Matilde Sorrentino è una donna uccisa dalla camorra nel 2004 a Torre Annunziata. Dopo oltre 20 anni il mandante resta sconosciuto. Matilde si era ribellata al clan che controllava la città ma nonostante questo nessuno conosce le ragioni di questo omicidio. È una storia dimenticata e mai raccontata perché il giorno dopo il suo omicidio venne uccisa a Forcella Annalisa Durante. A Confidential vogliamo raccontare la sua storia per cercare di squarciare il velo d'omertà. Ne parliamo con Tommaso RIcciardelli (Parliamo di Mafia), Marta Casà (Mente Criminale) e Chiara Freddi, l'autrice dell'approfondimento.
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
Cerca nel blog
2.12.25
Matilde Sorrentino: la mamma coraggio uccisa per essersi ribellata alla camorrra denunciando gli abusi sul figlio
15.8.22
Patrizia Guerra: " Anch'io ero una bulla ma ora da mamma combatto i prepotenti
DA repubblica
Patrizia Guerra: " Anch'io ero una bulla ma ora da mamma combatto i prepotenti"
dalla nostra inviata Alessandra Ziniti
Ancona
E chi l’avrebbe detto che anche lei ha un passato da bulla?
«Prima bullizzata e poi bulla. Ed è certamente questa mia storia che mi ha consentito di non sottovalutare mai il dramma che ancora sta vivendo mio figlio e tutti i ragazzi come lui. Tanti, troppi. E che spesso restano in silenzio, senza denunciare, senza ribellarsi, per paura o anche solo perché nessuno li ascolta».
È questo che è successo a lei?
«Sì, nel paese dove vivevo da bambina, Monte Sant’Angelo in Puglia, mi avevano preso di mira per la mia timidezza. Ero alle scuole medie: mi portavano via la merenda, mi rinchiudevano in bagno, mi rubavano le matite, mi prendevano in giro, mi davano schiaffi. Quanto basta, a quell’età, a farti crollare l’autostima, a farti sentire debole, inferiore. I miei genitori non erano molto presenti a casa, mia madre faceva la pilota di auto, mio padre lavorava tutto il giorno. E non c’era nessuno che poteva ascoltarmi».
Da vittima a carnefice il passo è lungo. Come è accaduto?
«Un giorno stavo seduta su una panchina a piangere quando mi avvicinò un signore. Mi propose di andare nella sua palestra di karate. Lui voleva propormi un’attività che mi impegnasse, io andai perché pensavo che sarei diventata più forte e avrei potuto vendicarmi. E così avvenne: picchiavo tutti, femmine e maschi. Mi chiamavano persino per le spedizioni punitive. Fino a quando il maestro lo scoprì…»
Il famoso giorno del sacco rosso.
«Sì, aveva saputo che avevo picchiato delle ragazze e mi affrontò in quel modo facendomi trovare la palestra deserta e mettendomi davanti ad una scelta. Quel giorno ho picchiato il sacco per un’ora, tirando fuori tutta la rabbia che avevo in corpo. È stata l’ora più lunga e significativa della mia vita. Quel mio maestro, che oggi ha 80 anni , di ragazzi come me ne ha salvati tanti. Gli devo tutto e questo mi ha fatto capire quanto può valere nella vita di tutti noi l’incontro con la persona giusta. Certo, trent’anni fa era un bullismo diverso, si faceva pace, io con quelli a cui ho dato botte sono rimasta amica. Oggi questi qui non sanno neanche cosa sia la pace, sono criminali, ti lasciano steso per terra e non vogliono cambiare. Ma non possiamo rimanere a guardare».
Siamo sedute al tavolino di un bar di piazza Roma, nel cuore di Ancona. “Questi qui” di cui parla Patrizia ci passano davanti a frotte: sono italiani e stranieri, si danno il cinque, si radunano sopra le scale che conducono ai bagni pubblici, proprio lì dove è scattato il primo dei tre agguati al figlio di Patrizia, nel 2019, l’ultimo a dicembre scorso. Tutti adesso qui sanno chi è questa donna volitiva, cintura nera, 2° dan, che ha anche deciso di portare ad Ancona la divisa dei City Angels, l’associazione di volontari nata a Milano.
Patrizia, come sta suo figlio?
«Si sta riprendendo, ma non posso dire che stia bene. Paura, attacchi di panico. A dicembre, dopo l’ultima aggressione, ho dovuto licenziarmi dalla scuola dove ero stata appena assunta. Dovevo stargli vicina, senza di me non riusciva a muovere un passo. Aveva terrore anche della mia battaglia contro l’omertà dei genitori che non denunciano e l’indifferenza degli adulti che si girano dall’altra parte. Intollerabile».
È per questo che ha deciso di scendere in campo a difesa di tutti i ragazzi vittime di bullismo?
« Si, non potevo permettere che mi portassero via mio figlio. E instillandogli questa paura me l’avrebbero portato via. Ero davanti allo stesso bivio di tanti genitori: o minimizzi e giustifichi il problema o lo affronti e io ho scelto la seconda strada».
Ma perché hanno preso di mira suo figlio?
«Non c’è nessuna ragione particolare. Per questi criminali in erba è quasi un rito di iniziazione. Devono prendere di mira il primo che passa e massacrarlo. Quando è successo la prima volta mio figlio aveva 14 anni e stava passeggiando con degli amici, quando lo hanno accerchiato in dieci aggredendolo. Io mi trovavo nei pressi per caso quando ho visto la rissa e mi sono avvicinata. Poi ho capito che si trattava di lui, mi sono gettata nella mischia, ho bloccato il braccio di quello che lo stava picchiando, li ho messi in fuga. C’erano decine di persone che passavano, nessuno è intervenuto».
Avete denunciato subito?
«Sì, anche se lui non voleva perché aveva paura. E invece li abbiamo denunciati, identificati, li hanno presi tutti, sempre, processati, condannati. Nel frattempo però hanno minacciato anche me, ci salivano in casa, mi sono ritrovata anche con un coltello puntato alla gola. Ma non mi sono mai fermata e alla fine lui mi ha detto “grazie”. Nonostante la paura vado avanti perché la battaglia non è finita, basta guardarsi intorno».
La sua è anche una battaglia per fare rete, per convincere gli altri genitori a scendere in campo. Ci sta riuscendo?
«Pian pianino, ma sa che anche le mamme dei bulli mi vengano a cercare? È successo con la mamma di un giovane tunisino che ha aggredito mio figlio. Spesso anche questi genitori hanno bisogno di aiuto. E a quelli che restano a guardare dico: “Guardate che potrebbe capitare anche a vostro figlio”. E insomma adesso anche le istituzioni cominciano a darci ascolto. E anche il Papa a cui avevo scritto ci ha risposto con una lettera di incoraggiamento, invitandoci tutti ad andare avanti e a non avere paura. Per mio figlio è stata una grande iniezione di fiducia».
25.6.22
Dopo il questionario della vergogna, un altro schiaffo ai disabili: tagliati i contributi ai caregiver e resistenza di una madre con la figlia che ha Encefalopatia ipossico ischemica
Di cosa stiamo parlando
Questionario del Comune di Roma: “Quanto ti vergogni di tuo figlio disabile?". Risposta: “Tranquilli, non intende candidarsi con voi” da La cattiveria Il Fatto Quotidiano25 Jun 2022 e WWW.FORUM.SPINOZA.IT
per chi volesse saperne di più i link sotto
- https://roma.repubblica.it/cronaca/2022/06/24/news/questionario_campidoglio_ti_vergogni_di_tuo_figlio_disabile_roma-355213512/
- https://roma.repubblica.it/cronaca/2022/06/25/news/contributi_cargiver_tagliati_regione_lazio-355318016/?ref=RHTP-BH-I354284481-P3-S5-T1
da https://luce.lanazione.it/lifestyle/ 20 Giugno 2022
di Caterina Ceccuti
N.B le foto sono state gentilmente concesse dalla famiglia
La forza di mamma Benedetta e il sorriso di Viola: “Mia figlia non può né parlare né camminare, ma non compiangetela”
Colpita da Encefalopatia ipossico ischemica, la piccola ha subito danni permanenti durante il parto. La madre racconta a Luce! i momenti più belli e i più difficili della loro vita: "Una volta le dissi 'ti amo più delle stelle', lei alzò gli occhi al cielo"

Questo avrebbe dovuto essere il racconto di Benedetta, una madre molto coraggiosa che dodici anni fa, per un errore umano, ha accolto nella propria vita una figlia colpita da Encefalopatia ipossico ischemica. Invece, mano mano che l’intervista andava avanti, ad ergersi a protagonista della storia è stata proprio Viola, questa bella ragazzina dai colori chiari, orgogliosa e tenace, che non teme la propria disabilità ma detesta piuttosto essere commiserata. Viola ha subito un danno da parto, che la costringe su una sedia a rotelle e che le impedisce di esprimersi attraverso le parole. Ed è questo a farla soffrire sopra ogni cosa: l’impossibilità di parlare, più ancora che di camminare, e soprattutto la difficoltà di farsi intendere dagli altri come vorrebbe. Eppure, nessuno potrebbe dubitare che Viola sia capace di farsi capire, dopo aver letto le parole con cui Benedetta ha saputo mettere in chiaro la forza di sua figlia. E grazie alla dedizione di due genitori speciali, la personalità straordinaria di Viola emerge chiara e forte nella costellazione di conquiste in cui ha saputo trasformare la sua vita.

Benedetta, com’è Viola di carattere?
“Sicuramente solare, simpatica e allegra. Sa essere spiritosa, ma anche polemica. Di lei amo l’autoironia e la determinazione, ma devo ammettere che ha il suo caratterino, e questo in più di un’occasione è stata la sua forza. Spesso infatti mi sono resa conto che a soffrire per le cose che non vanno sono più di lei. Se andiamo al parco, per esempio, Viola vede gli altri correre ed è felice, è serena se vede i suoi coetanei giocare. Certo, io e suo padre abbiamo sempre cercato di farle fare tutto il possibile: equitazione, concerti di musica, piscina, viaggi ecc. Ma penso che il merito della sua serenità sia principalmente suo. Comunque Viola è anche una ragazzina molto permalosa, se la lega al dito, ed anche se è buona come il pane conviene sempre non pestarle i piedi: se decide che non vuole più andare da un terapista, stai pur certa che non ci metterà più piede. In questo periodo poi ci facciamo delle litigate! Soprattutto per colpa degli sbalzi di umore forti che, come tutti gli adolescenti, sta avendo in questo periodo. Come se non bastasse quest’anno si è invaghita di un compagno di classe e ha avuto la sua prima delusione d’amore. Purtroppo è solo la prima…”.

Cosa successe al momento del parto, dodici anni fa?
“Sono andate storte tante cose che invece avrebbero dovuto andare dritte. Ho partorito a 39 settimane più 6 giorni, perfettamente nella norma, ed ero stata seguita lungo tutto l’iter pre parto dal Primario dell’Ospedale ‘Fate bene fratelli’ di Roma. Non avevo badato a spese, all’epoca avevo 37 anni e ci tenevo che venissero fatti tutti i controlli del caso. Avevo anche desiderato di partorire con un cesareo, per evitare rischi, ma il mio medico non aveva voluto. I prodromi del parto furono lunghissimi e i dolori molto forti, ma il parto non voleva aprirsi. Così mi ruppero le acque manualmente e da lì iniziò il calvario. Dolori sempre più forti, poi l’elettrocardiogramma che iniziò a segnare un battito irregolare, segno di sofferenza nella bambina. Ancora il cambio turno del personale, la sfortuna, il parto che continuava a non aprirsi e i dolori che diventavano ancora più forti. Alla fine fui portata in sala parto e mi vennero applicate sei ventose, di cui una manuale, le ultime parole che ho sentito sono state “abbiamo perso il battito”, poi la corsa in sala operatoria e il cesareo di urgenza. Viola era morta, ma l’hanno rianimata. Solo che dopo è mancato un intervento immediato, prima di condurre mia figlia in terapia intensiva è passato troppo tempo, durante il quale non è stata applicato il protocollo per l’ipotermia terapeutica – o baby cooling – che serve per limitare i danni dell’asfissia intrapartum. Si tratta di una sorta di trattamento neuro protettivo, tant’è che dopo 24 ore Viola ha avuto le prime crisi epilettiche”.

Quali sono state le conseguenze?
“Una diagnosi conclamata di Encefalopatia ipossico ischemica, con conseguente compromissione dei nuclei della base, che sono responsabili dell’equilibrio e della sfera del linguaggio. Mia figlia è rimasta quasi 35 minuti senza ossigeno, per ciò non camminerà mai autonomamente e non potrà mai parlare”.
Quale è stato il suo stato d’animo?
“Avrei potuto abbandonarmi alla rabbia, ne avrei avuto tutto il diritto. Ma ho scelto di non farlo, per Viola, per me stessa e per la mia famiglia. Non vado mai a riguardare la cartella clinica né leggo le sentenze del tribunale, anche se mi hanno dato ragione. Ho scelto di allontanare la negatività e di tirarmi su le maniche, di impegnarmi con ogni mezzo perché mia figlia abbia la migliore vita possibile, la maggior autonomia possibile e, soprattutto, perché possa essere felice, anzi perché si possa essere felici tutti e tre insieme. E dopo 12 anni, grazie al lavoro fatto, Viola è più che presente, comunica con gli occhi attraverso un puntatore oculare”.
Entrambi i genitori di Viola provengono da precedenti matrimoni. “I primi anni sono stati molto duri per tutti”, racconta la mamma (Foto gentilmente concessa dai genitori)Suo marito ha avuto da subito la sua stessa forza d’animo?
“I primi anni sono stati molto duri per tutti, specialmente per lui. Entrambi venivamo da precedenti matrimoni, ma mentre io non avevo avuto figli, mio marito ne aveva avuto uno, dunque vedendo crescere Viola aveva inevitabilmente fatto paragoni con quello che avrebbe potuto essere, o potuto fare, e soffriva molto. Io, semplicemente, mi limitavo a guardare Viola e a credere in lei. Non sono mai riuscita a considerarla gravissima, come invece prontamente i medici hanno sempre sottolineato che fosse nel corso degli anni. Io non ho mai voluto etichettarla, neanche quando la neuro psichiatra lesse la prima risonanza che le avevamo fatto e mi disse “Il danno è gravissimo”. Non si è mai pronti a sentire parole come queste. La cosa più difficile è non lasciarsi sopraffare dalla rabbia. Purtroppo ho amiche completamente dilaniate dalla rabbia e dal dolore, inferocite contro il mondo, che neanche riescono ad occuparsi del proprio figlio, né a godere delle piccole cose”.

Qual è stato il piano d’azione, una volta portata a casa la vostra neonata dall’ospedale?
“Ci siamo subito attivati. Abbiamo portato la piccola a fare visite specialistiche e già dall’età di quattro mesi ha iniziato a fare psico motricità tre volte a settimana. Ma era poco rispetto a quel che si poteva fare, poco rispetto a quello di cui aveva bisogno per poter sfruttare le proprie capacità residue. Purtroppo la presa in carico del territorio si è rivelata insufficiente, perché ci hanno insegnato solo ad accettare la disabilità di nostra figlia, non a concentrarci sulle possibilità di miglioramento e riabilitazione. Abbiamo iniziato a frequentare centri specializzati nell’assistenza alle Paralisi cerebrali, sia in Italia che all’estero. Viola negli anni ha seguito programmi speciali di nuoto e di fisioterapia che hanno lo scopo di ripristinare i riflessi primitivi, un impegno notevole sia per mia figlia che per tutta la famiglia, costretta ad allontanarsi da casa per intere settimane. Ma è stato in quelle occasioni che ho conosciuto altre mamme fantastiche e ho visto migliorare tanti bambini. A casa, fin da piccolissima, l’ho bombardata dal punto di vista cognitivo: organizzavo giochi di sensibilizzazione del tatto e della propriocettività, le parlavo in tre lingue diverse ecc”.
UnaQual è stata la sfida più dura?
“La masticazione: la sua è una Paralisi Cerebrale con quadro di tetraparesi ipertonica distonica, il che significa che mia figlia è preda di forti movimenti involontari. Se cerca di prendere un bicchiere con la mano, compie cento movimenti con tutti e quattro gli arti che non sono funzionali. Nel tempo abbiamo eseguito un lavoro di raffinamento. Certo, non mangia con il cucchiaio ed è un po’ sotto peso, ma la masticazione l’abbiamo raggiunta, grazie alla tenacia sia mia che sua, e non devo frullare il cibo per poterla nutrire”.

Avete pagato privatamente tutte le terapie per Viola?
“Certo, e stiamo parlando di terapie costose, che comportano spesso anche trasferte all’estero per me e per un accompagnatore, visto che mia figlia è cresciuta e non riesco più a portarla da sola. Lo Stato non prevede rimborsi, anzi spesso faccio fatica a svincolare i soldi dell’accompagno dal giudice tutelare. Io e mio marito lavoriamo entrambi, abbiamo potuto contare sui nonni, dunque siamo stati fortunati. Ma conosco famiglie che non possono permettersi cure simili, benché paesi come la Slovacchia e la Polonia siano dotati di centri di altissimo livello per il potenziamento delle persone con Paralisi Cerebrale, che sono sicuramente meno costosi dei centri italiani”.

Quale programma segue Viola quando vi recate nei centri specializzati?
“Programmi molto intensi. Fa cinque ore al giorno di allenamento, massaggi, fisioterapia, ippoterapia, nuoto ecc. Le giornate iniziano alle 8 e non finiscono prima delle 16. È molto impegnativo per tutti, ma devo dire che alla fine di ogni esperienza Viola si porta a casa qualcosa”.
Oggigiorno Viola cosa può fare?
“Dal punto di vista motorio è come se avesse meno di un anno. Non sta seduta da sola per più di qualche minuto, ma cammina con l’aiuto di un deambulatore. Le mancano l’equilibrio e la parola. Riesce a comunicare con gli occhi, ce ne siamo accorti fin da piccola, una volta che le dissi “Mamma ti ama più delle stelle” e lei alzò gli occhi al cielo. Ma abbiamo dovuto faticare moltissimo, anni e anni di frustrazione prima che, finalmente, quattro anni fa ottenessimo il puntatore oculare, grazie al quale lei usa gli occhi come fossero un mouse sullo schermo del computer. Può mandare messaggi, giocare, comunicare con più soddisfazione. Questo per lei è essenziale, perché non sopporta che le si mettano in bocca parole non sue. Purtroppo il luogo comune del “Sei sulla sedia a rotelle e non parli, per cui non capisci niente”, la fa spesso da padrone. A scuola quest’anno ho dovuto litigare con la professoressa di italiano perché si rifiutava di parlare direttamente con Viola, ma si rivolgeva solo al suo insegnante di sostegno

Qual è il suo incubo di madre?
“Sicuramente il “dopo di noi”. Non posso contare su nessuno di più giovane di me o di mio marito che possa prendersi cura di Viola. Per questo stiamo lavorando con tutte le forze per renderla il più possibile indipendente. A volte vorrei essere immortale per poterla accudire per sempre”.
Ha mai chiesto a Viola quale fosse il suo desiderio più grande?
“Sì, e la risposta non è stata quello di camminare, come invece mi sarei aspettata. Mi ha detto che vorrebbe poter parlare, le dà fastidio il fatto che tutti pensino che sia stupida solo perché non parla. E la fa soffrire il fatto di dover sempre dimostrare che invece non lo è”.
Anche questa estate, Ledha o la Lega per i diritti delle persone con disabilità si mobilita per garantire il Diritto al centro estivo e il Dovere della sua accessibilità.
Nel mese di giugno, il centro antidiscriminazione Franco Bomprezzi ha infatti ricevuto il 20% di segnalazioni in più da parte di famiglie che si sono viste rifiutare l’iscrizione al centro estivo per i propri figli. Tra le denunce raccolte, anche la prassi – diffusissima – di chiedere ai genitori un contributo aggiuntivo rispetto alla retta per poter usufruire di un assistente durante lo svolgimento del centro. “Chi vieta, oppure limita, la partecipazione dei bambini disabili al centro estivo non ha la consapevolezza di quanto male faccia sentirsi dire no, per te non c’è posto”, dice il direttore di Ledha Giovanni Merlo. Oltretutto, “si tratta di una violazione dei diritti umani“.
IL PROBLEMA DOPO LA PANDEMIA È ESPLOSO
Che siano comunali, organizzati dalle parrocchie o sportivi, in Italia i centri estivi si fanno spesso trovare impreparati in tema di accessibilità. E così, di anno in anno, chiudono la porta in faccia a tanti bambini che avrebbe diritto come gli altri ai loro servizi. Un problema storico che il direttore Merlo con la sua Ledha segnala “da diversi anni, anche prima della pandemia, ma che quest’anno è esploso”. Non attrezzarsi per accogliere nei centri estivi i bambini con disabilità è “una palese discriminazione in violazione della legge 67 del 2006 sulle pari opportunità”, continua Merlo. Inoltre, “la prassi diffusissima di delegare il contributo per la partecipazione dei loro figli alle famiglie, da parte degli enti gestori, è illegittima”.
COSA FARE E A CHI SEGNALARE: NUMERI UTILI

Le famiglie che si vedono rifiutare il diritto al centro estivo dei loro figli possono segnalare questi episodi al Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi all’email antidiscriminazione@ledha.it. La Lega ha inoltre pubblicato sul suo sito una scheda legale rivolta alle famiglie e il fac simile di lettera che i genitori possono direttamente scrivere agli enti gestori dei servizi ricreativi pubblici o privati che siano. Le risposte delle amministrazioni potrebbero non essere tempestive, per questo Ledha offre anche consulenza legale gratuita.
che rafforza la mia elucubrazione mentale espressa all'inizio del post
Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...
-
Come già accenbato dal titolo , inizialmente volevo dire Basta e smettere di parlare di Shoah!, e d'aderire \ c...
-
iniziamo dall'ultima news che è quella più allarmante visti i crescenti casi di pedopornografia pornografia...
-
Ascoltando questo video messom da un mio utente \ compagno di viaggio di sulla mia bacheca di facebook . ho decso di ...
