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16.2.22

sul fine vita ha trionfato l'ipocrisia di stato

Lo so che  «Il tema è complesso e forse bisognerebbe attendere le motivazioni integrali della Consulta prima di parlare »  come dice la mia amica Federica Raimondi . Ma  a   caldo  mi  è venuto    questo  commento  beati gli ignavi che hanno deciso di non concedere a chi soffre di morire con dignità loro si che hanno i soldi per poterlo fare ed andare in svizzera .  Quindi   non riuscendo  a trovare   altra  risposta   una  risposta   , e    volendo  sentire  altri  pareri  ho condiviso   da un  gruppo di facebook   quella  slide  


e mentre    aspettavo  le  vostre  risposte    ho letto questo interessante  articolo  di  MARTA PETTOLINO   su    https://www.thesocialpost.it/  del 16 FEBBRAIO 2022, 10:24

Cosa vuol dire “vita” quando nasconde la violazione del diritto all’autodeterminazione e alla dignità

C’è da chiedersi cos'è la vita per la Corte costituzionale. E soprattutto perché perpetuare nella sofferenza
irreversibile significa tutelare una persona togliendole anche la dignità di se stesso
Ti sei mai chiesto come ti sentiresti chiuso in gabbia? O peggio ancora incatenato e chiuso in gabbia? Senza avere nessuna possibilità di cambiare la situazione se non convivere ora dopo ora, giorno dopo giorno, con il tuo aguzzino nell’impossibilità di abbandonare una sofferenza insopportabile?
Mi auguro di no. Pensaci adesso: cosa proveresti ad essere totalmente paralizzato e a poter muovere solo gli occhi? Oppure poco altro. Cosa proveresti a pensare che domani mattina, all’improvviso, ti svegliassi in un corpo che non è più il tuo. Cosa proveresti a non avere una via d’uscita.
Eutanasia legale: quando non si ha via d’uscita
Eppure alla via d’uscita siamo stati molto vicini, ma la Corte Costituzionale ha sentenziato che dare agli italiani la possibilità di scegliere la legge sul proprio fine vita è inammissibile.
La Corte ritiene che il referendum non preserverebbe la tutela minima della vita “in particolare delle persone deboli e vulnerabili”.
Oltre 1 M I L I O N E 200 e 40 persone si sono recate ai banchetti per la strada per informarsi e firmare la petizione al referendum. Più di milione di persone che vengono ignorate, a cui viene negato il diritto di votare per il proprio futuro.
L’autodeterminazione che ci rende unici come specie viene sepolta da falsi bigottismi e i diritti ancora calpestati.
Referendum eutanasia: cosa prevedeva
La richiesta era quella di abrogare l’art. 579 del codice penale e quindi abolire il reato di omicidio, punito da 6 a 15 anni, per chi aiuta a morire una persona, con il consenso della stessa, in condizioni di sofferenza insopportabile e irreversibilità della patologia. Mantenendo però le disposizioni relative all’omicidio, contenute nell’articolo originario come aggravanti, se il fatto è commesso:
Contro una persona minorenne;
Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.
L’eutanasia non è un suicidio, ma è la libertà di non soffrire più in determinate condizioni
Per rientrare in un caso di eutanasia ci sono delle regole, non è, come spesso sento dire da non informati e sostenitori della libertà di espressione ad ogni costo, una legalizzazione del suicidio, parola inserita anche dal nostro codice penale, che andrebbe riformato anche sul linguaggio.
La società cambia, il linguaggio pure, il codice penale a quanto pare no.
Le regole che ci dice Marco Cappato, politico italiano e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, promotrice della raccolta firme per il referendum sono:
quella della sofferenza insopportabile
quella della malattia irreversibile
e quella della volontà esplicita della persona
E non vada invece inclusa la quarta condizione che è quella di essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitali. Io penso che non debba essere necessario essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale per ottenere il diritto a morire.
Ma la Corte ritiene che il referendum non preserverebbe la tutela minima della vita “in particolare delle persone deboli e vulnerabili”. C’è da chiedersi fino a che punto bisogna tutelare non la vita ma le funzioni vitali, non più autonome, ma garantite da apparecchiature mediche, nelle condizioni in ci non esiste la speranza di un miglioramento e l’unica certezza è la sofferenza insopportabile. C’è da chiedersi allora cosa significa la vita per la Corte. E soprattutto perché si pensa che perpetuare nella sofferenza significhi tutelare una persona togliendole la dignità della sua volontà.
Ho visto da vicino che cosa è capace di fare la strada e invito i membri della Corte a farsi un giro negli ospedali, dove ci sono i pazienti con gravi traumi cranici acquisiti con danni irreversibili, li invito ad andare a trovare le persone che hanno chiesto l’eutanasia e li invito ad accompagnarle in altri Paesi per porre fine alle loro sofferenze. Paesi che sono capaci di ascoltare e di tutelare la vita senza aggrapparsi a false ideologie, che non dovrebbero essere parte di uno stato laico e democratico. Valori che ci hanno raccontato essere importanti anche per il nostro di Paese, stesso Paese che poi impedisce a noi, ormai sudditi, di votare per la nostra vita.

2.10.16

I fatti di Cagliari chi è più idiota le suore che cedono ai genitori che ragionano con il ... cioè come salvini e company o i genitori ? e altre storie

La  risposta   alla  domanda  è  unica : sopno entrambi  ....    nè  più ne' meno  .  Ottima la  tecnica  del  silenzio   cioè  nel  non rilasciare  dichiarazioni   alla  stampa  da  parte   delle  responsabili  dell'edificio scolastico   e  di fare pressioni tramite  wzp   sui genitori    per  non rilasciarle  . Peccato che  la  tecnica    del silenzio  per  non  alimentare  la  cosa   abbia  ottenuto l'effetto contrario    cioè  se  ne parla   ancora di più  .  Alcuni genitori  (  sia  i  salvinisti  che i non salvinisti  )  diranno   si  è trattato di  un equivoco    e  che  la  stampa  ha  ingigantito le    cose  .  Ma  allora  se  cosi fosse  perchè   le  suore  chiedono  ai genitori   di  non rilasciare interviste   ai media    davanti alla  scuola ?   non  era più  semplice rilasciare  , anche  se  poco sincero  un comunicato stampa   dove  si  diceva  la  loro versione  ?
ecco  i fatti

da la  nuova  sardegna  1\10\2016


Cagliari, razzismo a scuola: bagni separati per gli allievi migranti. Ma il caso è rientrato
Inquietante episodio di discriminazione nell'Istituto parificato religioso Nostra Signora della Mercede. I piccoli erano sbarcati in Sardegna senza genitori




CAGLIARI.
I bambini non volevano andare al bagno, non in quello destinato anche ai compagni arrivati dall’Egitto e dall’Etiopia. Probabilmente messi in guardia dai genitori non volevano rischiare chissà quale contagio. Per questo la direzione dell’istituto parificato religioso Nostra Signora della Mercede aveva preso una decisione che rimanda all’apartheid sudafricano: servizi separati, qui i bianchi e là i neri.
Ma non è finita: alcuni genitori, già impauriti davanti al pericolo che i loro pargoli s’ammalassero, avevano manifestato il timore che i due bimbi senza famiglia, sbarcati a Cagliari tra giugno e luglio, avessero tendenze violente. La ragione? Il loro vissuto, le sofferenze patite nei paesi d’origine, la perdita della madre e del padre, una matrice sociale certo lontanissima dal mondo dei ragazzi cagliaritani, tutto iphone, pokemon e playstation. Insomma: tante minacce contenute in due bambini di dieci anni, ospitati in una casa famiglia e iscritti alla quinta elementare con tanto di insegnante di sostegno perché la loro vita avesse una prospettiva. Minacce patite al punto da indurre due coppie di genitori a ritirare i loro figli da scuola malgrado frequentassero classi diverse da quella dei due piccoli migranti.
Ora è tutto rientrato, i servizi igienici sono di nuovo aperti a tutti, neri compresi. Ma perché alla scuola di via Barone Rossi cadessero i pregiudizi e tornasse il conformismo tipico della cagliaritaneria c’è voluta un’assemblea generale, dove le due tutrici degli scolari migranti - le avvocate Marina Bardanzellu e Maria Antonella Taccori - hanno spiegato con grande impegno e pazienza quanto era scontato: nessun rischio per la salute, i due ragazzi erano entrati in aula coi certificati dell’Asl, dopo visite accurate e controlli clinici rigorosi. La violenza poi, bastava guardarli: «In pochi mesi hanno imparato a parlare e a scrivere in italiano - spiega l’avvocata Bardanzellu - sono ragazzi dotati di un’intelligenza viva, attenti e scrupolosi, educati e gentili».
E le suore mercedarie? Alla richiesta del cronista di un colloquio telefonico la risposta è stata: «Non rilasciamo interviste, arrivederci». Su altre testate filtrano spiegazioni prive di autori dichiarati: «Non è stato razzismo, solo disinformazione». A spezzare una lancia in favore dell’istituto scolastico è l’avvocata Bardanzellu: «I ragazzi musulmani sono stati accolti e inseriti - spiega la tutrice - e questo va riconosciuto. Poi si è verificata una catena di situazioni complicate, per le quali ero sul punto di rivolgermi al giudice minorile». La ragionevolezza - e il rispetto della legge - si è fatta strada dopo una decina di giorni, in cui le suore si sono trovate a lottare tra il rischio di perdere studenti e quello di passare per una scuola del Missouri: «Alla fine è arrivato il chiarimento - taglia corto Bardanzellu - questo è l’importante».
Un commento, nell’indignazione palpitante registrata dai social network, arriva da Angela Quaquero, presidente dell’Ordine sardo degli psicologi e referente della Regione per l’emergenza migranti: «Un episodio gravissimo, che si configura come un pesante trauma per tutti e che richiede un’azione immediata». Prosegue la Quaquero: «Il trauma riguarda sia chi subisce questa inaccettabile discriminazione, sia chi ne è inconsapevole esecutore. Per questo è indispensabile la disponibilità delle stesse famiglie che hanno di fatto costretto la scuola a riservare bagni  separati per i bambini di colore. L'episodio, di per sè gravissimo, lo è ancora di più se si considera che va ad incidere su un'età, quella evolutiva, nella quale restano tracce indelebili, con pericolosi esiti nel corso della vita, soprattutto sul versante della maturazione affettiva». (m.l)


ed  ecco  i genitori  che tentano  di smarcarsi   e  \o  di  sminuire  i  fatti 




io  dico  che
  •   coloro che  rilasciano tali dichiarazioni  anzi che starsi zitti    che   sono  allo stesso livello di  quei  genitori idioti  che  hanno  esercitato pressione sulle  suore  e   delle suore (  ?  )    che  per  paura  di perdere  qualche  €  hanno  accettato  tali  aut  aut  .
  • applicare loro , sia   a quei  genitori  che  sminuiscono e minimizzano  , sia  a quelli  che   hanno fatto pressioni o  noi o loro  e  alle  suore  la legge del contrappasso dantesco  facendoli subire  quello   hanno subito  i nostri connazionali  che  fra  il  XIX e  il  XX  secolo emigrarono nelle  Americhe  e in Europa  e forse    capiranno   il male   fatto  perchè chi cede   (  le  suore  )  e chi  ( altri genitori  )  sminuisce   e  minimizza i fatti   è  ....  complice  se  non allo stresso  livello
  • E che  in Italia  , chi  sa  fin quando  ancora  [sic ]  ci sono anticorpi ,  anche  se  a  volte  in maniera  ipocrita  e lava  coscienza  \  buonista  come definiscono alcuni\e  alle  imbecillità dettate  dalla paura  e dai pregiudizi  come di mostra la  storia  che riporto sotto

BOLZANO. Giuseppe De Vivo oggi guarda la terra dal cielo con un sorriso pieno d’orgoglio. “Sepp”, come lo chiamavano tutti, è morto il 3 gennaio scorso, ucciso da un cancro a soli 65 anni. La moglie Wally Rungger per ricordarlo ha “donato” un contratto di lavoro a Mounirou Yakoubou, un giovane profugo del Togo di 28 anni. Con gli amici - attraverso una sottoscrizione - è stata raccolta la somma di 10.400 euro. Con questi soldi, Mounirou è stato assunto part-time per un anno dalla cooperativa sociale Akrat di piazza Matteotti, che produce mobili, arredi e articoli di sartoria. Un anno di lavoro in regola, con i contributi e lo stipendio pagati. «Sepp ne sarebbe contento - dice Wally Rungger trattenendo le lacrime -: perché lui aveva un rispetto sacro per il lavoro. E sapeva quanto fosse importante per la nostra dignità».

Wally Rungger con il presidente della...
Wally Rungger con il presidente della cooperativa Akrat Peter Prossliner
Quando muore una persona molto cara, spesso si cerca una maniera per continuare a farla vivere, a tenerla ancora un po’ con noi. Un gesto di vita che illumina il buio della perdita. C’è chi fa una donazione alla ricerca contro le malattie (il cancro, la Sla, l’Alzheimer...), chi aiuta associazioni che si occupano di bambini o donne in difficoltà, chi si affida ad Emergency o a Medici senza frontiere. «Ogni causa è nobile - continua Wally Rungger - e rispecchia anche la persona che vogliamo ricordare».
Sepp De Vivo era un uomo con un forte senso civico. Con un’etica inossidabile. Allergico ai soprusi e al razzismo. Insofferente ai giudizi facili e al conformismo. Tanti amici si sono fatti avanti per trovare il “modo giusto” per rendergli omaggio nel tempo. «Per me - continua la moglie - era importante fare qualcosa di concreto. Dare un aiuto “vero”. Che fosse anche l’occasione per ricominciare per una persona con cui la vita non era stata generosa».
Mounirou Yakoubou ha impiegato due anni per raggiungere l’Italia. Dal giorno alla notte, è dovuto scappare dal Togo dove la sua famiglia veniva perseguitata per motivi etnico-religiosi. «Degli amici - racconta mentre cuce delle stoffe - mi hanno avvisato che se restavo, sarei stato ucciso. Non ho avuto scelta». La fuga prima in Benin, poi in Nigeria, quindi in Libia. «Sono rimasto 11 mesi a Tripoli. Quando è scoppiata la guerra, mi sono dovuto nascondere. Noi africani veniamo trattati peggio delle bestie. Depredati e picchiati. Mi hanno rubato tutto, anche i soldi per la traversata sui barconi. Ero disperato. Non so come, un compatriota è riuscito a farmi salire lo stesso sulla nave senza pagare. E mi sono trovato in Italia». Dalla Sicilia è stato spedito in aereo a Bolzano con i contingenti previsti dal ministero. Dopo un anno mastica già l’italiano, e, grazie all’Akrat, ha ricominciato a fare il suo lavoro: il sarto, appunto. Wally Rungger, che è stata a lungo anche consigliera comunale dei Verdi a Bolzano, è una delle fondatrici della cooperativa. L’Akrat impiega profughi segnalati dalla Caritas (che hanno già una formazione professionale alle spalle), o persone in difficoltà mandate dai servizi sociali. Lo scopo è ridare una chance, una ripartenza a chi non riesce a entrare (o rientrare) sul mercato del lavoro.
«I giovani profughi - spiega il presidente-designer-artigiano Peter Prossliner - hanno una gran voglia di imparare subito, per essere indipendenti e non pesare sulla società che li ospita. Hanno l’età e l’energia per dare il massimo. Questo dovrebbe capire chi li vede come un nemico». Un’immagine ben diversa dallo stereotipo “dei fannulloni mantenuti dallo Stato”. «Il lavoro in un Paese sicuro è il loro unico obiettivo. Non l’assistenza sociale fino alla tomba. Vogliono guadagnare per mandare i soldi a casa alle famiglie. Come facevano i nostri emigranti nel Novecento». Quando arrivano in Italia, anche se hanno già i fondamentali del mestiere, devono essere formati all’uso delle attrezzature europee (molto diverse da quelle più arretrate dei Paesi d’origine) e alle normative di sicurezza. Hanno anche delle storie personali molto dure: uno dei ragazzi che lavorano qui, ogni giorno deve farsi ancora curare le pieghe sul corpo delle torture e le ferite di guerra. Quella di Mounirou è una delle prime assunzioni vere e proprie che l’Akras si è potuta permettere, ma solo grazie alla sottoscrizione per Sepp De Vivo. Un tipo di donazione - il contratto di lavoro - che potrebbe fare da apripista ad altre. «Un anno di lavoro retribuito, può aprire molte porte e garantire un futuro a questi ragazzi», spiega Prossliner.

Il contratto di lavoro è stato donato...
Il contratto di lavoro è stato donato in memoria di Sepp De Vivo

I piani di sviluppo della cooperativa prevedono una forte crescita per il 2017. Ovviamente è dura per una realtà che, pur stando sul mercato, ha fini sociali e non commerciali.
La coop, fondata nel 2012, conta solo sulle proprie forze: le vendite, le quote dei soci, il lavoro dei volontari e le piccole donazioni. «Per resistere, dobbiamo vendere i nostri prodotti. Le spese sono tante, ma è prezioso anche il sostegno di alcuni “sponsor”, come la Salewa». Per quanto riguarda l’inserimento lavorativo delle persone con disagio psichico, l’ente pubblico paga solo gli oneri previdenziali. Mentre tutti i costi per i profughi tirocinanti sono a carico di Akras. Nello store di piazza Matteotti, “nascosto” dietro il bar Debby, la coop vende, produce, aggiusta e reinventa mobili e articoli d’arredamento. I laboratori e la falegnameria sono nel semi-interrato. Il rapporto con il cliente è diretto. Se hai una vecchia poltrona, te la rifanno con una linea totalmente nuova, oppure usano il materiale per costruire qualcos’altro: un tavolo, un comò, una lampada... La coop ora può contare anche sull’aiuto (gratuito) del designer Nitzan Cohen, docente della Lub.
Come dice Prossliner, questo è anche un esempio di vera innovazione. «Perché ricicliamo materiale, diminuendo i rifiuti, e creiamo nuove professioni. L’innovazione non è solo quella tecnologica, ma anche quella sociale. Che aiuta le persone».
Giusto Peter.
Sepp De Vivo, da lassù, annuisce e strizza l’occhio.



emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...