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3.10.16

GAY: UN PAPA OSCILLANTE E LE NOSTRE CONTRADDIZIONI DI AURELIO MANCUSO

Bergoglio continua a stupire con le sue continue e perseveranti aperture rispetto alle persone gay e transessuali e i suoi feroci attacchi della misteriosa ideologia gender. Una sorta di schizofrenia pastorale che disorienta e interroga molti suoi sostenitori e detrattori. Nelle parole del vescovo di Roma è indubbio che vi sia una novità insita: i toni di accoglienza, quasi bonomia, nei confronti degli e delle omosessuali e delle e degli transessuali, non si erano mai ascoltate in duemila anni di storia. 

 
 

 

Una sincera presa d’atto di quanto dolore abbia provocato la Chiesa a milioni di persone durante la sua lunga storia, che però non può arrivare fino al chiedere perdono, come da tempo anche tanti vescovi sostengono inutilmente. Però il papa argentino si trova a fronteggiare (già quando era arcivescovo di Buenos Aires) una trasformazione antropologica dei legami familiari e dell’elaborazione sulle sessualità sconvolgente per la cattolicità, per cui non può che oscillare tra volontà di ascolto rispetto ai singoli e la crociata contro i matrimoni egualitari, le unioni omosessuali e le cosiddette “teorie gender”. Questo doppio binario (che rammenta un po’ la doppia morale) costringe il capo della chiesa cattolica, da una parte di superare il vecchio armamentario ideologico difeso dalla Curia negli ultimi quarant’anni di condanna tout court dell’omosessualità e degli omosessuali (seppur distinguendo tra peccatore e peccato) e dall’altra di non retrocedere sul piano formativo, istituzionale e morale rispetto all’unicità della famiglia eterosessuale e alla differenza tra i generi (che nelle interpretazioni più reazionarie) precipita fino al piano inclinato della disparità di diritti e ruoli tra l’uomo e la donna. La nuova frontiera per la gerarchia cattolica è, quindi, di difendere senza cedimenti l’indissolubilità del matrimonio (la filippica pronunciata in Caucaso sul divorzio è sintomatica) che non può che essere eterosessuale, “aperto” al concepimento, e così via. Bisogna esser sinceri: il matrimonio cattolico è in profondissima crisi, così come lo è quello laico. E’ una china discendente che inizia nell’Occidente dai primi anni ’60 e che non si è mai arrestata e, che oggi si amplia sempre più anche in porzioni del pianeta che a causa di dittature, guerre, teocrazie, hanno mantenuto saldo il concetto di unione religiosa o civile, con al centro la figura maschile (fino alla poligamia) e la minorità di quella femminile. Il nostalgismo bergogliano, è malinconico perché consapevole che si tratta per la chiesa di togliere con un cucchiaino l’acqua dell’oceano ribollente delle libertà e della consapevolezza individuale e collettiva, (specialmente delle donne), delle differenze e delle uguaglianze. Se il termine differenza non fa paura alla teologia moderna (sapienti teologhe fedeli al magistero ne discettano su tutti i media cattolici) è la sua congiunzione con l’uguaglianza che fa saltare il tappo e, introduce contraddizioni che lambiscono i capisaldi della dottrina, come quello del sacerdozio uni sessuale. Tutta questa libertà laica, che è persino timidamente approdata in Italia con l’approvazione della legge sulle unioni civili, non è scevra di contraddizioni e ha aperto interrogativi profondi anche nel campo libertario e progressista. Il matrimonio e le unioni sono scelte come atto supremo di suggello di un rapporto d’amore, come la costruzione di una vita in comune paritaria e per questo giustamente confliggente e faticosa. La fedeltà non è vista come un obbligo (seppur formalmente ancora imposto nel nostro paese, retaggio storico della minorità sociale e legale delle donne) e, i figli seppur desiderati, rientrano nel progetto complessivo della vita di coppia, non sono una priorità. Tutto questo determina una inevitabile temporaneità culturale dei legami matrimoniali. Francesco, non può certo recriminare sulla parità di genere, sulle conquiste di libertà delle donne (a parte divorzio e aborto), sulla loro autonomia lavorativa e sociale. La chiesa ha troppo da farsi perdonare, per cui la prende alla larga e imputa il rovinoso crollo del pilastro matrimoniale alla indistinzione sessuale (la famigerata teoria gender) che attenterebbe alle certezze virili dei maschi e alle “naturali” funzioni di cura delle donne. Alla testa di questa mostruosa infezione delle coscienze sarebbero i movimenti di liberazione omosessuali e le femministe con le loro riflessioni sul ruolo di genere, identità e orientamento sessuale. Ancora una volta devo dire che Francesco ha ragione: il matrimonio indissolubile, sacro vincolo davanti a un Dio giudicante e severo, o persino vergato da un più scafato funzionario dello stato civile, è messo in discussione da gay e donne. L’abbattimento del matrimonio patriarcale, lungi dall’essere una realtà nella maggioranza del pianeta (e già questa discussione è tutta costruita sui riferimenti occidentali), è però un fatto, proprio dove la chiesa cattolica dovrebbe avere più influenza e forza evangelica. L’inquietudine intuita nel Concilio Vaticano II di una modernità incombente cui non si poteva più rispondere con la retorica della tradizione, non ha aperto una stagione di discernimento tra ciò che di positivo portava la liberazione sessuale e politica delle donne e degli altri soggetti discriminati e, i rischi, questi sì da indagare, di una banalizzazione generale dei sentimenti e delle relazioni. Nel tempo che viviamo, abiti bianchi, sontuose cerimonie e solenni promesse, continuano a sopravvivere mentre la realtà dei fatti rende tutto questo sbilenco, scentrato e goffo. Più libertà senza responsabilità, più cultura e informazione senza razionalità, sostituiscono certamente le prigioni che (ahimè) la chiesa cattolica e le religioni in generale hanno costruito nei secoli, ma non hanno per ora attrezzato ad una visione autentica degli impegni familiari, che siano eterosessuali o omosessuali. Anche la proposizione di modelli sovrapponenti a quelli eterosessuali nella costruzione delle comunità d’amore gay, dovrebbe interrogare le menti più fertili, che almeno per ora, pongono l’accento sulla conquista di diritti e di un posto nella società pubblica. Comprensibile che la novità e un’era infinita di discriminazioni portino a una eccitazione collettiva, ma dovrà venire il tempo della introspezione (finalmente privata, individuale e di coppia) sulla spinta all’unione, che è attrazione e passione iniziale e, che per durare si trasforma. Al papa non possiamo chiedere ciò che anche per noi è ancora difficile accettare: che l’amore, per durare, va oltre il rivendicazionismo sociale e l’accettazione convenzionale degli altri; la relazione sentimentale che sia etero o sia gay non dura per imposizione, non ha speranza nella mitica della passionalità permanente. Per tornare alle parole di Bergoglio di questi giorni, è difficile per un cattolico adulto, (i non credenti sono per loro fortuna esentati da questo sforzo) intravedere per ora spazi di concreta interlocuzione, perché finché il piano di discussione sarà tra errante ed errore, non sarà possibile avvicinarsi a quella tavola imbandita. Capisco che molti miei fratelli omosessuali giudichino questo papa una speranza, ne enfatizzano i lati dialoganti e l’evidente cambiamento nel linguaggio, ma la sostanza respingente rimane: finché sei un omosessuale docile e disposto a farti perdonare sei accolto, ma da omosessuale consapevole che rivendica la sua completa dignità, anche dentro la chiesa, non puoi avere ancora cittadinanza. Sono certo che la chiesa sarà “costretta” a evolversi, ma non in questa mia breve esistenza terrena. Preferisco, per cui la testimonianza (anche dialogante, ma non omissiva) della mia autenticità.

Aurelio Mancuso - Equality Italia

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