Emigrate nella Penisola, dove si erano sposate oppure lavoravano. Alcune appena ragazzine, altre già adulte, figlie, sorelle, fidanzate o mogli di partigiani. Oppure donne libere, emancipate, con una forte coscienza sociale e politica. Sono tante e quasi tutte poco conosciute le partigiane sarde. Come l’infermiera Assunta Manca di Bultei.
Gregarie e combattenti: le donne ebbero un ruolo cruciale Dagli schedari le storie di tante partite dalla Sardegna
Sassari Emigrate nella Penisola, dove si erano sposate oppure lavoravano. Alcune appena ragazzine, altre già adulte, figlie, sorelle, fidanzate o mogli di partigiani. Oppure donne libere, emancipate, con una forte coscienza sociale e politica che le spingeva a darsi da fare, a impegnarsi anche a costo della propria vita. Sono tante e quasi tutte poco conosciute le partigiane sarde, finite nell’oblio come la maggior parte delle donne che invece ebbero un ruolo cruciale durante la Resistenza. «Uno sminuimento che si manifesta già nella definizione che ebbero nei documenti: venivano classificate come “gregarie” invece che “combattenti”, quali invece erano, pronte a morire per la causa in cui credevano e per aiutare le persone che amavano. E quando entravano nelle città liberate, molto raramente le donne sfilavano in cima: stavano in disparte». Marina Moncelsi, ricercatrice, è la direttrice dell’Istasac, Istituto per la Storia dell'Antifascismo e dell'Età contemporanea nella Sardegna Centrale: « Soltanto di recente il ruolo delle donne è stato rivalutato, gli studi hanno fatto emergere come in quel periodo siano state fondamentali per mantenere i contatti tra i vari gruppi, tra i partigiani e le loro famiglie, per recapitare messaggi, viveri e anche armi. Potevano farlo perché a differenza degli uomini erano abbastanza libere di circolare, a piedi o in bicicletta. Tra le staffette ci furono anche parecchie donne sarde riconosciute come partigiane, come attestano le schede inserite nel Ricompart, sigla che indica l’Archivio riconoscimento partigianato. Nelle schede vengono riportati i dati anagrafici (anche del padre e della madre), le attività svolte nelle formazioni, la valutazione della parte della commissione che verificava la domanda». E la respingeva nel caso il ruolo svolto dalla richiedente non venisse confermato da altri componenti del gruppo e dai testimoni. Ecco alcune delle donne sarde partigiane: a Roma e nel Lazio furono operative Fulvia Duce nella brigata “Toninelli”, Anna Fiori dall’Asinara nella brigata “Cristiano sociale”, Mariuccia Murgia da Orune, Maria Assunta Manca, azionista di Bultei, di cui raccontiamo la storia in queste pagine . E poi ancora Gemma Ledda di Gesturi nella brigata “Bocca” di Chivasso, in Piemonte, nella “Divisione Garibaldi” Maria Bachis da Siliqua e nelle Sap la compaesana Adalgisa Pisano. Combattenti sarde presenti anche in Emilia Romagna: a Bologna Giovanna Usai da Santa Teresa di Gallura nella brigata “Masia”, a Reggio Emilia la sassarese Maria Iolanda Doria, il cui nome vero era Maria Sole Nieddu, a Modena Vladimira Inzaina da Calangianus: queste ultime due sono tra le pochissime classificate come “partigiane combattenti”. Ancora, a Reggio Emilia, Eleonora Zedda di Tiana: staffetta e crocerossina, fu trasferita in un campo in Germania ma fu liberata dagli alleati e ritornò in Sardegna, dove morì nel suo paese d’origine.
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