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26.4.23

Le partigiane sarde: il 25 aprile è il giorno giusto per riscoprirle perchè sono Tante, ma poco note. La storia di Assunta Manca di Bultei

 


Emigrate nella Penisola, dove si erano sposate oppure lavoravano. Alcune appena ragazzine, altre già adulte, figlie, sorelle, fidanzate o mogli di partigiani. Oppure donne libere, emancipate, con una forte coscienza sociale e politica. Sono tante e quasi tutte poco conosciute le partigiane sarde. Come l’infermiera Assunta Manca di Bultei.
Gregarie e combattenti: le donne ebbero un ruolo cruciale Dagli schedari le storie di tante partite dalla Sardegna

Sassari Emigrate nella Penisola, dove si erano sposate oppure lavoravano. Alcune appena ragazzine, altre già adulte, figlie, sorelle, fidanzate o mogli di partigiani. Oppure donne libere, emancipate, con una forte coscienza sociale e politica che le spingeva a darsi da fare, a impegnarsi anche a costo della propria vita. Sono tante e quasi tutte poco conosciute le partigiane sarde, finite nell’oblio come la maggior parte delle donne che invece ebbero un ruolo cruciale durante la Resistenza. «Uno sminuimento che si manifesta già nella definizione che ebbero nei documenti: venivano classificate come “gregarie” invece che “combattenti”, quali invece erano, pronte a morire per la causa in cui credevano e per aiutare le persone che amavano. E quando entravano nelle città liberate, molto raramente le donne sfilavano in cima: stavano in disparte». Marina Moncelsi, ricercatrice, è la direttrice dell’Istasac, Istituto per la Storia dell'Antifascismo e dell'Età contemporanea nella Sardegna Centrale: « Soltanto di recente il ruolo delle donne è stato rivalutato, gli studi hanno fatto emergere come in quel periodo siano state fondamentali per mantenere i contatti tra i vari gruppi, tra i partigiani e le loro famiglie, per recapitare messaggi, viveri e anche armi. Potevano farlo perché a differenza degli uomini erano abbastanza libere di circolare, a piedi o in bicicletta. Tra le staffette ci furono anche parecchie donne sarde riconosciute come partigiane, come attestano le schede inserite nel Ricompart, sigla che indica l’Archivio riconoscimento partigianato. Nelle schede vengono riportati i dati anagrafici (anche del padre e della madre), le attività svolte nelle formazioni, la valutazione della parte della commissione che verificava la domanda». E la respingeva nel caso il ruolo svolto dalla richiedente non venisse confermato da altri componenti del gruppo e dai testimoni. Ecco alcune delle donne sarde partigiane: a Roma e nel Lazio furono operative Fulvia Duce nella brigata “Toninelli”, Anna Fiori dall’Asinara nella brigata “Cristiano sociale”, Mariuccia Murgia da Orune, Maria Assunta Manca, azionista di Bultei, di cui raccontiamo la storia in queste pagine . E poi ancora Gemma Ledda di Gesturi nella brigata “Bocca” di Chivasso, in Piemonte, nella “Divisione Garibaldi” Maria Bachis da Siliqua e nelle Sap la compaesana Adalgisa Pisano. Combattenti sarde presenti anche in Emilia Romagna: a Bologna Giovanna Usai da Santa Teresa di Gallura nella brigata “Masia”, a Reggio Emilia la sassarese Maria Iolanda Doria, il cui nome vero era Maria Sole Nieddu, a Modena Vladimira Inzaina da Calangianus: queste ultime due sono tra le pochissime classificate come “partigiane combattenti”. Ancora, a Reggio Emilia, Eleonora Zedda di Tiana: staffetta e crocerossina, fu trasferita in un campo in Germania ma fu liberata dagli alleati e ritornò in Sardegna, dove morì nel suo paese d’origine.


 



26.4.20

Le partigiane hanno dovuto ribellarsi due volte: sia al fascismo, sia al patriarcato. Ma il loro ruolo è stato fondamentale per la Resistenza italiana.

  canzone  suggerita
  le  donne   di cielo 
https://www.ildeposito.org/canti/donne-di-cielo


Con n questo post   sotto   riportati  concludo  la  triologia dedicata  alla giornata  del  25  aprile   che  ha  avuto origine  da  quest'altro    post incui approfondivo  la questione  della Brigata  Ebraica  e  il  25  aprile 


Puntate precedenti
  1. https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2020/04/perche-e-sempre-25-aprile-ovvero-sempre.html
  2. https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2020/04/storia-di-resistenza-ieri-ed-oggi.html


Quando si pensa ai partigiani, vengono subito in mente i racconti di clandestinità eda  volte  d' eroismo che  hanno caratterizzato la narrazione letteraria italiana. Si fanno le somme dei morti e dei superstiti e si annoverano i tanti nomi delle brigate sorte spontaneamente in tutta Italia per desiderio di libertà. Brigate di uomini, eroi determinati, più spesso improvvisati. 
Per decenni a livello storiografico ed istituzionale il contributo delle donne alla Resistenza non è stato mai adeguatamente riconosciuto, rimanendo relegato ad un ruolo secondario, che scontava "di fatto" una visione in cui anche la Lotta di Liberazione veniva "declinata" al «maschile». I dati ufficiali della partecipazione femminile alla Resistenza hanno scontato inoltre criteri di riconoscimento e di premiazioni puramente militari, non prendendo in considerazione i "modi diversi", ma non per questo meno importanti, con cui le donne parteciparono ad essa. Per questi motivi si parla di Resistenza taciuta. 




Quello che viene quasi sempre ignorato o sminuito   è che non ci sarebbe potuta essere una Resistenza se non ci fossero state le donne.
Infatti  I compiti ricoperti dalle donne nella Resistenza furono molteplici: fondarono squadre di primo soccorso per aiutare i feriti e gli ammalati, contribuirono nella raccolta di indumenti, cibo e medicinali, si occuparono dell'identificazione dei cadaveri e dell'assistenza ai familiari dei caduti.
Si sono inoltre rese indispensabili alla collettività partigiana: oltre che cucinare, lavare, cucire e assistere i feriti, partecipavano alle riunioni portando il loro contributo politico ed organizzativo e all'occasione sapevano anche cimentarsi con le armi. Particolarmente prezioso era il loro compito di comunicazione: con astuzia riuscivano sovente a passare dai posti di blocco nemici raggiungendo la meta prefissata: prendevano contatto con i militari e li informavano dei nuovi movimenti.
Le loro azioni erano soggette a rischio quanto quelle degli uomini e quando cadevano in mano nemica subivano le più atroci torture. Erano brave nel camuffare armi e munizioni: quando venivano fermate dai tedeschi con addosso qualcosa di compromettente, riuscivano spesso ad evitare la perquisizione, dichiarando compiti importanti da svolgere, familiari ammalati, bambini affamati da accudire. Parlando della sfera familiare, le donne parlavano infatti una lingua universale capace di suscitare sentimenti e sensibilità nascoste.
Nell'epoca del secondo conflitto mondiale le donne acquisirono un ruolo importante anche a livello economico-produttivo. Mentre gli uomini venivano richiamati alle armi, esse dovettero sostituirli nell'industria e nell'agricoltura. Le donne lavoravano soprattutto nel settore tessile, alimentare e industriale, ma erano presenti anche in larga misura nella catena di montaggio, nei pubblici impieghi e nei campi, dove affrontavano le attività più faticose, tradizionalmente riservate agli uomini.
In questi settori spesso, organizzavano manifestazioni, al grido di slogan come "Vogliamo vivere in pace" oppure "Vogliamo pane, basta con gli speculatori". Soprattutto nelle campagne, mettevano a disposizione le loro case, rischiando anche la vita, per aiutare i feriti, i convalescenti e dare rifugio alle persone in fuga. Molto importante era anche l'attività che le donne svolgevano nella raccolta di fondi, finalizzata a dare aiuto ai parenti degli arrestati, delle vittime dei nazifascisti e anche alle famiglie dei partigiani particolarmente bisognosi. Intensa fu anche la loro attività di propaganda politica, nonché gli atti di sabotaggio e di occupazione dei depositi alimentari tedeschi.
 Le staffette che operavano come messaggere e intermediarie, rendendo possibili le comunicazioni, il trasporto delle armi e lo spostamento dei compagni; le civili che, ben prima del biennio 43-45, stampavano e diffondevano volantini di propaganda antifascista; quelle che portavano abiti e viveri ai partigiani, facevano scuola   \  formazione   politico -culturale  ai  giovani   che  avevano   come  istruzione  e cultura  solo  quella inculcata loro  dalla dittatura  fascista    e che   fecero  la scelta  di ribellarsi   per   :  non andare in Germania  o arruolarsi nella Rsi  , finire fucilati  cc. di andare  in montagna   o di combattere  nelle città  i  Gap  . Inoltre  Secondo alcuni storici   s'infiltravano   fra i militi  della  Rsi ed  i nazisti  ,  ricorrendo  ala seduzione  o  alla prostituzione per  ottenere  informazioni  da passare  alla resistenza ed  ai partigiani .E infine, sebbene in numero inferiore secondo  alcuni , quelle che, come gli uomini, imbracciavano le armi. 

Ulteriori  approfondimenti oltre   l'articolo   di 
https://thesubmarine.it riportato   sotto    con i  suoi  collegamenti  ipertestuali  le  trovate   qui  










Si stima che furono circa 70.000 le donne iscritte ai GDD, i Gruppi di difesa della donna, la prima organizzazione unitaria della partecipazione femminile alla Resistenza, e furono oltre 55.000 le donne impiegate come combattenti o con funzioni di supporto — ma il dato è probabilmente in difetto. In 19 sono state decorate con la Medaglia d’oro al valore militare, e il teatro di guerra che le ha viste protagoniste è stato l’Italia centro settentrionale


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...