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L’odissea di Tamara De Fazio e della sua famiglia. alle prese con una malattia rarissima nella sanità che ha le mani legate» di emiliano morrone

 Buongiorno. Questa è una storia da conoscere e divulgare. Mariano ha nove anni e a causa di una malattia rarissima pesa 138 chili. Con i propri genitori, il piccolo viaggia per le cure necessarie, ma in Calabria non ha diritti e sua madre deve combattere ogni giorno perché gli siano riconosciuti. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria.

        «La nostra battaglia per Mariano e la sua malattia “impossibile” nella sanità che ha le mani legate»

L’odissea di Tamara De Fazio e della sua famiglia. Il giro degli ospedali tra umanità e porte chiuse. Le infinite richieste all’Asp di Catanzaro “impreparata”. «Se hai una malattia genetica rara

Pubblicato il: 05/04/2023 – 7:00
di Emiliano Morrone






CATANZARO «Ho bisogno di raccontare la nostra battaglia». Tamara De Fazio parla al Corriere della Calabria. È la mamma di Mariano, bimbo di nove anni che convive con una malattia molto rara. Il piccolo pesa 138 chili e con i propri genitori va spesso fuori regione per le cure necessarie. La signora De Fazio ci ha cercato dopo aver letto l’intervista con Antonio Cavallaro, collega della comunicazione che aiuta i bambini affetti da cataratta congenita. Ci auguriamo che la storia di Mariano, molto delicata e toccante, scuota le coscienze e che il Servizio sanitario regionale possa dare le risposte dovute ai minori residenti in Calabria e ai loro familiari. «Ci sono malattie genetiche molto rare, davanti alle quali – premette la signora Tamara – la sanità e la società non sono pronte. L’esperienza mi ha insegnato che in questi casi ci si trova spesso disarmati e tanti genitori, a meno che non abbiano qualche soldo da parte, non sanno come affrontare la situazione. È come se piovesse addosso l’impossibile. Tra l’altro, non hai un autobus con cui spostarti, perché si tratta di malattie sconosciute. Oggi non è pensabile che un bambino di nove anni pesi 138 chili, che abbia difficoltà a deambulare e che debba indossare i panni di un adulto. Ogni volta che devo misurarmi con la società, devo raccontare il fatto». 

Come è iniziata la storia?
«Io sono un avvocato e ho un marito commercialista. Ho un altro figlio splendido e in salute. Avevo quindi una carriera e una vita felice. Viene il secondo bambino: non cercato, arrivato come un dono inaspettato, destinato a cambiare la nostra vita. Mariano nasce stupendo e in salute, ma a cinque mesi inizia ad avere problemi che noi genitori non riusciamo subito ad inquadrare. Ci rendiamo conto che, diversamente dal primo figlio, questo bambino sembra aumentare di peso in maniera sproporzionata. Soprattutto, piange in continuazione, senza tregua. Io, da mamma, mi rendo conto che qualcosa non torna, per cui decido di andare in ospedale, mossa anche dalla disperazione per le lunghe e insonni notti a causa della sofferenza di Mariano».

E dove?
«Mi presento in Pediatria, a Lamezia Terme, e chiedo aiuto. Questo perché credo che il mio bambino non stia bene e perché non riesco a riposare durante la notte. Si mette a disposizione tutta la squadra del reparto, che capisce che qualcosa non va. L’allora primario, il dottore Ernesto Saullo, che ancora oggi è l’angelo custode di mio figlio, mi dice di preparare le valigie. Così, partiamo per il Bambino Gesù di Roma. Il dottore Saullo mi spiega che nel suo reparto hanno il motore di una Ferrari posizionato all’interno di una 500. Mi chiarisce che c’è un problema e che non hanno gli strumenti per aiutarci. Già questo ci mette in crisi».

Cominciano i viaggi della speranza.
«Sì. Il reparto pediatrico lametino fa da ponte, perché non puoi presentarti su due piedi all’ospedale Bambino Gesù. C’è infatti bisogno di medici che comunichino tra di loro e rappresentino il problema. In ospedale ci mettiamo in macchina, prepariamo una borsa, non sappiamo che cosa ci aspetti e lasciamo tutto. Chiudiamo il nostro studio e ci presentiamo al Bambino Gesù, dove ci attende un’altra squadra di pediatri eccezionali, che subito decidono di fare una risonanza magnetica a Mariano, impossibile da eseguire a Lamezia. Il bambino è troppo piccolo e nel presidio lametino manca un anestesista pediatrico. Insomma, ci siamo messi in macchina e abbiamo improvvisato un portafogli più o meno pieno per Roma, in modo da ottenere i primi importanti accertamenti».

E poi?
«Ci presentiamo al Bambino Gesù e lì restano stupiti nel vedere un bambino di cinque mesi che già pesa 30 chili. Poi fissano la risonanza, all’esito della quale un po’ tutti tirano un sospiro di sollievo. Appena arrivati, i medici pensavano ad un tumore al cervello. La risonanza esclude questa tragedia e gli specialisti decidono di indagare più a fondo, addirittura inviando dei prelievi in Inghilterra. Dopo la risonanza, i pediatri di Roma intuiscono che qualcosa a livello centrale non si è formato in maniera completa, a livello di ipotalamo e di ipofisi».

Allora da genitori avete un quadro più chiaro?
«Capiamo che i “direttori di orchestra” all’interno dell’organismo umano non possono svolgere il loro compito, che queste ghiandole non riescono a funzionare correttamente. Mariano continua a piangere in maniera disperata ed è praticamente morto di sete. Il suo diabete insipido si fa sentire e il bimbo prende peso in maniera anormale. Ciò perché la sua tiroide non funziona. Ancora, la sua vista risulta molto scarsa: i suoi nervi ottici non si sono formati bene. È quindi un bambino, secondo gli specialisti del Bambino Gesù, con un quadro clinico riconducibile alla sindrome di de Morsier o alla sindrome di MOMO. Allora che cosa facciamo, che cosa ci aspetta, quale sarà la vita di Mariano?».

Comincia un periodo difficilissimo.
«Non abbiamo studi certi, per cui non sappiamo come sarà la vita di Mariano. Dobbiamo navigare a vista, dobbiamo gestire gli effetti legati a questa patologia cui non sappiamo dare un nome. È molto raro che in un bambino non si formino in maniera completa queste ghiandole a livello centrale. Non sappiamo se un giorno una dieta ferrea riuscirà a consentire il mantenimento del peso; non sappiamo come andrà la vista di nostro figlio: se diminuirà, senza rimarrà così. Sappiamo proprio nulla». 

Vi trovate ad affrontare una situazione caratterizzata dalla totale incertezza.
«Intanto, al Bambino Gesù iniziano a somministrare dei farmaci che consentono una vita più o meno normale al nostro bambino. Mariano ha cinque mesi e già prende il farmaco degli adulti per il diabete insipido, assume il farmaco per la tiroide che non funziona e altre medicine a base di cortisone. Cominciamo a fare una vita totalmente diversa e pensiamo, in sostanza, di vivere accanto a Mariano, perché insieme campiamo bene. Passano gli anni e a Lamezia Terme continuano a monitorare il bambino. Lavorano in squadra, per carità, ma restano comunque con le mani legate, nel senso che per Mariano non possono fare più di tanto. Dal canto mio, per almeno quattro o cinque anni rinuncio alla mia professione. Non posso fare l’avvocato e nello stesso tempo camminare accanto a mio figlio. Devo scegliere, e scelgo mio figlio». 

È quindi una vicenda che ha anche ripercussioni economiche? 
«Sì. Laddove i soldini non c’erano, li abbiamo trovati. Sono usciti fuori anche grazie alla solidarietà dei parenti e probabilmente anche grazie al fatto che io e mio marito non siamo mai stati degli spendaccioni. Ho rinunciato a quella vita perfetta e anche bella, in qualche modo, per le possibilità economiche che ci offriva. Per circa cinque anni, siamo sempre in viaggio. Arriva poi un momento in cui al Bambino Gesù ci comunicano che dall’Inghilterra è giunta una sentenza che non ci lascia ben sperare. Ci dicono che non ci sono altre cure. Quindi, il Bambino Gesù ad un certo punto ci congeda. Nel frattempo, mio figlio cresce e manifesta anche problemi respiratori importanti. Il suo peso aumenta e la sua malattia è tanto cattiva e subdola che anche se io lasciassi morire di fame mio figlio, il suo organismo tenderebbe a prendere peso, come se mangiasse in maniera ininterrotta per 24 ore al giorno». 

Come vi muovete, a questo punto?
«Noi non ci arrendiamo. Il Bambino Gesù ci saluta dopo tutti i nostri viaggi della speranza. Tra parentesi, durante il Giubileo straordinario del 2015, a Roma non si trovavano posti per dormire in albergo. Perciò mio marito fu costretto a dormire in macchina vicino l’ospedale, mentre io dormivo sempre su un divanetto accanto a mio figlio. Ma va bene, anche questo ci stava tutto. Allora ci rivolgiamo di nuovo ai nostri angeli, sempre con le mani legate, dell’ospedale di Lamezia Terme, diventati i nostri amici del cuore. Infatti, quando mio figlio sta male, io me li ritrovo ancora tutti dietro la porta. Succede, perciò, che non gettiamo la spugna e prendiamo contatti con altri ospedali: il Meyer di Firenze e il Gaslini di Genova».

È un atto d’amore sconfinato. Virgilio diceva che l’amore vince tutto. 
«È ciò che ogni genitore dovrebbe fare. Allora ci rivolgiamo al Meyer e al Gaslini, dove purtroppo ci imbattiamo in una triste avventura». 

In che senso?
«Il Gaslini vuole conoscere Mariano. Gli specialisti genovesi vogliono eseguire una nuova risonanza. Investiamo dei soldi, perché partire non è mai una passeggiata. Anzi, significa attrezzarsi di macchina, disporre di soldi, organizzarsi, cercare di sistemare al meglio l’altro figlio, il lavoro eccetera. Così, partiamo. Quando arriviamo al Gaslini, ci accoglie un fotografo insieme al primario del reparto di Pediatria. Chiedo il perché delle foto e il primario mi risponde che vogliono l’autorizzazione per studiare nostro figlio nelle aule dell’università. Insomma, dopo la battaglia, arriva anche la beffa. Quello fu uno di quei viaggi, come si dice in Calabria, “appizzati”, cioè perduti. Avevamo investito ancora una volta dei soldi, ma per consentire lo studio di che cosa? Volevano una cavia da esaminare? Restammo mortificati, ottenemmo solo una visita ortopedica e psichiatrica, poiché Mariano era un bambinone di quattro anni che non accennava a camminare a causa del peso». 

Un viaggio a vuoto. E dopo?
«Non avendo accettato che Mariano venisse studiato, usciamo dal Gaslini con un’altra sentenza, del tipo “rassegnatevi, cari genitori, perché Mariano non camminerà né oggi né mai”. Quindi ringraziamo, abbassiamo la testa e salutiamo. Però non ci diamo per vinti».

Un’altra prova di tenacia.
«Non bisogna mai abbattersi. Allora andiamo avanti e, ancora una volta grazie agli angeli con le mani legate dell’ospedale di Lamezia Terme, restiamo fiduciosi. Sentivo che mio figlio poteva camminare. Sapevo che mio figlio sarebbe cresciuto; che sarebbe diventato un bambino intelligente e per bene; che, magari assieme a noi, un giorno avrebbe riso dei problemi di cui sto parlando. Dunque, arriviamo al Meyer e troviamo dottori e infermieri, tutti di origine calabrese, che accolgono nostro figlio, si prendono cura di lui e dei suoi problemi respiratori. Con la crescita di Mariano, i problemi con cui abbiamo dovuto fare i conti sono stati diversi e tutti connessi all’anomalo aumento di peso. A Firenze fanno di tutto per evitare a Mariano difficoltà respiratorie, che all’ospedale di Lamezia non avremmo potuto gestire. Il bambino ha bisogno di un ventilatore polmonare per il riposo notturno. L’ospedale di Lamezia, se non è un anziano o un adulto ad avere scompensi polmonari, non è preparato a prendere in carico un bambino con queste problematiche».

È una realtà da cambiare.
«Certo. Al momento i genitori di un bambino in queste condizioni sono pregati di sottoscrivere finanziarie, di fare debiti e di partire, se vogliono salvare la vita al proprio figlio. Ho imparato che la Pneumologia di Lamezia Terme è abilitata alle tragedie respiratorie, ma solo per l’età adulta. Quindi usciamo dal Meyer con una nuova sentenza: il bambino rischia di morire, per cui si prescrive l’uso di un ventilatore polmonare. Allora vado nei vari uffici dell’Asp di Catanzaro per avviare le pratiche burocratiche ed avere il macchinario. Con grande sorpresa ho constatato che, all’interno di queste realtà amministrative, manca purtroppo la cognizione di una malattia che può colpire e invalidare tanto l’adulto quanto un bambino. Quasi sempre, mi sono trovata a dover raccontare la storia di mio figlio; a commuovere l’impiegato o il funzionario di turno; a precisare che il ventilatore polmonare serve a un bambino di cinque anni; a osservare l’incredulità del mio interlocutore. Per inciso, il problema di Mariano è rarissimo. Per avere un’idea, in Africa, dove la gente muore di fame, c’è un bimbo con la stessa patologia di mio figlio e con un peso spropositato per la propria età. È un piccolo in cura al Boston Children’s Hospital, dove noi, in ultima istanza, abbiamo mandato il carteggio del nostro bambino, tradotto in inglese da un professore in pensione del nostro Comune di residenza. Gli americani ci hanno risposto che non potrebbero fare di più di quanto per Mariano fa la sanità italiana».

Nell’Asp di Catanzaro sono rimasti paralizzati davanti alla realtà?
«Quasi sempre l’impiegato cui mi rivolgo cade dalle nuvole. Ogni volta, sono costretta a raccontare la storia di Mariano, anche per avere i pannoloni dall’Azienda sanitaria. Purtroppo, il concetto di pannolone è strettamente legato all’età dell’utente. L’Asp fornisce i pannoloni all’anziano o all’invalido adulto. Spesso sono prodotti di scarsissima qualità. L’Asp di Catanzaro piange sempre miseria».  

Però i minori hanno tutele più forti, sulla carta.
«È vero soltanto in teoria. Purtroppo, mi tocca raccontare sistematicamente la storia di Mariano per chiedere i pannoloni per la notte. A causa del diabete insipido, mio figlio fa molta pipì e durante la notte non può alzarsi per via dei suoi problemi di deambulazione. Il bambino cammina poco e si stanca facilmente. Devo essere costretta a precisare ogni volta di che cosa si tratta? Devo far presente a chicchessia che siamo di fronte a una malattia rara che riguarda un bambino di cinque anni? Devo accettare che l’Asp metta a disposizione dei pannoloni scadenti che servono a nulla, che contengono nulla? Avevo chiesto all’Azienda sanitaria dei pannoloni adeguati, ma poi si è aperto un caso. Gli uffici hanno tirato fuori la necessità di un’apposita gara d’appalto. Ho replicato che avrei rinunciato a questa specie di giostra, che li avrei acquistati io. Mio figlio è titolare di 104, ha l’invalidità e ogni diritto di legge. Perciò a Mariano i pannoloni spettano. Dopo varie peripezie, sono riuscita ad ottenerli, ma l’Azienda sanitaria me ne passa uno al giorno e a cadenza trimestrale. Non vorrei che Mariano mandasse in dissesto l’Asp. In quanto alle traverse per il letto, devo comprarle da sola». 

Incredibile e drammatico.
«Non è finita qui. Di recente chiedo una sedia a rotelle per mio figlio, perché ogni tre mesi lo porto in ospedale, dagli angeli con le mani legate, per i prelievi e per accertare se le cure funzionano. Mariano deve fare lunghi percorsi, prima di arrivare in Pediatria, a Lamezia. Purtroppo, non c’è una sedia a rotelle all’ingresso. In realtà non ci sono neppure posti per parcheggiare la macchina, per far scendere comodamente Mariano davanti all’ingresso dell’ospedale. Lui ha un problema ad una gamba, causato dal peso. Perciò zoppica e fa fatica a camminare. Quindi, quasi sempre noi cerchiamo disperatamente una sedia all’ingresso, che quasi mai troviamo. L’ultima volta abbiamo trovato una sedia, ma non c’era il sedile. Insomma, ci siamo organizzati con una coperta, con una soluzione di fortuna. C’è veramente da ridere e da piangere. Abbiamo comunque posizionato Mariano su questa sedia mezza rotta e l’abbiamo portato in Pediatria. Da lì, mi decido ad avviare anche una pratica per chiedere una sedia a rotelle». 

Come è andata a finire?
«L’Asp si mette a disposizione e mi assicura questa sedia a rotelle. Quando completo l’iter burocratico, però, mi viene detto che la sedia deve essere su misura e per un certo peso; mi viene precisato che l’Asp non copre i costi per un ausilio del genere, che non ha aggiornato i codici, non ha stanziato le risorse e non ha niente. Gli uffici mi rappresentano che dovrei partecipare almeno per 1600 euro e io replico che va bene, ma che la mamma di un altro Mariano potrebbe non avere questi soldi e nemmeno lacrime per piangere. Chi potrebbe portare in braccio un figlio di 138 chili?».

Ci sono altri disagi?
«Sì. La macchina con la quale affrontiamo i viaggi della fortuna richiede una spesa importante per il bollo, pari a 350 euro all’anno. In virtù della legge 104 di mio figlio, chiedo di essere esentata dal pagamento di questo bollo. E da avvocato vado direttamente in Regione, per chiedere quali documenti devo produrre. Ebbene, dalla Regione mi viene detto che poco importa se questa macchina è necessaria perché Mariano raggiunga i vari ospedali d’Italia; poco importa se su questa macchina Mariano ha difficoltà a salire, ha difficoltà a scendere. Mi viene poi rappresentato che Mariano l’esenzione non può averla, a meno che l’automobile non presenti i requisiti, le caratteristiche della macchina destinata ai disabili. Quindi, come per il pannolone e come per lo pneumologo, anche il concetto di disabilità in Calabria viaggia di pari passo con quello di adulto. Sei disabile e forse hai qualche diritto, ma solo se sei un adulto. Se sei disabile in età pediatrica e se la tua disabilità è frutto di una malattia genetica rara, non c’è possibilità, non c’è speranza, non c’è niente, niente di niente». 

Avvocato, ma la Repubblica non deve rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana?
«Certo. Perciò da avvocato non ho pagato i vari bolli auto. Allora ho ricevuto le cartelle dell’Agenzia delle Entrate e mi sono difesa davanti alla Commissione tributaria di Catanzaro, ottenendo l’annullamento delle cartelle e l’esenzione dal pagamento del bollo auto. La Regione pretende, però, il versamento delle quote del bollo, il che è un’assurdità. Tra l’altro, quando chiesi alla Regione Calabria la modulistica per le esenzioni, mi dissero che l’auto doveva essere intestata a Mariano. Giudicate voi. L’Asp, invece, sanzionò nostro figlio per la mancata presentazione ad una visita, intimandogli addirittura di pagare 25 euro, senza tenere in considerazione le difficoltà di spostamento del nostro bambino». 

Ora come sta Mariano?
«Nonostante tutto, a quattro anni e mezzo si è messo a camminare, malgrado i problemi di vista. La sua è una vita un po’ condizionata, perché comunque deve rispettare degli orari per assumere dei farmaci in maniera corretta. E non è la vita di un bambino comune di nove anni. Mio figlio non lo vedrò mai cadere da una bicicletta o correre in piazza con i suoi amici. Va bene, però ci sono le gite, ci sono le uscite a scuola, no? E allora, ecco, c’è lo scuolabus. E a me sembra normale che ci sia un autobus con la pedana, per consentire a Mariano di salire a bordo, visto che non può fare i gradini, anche perché non ha il senso della profondità. La scuola si è messa a disposizione. Nella nostra vita, devo dire, ho avuto la grande fortuna di conoscere dei medici meravigliosi e delle persone di grande umanità, che si sono subito legate a mio figlio». 

E con l’autobus che cosa è successo?
«In Calabria non esistono autobus attrezzati con pedana, nel senso che non è facile reperirli, a meno che non ci si rivolga all’agenzia di una città capoluogo di provincia. Allora un bambino disabile è destinato a non andare in nessun posto?».

Come l’ha presa Mariano?
«Ha reagito bene. Si è accostato alla parrocchia e, frequentando il catechismo, ha espresso il desiderio di servire messa. Mariano legge in maniera eccellente, nonostante il filo di vista che ha. Secondo i signori del Gaslini, non ci sarebbe mai riuscito. Non solo, mio figlio scrive in maniera meravigliosa. Nella parrocchia di Sant’Andrea di Vena, un bel giorno Mariano si presenta in chiesa e trova una pedana che gli permette di salire direttamente sull’altare e quindi di servire la messa. Lì gli hanno fatto trovare un’altra pedana, con la quale Mariano può entrare in una stanza per il catechismo, per la preparazione alla prima comunione. In questo caso non ho dovuto chiedere alcunché: hanno fatto tutto in parrocchia, dimostrando enorme sensibilità. Domenica scorsa, per esempio, Mariano ha servito messa con una tunica su misura fornita dalle catechiste e con una sedia a portata di mano. Infatti, tutti sanno che il bambino non può rimanere in piedi per più di dieci minuti. Ecco, nel piccolo c’è l’immenso. Questa è la storia di Mariano».

Tante difficoltà ma anche prove di umanità concreta.
 «Sì. L’umanità di tutto il personale del reparto di Pediatria dell’ospedale di Lamezia Terme, dell’ex primario Saullo e del suo successore, la dottoressa Mimma Calogero. L’umanità, aggiungo, dell’anestesista Marcello Mura, della scuola primaria di Vena di Maida che Mariano frequenta, della dirigente Sabrina Grande e degli insegnanti, come dell’insegnante di sostegno, Maria Bruno. Il sostegno è un aspetto fondamentale, perciò i docenti che se ne occupano dovrebbero essere stabili e spero che qualcuno a Roma mi ascolti, al riguardo». 

Capisco che la lotta prosegue con una forza straordinaria.
«Oggi, davanti alla patologia del mio guerriero, la grande sfida è contro l’obesità. A causa del peso di Mariano, infatti, nessun medico si sente di intervenire per un bypass gastrico o per rimettere a posto la gamba sinistra, che appare deformata. Il suo metabolismo, dato il deficit dell’ipotalamo e dell’ipofisi, resta indifferente a qualunque regime alimentare. Perciò il bambino va tenuto sotto stretto controllo: non avendo il senso di sazietà, mangerebbe senza sosta». Però abbiamo lanciato dei messaggi chiari, che più di qualcuno riceverà. Grazie per il coraggio. E per l’esempio. (redazione@corrierecal.it)

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