Sergio Quaia
Sergio Quaia


La fuga di “Volpe”

“Volpe” non era stato catturato per un caso. Le SS, informate dai delatori, erano andate a colpo sicuro. Avevano perquisito tutti gli angoli della casa, meno la stanza dove si trovava. Quando stava per entrare nella sua camera, il militare tedesco era stato chiamato dal comandante per arrestare gli ostaggi, e si era precipitato giù, in cortile. Se avesse aperto quella porta, oltre a fucilare tutta la famiglia, le SS avrebbero anche incendiato la dimora, perché Sergio vi custodiva armi e bombe a mano da far avere in montagna ai suoi compagni. Era lui che i nazisti cercavano, e per averlo avevano preso gli ostaggi.

Ricordati sui cippi monumantali

Sul cippo di Bracomada, Sergio Quaia “Volpe” è ricordato con Antimo Terone, “Vento”, 36 anni, originario di Benevento, ex sottufficiale dell’aeronautica, residente a Polcenigo, garibaldino della brigata Ciro Menotti, e Angelo Della Toffola “Caifa”, 22 anni, contadino di San Giovanni di Polcenigo, come Sergio apparteneva alla 5ª brigata Osoppo Friuli.
Mario Quaia
Mario Quaia
Con la loro fucilazione il comandante delle SS Alfred Donnenburg aveva concluso una giornata di sangue e stragi, iniziata al mattino presto, quando ben informato dalle spie fasciste che lo accompagnavano incappucciate, aveva circondato con le sue SS una stalla sopra il borgo di Mezzomonte, catturando sette partigiani garibaldini del battaglione Manin. Teatro della strage la piazza del borgo di Mezzomonte, trasformata dalle SS del criminale di guerra Alfred Donnenburg in un mattatoio nel quale venne centellinata la morte dei prigionieri, un po’ alla volta, di ora in ora, dal mattino al tardo pomeriggio, anche con la pausa pranzo dei carnefici nazisti, che mangiarono a spese della popolazione, facendosi servire cibo e vino.

Oliva, Gianluca e tanti altri polcenighesi, a Mezzomonte e a Bracomada, deponendo i fiori sui cippi monumentali delle due stragi, continuano a ricordare per vivere.