, ma fu anche storie e come queste
Voltago non dimentica la "signorina Ruth"
Belluno. «Esito un momento perché non volevo sapessero che io li capivo e poi, cosa fare se decidono di portarmi con loro? Mi avvicino, biglietto in mano, all'ufficiale e gli parlo in tedesco. Non mi ascolta e continua a dare ordini ai soldati. Gli parlo ora nello stesso suo dialetto che gli avevo sentito parlare prima. Si gira verso di me e vuole sapere chi sono e come mai mi trovo in questo villaggio». Sembra il passo cruciale di un romanzo storico ambientato nell'Italia invasa dai tedeschi nel corso della Seconda guerra mondiale. Chi parla è Ruth Bermann, morta venerdì scorso all'età di 96 anni a Miami in Florida. Il villaggio è quello agordino di Voltago, alle pendici del Monte Agnér. In quei giorni del 12-13 ottobre 1944 Ruth salvò 20 ostaggi dai nazisti.
La signorina Ruth: «Avete ben seminato»
Voltago. Dagli Usa le parole di Maria Ruth Wagner Neal alla quale è stata intitolata la sala consigliare
VOLTAGO. Una cerimonia sobria, ma densa di significato e di emozioni. Con il coinvolgimento dei bambini della scuola elementare e delle loro brave insegnanti, il Comune di Voltago ha voluto onorare nel segno del ricordo e della gratitudine la Giornata della memoria. Così l’annunciata intitolazione della sala consigliare del municipio a Maria Ruth Wagner Neal, più nota in paese come la «signorina Ruth», ha nobilitato, assieme al dovere di non dimenticare i dolorosi fatti dell’ottobre 1944, il sentimento della riconoscenza nei confronti di una persona straniera, che «Venne casualmente tra noi», come recita la targa scoperta nell’occasione, «fu accolta con simpatia e generosamente ci ricambiò». Di una persona amica da 70 anni, una «persona speciale», come l’hanno definita il sindaco Zanvit e gli alunni della scuola, di colei che, trovandosi allora in paese, in casa dell’amica Giannina Da Campo, con il suo provvidenziale intervento, impedì che i nazifascisti bruciassero l’intero villaggio e uccidessero venti ostaggi il 12-13 ottobre 1944, dopo aver impiccato il partigiano Giusto Pollazzon «Lupo» e fucilato il 16enne Loris Scussel.Una scelta felice quella di fare protagonisti dell’incontro gli alunni, la cui partecipazione, in un positivo contesto di multidisciplinarietà storico-culturale, è stata un valore aggiunto per la loro spontaneità, espressa con la musica (l’esecuzione del celebre canto «Auschwiz) , la recita di poesie sulla pace e l’indirizzo di alcuni riconoscenti pensieri alla signorina Ruth (che oggi vive in Florida), rivolti in italiano e in inglese, a dimostrazione che sono stati messi a frutto i vocabolari ricevuti da lei in dono nel 2012. «I fiori di oggi sono i semi di ieri», ha scritto la signorina Ruth in un messaggio al sindaco, «e i semi di oggi saranno i fiori di domani. Avete seminato generosamente!». Poiché la vicenda di Ruth M. Neal è entrata nella storia dei «fatti di Voltago», il sindaco ha poi consegnato agli scolari di V, invitandoli a leggerlo e a «ricordare sempre», il libro «Voltago 1944. Un ricordo 50 anni dopo» pubblicato nel 1994 in occasione del 50° di quel tragico ottobre. Quindi Luigi Rivis, presidente del
Comitato celebrazioni del 1994 e la commossa testimonianza di Costantino «Tino» Cinti, allora 14enne e uno dei 20 ostaggi miracolosamente salvati dalla signorina Ruth, che ha raccomandato ai L giovani di essere sempre paladini degli irrinunciabili valori di pace e giustizia. (g.san.)
Si arrese alle SS: "Fucilate me". E così salvò l’ex compagno di scuola
Avevano 19 anni, non erano parenti, ma si amavano come fratelli, i protagonisti di una delle tante vicende della lo
tta partigiana. Mario Quaia era stato fermato assieme ad altri civili da giustiziare se Sergio non si fosse consegnato. Era riuscito a sfuggire alla cattura dopo la perquisizione dei nazisti nella casa dove si era nascosto
di Sigfrido Cescut
di Sigfrido Cescut
POLCENIGO. L’amico e compagno di banco delle elementari era stato portato via dalle SS assieme a un gruppo di ostaggi da fucilare se lui, il partigiano Sergio Quaia “Volpe” non si fosse consegnato entro mezzanotte. A San Giovanni si conoscevano tutti e subito i parenti degli ostaggi gli fecero sapere cosa stava per succedere. Sergio andò a consegnarsi.
Lo illuminarono con i fari del camion, e quando il campanile cominciò a battere il primo dei dodici rintocchi, le raffiche di machine pistole lo fecero stramazzare a terra, sulla campagna gelata di Bracomada, assieme ad altri due partigiani, catturati quello stesso giorno.
La foto di classe
«Mario, mio papà, è tornato a casa – ricorda Oliva Quaia – e come lui hanno riabbracciato le proprie famiglie anche gli altri ostaggi. Alcuni di loro facevano Quaia di cognome, come molti nel borgo di San Giovanni. Sergio e mio papà Mario avevano 19 anni, non erano parenti, ma si sentivano fratelli». Oliva e Gianluca Quaia, pronipote di Sergio, portano spesso i fiori a “Volpe” e agli altri due compagni fucilati. Mostra la foto della scolaresca di Prima elementare Oliva Quaia, indicando Sergio e Mario assieme, quando avevano sei anni. Piuttosto smilzi, in piedi con i più grandicelli dell’ultima fila. Sergio è l’unico biondo, alto per la sua età. Assieme a Mario e ai compagni è ritratto accanto alla grondaia della scuola. Per la foto, li ha messi in posa la maestra. Lei è rimasta fuori campo, a controllare che si comportassero bene con il fotografo al momento dello scatto.
La fuga di “Volpe”
“Volpe” non era stato catturato per un caso. Le SS, informate dai delatori, erano andate a colpo sicuro. Avevano perquisito tutti gli angoli della casa, meno la stanza dove si trovava. Quando stava per entrare nella sua camera, il militare tedesco era stato chiamato dal comandante per arrestare gli ostaggi, e si era precipitato giù, in cortile. Se avesse aperto quella porta, oltre a fucilare tutta la famiglia, le SS avrebbero anche incendiato la dimora, perché Sergio vi custodiva armi e bombe a mano da far avere in montagna ai suoi compagni. Era lui che i nazisti cercavano, e per averlo avevano preso gli ostaggi.
Ricordati sui cippi monumantali
Sul cippo di Bracomada, Sergio Quaia “Volpe” è ricordato con Antimo Terone, “Vento”, 36 anni, originario di Benevento, ex sottufficiale dell’aeronautica, residente a Polcenigo, garibaldino della brigata Ciro Menotti, e Angelo Della Toffola “Caifa”, 22 anni, contadino di San Giovanni di Polcenigo, come Sergio apparteneva alla 5ª brigata Osoppo Friuli.
Con la loro fucilazione il comandante delle SS Alfred Donnenburg aveva concluso una giornata di sangue e stragi, iniziata al mattino presto, quando ben informato dalle spie fasciste che lo accompagnavano incappucciate, aveva circondato con le sue SS una stalla sopra il borgo di Mezzomonte, catturando sette partigiani garibaldini del battaglione Manin. Teatro della strage la piazza del borgo di Mezzomonte, trasformata dalle SS del criminale di guerra Alfred Donnenburg in un mattatoio nel quale venne centellinata la morte dei prigionieri, un po’ alla volta, di ora in ora, dal mattino al tardo pomeriggio, anche con la pausa pranzo dei carnefici nazisti, che mangiarono a spese della popolazione, facendosi servire cibo e vino.
Oliva, Gianluca e tanti altri polcenighesi, a Mezzomonte e a Bracomada, deponendo i fiori sui cippi monumentali delle due stragi, continuano a ricordare per vivere.