di inclusione e solidarietà a scuola.
Quando Amrik, studente disabile, è arrivato, cinque anni fa, in molti si sono stupiti. "Si era iscritto al liceo scientifico, opzione delle scienze applicate nonostante la sua disabilità grave: non esistevano precedenti", racconta Paola Bruschi, la preside dell'istituto che il prossimo anno accoglierà una trentina di studenti disabili su circa 950 alunni. "Oggi - aggiunge - ci auguriamo che il precedente sia lui! Sta già accadendo. Naturalmente il contesto deve essere flessibile e gli insegnanti di sostegno pensati fino in fondo come docenti dell'intera classe, per creare la necessaria osmosi tra tutti i ragazzi".
Marcello, originario di Reggiolo, musicista - suona l'oboe al Conservatorio - e Giorgia, diciannovenne di Guastalla, volontaria della Croce Rossa, sono stati ribattezzati a scuola gli "angeli di Amrik". All'esame sono entrati col compagno prima ancora di sostenere i loro orali. "Ora quasi ci scambiano per supereori", sorride Giorgia. In realtà sono amici, compagni di classe cresciuti insieme. "In questi anni Amrik ci ha dato tanto dal punto di vista affettivo".
Lo studente è stato seguito dalle docenti di sostegno Cecilia Pincella e Cristina Zorzella. La sua storia, raccolta dalla Gazzetta di Reggio, narra di quanto un istituto superiore possa fare per ragazzi in difficoltà. Come il rap per Luca, scritto e musicato dai compagni di scuola all'Istituto Salvemini di Casalecchio, a Bologna. Storie di integrazione tra i banchi. "Per chi lavora nel nostro istituto l'inclusione non è una questione di facciata, ma è diventata nel tempo un modo di pensare e di spendersi nella pratica quotidiana", spiega la preside del Manzoni di Suzzara. "Non è facile né scontato. I ragazzi diversamente abili rappresentano una sfida che ci costringe a spostare l'asse e, insieme, costituiscono una ricchezza: vedono e intuiscono ciò che normalmente il nostro occhio non coglie. Ne ho fatto personalmente esperienza in questi dieci anni".
"Amrik usa il computer per comunicare, ma i passaggi sono lenti, ci vuole tempo. Quando è con gli amici si esprime a gesti, sguardi e sorrisi: è difficile da spiegare, ma lui si fa intendere e noi lo capiamo", continua Giorgia. "Abbiamo esposto noi la sua tesina perchè ci sembrava giusto farlo: così ha concluso il suo percorso, con noi accanto, la nostra voce". Il titolo della dissertazione? Emblematico: "Una
testa per emozionare, un cuore per capire". La commissione si è commossa."Marcello e Giorgia sono diventati la felice e commovente punta di questo iceberg" di inclusione a scuola, commenta la preside. La professoressa Marina Bordonali scrive su Facebook: "La vita anche nel dolore può essere un'esperienza meravigliosa se incroci persone per bene". La meglio gioventù della Maturità edizione 2017




Addio al nubilato... raccogliendo i rifiuti 
Giulia: «Niente discoteca, meglio aiutare l’ambiente». Ed è pronta a fare il bis alla mensa dei poveri



MONTAIONE. Niente discoteca, scherzi e gadget erotici. L’addio al nubilato si fa con il volontariato. Prima con guanti, sacchi e tanto amore per l’ambiente. E poi servendo un pasto ai più poveri, costretti a rivolgersi alla mensa sociale per mangiare un boccone. È la scelta di Giulia Pucci, 29 anni, di Montaione, che il 22 luglio si sposerà con Marco Notturni.
La pedagogista clinica, con maschera a forma di farfalla e velo bianco in testa, ha “convocato” le amiche (ma anche qualche maschietto) per una festa sicuramente originale. Appuntamento di buon mattino nella vicina Gambassi (uno schiaffo anche al campanilismo, vista la rivalità tra i due borghi) per aiutare i volontari dell’associazione Greenbassi a raccogliere i rifiuti abbandonati dagli incivili.

Pettorina fluorescente e tanta buona volontà, hanno iniziato a ripulire il borgo. Dove hanno incontrato il sindaco Paolo Campinoti, che non ha nascosto la sua sorpresa e si è complimentato con la futura sposa: «Pulizia con addio al nubilato e con sposa montaionese. Che dire? Troppo bello. Complimenti a Giulia per la scelta “green”. Encomiabile». E Giulia spiega così la sua scelta: «Gli addii al nubilato tradizionali non mi sono mai piaciuti. Ho pensato di fare qualcosa di diverso».
La pedagogista clinica, con maschera a forma di farfalla e velo bianco in testa, ha “convocato” le amiche (ma anche qualche maschietto) per una festa sicuramente originale. Appuntamento di buon mattino nella vicina Gambassi (uno schiaffo anche al campanilismo, vista la rivalità tra i due borghi) per aiutare i volontari dell’associazione Greenbassi a raccogliere i rifiuti abbandonati dagli incivili.
Pettorina fluorescente e tanta buona volontà, hanno iniziato a ripulire il borgo. Dove hanno incontrato il sindaco Paolo Campinoti, che non ha nascosto la sua sorpresa e si è complimentato con la futura sposa: «Pulizia con addio al nubilato e con sposa montaionese. Che dire? Troppo bello. Complimenti a Giulia per la scelta “green”. Encomiabile». E Giulia spiega così la sua scelta: «Gli addii al nubilato tradizionali non mi sono mai piaciuti. Ho pensato di fare qualcosa di diverso».
E la sua professione di pedagogista le ha suggerito alcune valide alternative: «Faccio anche formazione agli insegnanti delle scuole. Si parla molto del tema del rispetto dell’ambiente. Allora ho deciso di aderire all’iniziativa dell’associazione Greenbassi. Ed è incredibile la quantità di rifiuti che abbiamo trovato, a testimonianza di quanta maleducazione c’è in giro e di quanto c’è ancora da fare in tema di educazione. È stata comunque una bellissima esperienza, ne è proprio valsa la pena».
Ma non è finita qui. Perché nel weekend dell'8 e 9 luglio ci sarà la festa-bis. Stavolta però a Prato: «Un mio amico fa servizio da tempo alla mensa dei poveri. Sabato e domenica andremo tutti a dargli una mano. Ci saranno le mie amiche, ma anche i ragazzi, compreso il mio futuro sposo. Sarà un’occasione – sottolinea la pedagogista – per fare qualcosa di utile e aiutare, nel nostro piccolo, chi ha davvero bisogno».
Poi, dopo l’insolita festa-bis di addio al nubilato, l’appuntamento-clou... stavolta in chiesa. In quella di San Regolo, a Montaione, dove il 22 luglio Giulia e Marco diventeranno marito e moglie.












2017.

5.3.15

Olanda: esaudito il sogno di una 78enne, senza più speranza di vita. vedere la mostra di Rembrandt

Ogni uno di noi   ha un dettermnato desiderio prima di morire  . Ad  esempio   c'è chi  come  Lauren Hill  giocatrice  di basket   doi terza  categoria  sognava   da sempre di poter giocare una partita di campionato di basket professionistico   ma un tumore maligno al cervello allo stadio avanzato e inoperabile. A Lauren restano pochi mesi di vita.una  grave malattia , un tumnore  al cervello gli lo impedisce . Ecco che il   Ncaa, National Collegiate Athletic Association (la lega universitaria americana) c  gli oo realizza.  Qui  maggiuori dettagli 
Ma  la   storia  che mi ha  colpito di più  e  che voglio raccontarvi  è quella  di una donna olandese di 78 anni, malata terminale  che  ha  chesto ed  ottenuto   come  su ultimo desiderio  di vedere  la mostra  di Rembrant  .

L'ultimo desiderio di una donna malata "Vedere Rembrandt prima di morire"                                              La donna malata alla mostra di Rembrandt   


AMSTERDAM – Il suo ultimo desiderio prima di morire era di vedere il suo pittore preferito, il più amato: Rembrandt. Voleva vederlo esposto al RijksMuseum di Amsterdam, dove i pittori fiamminghi sono i protagonisti indiscussi. Ed è riuscita a realizzare il proprio sogno"Prima di morire, vorrei vedere la mostra di Rembrandt". Questo l'ultimo desiderio di una donna olandese di 78 anni, malata terminale. Un sogno che ha potuto realizzare grazie alla Stichting Ambulance Wens, associazione con sede ad Amsterdam, fondata da un ex autista di ambulanze, che si occupa di assistenza ai pazienti ormai incurabili, cercando, per quanto possibile, di rendere più "dolci" e dignitosi i loro ultimi momenti di vita.IL merito dei volontari della Stichting Ambulance Wens (la Fondazione Ambulanza dei Desideri), un’associazione olandese che permette ai malati terminali di andare nei posti che vogliono per realizzare il loro desiderio, trasportati in barella, ben coperti, a bordo di un’ambulanza.
L’associazione ha anche un profilo twitter su cui vengono pubblicati gli aggiornamenti con tanto di foto dei malati portati in giro, e non solo ai musei, ma anche allo stadio, a dei concerti e via dicendo.
E così questi "angeli" hanno prelevato l'anziana dal suo letto, conducendola in barella al Rijksmuseum della capitale olandese, permettendole di ammirare da vicino le opere del suo pittore preferito. Le foto del commovente ultimo desiderio esaudito hanno fatto il giro del mondo. Infatti
l'idea è dell' associazione di Rotterdam: Stichting Ambulance Wens. Che tradotta sta per Fondazione Ambulanza del desiderio  , nata  nel  2007   è quella raccogliere l’ultimo sogno delle persone malate terminale e cercare di esaudirlo. Sono dotate di ambulanze gialle, grazie alle quale i volontari possono portare i malati ovunque. Molti scelgono di vedere il mare, di passare qualche mezz’ora in spiaggia, pur distesi sulle barelle.
Ma  a scorrere il sito si scopre che la varietà dei desideri non conosce perimetri. Ultimamente più persone hanno chiesto di poter vedere l’eccezionale mostra che il Rijksmusem di Amsterdam ha dedicato a Rembrandt. E così le foto dei pazienti in barella davanti ai capolavori del grande maestro olandese hanno iniziato a fare il giro del mondo. Come questa di un’anziana signora che si gode lo stupendo autoritratto con tavolozza e pennello in mano. Non è un quadro scelto a caso, perché con questo autoritratto dipinto nel 1660, oggi conservato a Kenwood. Era  forse la prima volta nella storia che un pittore si rappresentava con gli arnesi stessi del mestiere, per affermare in modo preciso la propria identità. La destra è nell’ombra, la sinistra regge invece tavolozza, pennelli e stecche. In realtà la mano non si vede. Sembra quasi che sia diventata una protesi e che l’identità di quella mano consista negli strumenti usati per dipingere. Insomma guardando questo quadro non si vede solo un capolavoro, in un certo senso si incontra Rembrandt di persona.
Perché una persona prima di morire vuole vedere un’opera come questa? Per assaporare l’emozione, certamente. Ma forse perché la pittura quando raggiunge questa grandezza ci parla anche della vita oltre la vita. Fa vibrare una dimensione della persona che non è più stretta nell’orizzonte temporale ma è proiettata verso un tempo che non passa. Quadri come questi suggeriscono la dimensione di un destino; un destino che c’è, che non è muto, che non ha capolinea. Forse quadri così aiutano ad andare oltre il proprio morire.

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...