Articolo che mi coinvolge personalmente perchè ho vissuto l'esperienza di un familiare , mia nonna paterna malata malata di tale malattia per la quale all'epoca non c'erano cure e le nuove tecnologie per bloccare ( già le: telecamere , le vhs e i registratori analogici per lei la mettevano in crisi figuriamoci se fosse viva ancora oggi con il digitale ) i suoi ricordi .
da https://mariocalabresi.com/lultima-fiaba-della-buonanotte/
Una figlia cattura i ricordi del padre, malato di Alzheimer e quei momenti diventano il luogo in cui si ritrovano, come quando lei era bambina e lui la faceva addormentare. Quella testimonianza sulla malattia è diventata il podcast “Smemorati”, una storia preziosa che ci ricorda quanto sia importante ascoltare le persone che amiamo . Questa è la storia di una figlia che, durante il lockdown di quattro anni fa, decide di intervistare ogni pomeriggio il suo vecchio padre, quasi novantenne, per tenerlo vivo, per non perdere il filo di un rapporto reso impossibile dal virus e dalle chiusure. È la storia di una malattia, l’Alzheimer, che porta via, giorno dopo giorno, ricordi e coscienza. È la storia di come la voce possa lasciare traccia e diventare una memoria potente e indissolubile.
«È iniziato tutto nel 2020, in piena pandemia. I miei genitori che vivevano a Bergamo – la provincia più colpita nella prima ondata di Covid – per fortuna erano in Liguria a svernare. Mia madre era preoccupata: “il Giulio” era più taciturno del solito, forse depresso, per via della clausura, a cui tutti eravamo costretti. Oggi so che si chiamava apatia ed era uno dei sintomi della sua malattia». A raccontare è Anna Maria Selini, giornalista e scrittrice, e “il Giulio” (rigorosamente con l’articolo come lo hanno sempre chiamato al paese) è suo padre, nato a Calcinate nel 1932. «In quel periodo mi ero fissata di voler scrivere biografie e così, per esercitarmi e al tempo stesso distrarre mio padre, ho deciso di intervistarlo online. Ci davamo appuntamento a una certa ora – mia madre lo segnava sull’agenda – e anche se qualcuno lo aiutava a collegarsi, ogni volta dovevo rispiegargli tutto. Mio padre era anche un po’ sordo e metà del tempo lo passavamo io a ripetere le domande, che non aveva sentito, e lui le risposte, che dopo pochi secondi dall’averle pronunciate aveva già dimenticato».Perché Giulio aveva l’Alzheimer. Il primo allarme era scattato nel 2015, quando si era allontanato e per ore aveva vagato per la città in stato confusionale: non sapeva dove fosse, nonostante conoscesse bene la zona. Poi si era ricordato di avere nel portafoglio il numero di cellulare della moglie e una persona che lo aveva notato in difficoltà lo aveva aiutato a chiamarla. La moglie era stata la prima ad accorgersi che le sue dimenticanze e una certa svagatezza non erano più normali nemmeno per la sua età, ma qualcosa di più, e di diverso.«La diagnosi di Alzheimer per mio padre è arrivata, per fortuna, ad età avanzata, a 85 anni. Per fortuna, perché sono le forme precoci solitamente le più violente e veloci. Mio padre era a uno stadio moderato della malattia e non ha mai necessitato di ricoveri o trattamenti ospedalieri. Se non alla fine». Il Giulio è mancato il 10 gennaio di quest’anno.Anna Maria però aveva avuto l’intuizione e la cura di ascoltarlo a lungo, di raccogliere le sue storie e i suoi ricordi in quel lungo viaggio nel passato che avevano fatto insieme. All’inizio erano memorie familiari, poi aveva cominciato ad andare indietro nel tempo: «Raccontava di personaggi famosi conosciuti quando era bambino. Da una specie di Maciste, finito sulla “Domenica del Corriere” per aver sollevato la bocca di un cannone, al capo fascista della zona cacciato da mia nonna a mestolate. Dal principe Junio Valerio Borghese (personaggio storico della destra eversiva italiana, con Mussolini a Salò e poi organizzatore di un tentativo di colpo di Stato nel 1970) che aveva visto chiuso nello stanzino dell’osteria di famiglia, a un conte morto in carcere per le percosse. Ma come potevo credergli? Negli ultimi anni era diventato una specie di amabile e scaltro bugiardo: non diceva quasi mai “non mi ricordo”, aveva sempre una spiegazione e un racconto, spesso irreale, che lui, però, sapeva rendere estremamente credibile».
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