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20.1.23

Benghabrit e la sua attività nella Grande Moschea di Parigi PER SALVARE GLI EBREI ALGERINI da lafarfalladellagentilezza

  A salvare    gli  ebrei  dai nazi  fascisti      furono     anche    i  mussulmani    come riporto     questa  vicenda     ripresa     dalla bellissima  pagine    Facebook

    https://www.facebook.com/lafarfalladellagentilezza
Quando Albert Assouline iniziò a raccontare la sua storia, molti non gli credettero. Ma lui si ostinava a raccontarla, perché voleva che il mondo sapesse chi gli aveva salvato la vita. Per questo, molti anni dopo, nel 1983, scrisse un articolo su una rivista dei veterani francesi, per saldare il suo debito di riconoscenza. Ma ciononostante, molti continuarono a non credergli. Però nel 2005 la sua storia fu confermata, quando il celebre cantante algerino, Salim Halali, morì all’età di 85 anni. Halali si era trasferito giovanissimo in Francia, e lì divenne famoso per la sua voce, ma pochi conoscevano il suo passato. Eppure, alla sua morte, venne fuori la sua storia di sopravvissuto durante la Seconda guerra mondiale, una storia molto simile a quella di Assouline. Erano infatti entrambi ebrei algerini, entrambi in pericolo nella Francia nazista della Repubblica di Vichy. Ed entrambi si salvarono grazie al signore nella foto a destra : Si Kaddour Benghabrit, il Rettore della grande Moschea di Parigi. Benghabrit (di origine algerina ma che da anni ormai viveva in Francia dove era molto stimato), infatti, accolse centinaia di persone in difficoltà, nei sotterranei della Moschea per nasconderli dai rastrellamenti dei nazisti. Non solo: per proteggerli e permettere loro di fuggire, Benghabrit (probabilmente aiutato da una rete di partigiani algerini) falsificò centinaia di documenti, facendo passare per musulmani molti ebrei, uomini, donne e soprattutto bambini. Grazie a questo stratagemma Assouline riuscì a fuggire e a unirsi alla Resistenza francese, e Halali potè sopravvivere agli anni della guerra.Non si sa esattamente quante persone si siano potute salvare in questo modo. Alcune fonti parlano di circa cinquecento, altri ritengono che furono circa 1600. Ma in fondo non è poi così importante tenere una contabilità precisa, perché chi salva una vita salva il mondo intero. E anche se fosse stata solo una, la vita salvata, sarebbe comunque una bella storia di altruismo e solidarietà. Ma soprattutto una storia di speranza e fiducia negli esseri umani, che in certe occasioni riescono mettere umanità e fratellanza avanti a tutto il resto.

🦋La farfalla della gentilezza 🦋
(Nel libro di Robert Satloff, “Tra i giusti. Storie perdute dell’Olocausto nei paesi arabi”, Marsilio 2008, c’è un capitolo dedicato a Benghabrit e alla sua attività nella Grande Moschea di Parigi).

26.4.19

NEL GUADO DI © Daniela Tuscano


  di cosa  stiano parlando  


Forse è la famiglia, l’immagine più eloquente di questa Pasqua sanguinosa. Due famiglie, anzi. Le loro foto circolano insistentemente sul web, coi volti festosi e lucenti. Continuazione e prolificità.
L'immagine può contenere: 7 persone, persone che sorridono, spazio all'aperto

Forse, sotto certi aspetti, poco interessanti. Scarsamente “artistici”. I volti sono belli e giovani; ma troppo “normali”, in modo quasi imbarazzante; testimoniano la gioia di trovarsi lì, e null’altro. Non celano alcun tormento interiore, che pure ci sarà stato, ma che si è sempre risolto davanti a un altare, dopo un battesimo o una cresima. Volti senza domande, perché le risposte le scioglievano nelle celebrazioni.Volti di cristiani cingalesi. Volti, adesso, scomparsi. Spazzati via dalla furia jihadista. È stato giusto, anche doveroso, mostrare al mondo attonito la fiumana di bare che hanno attraversato Negombo. Ma il momento supremo, ricapitolatore, per la storia spirituale di quelle persone, non si è chiuso in quegli istanti. Essi sapevano che era solo un passaggio; obbligato, improvviso e sanguinante, ma passaggio.
Ci spiazzano, questi volti. Disturbano. Sono volti d’evidenza, d’una mitezza tutta orientale che è rigore, perpetuità. Di fronte a essi, torna in mente l’invocazione disperata del dantesco Guido da Montefeltro: “Oh me dolente! Come mi riscossi/quando mi prese dicendomi: Forse/non pensavi ch’io loico fossi!”.Ma tanto “loico” non è. Non sono bianchi, quei cristiani. Appartengono a una minoranza, benché sembrino marea. Volti d’una Chiesa giovane e, al tempo stesso, convinta e serena. Antica, asiatica. Se la passano male. Abitano in paesi senza libertà, né religiosa, né civile. In fondo, nemmeno questo dovrebbe stupire. Sono oppressi; ma quale cristiano non lo è, da duemila anni a questa parte?“Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Anche se non sono conosciuti, vengono condannati […]. Sono poveri e rendono ricchi molti […]. Sono ingiuriati, e benedicono; sono trattati in modo oltraggioso, e ricambiano con l’onore” (“A Diogneto”, II sec. d.C.). Perfetto: pare proprio il ritratto di quelle famiglie.Qui, però, non sappiamo più interpretarlo. Scellerato perciò è chi, tra gli occidentali, pone sullo stesso piano gli assassinati e gli assassini, riducendo la strage a uno “scontro fra religioni”. Come ignorasse (e, ahinoi, ignora davvero) le turpitudini di cui si sono macchiati, e si macchiano, i regimi atei. Ma non si tratta di mera ignoranza storica - staremmo per dire, cronachistica - o di assenza di basi antropologico-filosofiche. È pervicacia della negazione, ostinato obnubilamento della memoria.Perché i morti dello Sri Lanka sono solo gli ultimi d’una lunga catena, consumata nella totale indifferenza dei professionisti dei diritti umani, delle femministe, dei terzomondisti salottieri e, anche, dei cosiddetti cristiani progressisti. Da Asia Bibi a Shahbaz Bhatti, da Rebecca Bitrus ai martiri di Sirte, dai copti alle bimbe siriane, rapite e convertite a forza, i cristiani extraeuropei subiscono da anni ogni sorta di soprusi, violenze, stupri, vendette e coercizioni. E il cristianesimo risulta la religione più perseguitata al mondoNon se n’è accorto nessuno, salvo alcuni media del settore, associazioni come Aiuto alla Chiesa Che Soffre, militanti per i diritti umani… di fede islamica (strano, ma vero). Il cristiano è il “pauvre chrétien”, il povero cristo, lo stupido. Difenderlo non sembra abbastanza “di sinistra”, gli/le italiane lo associano poi al Vaticano e, si sa, il Vaticano va respinto e irriso comunque, è “conditio sine qua non” per meritare la qualifica di intelligenti. E quel nome, nato presso i Romani come un’ingiuria… No, via. Normale che i neopagani attuali se ne scandalizzino.Ecco i reali motivi del disagio lessicale di Obama e Clinton (e, in misura minore, di Trump). “Cristiano” è diventato tabù. Ai tempi del massacro di Christchurch l’appartenenza religiosa degli uccisi venne evocata in termini molto netti, non si esitò a parlare di islamofobia, autorevoli donne del governo vollero dimostrare la loro solidarietà indossando vistosi veli. Adesso no, non vedremo alcuna ministra con crocifissi al collo, né udremo da parte loro dichiarazioni d’empatia. L’indecente perifrasi “adoratori della Pasqua” ha suscitato giusta indignazione, malgrado i grotteschi e, se possibile, ancor più spudorati tentativi di giustificarla da parte degli esegeti della “correctness”. Pur di difendere l’indifendibile, alcuni di essi hanno provato a liquidarla come polemica sciocca, altri si sono arrabattati nel ripescare affermazioni simili in contesti affatto diversi, altri ancora hanno voluto convincerci che la definizione voleva essere “inclusiva” – vocabolo tanto abusato quanto nauseante – poiché alludeva anche ai turisti alloggiati negli alberghi, in gran parte occidentali, ma non necessariamente cristiani… Alberto Melloni è giunto a sostenere che “le persone uccise dal terrorismo non possono essere divise in base alla fede per incentivare altro odio”; da ultimo, taluni sono giunti ad azzardare che la carneficina sarebbe una ritorsione per l'eccidio neozelandese; come se fino a un mese fa la popolazione cristiana fosse rispettata e amata, come se i terroristi appartenessero a classi sociali impoverite dal solito imperalismo occidentale e non - secondo quanto emerso dalle loro biografie - rampolli di famiglie benestanti e cosmopolite! (Non erano i primi: anche i killer di Dacca, tre anni or sono, provenivano da ambienti agiati.)Alle frasi paludate di costoro fanno riscontro i proclami netti e inequivocabili di chi non ha timore della realtà:“Finché l’Islam non si libererà dei predicatori d’odio e di morte e dei loro mandanti politici e morali, la nostra religione sarà perduta, violata e sconfitta da questi infami” (Maryan Ismail).
“Il terrorismo non ha religione” (Abdelmajid Daoudagh).“L’islamofobia sta aumentando anche a causa di noi musulmani… La Gran Bretagna abbonda di storie simili. Basta fare un giro in un paese musulmano per capire come stanno le cose” (Ahmed Bouzidi).“Quanto è appena accaduto in Sri Lanka è un atto di terrorismo anticristiano. ‘Anticristiano’ perché non è la prima volta che i seguaci di Gesù subiscono tali atrocità solo perché cristiani. Lo abbiamo già visto con i copti e anche con gli yazidi, giustiziati e cacciati in esilio dall’oscurantista e diabolico Stato chiamato islamico. Non dobbiamo più tacere” (Kamel Abderrahmani). 
Simili pronunciamenti verrebbero bollati dai progressisti occidentali come razzisti, sovranisti, destrorsi e paccottiglia varia coniata dalla neolingua. E invece giungono da musulmani devoti (non “moderati”!), in virtù della loro fede e non malgrado essa. L’ipocrisia è pavida, la carità intrepida. Solo quest’ultima sa dialogare; il sincretismo “new age”, al più, tollera. E, col pretesto di unire tutte le diversità, in verità le cancella per omologarle in una indistinta melassa spirituale, il cui obiettivo ultimo è distruggere il cristianesimo. Chesterton ne previde l’avvento un secolo fa: “Ci sono quelli che odiano il cristianesimo e chiamano questo loro odio ‘amore onnicomprensivo per tutte le religioni’”. L’ecumenismo è ben altro. È ricerca, storia, confronto, anche scontro, a volte. È umanità piena, primigenia, quindi infantile, come i due bambini musulmani trucidati domenica scorsa nella chiesa di St. Sebastian. Vi si erano recati per accompagnare gli amici cristiani. Non erano uguali, erano pari. Per questo chi non si fa loro fratello/sorella, non è degno di arrivare al cielo.“L’Occidente non ama più sé stesso – si ode deplorare dalla sponda opposta, quella degli occidentali conservatori (pure di certi cristiani d’Oriente, in verità; ma ce ne occuperemo in seguito). – È in piena decadenza, morale e valoriale”. Queste tesi, il cui esponente più autorevole è Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, trovano ascolto anche presso molti commentatori atei, in passato indifferenti se non ostili alle questioni religiose, dalla cultura teologica alquanto approssimativa, trasformatisi improvvisamente in esegeti della Scrittura e severi fustigatori di costumi, in particolare di quelli che considerano cristiani esangui, svirilizzati (la forza, per costoro, è necessariamente maschia). Il loro cristianesimo s’identifica con la cristianità. Accuserebbero di buonismo persino Francesco d’Assisi, perché col sultano dialogava invece di muovergli contro le armi crociate.Naturalmente è vero che senza cristianesimo è impossibile comprendere l’anima dell’Occidente, i suoi principi di libertà, eguaglianza e democrazia; il valore del singolo, la dignità delle donne, il rispetto delle diversità; la sua arte, la sua cultura; e, non ultima, la laicità, bene irrinunciabile. Tuttavia questi concetti non vanno assolutizzati; nemmeno – potremmo dire – ristretti. Il cristianesimo è ANCHE l’Occidente, non SOLO l’Occidente; questa è precisamente la visione miope e distorta dei jihadisti, e ribadirlo non fa che prestare il fianco alla loro ingannevole narrazione.Dividere il mondo in due – di qua la ragione, la civiltà e la “cristianità”, di là la violenza e il fanatismo – ripropone, in forma secolarizzata, l’antico schema fedeli contro infedeli; e il divisore, si sa, è da sempre Satana.I volti dei cristiani srilankesi – o africani, o di altre parti dell’Asia – lo confermano. Il cristianesimo, laggiù, è di casa. Non è prodotto d’importazione. I cristiani di quell’angolo di mondo non sono credenti in senso costantiniano. Coniugano tranquillamente don Bosco e Tertulliano, Teresa d’Avila con Sergio e Bacco. E col loro passato, a volte sikh, a volte indù, a volte, da sempre, legato al profeta di Nazareth. Cittadini del mondo, certo, ma anche e pienamente orientali, nelle loro virtù e nei loro limiti. “Ci dicono che la saggezza è arrivata dall’Occidente verso l’Oriente – disse Gandhi alla conferenza delle relazioni interasiatiche, suo testamento spirituale. – E chi erano questi saggi? Zoroastro. Lui apparteneva all’Oriente. Fu seguito dal Buddha. Lui apparteneva all’Oriente, apparteneva all’India. Chi ha seguito il Buddha? Gesù, di nuovo dall’Asia. […] E poi cosa accadde? Il cristianesimo, arrivando in Occidente, si è trasfigurato. Mi spiace dirlo, ma è la mia lettura”.Ci serve, un cristianesimo d’Oriente. Ci servono radici, ci serve “saggezza”, sempre in senso gandhiano. Ci serve la mistica, l’interiorità dell’Oriente.

Ci serve anche un Islam d’Occidente. Che è esistito, e ha portato frutti rigogliosi in Spagna, Italia, Corsica, Balcani... Che si chiamava Averroè, al-Kindi, Attar, Jamil, Avicenna e molti altri. Che ha saputo affascinare e godere. Che non era corpo estraneo, ma parte integrante dell'identità europea. Ed esiste, o meglio, vuol esistere ancor oggi, e le testimonianze sopra citate lo indicano; sta agli occidentali saperle esaltare e difenderle. Perché se esiste, come esiste, una vocazione dell’Europa, è proprio questa: essere ponte, ricapitolare tutto, mediare, allacciare culture, anime, persone. Saper essere inflessibile, anche: con chi vuol uccidere, o rinnegare, tale vocazione.Ma ci serve anche l’Occidente di per sé. L’Occidente complica, razionalizza, dubita, contesta. Talvolta, si perde in sillogismi. Talaltra, ed è la sua attuale malattia, diviene rinunciatario, scettico e amorale. Non dimentichiamo però che, nei suoi momenti migliori, è ricerca, felice insoddisfazione. Ed è anche spirito, perché la fede si trova anche qui, magari in recessi più nascosti. L’Occidente è il Siracide del mondo; ma quanto serve un po’ di sano dubbio, in mezzo a tante fanatiche certezze! Se occorre uscire da un'idea stereotipata dell’Oriente, si rende necessario cancellare pure l’occidentalismo: fenomeno studiato assai meno, ma non meno pernicioso dell'orientalismo. No, non siamo tutti decadenza, colpa, materialismo. Quanto poi al delirio dei fanatici, l’abbiamo conosciuto molto bene: guerre mondiali e religiose, dittature, roghi, persecuzioni, razzismo, colonizzazione, schiavitù, antisemitismo, discriminazione, sessismo, violenza economica, devastazione ambientale, riarmo.Lo sappiamo: parlare di ecumenismo, problematizzare, discorrere di diritti vecchi e nuovi, davanti a un profugo con la schiena tanagliata dai jihadisti, o che ha visto la famiglia sterminata dai medesimi, è compito improbo. Eppure, se esiste un fardello da portare, è questo. E lo dobbiamo portare assieme. È necessario ascoltarsi a vicenda. Un cristiano occidentale non è meno convinto perché critico e pensoso; un cristiano orientale non è più devoto perché ligio all’ortoprassi.Si avvicina la Pasqua ortodossa. L'attendiamo con gioia, e qualche trepidazione. Ci troviamo in mezzo al guado, in bilico tra il bene e il male, la retorica e l'azione, la violenza e il coraggio. Possiamo ancora scegliere. Cerchiamo di non sbagliare ancora.
                                       © Daniela Tuscano



1.2.17

non sempre le fedi \ religioni diffondono l'odio gli ebrei canadesi consegnano agli islamici le chiavi della loro sinagoga dopo l'incendio della moschea



L'Huffington Post | Di Selene Gagliardi 1/2/2017




Venire discriminati per le proprie idee, la propria etnia e la propria religione è un qualcosa che lascia un segno profondissimo nella storia di una comunità e di ogni individuo, ma dà anche la forza di immedesimarsi nei dolori e nelle storie altrui. Lo hanno capito bene gli ebrei residenti a Victoria, un piccolo paesino del Texas, che hanno visto turbato l'equilibrio della zona dalla distruzione della locale moschea e hanno deciso di agire con un gesto di profonda solidarietà.
La struttura del Victoria Islamic Centre è stato spazzato via sabato 28 gennaio da un incendio doloso appiccato per motivi discriminatori, in base a quanto sospettato dagli inquirenti. L'episodio è stato un duro colpo per il piccolo paesino, tanto che la comunità ha sentito la necessità di reagire e far capire che la maggioranza degli abitanti non appoggia minimamente l'atto criminale.
In particolare, i credenti ebraici hanno voluto fare un gesto di grande fratellanza, abbattendo qualsiasi tipo di muro ideologico e religioso. Grazie a loro, infatti, i musulmani avranno un luogo di culto in cui pregare in attesa della ricostruzione della moschea: la locale sinagoga (o, meglio, il tempio Bnai Israel).

L'immagine può contenere: notte e spazio all'aperto
Come spiega il rabbino Robert Loeb, tra l'altro, "qui tutti conoscono tutti. Io, poi, sono amico di molti membri della moschea e noi stiamo soffrendo per quanto accaduto loro. Quando succedono certe cose, bisogna essere unti".
Del resto, a Victoria la comunità ebraica è minoritaria rispetto a quella islamica. Tuttavia, gli ebrei d'America godono di ampi spazi nella cittadina del Texas: "Siamo all'incirca 25 o 30 persone, mentre la comunità islamica conta più o meno 100 membri. Abbiamo molti fabbricati per un numero ridotti di ebrei" ha specificato il rabbino.
"I fratelli ebrei sono venuti a casa mia dopo l'incendio" racconta Shahid Hashmi, uno dei fondatori del Victoria Islamic Centre. "Mi hanno consegnato le chiavi della sinagoga" ricorda poi. Per la ricostruzione della moschea è stata anche lanciata una campagna di raccolta fondi online, che in pochissime ore ha portato alla donazione di quasi un milione di dollari.
Omar Rachid, l'uomo che ha lanciato la campagna sulla piattaforma GoFundMe, si è detto incredulo per tanta solidarietà: "I nostri cuori sono pieni gratitudine per il grandissimo supporto che stiamo ricevendo" specifica. "Amore, parole di incoraggiamento, mani che aiutano e contributi finanziari sono esempi del vero spirito americano" precisa poi Omar.
Tutto questo sta infatti accadendo in una nazione che ha ospitato veementi proteste contro il Muslim Ban voluto da Donald Trump e contro la stretta oltranzista della presidenza a stelle e strisce. Nel vicino Canada, poi, la comunità islamica è stata scossa dalla strage alla moschea di Qebec City. Un periodo davvero negativo nell'estremo Occidente per chi è di fede islamica, ma che a Victoria stanno cercando di rendere più lieve.

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29 persone raggiunte

18.1.16

L'APOCALISSE PROSSIMA VENTURA © Daniela Tuscano



Li guardavo ieri in TV e riflettevo: "Quanta strada compiuta, quanta ancora da compiere!". Li guardavo ieri in TV e pensavo: "Quanta fatica per avvicinarsi! Solo piccoli passi, e intorno il caos". Li guardavo ieri in TV e poco dopo venivo raggiunta dalla notizia dell'ennesimo, orrendo eccidio in Siria, del ritrovamento d'un bimbo italiano e di sua madre fra le vittime dell'attentato in Burkina Faso ma soprattutto - per la specificità dell'argomento, perché le coordinate del mondo s'intrecciano tutte lì - dell'arresto d'un'antimilitarista israeliana. Dell'assassinio d'una sua connazionale davanti ai figli per mano terrorista. Della profanazione dell'Abbazia della Dormizione a Sion. Scritte anticristiane, forse opera degli stessi che lo scorso luglio bruciarono vivo il piccolo Ali e quasi tutta la sua famiglia. Li guardavo ieri in TV e lo sconforto mi assaliva, ripetevo che no, non ce la faremo mai, il nostro passo è troppo lento e la violenza procede invece spedita e implacabile. Mancanza di fede, lo so. Non sono così forte. Li guardavo ieri in TV e la mente tornava alla sinagoga di Trieste, visitata quasi dieci anni fa. Sono edifici strani, fantasie tardobabilonesi, trionfi di lapislazzuli. È come rientrare nel ventre materno, ci si sente invadere da una profonda, remota pace. Mentre, attorno, ogni cosa trasuda odio e guerra. Gli incontri fra ebrei e cristiani - ma era presente anche la delegazione islamica del Coreis con Yahya Pallavicini, un gesto di grande forza, in questi tempi - non sono mai uno stanco rituale. È il nostro destino, la nostra forza e il nostro dramma. Quando i simboli diverranno inutili e obsoleti significherà che la fine è giunta. La fine apocalittica, l'instaurazione cioè del regno. Ma, adesso, servono. La visibilità serve. L'occhio deve leggere. Le kippah, ieri indossate non solo dai non ebrei come ormai d'uso nelle occasioni solenni ma anche da alcuni sacerdoti al seguito di Francesco, hanno contrassegnato l'incontro ebraico-cristiano 2016. Ed è stato giusto così. Il simbolo è linguaggio. E come il linguaggio è polisemico. Ci sono momenti in cui diventa opportuno occultarlo. Altri in cui è bene alludervi. Altri ancora in cui diventa tutt'uno con noi, c'incarna. Perché non indica esclusione né superbia ma soggettività, diritto.
Limite, anche: o, meglio, umiltà. Per gli ebrei il piccolo copricapo, imitato poi dai cristiani, indica il solco da non superare, che ci separa dal cielo. È l'argine invisibile al fondamentalismo (l'altro volto dell'idiota nichilismo occidentale,entrambi espressioni d'empietà).                     Suggerire di nasconderlo, com'è accaduto in Francia giorni fa per evitare il rischio di aggressioni terroristiche ricorda molto da vicino l'avvertimento alle donne di Colonia di star discoste un braccio dagli immigrati, e magari di non uscire la sera da sole: per il loro bene,s'intende.     Tentazione diabolica contro la libertà, da respingere con tutta la forza possibile. Gli ebrei, di simboli se ne intendono: dalla nappa gialla imposta dai papi alla stella di Davide con cui li bollarono i nazisti. Simboli di diversità, questi, di esclusione, di "altro" inassimilabile, perché la Norma doveva essere solo una. Oggi, il nuovo nazismo pretende e sfoggia metodi uguali e contrari. Da un lato il nascondimento vergognoso, dall'altro l'ostentazione: assai differente dall'appartenenza. Sia l'uno sia l'altra degradano l'umanità. Il primo vuol cancellare i diversi, la seconda vuol escluderli in modo esplicito. Bene ha fatto il presidente francese Hollande a ribadire il pieno diritto degli ebrei a manifestare i simboli della loro fede. Ma qualcosa, in questo discorso, stride. La Francia è il paese in cui i simboli religiosi sono banditi. E non mi riferisco ai veli integrali di certe donne musulmane, i quali presentano, fra l'altro, comprensibili problemi di sicurezza. Alludo a qualsivoglia oggetto, anche molto discreto, che indichi una qualche appartenenza religiosa. E non va dimenticato: malgrado i proclami di massima, i simboli più colpiti da quelle parti, come in altri paesi europei, sono quelli cristiani. Contro questi ultimi il laicismo pragmatico-capitalista ha ingaggiato da tempo una guerra, sia pure solo culturale ma non meno funesta, per cui s'è rivelato di fatto il miglior alleato di Daesh. Anche questa forma o, se si vuole, di deformazione della laicità è oggi superata e occorre ripensarla. Se uno Stato laico resta obiettivo irrinunciabile (e chi scrive vi tiene molto), è pur vero che la flessibilità insita nella democrazia impone un cambio di passo. In tal senso molto avrebbe da insegnare la laicità italiana, se realmente fosse applicata e vissuta con maturità. Le religioni, oggi sul banco degli accusati con molte ragioni apparenti, sono chiamate ad affrontar grandi sfide. Fin troppo facile dimostrare la loro devastante influenza non appena si appropriano del potere temporale. Ma è sempre, necessariamente, così (chi, del resto, avrebbe ancora l'impudenza di affermare il rispetto dei diritti umani nei regimi atei?)? Storicizzarle, aprirle, contestualizzarle: anch'esse sono prodotti di uomini. Dì uomini maschi, verrebbe da aggiungere. Un apporto alla democratizzazione delle religioni infatti può e deve arrivare dalle donne; solo così, forse, si eviteranno gli eccessi d'un laicismo esasperato e contraddittorio e d'un monopolio del sacro sanguinario, antiumanista e suicida. E solo così i simboli non incuteranno più timore o sospetto. Non si odierà più una kippah, non si strapperà più un chador, se quest'ultimo sarà scelto dalla donna senza rinunciare ai valori della democrazia e della dignità femminile. Nell'istante in cui lo si valorizza positivamente, l'abito tornerà a relativizzarsi, a essere semplice stoffa, brillando sempre più le nostre kippah, i nostri veli (ma, pure, i nostri jeans, le nostre minigonne...) spirituali. "Com'è vostr'uso", declamava la Piccarda dantesca. E il cerchio si chiude, la fine - apocalittica - si avvicinerà. E non sarà un brutto giorno. Splenderà un sole discreto, primaverile, e tutti si riconosceranno come vecchi amici. © Daniela Tuscano

11.1.16

velo islamico segno di sottomissione ?



la solita becera ignoranza , anche a sinistra ( sempre che il pd si possa definire di sinistra ) sul velo islamico http://oknotizie.virgilio.it/go.php?us=19a1d09c69164baf  dale mie  letture   e dal dialogo con amici mussulmani laici e  praticanti  non mi sembra che il velo islamico ricopra  tale   funzione  a differenza del burqa . voi cosa ne pensate in merito ?

23.4.15

LUCIDA FOLLIA

“Più numerosi adesso che nei primi secoli del cristianesimo”: così papa Francesco nel commentare l’impressionante numero di testimoni immolati per la loro fede. Li hanno uccisi l’odio, il razzismo, l’intolleranza. Ma anche l’indifferenza: la nostra, in primo luogo; e il pensiero va immediatamente alle vite spente in quell’immensa bara d’acqua in cui s’è trasformato l’antico “Mare Nostrum”. Testimoni (martiri) inconsapevoli ma non meno autentici, a qualsiasi credo appartenessero, cui è stata negato, da subito, l’elementare diritto a vivere.
Testimoni comunque, perché gloria di Dio è l’uomo. Un movimento ascensionale, che parte dalla terra per giungere al cielo, ma non rinnega, anzi, motiva e dà pregnanza alla prima. Qualsiasi sfregio all’umanità, a quella concreta di ossa e carne, è sfregio al Creatore.
I testimoni (martiri) non sono uomini e donne scarnificati; divengono anzi più tangibili e fattuali. È l’agire che conferisce loro una circolare pienezza; la coscienza d’essere cellula, grumo, inizio, li eleva dall’esistenza biologica ma non ne prescinde.
È quanto accaduto a Jamal Rahman, migrante etiope, anch’egli in viaggio alla ricerca d’uno straccio di lavoro e dignità. Solo che la sua testimonianza s’è rivelata tutt’altro che inconsapevole. Forse per il suo nome: rahman significa misericordioso. Il suo viaggio della speranza, o della disperazione, è durato pochissimo. Non in una carretta del mare, bensì in spiaggia. Un’altra spiaggia fatale, dantesca. Dove in Quaresima vennero trucidati ventun operai copti e in questa Pasqua di sangue altri ventotto cristiani, etiopi ed eritrei. Anch’essi catturati dall’Isis, anch’essi sgozzati.
Ma Jamal non era cristiano.



Lui avrebbe potuto salvarsi. Secondo fonti jihadiste, “…il musulmano Jamal «follemente» si sarebbe offerto come ostaggio, per solidarietà verso l’amico cristiano con cui stava compiendo il viaggio”. E in quel preciso momento ha smesso d’essere Jamal l’emigrante per entrare nell’immenso quadro della storia eterna. L’ha decretato quella “lucida follia” che ha restituito alle antiche frasi di San Paolo una rocciosa, perenne attualità: “È piaciuto a Dio di salvarci con la croce di Cristo…, follia per i pagani”. La croce di Jamal è stata la lama che gli ha squarciato il collo; trasformatasi in croce simbolica, è ora, per chi crede, strumento di salvezza.
Jamal ha raggiunto Dio compiendo l’atto più naturalmente umano: dare la vita per i propri amici. Anche qui la Scrittura è esplicita: non v’è amore più grande. L’eccesso d’umanità sfocia nel divino. Senza cancellare la singolarità d’ognuno. Jamal ha compiuto un gesto autenticamente cristiano ma anche totalmente musulmano. Della sua religione ha saputo cogliere il nocciolo fondamentale, l’amore per il prossimo. Lo stesso del cristianesimo, dell’ebraismo, del buddismo e di ogni altro modo in cui s’invoca Dio sulla Terra.
Multiformità, non irenismo. Diversità, non omologazione. Creatività, non ordine costituito. Dio non si può incasellare. Non discrimina. Non impone. Si fa umile.
Questa è, propriamente, stoltezza e follia per i pagani, che piegano la religione alle loro velleità terrene. Il video in cui appare un istante prima della morte, incorniciato e marchiato come un apostata, è il più clamoroso atto di auto-accusa mai compiuto dagli assassini. Esso mostra senza possibilità d’equivoco che il vero musulmano (cristiano, ebreo, buddista…) è lui, Jamal; e pagani gli altri, i fondamentalisti. Privi già di testa, perché senza cuore.
La testimonianza di Jamal vanifica pure le tesi dei razzisti di casa nostra, degli epigoni fallaciani per cui l’Islam autentico sarebbe brutale e violento. No, il vero Islam è quello di Jamal Rahman, di Mahmoud Al 'Asali, il docente iracheno morto la scorsa estate per difendere i concittadini cristiani, e di molti altri, presenti e passati. Il vero Islam è l’induismo di Gandhi, il cristianesimo di Edith Stein e di Dietrich Bonhoeffer, l’ebraismo di Janusz Korczak… e potremmo continuare all’infinito.
Sì, i martiri sono assai più numerosi oggi che nei secoli passati; e si stagliano adamantini nella loro semplicità. Essi sperano nella vita futura; non la loro, la nostra. È per noi ch’essi percorrono le strade del mondo. Per noi si fanno cibo; e guai se lo disdegniamo o, peggio, lo sprechiamo.

© Daniela Tuscano

26.10.14

ebrei-cristiani-e-musulmani-insieme-convivere-in-pace-si-puo ? il caso di Djerbahood città graffito in tunisia

in sottofondo   e  consigliata immagine- John Lennon


da , foto  comprese  ,  da  http://www.caffeinamagazine.it/2014-10-20-12-41-28/street-art/


Sapete cos’è Djerbahood? Èun villaggio sull'isola di Djerba, in Tunisia e anche uno dei più grandi allestimenti di street art al mondo. Un progetto nato dalla passione di che, per realizzare a Djerbahood questa specie di "mostra", ha coinvolto più di 150 street artist provenienti da 30 paesi.



(Continua a leggere dopo la foto)






Tra i nomi di spicco che hanno prestato la loro opera sui muri di Er-Riadh ci sono BomK, Liliween, Shoof, Roa, C215, Faith47, Know Hope, Herbert Baglione, eL Seed e molti altri.



Ci sono voluti due mesi per fare il miracolo: far diventare quel piccolo villaggio un museo a cielo aperto.



Tutte le opere sono state realizzate con il consenso del sindaco di Djerba e con il permesso dei proprietari di muri e appezzamenti di terreno.




Nobile la missione dell'artista: «Ebrei, cristiani e musulmani qui hanno vissuto in pace per oltre 2000 anni. Il mio obiettivo è quello di consolidare questa convivenza e offrire agli artisti una tela unica nel suo genere».



Beh, secondo noi ne è valsa la pena... E secondo voi

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

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