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6.7.24

nonostante lo schifo del caso di Giovanni Ianelli e dell'insabbiamento dellla vicenda mi appassionano le storie ad esso legate come quella di Tadej Pogacar

 Nonostante    il  doping    e le  corruzioni  presenti  in tutti gli sport  agonistici   e casi   di criminalità    e  insabbiamenti   come il Pantani  e   il   caso del povero   Giovanni Ianelli   per  rimanere  nell'ambito del  ciclismo  ne  ho parlato   in 

Lo sport    e le  sue    storie  mi  ha   sempre  anche  se  passivamente    mi   ha  sempre  appassionato . In questo caso  il  ciclismo  . 
Ecco    dallo  scorso numero dell'inserto di  7 settimanale  del  corriere  della sera    la   storia    di  Tadej Pogacar  





L’EROE TOTALE CHE HA PORTATO IL CICLISMO FUORI DAI CONFINI DEL TIFO SPECIALIZZATO SENZA ESSERE UN CANNIBALE, ANZI...

Il  ciclismo   e le  sue storie Alle 16 e 30 dello scorso 25 maggio la penultima tappa del Giro d’Italia si arrampicava tra migliaia di tifosi su quel Monte Grappa tanto caro alla Patria quanto stramaledetto dai ciclisti per la sua durezza. Lasequenza più memorabile (un milione di visualizzazioni sui social in poche ore) di tre settimane di corsa si è materializzata in una curva orientata dolcemente verso destra, poco lontano dalla cima. Solo al comando in maglia rosa e lanciato ad altissima velocità verso il trionfo finale, Tadej Pogacar si è visto affiancare a destra da un massaggiatore della sua squadra pronto ad allungargli una borraccia, a sinistra da un ragazzino che gli correva a fianco incitandolo. Con tempismo surreale e un solo ampio gesto del braccio, Tadej ha afferrato senza rallentare la borraccia e l’ha passata al ragazzino (Mattia da Vincenza, 12 anni, che per poco non è svenuto per l’emozione) regalandogli anche un sorriso. La leggenda del più forte ciclista di tutti i tempi è in corso di scrittura da quattro stagioni, quella dell’Eroe  Sorridente si è concretizzata per la prima volta sul Monte Grappa  braccio, Tadej ha afferrato senza rallentare la borraccia e l’ha passata al ragazzino (Mattia da Vincenza, 12 anni, che per poco non è svenuto per l’emozione  foto sotto  a sinistra   ) regalandogli anche un sorriso.
La leggenda del più forte ciclista di tutti i tempi è in corso di scrittura da quattro stagioni, quella dell’Eroe  Sorridente si è concretizzata per la prima volta sul Monte Grappa.
La storia del ciclismo è piena di eroi.Eroi afflitti da cannibalismo come i supremi Eddy Merckx e Bernard Hinault, incapaci di considerare l’avversario altro che una preda da sbranare. Eroi dal sorriso triste e dalla vita breve come Fausto Coppi, dal destino segnato come Jacques Anquetil e Luis Ocaña. Eroi farmacologici come Lance Armstrong, tragici come Marco Pantani. Nelle biografie di quella dozzina di uomini che hanno fatto la leggenda ci sono spesso sfumature ciniche, malinconiche o da tragedia. Ora c’è lui, Tadej Pogacar da Klanec, Slovenia, classe 1998, prima apparizione nel mondo delle due ruote il 29 marzo 2015 a Loano, nel Savonese, quand’era poco più che adolescente. Oggi Poga appare come il primo fuoriclasse capace di traghettare il ciclismo fuori dai confini del tifo specializzato, dei praticanti, del popolo dei camperisti e dei cicloturisti che fanno la coda per tifare a bordo strada, sulle salite mitiche di Alpi e Pirenei. Il primo a non suscitare retropensieri in un mondo dove troppo spesso gli asini si sono trasformati in cavalli di razza grazie all’aiuto di compiacenti stregoni e di un’etica fragilissima: quando Poga

SE A 20 ANNI NON HAI COMBINATO QUALCOSA DEVI ABBANDONARE A 25, TADEJ HA GIÀ VINTO PIÙ DI MERCKX E HINAULT

pedala, sprizza classe visibile anche a chi di ciclismo capisce poco o nulla .Un uomo con la popolarità di un asso del calcio ma senza un minimo della spocchia di un Ronaldo o di un Messi che rispetta e onora ogni avversario e che ammette sempre la superiorità di chi (pochissimi, a dire il vero) lo sconfigge.

In quel Trofeo Città di Loano dove vestiva la maglia del Team Radenska, Pogacar arrivò 18°: la maggior parte degli 89 giovanissimi che parteciparono alla corsa ha lasciato da tempo l’agonismo. Il ciclismo è così totalizzante, così brutale che se a 20 anni non hai combinato qualcosa devi abbandonare il tuo sogno e provare a finire gli studi trascurati per sei ore di allenamento al giorno o trovare velocemente un lavoro. Chissà se Matteo Bellia o Francesco Bonadrini che allora staccarono Pogacar per poi, nel giro di uno due anni, appendere la bicicletta al chiodo e sparire anche dai radar dei siti specializzati, si resero conto di aver battuto colui che oggi è già considerato il più forte di tutti i tempi.

Far capire la grandezza di Pogacar a un non addetto ai lavori non è semplicissimo. Da 50 anni a questa parte, nelle due ruote domina la specializzazione. O vinci le grandi corse a tappe (sei scheletrico, agilissimo, forte in salita) o le classiche di un giorno (sei potente, aggressivo) o le cronometro (hai vistose masse muscolari, enorme capacità di sofferenza), combinando al massimo due qualità su tre. O vai forte in salita o sei implacabile in pianura. Gli ultimi eroi totali sono stati, quasi 50 anni fa, il belga Merckx, detto il Cannibale, e il francese Hinault. Frutti tardivi del ciclismo contadino e affamato dei tempi eroici, pronti a tutto pur di umiliare gli avversari, severissimi con i gregari considerati poco più che fedeli servitori di una causa divina. Hinault che vinse imprecando l’odiatissima Roubaix pur di completare il suo palmares e smentire chi non lo riteneva adatto. Merckx che tutt’ora — anziano e malconcio — rimpiange di non aver mai vinto la Paris-Tour, la mezza classica insignificante che è l’unica a mancare alla sua sterminata collezione.

A 25 anni Pogacar ha — in rapporto all’età — già vinto più di entrambi: due Tour de France, l’ultimo Giro d’Italia, tre delle cinque classiche-monumento (Il Lombardia tre volte, la Liegi due, una il Fiandre) e un’infinità di altre gare del calendario, in quasi tutti i casi con ampio distacco. A metà luglio potrebbe aver realizzato la doppietta Giro-Tour nello stesso anno (ultimo a riuscirci Pantani nel 1998, in altri tempi e altro ciclismo) a settembre vestire la maglia iridata sul durissimo percorso di Zurigo.

Per descrivere i super poteri di Pogacar si può, certo, ricorrere alla scienza. Quando pedala alla morte in salita o durante una cronometro, in ogni chilo di muscoli del corpo dello sloveno c’è quasi un watt di vantaggio rispetto ai suoi avversari più quotati: una F1 contro delle sportcar di serie. Quando gli altri scattano lui passeggia e quando lui scatta il resto del mondo boccheggia. A chi non interessano i watt basta guardarlo: la bocca mai dilatata a cercare ossigeno, spalle e fianchi che non ondeggiano nel fuorisella, il corpo mai accasciato sul manubrio ma sempre proteso in avanti a cercare con gli occhi il punto in cui fare la differenza, come un felino sul punto di ghermire la preda. Stilisticamente, una delle cose più sublimi in circolazione da sempre. «Che Tadej sia un fuoriclasse» ha spiegato Guillaume Martin, corridore francese che scrive saggi di filosofia come Socrate a Pedali «lo vedi anche quando cammina o nei momenti più tranquilli di gara, mentre risale il gruppo dopo essere andato a prendere una borraccia alla macchina. Emana un’aura inconfondibile. Essendo un mio avversario, l’idea di considerarlo dotato di superpoteri è controproducente e metodologicamente sbagliata ma ci sono momenti in cui non riesco proprio a non farlo». Quando Pogacar scatta sul serio, chi prova a seguirlo si fa male. Ci ha provato il forte danese Mattias Skjelmose all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi spiegando poeticamente di «aver pagato a carissimo prezzo la fatica: se ti avvicini troppo al sole rischi di bruciarti». E ci ha provato all’ultimo Giro d’Italia, nella tappa di Oropa, l’australiano Ben O’Connor che commenta meno prosaicamente di «aver fatto di puro istinto

una cavolata pazzesca, ho rischiato di esplodere e chiudere la corsa lì. Quando lui parte bisogna contare fino a tre prima di fare qualunque cosa».

Dietro Pogacar c’è la formidabile ascesa della Slovenia e dei suoi 2,1 milioni di abitanti, un nazione ciclisticamente insignificante fino a 15 anni fa specie rispetto a chi come Francia, Italia, Belgio e Spagna pensava di detenere una sorta di potere ereditario nel mondo delle due ruote. Ora mentre noi italiani, pensionato Vincenzo Nibali, ci attacchiamo solo alle imprese del crono-fenomeno Pippo Ganna i nostri cugini hanno Pogacar, il suo amico avversario Primoz Roglic, che ha vinto tre volte la Vuelta, un Giro d’Italia e lo sfiderà al Tour, e il funambolo Mohoric che ha conquistato la Sanremo con un’impresa in discesa. Nazione dove lo sport è religione fin dalle quattro ore di obbligo scolastico dell’educazione fisica e dove i Pogacar nel ciclismo e i Doncic nel basket hanno rimpiazzato i modesti eroi del calcio che si stanno giocando gli Europei.Fuori dal ciclismo Pogacar fa una vita di banalità quasi sconcertante. Vive a Montecarlo per comodità fiscale (l’Emirates gli garantisce sei milioni l’anno di solo ingaggio) con Urška Žigart, anche lei ciclistica professionista, di due anni più giovane, che ha a lungo corteggiato durante i raduni di allenamento in altura della nazionale slovena dove la coppia si recava assieme ai compagni sullo scassato pulmino federale. «La meta del viaggio era Saint Moritz» ha spiegato Poga «ma dopo aver scoperto quanto costavano la benzina e la spesa al supermercato decidemmo di trasferirci a Livigno dove mi innamorai di Urška e della Valtellina».





 I due amano le gite fuori porta (quasi sempre in bicicletta) e le cene in casa con gli amici dove lui si improvvisa cuoco con risultati modesti, a detta della compagna.Pogacar non si pone limiti ma ha degli obiettivi precisi. Domani, 29 giugno, a Firenze comincia il suo quinto Tour de France: due li ha vinti, in due è arrivato secondo dietro al diafano danese Vingegaard che quest’anno partirà (se partirà) svantaggiato dopo il terribile incidente di gara a marzo, nei Paesi Baschi. Dovesse vincere anche il Tour, Poga sarebbe il primo a riuscire nella doppietta dopo Marco Pantani, appunto, in un ciclismo dove un’impresa del genere — per il livello della concorrenza — oggi è considerata quasi impossibile. Altri traguardi sono immaginabili: concreto già quest’anno quello del titolo mondiale, facilmente pronosticabile in futuro la Vuelta. Delle due classiche-monumento che ancora gli mancano Poga ha già sfiorato la Milano-Sanremo ma non ha mai affrontato quella più lontana dalle sue mille qualità, la Parigi-Roubaix. Se volesse, pensano in molti, non avrebbe nessuna difficoltà a scatenare l’inferno anche sul pavè, lui che alla Strade Bianche di Siena ha ballato da solo sullo sterrato per 80 chilometri.

 concludo   riportando sempre   dallo  scorso numero  del  settimanale  7 



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