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La startup “Ogyre” si basa sui principi dell’economia circolare ed è la prima realtà italiana ad aver trasformato in business la pesca dei rifiuti
Ven 22 Ott 2021 | di Domenico Zaccaria | AmbienteCoinvolgere i pescatori nel recupero dei rifiuti di plastica in mare. Trasformare questi scarti in un filato per realizzare costumi da bagno. E finanziare con la loro vendita l’attività dei pescherecci. È un perfetto esempio di economia circolare quello messo in piedi dalla startup “Ogyre”, un progetto a vocazione sociale ideato da Antonio Augeri e Andrea Faldella; il nome deriva dalle “ocean gyres”, le correnti oceaniche fondamentali per l’ecosistema, oggi tristemente famose perché intrappolano la plastica in grandi isole di rifiuti. Ogni anno 11 milioni di tonnellate di questo materiale finiscono in mare, mettendo a rischio la vita di 1,4 milioni di specie. I pescatori, in teoria, sarebbero i soggetti più facili da coinvolgere in un’attività di pulizia. Ma in pratica la realtà – almeno in Italia – è diversa: le normative vigenti assimilano i rifiuti marini quelli speciali; di conseguenza i costi e la responsabilità penale sono a loro carico, tanto che spesso sono costretti a rigettarli in mare invece di riportarli a terra. Grazie ad “Ogyre”, invece, i pescatori vengono regolarmente remunerati e sollevati dagli oneri di conferimento dei rifiuti; la plastica, una volta riportata a riva, viene stoccata per essere poi riciclata e trasformata in nuovo materiale. Un modello che chiude il cerchio con la realizzazione di costumi da bagno “plastic-positive”, prodotti con un filato ricavato proprio dalla plastica, il cui ricavato sostiene il finanziamento dei pescherecci.
LO STATO DI SALUTE DEL MARE
Si tratta della prima realtà italiana ad aver trasformato la pesca dei rifiuti in business. Una pratica semplice perché non richiede implementazioni tecnologiche, ma sfrutta le reti dei pescatori che quotidianamente vivono il mare; oltre che per l’ecosistema, è vantaggiosa per la salute dell’uomo e porta benefici per la pesca, per il turismo e per le comunità locali. I rifiuti raccolti vengono stoccati direttamente a bordo in appositi sacchi e, una volta a terra, vengono smistati, catalogati e smaltiti correttamente attraverso istituti di ricerca e Ong partner: così si può studiare lo stato di salute del mare e mappare rifiuti e tipologia di impatto sugli ecosistemi marini. Partito la scorsa primavera, il progetto vede già coinvolti i porti di Cesenatico, Goro e Porto Garibaldi, con sette pescherecci partner attivi che recuperano in media oltre 50 chili di rifiuti plastici al mese; nei prossimi mesi si punta ad inaugurare almeno altri 3 porti e ad arrivare fino a 60 pescherecci.
“Ho deciso di vivere su una barca”La cagliaritana Marta Magnano, la velista dell’anno 2021, dopo l’Erasmus in Germania, ha trasformato la sua passione per la vela in uno stile di vita all’insegna dell’ecosostenibilitàLun 06 Dic 2021 | di Marzia Pomponio | Attualità
L’infanzia l’ha trascorsa sui fondali marini della sua Cagliari, ad ammirare la flora e la fauna marina che ha imparato ad amare guardando le videocassette di Jacques Cousteau regalate dai genitori. È allora che è nata la passione per il mare. A 11 anni il primo corso di vela e il sogno inconscio di andare a vivere in barca. Marta Magnano, classe 1990, laureanda in medicina, istruttrice di vela, il grande salto lo ha compiuto nel 2019, quando ha lasciato la terraferma per vivere a bordo di una barca a vela di 10 metri. «Ho fatto per gioco un giro su un portale di barche usate e ho scoperto che erano alla portata di una studentessa lavoratrice come me. L’ormeggio sarebbe costato quanto un affitto. Così è diventata la mia casa». Con Churingas è stato amore a prima vista. Il nome deriva da una pietra sacra indossata dagli aborigeni dell’Oceania durante le navigazioni. Con l’aiuto degli amici della Lega Navale Italiana di Cagliari l’ha ristrutturata all’insegna dell’ecosostenibilità: ha installato pannelli solari e termoisolanti e per la pulizia e manutenzione usa solo prodotti naturali, che sceglie con meticolosità ogni anno al Salone Nautico di Genova – dove è ormai un’ospite fissa e molto richiesta – e che poi fa conoscere ai suoi numerosi followers, conquistati durante il lockdown, quando la skipper sarda ha pensato di rendersi utile per chi era costretto a stare chiuso in casa, raccontando le sue avventure in mare, mostrando com’è fatta una barca, come funziona e organizzando micro lezioni di vela. Quali reazioni ha suscitato la tua scelta di vivere su una barca? «All’inizio ero considerata una pazza, invece durante il lockdown, quando la pandemia ha costretto tutti a fare i conti con se stessi, molti hanno riscoperto il valore della vita all’aria aperta e l’importanza di fare scelte libere, quello checi rende veramente felici, che ci fa stare bene a prescindere dalla società». In un post hai scritto che al vestito costoso preferisci spendere in esperienze e il tuo sabato preferito non è in giro per locali, ma in mare “con quei pochi con cui vale la pena stare”. Proponi un tuo stile di vita fatto di essenzialità. «Ereditato dagli ambienti sportivi che ho sempre frequentato e dall’esperienza avuta al mio rientro a Cagliari, dopo otto mesi in Germania con l’Erasmus, quando per un mese ho vissuto senza corrente perché i precedenti inquilini avevano lasciato una morosità di 800 euro. In preda al panico, per conforto, ho chiamato un amico colombiano. «Da dove vengo io tanta gente non ha una casa, né la corrente, né l’acqua potabile, di cosa ti lamenti tu che hai una casa e un futuro?», mi ha risposto. Quelle parole mi hanno fatto riflettere. Ho iniziato a vivere come si faceva in passato: mi svegliavo con la luce, ho salutato la tv che tanto manda in onda solo spazzatura, ho ripreso a leggere, a suonare la chitarra, i capelli li asciugavo al sole durante le belle giornate, mi sono riempita casa di candele. Quando poi ho fatto il trasloco in barca ho dovuto scegliere quello che veramente mi serviva, perché non c’entrava tutto, e questo mi ha fatto pensare ancora una volta che tanto di quello che abbiamo in casa è superfluo». Hai annunciato su Instagram la vendita di Churingas per nuovi progetti. Quali? «Il mio sogno è girare il mondo, ma per farlo devo iniziare da casa. Il giro dell’Italia lo farò con una barca che dovrà essere un concentrato di prodotti e soluzioni innovative per l’autosufficienza, che vuol dire prodursi la corrente elettrica con pannelli solari e seadamp (per ottenere l'energia sia dal Sole che dal mare) e l'acqua potabile dal mare, tenendola pulita con prodotti bio premiati all’ultimo Salone Nautico di Genova. Spero, inoltre, abbia vele 100% biodegradabili. Nel giro coinvolgerò scolaresche e circoli sportivi, promuovendo tematiche ambientali legate al mare, una grande risorsa sfruttata spesso in modo sbagliato, vedi quando lo inquiniamo, quando peschiamo troppo, quando milioni di barche si concentrano tutte in Sardegna ed erodono le coste, per cui ci troviamo senza spiagge». Un altro sogno è usare il mare come terapia preventiva per bambini. «In molti Paesi esteri, dove la vela è addirittura lo sport nazionale come il calcio, già esistono figure professionali specializzate nella medicina della vela. Credo in una medicina che debba anzitutto investire sulla salute prima della malattia. Oggi i medici sono diventati talmente bravi a curare le malattie da dimenticare l’importanza di non ammalarsi». Boat sweet boat |