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9.10.16

ad ucciddere la memoria è anche il menefreghismo dee istituzioni . il caso delle lapidi del vajont stipate nei magazzini del cimitero "Rischiano di finire in discarica "

due  al  prezzo  di una     sulle  note  di   :  A wither shade of pale - Procol Harum - 1967
 nota in italia con senza luce DIK DIK 

La  prima  


Vajont, le lapidi stipate nei magazzini del cimitero
Quasi ottocento lastre di marmo attendono da tempo una collocazione migliore. Il timore dei superstiti: "Rischiano di finire in discarica".

Per  chi  non  avesse  volgia di cercare nel mio archivio i post  iun cui  ho parlatio    di tale  evento   ecco  un sunto  preso   dalla  rete  .Mentre le foto sono  di  https://www.facebook.com/agora.fanpage.it/ più precisamente qui 

Erano le 22.53 del 9 ottobre 1963: quella sera nella strage del Vajont morirono 1917 persone. Un’alluvione, una frana, una delle più grandi sciagure della storia italiana.
Non il disastro naturale, ma la negligenza dell’uomo diede origine ad una strage. Un terrore che vive ancora negli occhi dei sopravvissuti. 53 anni fa come oggi




La  seconda  

Badde Lontana: storia di una madre e del suo dolore

 
autore di Elena Pisuttu 4 ottobre 2016
STORIE
Badde Lontana: storia di una madre e del suo dolore
                     S. Lorenzo, ciò che resta della casa di Pietro Pisano - ph antoniostrinna.it
 
MUSICA
Era il 21 marzo 1957 e a San Lorenzo, frazione di Osilo, un bambino di appena dieci mesi lasciò per sempre la sua valle. Un enorme masso staccatosi dalla collina sfondò il tetto della casa nella quale viveva coi genitori. Morì mentre dormiva nella culla. Trascorsi quasi vent'anni, quel tragico fatto di cronaca ispirò la trama di una canzone, che oggi si aggiudica un posto speciale nel repertorio della musica popolare sarda. 
Ma Pietro Pisano - questo era il nome del piccolo - non è il protagonista di Badde Lontana, e neppure la valle che dà il titolo alla canzone: il soggetto principale è la madre. Al tempo della disgrazia, i genitori del bambino facevano i mugnai, come il resto della comunità. La quotidianità di questa donna, madre di famiglia, era il riflesso delle tante altre donne della ‘valle lontana’.
                      Chiesa di San Lorenzo - ph antoniostrinna.it
 

Antonio Strinna, autore del testo, spiega il motivo per cui il suo pensiero si è concentrato proprio su questa figura femminile. La canzone è nata in un modo irrazionale, suggerita dalla madre del bambino, come in sogno: «Dieci anni dopo, mi ritrovai alla festa in onore di San Lorenzo. Lo spettacolo della serata prevedeva l'esibizione di gruppo musicale di Sassari, i Bertas. Prima ancora che la band iniziasse a cantare, mi sono messo a cercare in mezzo alla folla i volti dei genitori del bambino, specialmente quello della madre. Non c'erano. Alla fine, la mia immaginazione è riuscita nel suo intento. Così, credevo di vedere la madre, persino i suoi occhi. Per me la donna era proprio lì, fra la gente. Assediata dall'allegria della festa e tentava di dimenticare che quella stessa valle le aveva ucciso un figlio di pochi mesi. Intanto rivedeva nuovamente il masso precipitare dalla collina sino a raggiungere la valle, il suo mulino, sfondare il tetto e infine piombare sopra la culla». 
Ora, quella donna ha superato gli ottant’anni e vive ancora nella frazione di San Lorenzo, insieme al marito, immersi nel silenzio che domina da almeno cinquant’anni.
Il testo emoziona ancor di più se ascoltato in questo periodo, così vicino al terremoto che ha colpito il centro Italia. È quasi una preghiera, una lotta tra fede e istinto materno, inteso come puro e naturale, che inconsapevolmente va oltre la ragione.
La morte in generale fa male, ma quella di un figlio è particolare perché rappresenta una brutale infrazione del modello biologico di successione della vita.
È una madre che si sente impotente di fronte a una tragedia più grande di lei. Una donna che non può smettere di negare a sé stessa quanto avvenuto. Tutto questo insieme di emozioni fa parte dello stesso processo: accettare la morte di un figlio.
Antonio Costa e Antonio Strinna, autori della canzone "Badde lontana" - ph antoniostrinna.it
 

Composta nel 1972 insieme ad Antonio Costa, componente dei Bertas, dopo la prima incisione del gruppo sassarese, nel 1974, Badde Lontana è stata interpretata da numerosi artisti sardi. Ancora oggi continua a emozionare quanti l’ascoltano.

Badde Lontana / Valle Lontana 
Sutta su chelu de fizu meu / Sotto il cielo di mio figlio
como si canta finzas tres dies. / adesso si canta per tre giorni:
Badde lontana, Badde Larentu / valle lontana, valle di san Lorenzo
solu deo piango pensende a tie / soltanto io piango pensando a te!
Mortu mi l’asa chena piedade / Me l’hai ucciso senza pietà
cun d’una rocca furada a Deus / con una roccia rubata a Dio:
Badde lontana, Badde Larentu / valle lontana,valle di San Lorenzo 
comente fatto a ti perdonare / come faccio a perdonarti?
Zente allegra e bella festa / Gente allegra e bella festa,
poetes in donzi domo / poeti in ogni casa.
Chelzo cantare, chelzo pregare / voglio cantare,voglio pregare
ma no m’ascultat su coru meu / ma il mio cuore non mi ascolta.
Dami sa manu, santu Larentu / Dammi la mano, san Lorenzo,
deo so gherrende intro a mie / io sto combattendo dentro di me.
Dami sa manu, mi so peldende / Dammi la mano, mi sto perdendo,
faghem’isperare umpare a tie / fammi sperare insieme a te.



8.10.13

"Vajont, lo Stato deve inchinarsi: scusarsi e riparare per quella strage"infatti va tre giorni dopo quando le celebrazioni sono finite e si parlerà d'altro


da repubblica online del 8\10\2013
"Vajont, lo Stato deve inchinarsi: scusarsi e riparare per quella strage"
Disastro del Vajont: Longarone nei giorni successivi alla strage, il 9 ottobre 1963 (ansa)
Alla vigilia della tragica ricorrenza che provocò 1.910 morti a Longarone, interviene la politica. Grasso: la popolazione ha subìto un danno irreparabile. La Boldrini parla di una "ferita aperta". Per il ministro Orlando "la causa non fu l'incuria, la causa fu l'uomo". Il premier in visita sabato 12 ottobre 

"La causa non fu l'incuria. La causa furono l'uomo, le sue colpe e le sue complicità". Le parole sono quelle pronunciate dal ministro Andrea Orlando alla vigilia di una ricorrenza tragica e gravida di dolore: è la strage  del Vajont, che 50 anni dopo continua a lacerare la memoria con i suoi 1.910 morti.  Orlando, intervenuto al Senato in occasione della commemorazione, ha definito quel che accadde alle 22.53 di quel 9 ottobre 1963 a Longarone, in provincia di Belluno, "un simbolo potente dell'Italia che abbiamo costruito, nel bene e in questo caso nel male". Da qui, la sollecitazione allo Stato che deve "chiedere scusa ai propri cittadini. Rispetto a 50 anni fa possiamo forse vantare una maggiore fiducia nella tecnica, non fosse altro per le regole di prudenza che accompagnano ora progressi e sperimentazioni. Non dobbiamo mai abbassare la guardia, ma a tenere alta la guardia sono spesso le popolazioni locali, le resistenze dei cittadini e delle comunità, che non si possono sempre liquidare come 'ambientalismo del no' oppure come 'localismo dei no'". "Il Vajont è sempre attuale perché richiama l'insieme delle questioni intorno alle grandi opere, specialmente in contesti naturali di una bellezza che il mondo ci invidia - spiega Orlando - con la questione delle grandi opere si tocca la questione critica del rapporto tra la tecnica e i suoi progressi e le esigenze di vita e di qualità della vita delle popolazioni". Nei territori "c'è una saggezza antica delle popolazioni, di chi ha esperienza e tradizione dei luoghi, che merita attenzione, fiducia e rispetto. Anche questo ci insegna la famiglia del Vajont", con "le famiglie di Erto che si opposero finché poterono alla costruzione della diga" e con "chi denunciò per tempo ciò che già si sapeva e si poteva evitare".L'aula di Montecitorio ha ricordato con un minuto di silenzio le vittime del Vajont. Ma prima del minuto di raccoglimento, la presidente Laura Boldrini ha voluto sottolineare che "il sentimento di dolore per quella tragedia è ancora vivo nella memoria di tutti gli italiani, compresi molti che quel giorno non erano nati". Secondo la presidente, si tratta "di una ferita ancora aperta" ed anche per questo "non dobbiamo limitarci al ricordo, ma impegnarci affinché le istituzioni si adoperino per mettere in campo azioni concrete in difesa e per la messa in sicurezza del suolo. E necessario per  evitare il ripetersi di tragedie simili".A dire che lo Stato deve inchinarsi dinanzi a questa strage, invece, è stato il presidente del Senato, Pietro Grasso: "Di fronte alla vita spezzata, al deserto di persone, paesi, territori che quel giorno furono schiacciati dal silenzio quasi surreale della devastazione, lo Stato deve inchinarsi, eppure non basta: lo stato deve anche scusarsi. Ma ancora una volta non è sufficiente: lo stato deve innanzitutto riparare. La popolazione colpita ha subìto non solo un danno irreparabile ma anche una vera e propria ingiustizia fatta di negazioni, opacità, tentennamenti e lentezze nel riconoscere i responsabili di quanto accaduto".Domani, aggiunge il presidente del Senato, "sarò in quella terra violata, colpita dal terrore e dalla devastazione", e "sarò lì per portare le scuse dello stato, per riparare".Il premier Enrico Letta ha telefonato al sindaco del paese devastato 50 anni fa, Roberto Padrin, e gli ha assicurato che sarà a Longarone sabato prossimo, 12 ottobre.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...