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17.4.24

UNA FIGLIA CATTURA I RICORDI DEL PADRE MALATO DI ALZAIMER , IL POD CAST SMEMORATI DI ANNA MARIA SELINI

Articolo    che  mi coinvolge  personalmente  perchè  ho vissuto l'esperienza di  un  familiare , mia  nonna paterna  malata malata   di  tale malattia   per la quale all'epoca non c'erano cure       e le  nuove  tecnologie  per  bloccare ( già  le:  telecamere , le  vhs  e  i registratori analogici  per lei la mettevano  in crisi  figuriamoci   se    fosse  viva    ancora  oggi    con il  digitale  ) i  suoi ricordi     . 

da   https://mariocalabresi.com/lultima-fiaba-della-buonanotte/

Una figlia cattura i ricordi del padre, malato di Alzheimer e quei momenti diventano il luogo in cui si ritrovano, come quando lei era bambina e lui la faceva addormentare. Quella testimonianza sulla malattia è diventata il podcast “Smemorati”, una storia preziosa che ci ricorda quanto sia importante ascoltare le persone che amiamo . Questa è la storia di una figlia che, durante il lockdown di quattro anni fa, decide di intervistare ogni pomeriggio il suo vecchio padre, quasi novantenne, per tenerlo vivo, per non perdere il filo di un rapporto reso impossibile dal virus e dalle chiusure. È la storia di una malattia, l’Alzheimer, che porta via, giorno dopo giorno, ricordi e coscienza. È la storia di come la voce possa lasciare traccia e diventare una memoria potente e indissolubile.

Anna Maria Selini insieme a suo padre Giulio

«È iniziato tutto nel 2020, in piena pandemia. I miei genitori che vivevano a Bergamo – la provincia più colpita nella prima ondata di Covid – per fortuna erano in Liguria a svernare. Mia madre era preoccupata: “il Giulio” era più taciturno del solito, forse depresso, per via della clausura, a cui tutti eravamo costretti. Oggi so che si chiamava apatia ed era uno dei sintomi della sua malattia». A raccontare è Anna Maria Selini, giornalista e scrittrice, e “il Giulio” (rigorosamente con l’articolo come lo hanno sempre chiamato al paese) è suo padre, nato a Calcinate nel 1932. «In quel periodo mi ero fissata di voler scrivere biografie e così, per esercitarmi e al tempo stesso distrarre mio padre, ho deciso di intervistarlo online. Ci davamo appuntamento a una certa ora – mia madre lo segnava sull’agenda – e anche se qualcuno lo aiutava a collegarsi, ogni volta dovevo rispiegargli tutto. Mio padre era anche un po’ sordo e metà del tempo lo passavamo io a ripetere le domande, che non aveva sentito, e lui le risposte, che dopo pochi secondi dall’averle pronunciate aveva già dimenticato».Perché Giulio aveva l’Alzheimer. Il primo allarme era scattato nel 2015, quando si era allontanato e per ore aveva vagato per la città in stato confusionale: non sapeva dove fosse, nonostante conoscesse bene la zona. Poi si era ricordato di avere nel portafoglio il numero di cellulare della moglie e una persona che lo aveva notato in difficoltà lo aveva aiutato a chiamarla. La moglie era stata la prima ad accorgersi che le sue dimenticanze e una certa svagatezza non erano più normali nemmeno per la sua età, ma qualcosa di più, e di diverso.«La diagnosi di Alzheimer per mio padre è arrivata, per fortuna, ad età avanzata, a 85 anni. Per fortuna, perché sono le forme precoci solitamente le più violente e veloci. Mio padre era a uno stadio moderato della malattia e non ha mai necessitato di ricoveri o trattamenti ospedalieri. Se non alla fine». Il Giulio è mancato il 10 gennaio di quest’anno.Anna Maria però aveva avuto l’intuizione e la cura di ascoltarlo a lungo, di raccogliere le sue storie e i suoi ricordi in quel lungo viaggio nel passato che avevano fatto insieme. All’inizio erano memorie familiari, poi aveva cominciato ad andare indietro nel tempo: «Raccontava di personaggi famosi conosciuti quando era bambino. Da una specie di Maciste, finito sulla “Domenica del Corriere” per aver sollevato la bocca di un cannone, al capo fascista della zona cacciato da mia nonna a mestolate. Dal principe Junio Valerio Borghese (personaggio storico della destra eversiva italiana, con Mussolini a Salò e poi organizzatore di un tentativo di colpo di Stato nel 1970) che aveva visto chiuso nello stanzino dell’osteria di famiglia, a un conte morto in carcere per le percosse. Ma come potevo credergli? Negli ultimi anni era diventato una specie di amabile e scaltro bugiardo: non diceva quasi mai “non mi ricordo”, aveva sempre una spiegazione e un racconto, spesso irreale, che lui, però, sapeva rendere estremamente credibile».

Uno scatto di Anna Maria da piccola in braccio a suo padre “il Giulio”

Inizialmente Anna Maria pensa che quelle storie siano frutto della fantasia, d’altronde la memoria del papà si stava deteriorando in modo veloce e costante: «Mio padre non riconosceva la stagione in corso, anche se per indovinarla bastava guardare fuori dalla finestra. Spesso non ricordava i nomi dei nipoti e a volte anche di noi figli. Il giorno del mio matrimonio, dopo avermi accompagnata all’altare, ha chiesto chi si fosse sposato. Era difficile convivere con i buchi della sua memoria, specie per mia madre. Io invece ho deciso di infilarmi in quei buchi. Se nel presente mio padre sembrava evaporare, nel passato, invece, tornava forte. E allora era lì che lo portavo».
Il padre insiste con le sue storie, e ogni volta aggiunge particolari, così Anna Maria decide che vale la pena scoprire se siano vere: «Mi sono messa a spulciare gli archivi, sono finita nelle cantine, sono andata a caccia di novantenni, sono finita in un convento di suore e al cimitero». Ma vuole anche capire la traiettoria della malattia, le sue conseguenze, sapere cosa sta succedendo nella testa di suo padre, così parla con medici, associazioni per i familiari dei malati di Alzheimer e psicologi. Raccoglie tantissimo materiale ma non sa cosa farne, all’inizio pensa di scriverne un racconto, ma non trova la forma giusta: «Ho provato con la sceneggiatura, l’autobiografia e anche le memorie familiari, ma c’era sempre qualcosa che non andava». Poi si iscrive alla prima edizione della Chora Academy (il corso per imparare a fare i podcast) e riesce a entrare: c’erano 300 posti ma le richieste erano più di 4mila.Mentre frequenta lezioni e laboratori le viene l’illuminazione: al centro del racconto ci deve essere la voce del Giulio e la magia che sapeva evocare, così al termine dell’Academy presenta il suo progetto, la storia del viaggio nella memoria di suo padre. Passa le selezioni e la sua serie podcast inizia così a diventare realtà.

La cover del podcast “Smemorati” di Anna Maria Selini, lo potete ascoltare qui

Ma il suo lavoro cresce e da fatto privato diventa un lavoro collettivo, capace di raccontare l’Alzheimer e il dramma dei malati e delle loro famiglie. Lo fa con delicatezza, persino con ironia e leggerezza. Quando ho ascoltato per la prima volta questo podcast, che si chiama Smemorati, ho avuto la conferma di come la capacità di mettere le persone al centro renda possibile affrontare ogni tema, anche il più difficile e complesso. E lo ha fatto talmente bene che la serie ha trovato anche uno sponsor – GE Healthcare –, quello di un’azienda che cercava il modo giusto per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla malattia.
Ci si affeziona al Giulio, gli si vuole bene, e grazie al lavoro di ricerca della figlia comprendiamo cos’è la malattia e come funziona. Il rapporto tra loro due, durante le interviste, è meraviglioso: «Era il mondo in cui io e lui ci incontravamo, un tempo tutto per noi, un po’ come quando da piccoli la sera i genitori ci raccontano le storie prima di dormire».Mentre Anna Maria lavorava a Smemorati, Giulio è mancato, e questo ha fatto sì che si buttasse ancora di più nel podcast: «Volevo che il mondo conoscesse il Giulio e volevo tenerlo qui. La scrittura è stata una prima fondamentale elaborazione del lutto e Smemorati per me è la più bella conclusione possibile del rapporto con mio padre, un rapporto che l’Alzheimer – anche questo sembrerà strano – ha rafforzato.È come se il Giulio fosse diventato un suono, per me unico, ma allo stesso tempo capace di arrivare ed emozionare tanti.Questa storia ci ricorda quanto sia importante raccogliere memorie, ricordi, fare domande e ascoltare. Ogni volta che parlo nelle scuole dico ai ragazzi di ricordarsi che i loro nonni non saranno eterni, che non li devono dare per scontati, ma farsi raccontare le loro vite. Un patrimonio che capiranno nel tempo quanto sia prezioso. «La cosa più bella – conclude Anna Maria – me l’hanno detta i miei nipoti, mi hanno ringraziato per avergli regalato per sempre la voce del nonno. Non ci avevo pensato, ma un podcast è anche questo».

8.9.23

La figlia si sposa e gli anziani genitori muoiono poche ore dopo il matrimonio: l’addio di Nerviano a Luigi Bina e Angela Benecchi


da  la Repubblica edizione  di Milano

Avevano trascorso tutta la vita insieme, a casa e sul lavoro, e se ne sono andati a poche ore di distanza l’uno dall’altra, proprio in concomitanza con un momento di grande gioia per l’intera famiglia: Luigi Bina, 90enne di Nerviano (nell’hinterland milanese), è morto lunedì 4 settembre subito dopo il matrimonio della figlia Annamaria e la moglie Angela Benecchi, di 84 anni, l’ha seguito il giorno dopo.
Entrambi erano molto noti in città per aver gestito un negozio di calzature nel paese. La coppia lascia quattro figli: oltre ad Annamaria (a sua volta conosciuta per la sua attività di insegnante alla scuola
primaria), i fratelli Marco, Paolo e Carlo.
“Nerviano è più povera con la perdita di un altro pezzo della propria storia. Angela e Luigi erano esempi di gentilezza, educazione e rispetto unici – commenta l’ex sindaco Massimo Cozzi – Non servono parole in questi casi, ora sono ancora uniti in paradiso”.
Entrambi erano ammalati da tempo e la signora Angela se n’è andata mentre i figli stavano organizzando il funerale del marito: così hanno ricevuto insieme anche l’ultimo saluto delle tante persone che volevano loro bene, giovedì 7 settembre nella chiesa parrocchiale di Santo Stefano.
Molto attivo in parrocchia, Luigi Bina era stato catechista e faceva parte del coro. In passato era stato anche presidente dell’associazione di volontariato Collage, che collabora con i missionari per sostenere le popolazioni bisognose di Costa d’Avorio, Burundi, India e di altri Paesi africani, sudamericani e asiatici.
L’associazione ha reso omaggio a “Luigi, amante della musica classica” con un video postato su Facebook e la frase: “La vita non ci restituisce le persone perdute, le parole che non abbiamo detto e le emozioni che non abbiamo vissuto. Nulla torna indietro, ma tutte le cose più belle di questa vita le teniamo chiuse dentro i ricordi che porteremo dentro di noi, in quel piccolo posto speciale chiamato cuore”.

I volontari di Collage parlano di Luigi Bina come di “un padre, un fratello maggiore e un amico. Sentiremo la tua mancanza, ma ci piace pensare che hai preso per mano la tua amata Angela, per varcare insieme la soglia della speranza”.

I coniugi Bina “erano una coppia dolcissima. Ricordo ancora quando la mattina venivano insieme al bar a fare colazione” è il messaggio affettuoso di un’abitante di Nerviano, mentre un’altra sottolinea che “non hanno voluto separarsi nemmeno per compiere l’ultimo viaggio”.

In tanti parlano di “una storia d’amore preziosa da conservare nella memoria” perché “un’altra generazione come la loro non nascerà più”.

13.8.23

Chiedi chi era il Golden boy. Gli ottanta anni di Gianni Rivera, il primo divo del nostro football

 

Leggi  prima  
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2023/08/duie-antipodi-del-calcio-gigi-riva-e.html
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2023/08/claudio-gentile-fatto-fuori-dalla.html







dopo le storie e il confronto tra campioni della vecchia generazione ( riva ) e della nuova (Buffon ) e l'emarginazione di un vincitore dei mondiali (Claudio Gentile ) che trovate gli url sopra in alto ecco un altra storia calcistica

di Matteo Tonelli
  repubblica  11 AGOSTO 2023

IL 18 agosto è il compleanno dell’ex bandiera del Milan che debuttò in serie A a 16 anni, vinse il pallone d’oro e incantò il mondo. E che di se stesso dice: “Mai stato un calciatore, ho solo giocato a pallone”. Divinamente



Tra le tante scene che hanno reso famoso Gianni Rivera - che il 18 agosto compie 80 anni - una resta impressa nella memoria. E non è una delle sue tante giocate che faceva con una naturalezza da far sembrare “normali”. La scena che resta impressa nella memoria risale a tanti anni fa. Era il 6 maggio del 1979. Il Milan si apprestava a vincere il suo sospiratissimo decimo scudetto, quella stella che, in una

delle giornate più buie per il tifo rossonero, gli era sfuggita a Verona nel 1973. A San Siro in quel giorno di inizio maggio c'erano 80 mila persone. Un mare rossonero che riempiva gli spalti. E stava anche dove non avrebbe dovuto essere. Perché il secondo anello era stato dichiarato inagibile perché pericolante. Quel giorno invece ogni prudenza era svanita. Impossibile giocare in quelle condizioni. Gli appelli a sgombrare il settore erano caduti nel vuoto. Fu allora che Rivera si piazzò in mezzo al campo con un microfono e, come un pifferaio magico, chiese ai tifosi di spostarsi. Fu così che il golden boy rossonero, l'uomo che al fischio finale avrebbe lasciato il calcio giocato, segnò il suo ultimo gol.
Se questa è la fine, l'inizio risale a molti anni prima. Rivera nasce ad Alessandria nel 1943. Fin dai primi calci al pallone si capisce che non è uno qualunque. Al punto che con la maglia della squadra della sua città esordisce in seria A contro l'Inter (il primo derby della sua storia...) il 2 giugno del 1959. Quel ragazzino magro non ha ancora 16 anni ma una grande carriera davanti. Approda in maglia rossonera portandosi dietro lo scetticismo dell'allora presidente Angelo Rizzoli: «Ho speso un sacco di soldi per un ragazzino di cui non conosco nemmeno il nome». Col senno di poi mai dubbi furono meno giustificati. Nel 1960/1961, Gianni veste la sua prima casacca rossonera: non se la leverà più per diciannove stagioni. Nel 1962, a 18 anni, lo chiamano in azzurro nell'amichevole Belgio-Italia. Lo stesso anno vince il suo primo scudetto col Milan. Ormai è una stella, un golden boy come lo chiamava Gianni Brera dopo averlo definito abatino proprio in virtù del fisico gracilino. Quel giocatore così gracilino, garbato nei modi e nel gioco, che i muscoli non li ha nella gambe ma “in testa” , è lo stesso che nel 1969, vince il Pallone d'oro e in maglia rossonera inanellerà 658 presenze e segna 164 gol, vincendo nell'ordine: tre scudetti (1962, 1968, 1979), due Coppe dei campioni (1963, 1969), due Coppe delle coppe (1968, 1973), una Coppa intercontinentale (1969).






Con la nazionale, invece, il rapporto non è facile. Se è vero che il suo gol nella semifinale del 4 a 3 con la Germania ai Mondiali del Messico viene spesso usato come uno spot sul calcio, è anche vero che le polemiche che lo riguardarono non furono poche. A partire da quei sei minuti sei che il ct azzurro Valcareggi gli “concesse” in finale col Brasile. Anche con gli arbitri le cose non vanno sempre benissimo. Rivera era convinto che ci fosse una sorta di complotto per danneggiare il Milan. E non lo nascondeva: tanto che nel marzo del 1972 prese quattro mesi di squalifica per aver attaccato il selezionatore arbitrale Giulio Campanati. Un anno dopo toccò a Concetto Lo Bello uno dei fischietti italiani più noti. Anche in casa rossonera non tutto filava liscio. Nel 1975 a finire nel mirino è l'allora presidente Albino Buticchi che, dopo aver esonerato Nereo Rocco, di Gianni un vero e propri mentore, prova a venderlo al Torino. Apriti cielo. Rivera minaccia il ritiro. Finisce che Buticchi molla e Gianni resta a furor di popolo. Il golden boy gioca fino al 1979 quando il presidente Felice Colombo lo vuole come vice.
L'arrivo dell'era Berlusconi, nel 1986, cambia tutto. Il Cavaliere ha altro in mente. E Gianni capisce che anche le bandiere, a volte, vengono ammainate. Molla il calcio e si dà alla politica. Approva in Parlamento portandosi dietro una carrettata di voti. Recentemente ha, diciamo, svirgolato qualche pallone, a partire dalla scivolata no vax in tempi di Covid («Il vaccino? Tutto un complotto delle multinazionali») e si è messo alla testa di una cordata di imprenditori per comprare una squadra (si parla del Bari) lasciando intendere di voler sedersi in panchina. Festeggia così i suoi 80 anni uno che di sé ha detto «Mai stato un calciatore. Ho semplicemente giocato a pallone». Divinamente, si potrebbe aggiungere

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...