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3.10.23

diario di bordo n°13 anno I . l'abbracio dei motociclisti all'amico malato di leucemia ., ’ultima moda per disintossicarsi dai social Il logo della app Il logo della app Successo della app Freedom che permette di bloccare l’accesso alle piattaforme più viste ., Sesso non protetto tra i giovanissimi: perché c'è bisogno di educazione sessuale



premetto che nn sono amante delle moto e dei raduni ed credevo che i centauri fosse solo gente che crea disturbo alla quiete pubblica . Ma poi vedeno i due film Easy Rider - Libertà e paura (Easy Rider) film del 1969 diretto e interpretato da Dennis Hopper (Billy); ed il prequel Easy Rider: The Ride Back. 2012 ho cambiato in parte idea e quest'articolo conferma la mia visione attuale






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esercitare la forza doi volonta no ? oppure mettere un blocco alle notifiche nelle impostazioni del cellulare invece di decidere che siuano gli altri , in questoi caso un app a decidere per noi e dipendere da loro ?

da Repubblica 3\10\2023

                                                 di Enrico Franceschini
Cresce il numero di chi sceglie la “modalità da monaco”: l’ultima moda per disintossicarsi dai social Il logo della app Il logo della app Successo della app Freedom che permette di bloccare l’accesso alle piattaforme più viste per concentrarsi su una cosa sola, resistere alle distrazioni digitali e aumentare la produttività





                                         Il logo della app


Londra
In gergo la chiamano “modalità da monaco”. Non consiste nel decidere di andare a vivere in un convento, bensì punta a limitare le distrazioni digitali per concentrarsi su una cosa sola: il lavoro o lo studio, per esempio. Il paradosso è che lo strumento per compiere questa scelta radicale si trova anch’esso sul web: è una app chiamata Freedom (Libertà), che ha visto crescere i suoi utenti del 50 per cento nel 2020 e da allora ha continuato ad espandersi fino ad averne oggi 2 milioni e mezzo a livello globale. L’applicazione in questione permette di bloccare sul proprio telefonino l’accesso ai social media, a specifici siti o completamente a internet. Si può decidere il numero di ore o minuti in cui deve durare il blocco, è possibile cambiare idea e cancellare anticipatamente il blocco e lo si può anche “sigillare”, in modo che non possa essere sbloccato per nessuna ragione fino all’orario e al giorno stabilito. Varie app analoghe, come ColdTurkey, FocusMe e Forest, hanno registrato un incremento di utenti analogo negli ultimi anni. Segnalando il fenomeno in un servizio, la Bbc cita il caso di Susie Alegre, un’avvocata dei diritti umani e scrittrice basata a Londra, che blocca il proprio accesso al web quando ha bisogno di maggiore concentrazione. “Penso che sia estremamente difficile resistere da soli alla tentazione di controllare i social mentre si lavora”, dice Alegre. “Uso la app Freedom quando voglio poter essere contatta telefonicamente ma non voglio altre distrazioni”. E il sistema ha funzionato, permettendole di completare senza ritardi il libro che stava scrivendo proprio sull’argomento, intitolato Freedom to think (Libertà di pensare). Non è la prima a sostenere che i social creano dipendenza. Ogni volta che sul cellulare arriva il suono di una notifica, che si tratti di Facebook, Instagram, X (l’ex-Twitter), oppure di un messaggio su WhatsApp o Messenger, o anche soltanto una email, la spinta ad andare subito a leggere di che si tratta è irresistibile, affermano gli esperti in scienze comportamentali. “I social media assumono i migliori scienziati per rendere il proprio uso più stimolante, non è giusto aspettarsi che un individuo riesca a prendere le distanze da sola”, commenta Fred Stutzman, fondatore della app Freedom. Sempre più gente ricorre perciò alle app che aiutano a resistere alle distrazioni digitali, scegliendo per qualche ora o per qualche giorno la “modalità da monaco”, come testimonia la crescente diffusione del termine. Negli ultimi tempi, infatti, l’hashtag #monkmode è diventato virale, con 77 milioni di visualizzazioni in tutto il mondo rispetto a 31 milioni nello scorso mese di maggio. Un altro paradosso è che, come la app per bloccare l’accesso a internet, anche questo dato proviene dal web.

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Esiste una challenge tra i giovanissimi: si chiama sex roulette e consiste nell'avere rapporti sessuali non protetti, provando a
non incappare in una gravidanza. Questa sfida estremizza una tendenza che esiste da sempre, e non solo tra i giovanissimi, vale a dire il sesso senza protezioni.

Perché avviene questo? Sono davvero giovani “senza sale in zucca”, come commentano molte persone sui social sotto le notizie, oppure questo non fa altro che evidenziare il bisogno di un’educazione sessuale strutturata?
Quanto ne sanno i giovani in termini di contraccezione?
Per rispondere a questa domanda partiamo da alcuni dati, perché non basta parlare per sentito dire, ma bisogna basarsi sulle evidenze.
Lo scorso anno Durex ha presentato il suo annuale osservatorio “Giovani e Sessualità”, in collaborazione con Skuola.net, basato sui dati del 2021. Grazie a questo studio, svolto su un campione di circa 15000 ragazzi tra gli 11 e i 24 anni, possiamo avere uno spaccato su come vivono i giovanissimi il sesso.
Partiamo dal primo dato interessante: il 51% del campione NON è solito usare il preservativo durante i rapporti. Ciò che colpisce è un aumento rispetto al 2018, anno durante il quale era il 43% a non utilizzarlo.
Ma quindi, come mai i giovani non utilizzano il preservativo  e mettono in atto tali comportamenti poco
consapevoli?
Sempre secondo lo studio di Durex, questo è dovuto a uno scarso confronto e dialogo sul tema. Il 54% dei giovani, infatti, dichiara di non riuscire a parlare di prevenzione con la propria famiglia, perché si sente a disagio.
Le informazioni vengono ricercate dal 50% delle persone su internet, mentre il restante non ne parla con nessuno o si confronta semplicemente con gli amici.
Così facendo, chiaramente, le informazioni sono parziali e spesso errate, perché basate su fonti non autorevoli e non controllate.
Siamo proprio sicuri, quindi, che di fronte a notizie come quella dalla quale siamo partiti, ha senso ridurre il tutto alla “stupidità” dei giovani? Io credo di no e credo ci sia bisogno di pensare a una soluzione, affinché quel numero non si alzi ancora di più.
Come informare i giovani sul sesso protetto? Il mezzo migliore, in ogni ambito, per fare informazione è il dialogo. Il dialogo aperto e costruttivo su un tema. Un dialogo che fornisca strumenti e consapevolezza.
Tale tipologia di dialogo si può ritrovare nell’educazione sessuale  volta a promuovere il benessere sessuale.
L’educazione sessuale è un diritto degli individui, come afferma la WAS (World Association for Sexual Health). “Ogni  individuo ha il diritto all’istruzione e il diritto a una educazione sessuale completa. L’educazione sessuale deve essere appropriata all’età, scientificamente accurata, culturalmente adeguata e basata sui diritti umani, sull’uguaglianza di genere e su un approccio positivo alla sessualità e al piacere.”
Ed è proprio per questo che l’Unesco ha inserito l’educazione sessuale negli obiettivi dell’agenda 2030  per l’educazione globale, producendo una guida a riguardo.
Cosa vuol dire fare educazione sessuale?
L'educazione sessuale è uno strumento che guida le persone nel mondo della sessualità. Un mondo che non è fatto solo di rapporti sessuali, ma che è decisamente più ampio. Infatti, la salute sessuale impatta sulla salute generale dell’individuo, perché tocca aree diverse quali l’individualità, le relazioni, le emozioni e non solo. Ed è proprio per questo che va promossa e non dimenticata.
Fare educazione sessuale non significa semplicemente educare alla contraccezione e ai rischi, ma significa, adattando i temi alle diverse fasce d’età, educare le persone alle emozioni, alle relazioni, al rispetto, al consenso, al piacere, alla comprensione delle diverse forme di espressione della sessualità e ai diritti.  L’educazione sessuale, quindi, fornisce gli strumenti per essere più consapevoli e per compiere le proprie scelte responsabilmente e in autonomia.
Chi si deve occupare di fornire un'adeguata educazione sessuale? L’educazione sessuale non è compito semplicemente della famiglia, anzi. Molto spesso le famiglie non hanno le conoscenze e gli strumenti per guidare i figli nel mondo della sessualità. Spesso accade che i ragazzi cerchino risposte da parte dei loro genitori e trovino imbarazzo e silenzio. E questo, per tornare da dove siamo partiti, non fa altro che produrre un effetto negativo sulla sessualità.
Uno degli obiettivi è anche quello di educare le famiglie a fornire un supporto informato e non giudicante. Perché l’educazione che deriva dalle famiglie e dai pari è un elemento importante e utile per i giovani, purché non assuma le caratteristiche di cui sopra.
Ecco che, a fianco delle fonti informali, si rende necessario un intervento strutturato e formale, come quello fornito dai professionisti che si occupano di educazione sessuale.
L’educazione sessuale aumenta l’attività sessuale e i comportamenti a rischio: ma è vero? Spesso, l'educazione sessuale viene ostacolata a causa di una mentalità retrograda secondo cui, questa pratica, aumenterebbe l'attività sessuale e i comportamenti a rischio. Tuttavia, gli studi in materia, così come riassunti nella guida UNESCO, dimostrano il contrario, vale a dire che l’educazione sessuale permette di adottare comportamenti più responsabili. La negazione dell’educazione sessuale e la censura, invece, falliscono nel loro intento di prevenire i comportamenti a rischio.
Come siamo messi in Italia in quanto a educazione sessuale? Come sottolineato di recente al convegno nazionale di AIED (Associazione Italiana Educazione Demografica), l’Italia è una delle pochissime nazioni in Europa a essere priva di programmi curricolari sulla sessualità.
Attualmente esistono dei corsi proposti da associazioni o da liberi professionisti, ma sono sporadici e mai prioritari per gli istituti. Alcune scuole ne promuovono di più e prevedono fondi specifici per tali interventi, altre, invece, si rifiutano. Dipende, quindi, da quale scuola frequenti e cosa decide di approvare. Va a fortuna, quindi. Decide la sorte chi parteciperà a challenge come quella dalla quale siamo partiti.
Ecco che, quindi, lasciare al caso un intervento così importante per la salute delle persone non è più pensabile e nel 2023 è giunto il momento di darle la giusta importanza. E a sostenerlo ci sono i dati scientifici e le linee guida di OMS, ONU, UNESCO e WAS.




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29.9.23

Giandomenico, l’uomo che sussurra ai cani. «Con loro sento di avere tutto» Di emiliano Morrone

 

Una vita dedicata ad aiutare i cuccioli. Il racconto dell’impegno di un trentenne di Cerenzia. «Spendo i miei soldi per quest’opera del cuore»

Comunicare con gli animali è un’arte, ricorda la letteratura insieme al cinema. Nel romanzo “L’uomo che sussurrava ai cavalli”, poi trasposto per il grande schermo, il protagonista Tom Booker guarì il destriero Pilgrim e la padrona Grace, vittime di un incidente molto grave. Nel film “Balla coi lupi”, tratto dall’omonimo racconto, il tenente John Dunbar ammansì un lupo, divenne suo amico e lo nominò «Due calzini». Anche in ambito religioso ci sono vicende simili, di affezione reciproca. Il mite Francesco d’Assisi chiamava «frate» il lupo di Gubbio e, secondo una leggenda, l’abate Gioacchino da Fiore, confessore dell’imperatrice Costanza d’Altavilla, ascoltava e capiva i propri buoi

Nel 2018, l’ambientalista Kevin Richardson, capace di parlare con i leoni e di abbracciarli come figli, creò una fondazione per proteggere e studiare vari felidi. In contrada San Lorenzo di Caccuri, nei pressi di Cerenzia, il trentenne Giandomenico Oliverio, massiofisoterapista, ospita una quarantina di cani randagi che ha salvato da fame, freddo e malattie. Il giovane li ha raccolti per strada o per boschi, valli, dirupi. Li ha trovati smagriti, spaventati, confusi; talvolta sospettosi, pieni di pulci, ferite, vermi delle mosche. Allora li ha presi con sé, ha dato loro cure, cucce e libertà, nella sua dimora di campagna che sovrasta i ruderi di Acheronthia e affaccia sullo Ionio crotonese. Il ragazzo conosce carattere, abitudini e bisogni dei suoi amici a quattro zampe, cui assicura cibo, acqua ed assistenza, anche dal veterinario. 
Nella proprietà della famiglia, Giandomenico abita da solo. La sua vita domestica si svolge in pochi metri quadri, in una roulotte attrezzata davanti a una colonica che ha riscattato dai parenti e sta ristrutturando con i propri risparmi. «Sto qui – dice – dal 2021. Durante la pandemia non potevo muovermi, non riuscivo più a occuparmi dei cani abbandonati dai rispettivi padroni e quindi mi sentivo perduto, spento, impotente. Scelsi di trasferirmi in questo posto e mi rimboccai le maniche. Grazie all’aiuto di papà e mamma, realizzai spazi adeguati e una recinzione a prova di cinghiale. Con tanto sacrificio, creai le condizioni per rimanere a San Lorenzo insieme ai cani, una decina, che custodivo nel garage della casa dei miei genitori. Poi ne ho accolto molti altri. Da me è un viavai di cani, tra quelli che ricevo, quelli che recupero in giro e quelli che dono a persone sensibili. Credimi, sento di avere tutto: la gioia, la terra, un compito definito e una pienezza indescrivibile». 

Giandomenico lavora in una clinica privata dalle ore 9 alle 17. La mattina, spiega, si alza alle 5, va a salutare i cani, verifica se stanno bene, li abbevera e ci dialoga. Ne ha imparato il linguaggio e si rapporta con gli sguardi, i gesti, i toni giusti. Sa capirli e farsi comprendere. Gli basta poco per interagire con loro, per intuirne stati d’animo e necessità. Dopo carica la macchinetta del caffè e si sistema per uscire. Al suo ritorno, verso le ore 18,30, il giovane ricontrolla i cani e interviene, se occorre, con antiparassitari e trattamenti di primo soccorso. Poi li fa mangiare e in seguito prepara la cena per sé. «Vado a dormire più o meno a mezzanotte, perché – precisa Giandomenico – i cani sono parecchi e non posso trascurarli. Nel tempo residuo, mi dedico alla coltivazione di ortaggi e consumo ciò che produco. Spendo i miei soldi per quest’opera del cuore e per ricuperare la colonica qui accanto. Nei fine settimana parto spesso per il Nord. In diverse città calabresi prelevo dei cani da affidare in adozione. Arrivo la domenica mattina a Bolzano, a Genova, a Milano e non solo. È la staffetta cui partecipo con altri volontari: viaggio con un camioncino, consegno i cani al nuovo padrone, rientro in Calabria, riprendo il mio furgone e rincaso. Sono almeno 2500 chilometri ogni volta». 

La vita di Giandomenico è fatta di rinunce: agli amici, a una compagna, alle serate in comitiva, al successo, al denaro, al senso di vuoto. Il giovane preferisce la natura, l’agricoltura, un lavoro per campare e il servizio gratuito insieme ad altri volontari cinofili, pure di altre regioni. «Abbiamo costituito una grande rete di solidarietà. C’è chi mi spedisce sacchi di croccantini; chi – aggiunge il ragazzo – mi rimborsa parte delle spese affrontate per il cane che ha adottato; chi, con piccole ma utili donazioni, sostiene nel silenzio i nostri sforzi quotidiani. Non faccio conti. A livello economico ci perdo sempre, ma vengo compensato dall’affetto degli animali che vedi qui attorno».
Otto anni fa Giandomenico ebbe a Montescuro, nella Sila Grande, il primo incontro con un cane abbandonato. «Facevo il cameriere – ricorda – ed eravamo in piena stagione. Una cagnetta venne da me, non so per quale motivo. Forse presagì che l’avrei aiutata. Appariva morta di fame, malconcia, triste, disorientata. Mi entrò nel cuore, le procurai del cibo e infine l’adottai. Questa è la storia di Zoe. Molto più in là, con mia madre trassi in salvo una femmina di Corso abbandonata ed irrequieta che non voleva farsi avvicinare. Con calma e pazienza la rassicurai e la tenni con me. Dopo qualche mese, la portai in provincia di Bolzano, da una famiglia stupenda cui era morto un cane. Questi signori non volevano un sostituto, ma dopo un po’ si innamorarono della povera sventurata, la vollero a casa e la chiamarono Karma, non a caso. Ogni tanto vado a trovarli ed è una festa bellissima: loro sono felici, Karma fiuta il mio arrivo e comincia a correre ed abbaiare come se stesse ballando e cantando. È incredibile il sesto senso degli animali e ci fa riflettere su come siamo ormai ridotti, chiusi nella mondanità, nell’egoismo e nell’indifferenza del presente».
C’è ancora un’umanità da riscoprire, a portata di mano: al di là delle convenzioni e delle abitudini dominanti; appena fuori dal mercato, dai consumi, dagli inganni del mondo virtuale. (redazione@corrierecal.it)

cosa diranno i "prima gli italiani" su Sara Curtis ( madre nigeriana padre italiano ) che ha battuto il record della Pellegrini

 da  Lorenzo Tosa   Bisogna che si parli di quello che ha appena combinato in vasca questa ragazza qui, Sara Curtis da Savigliano (Cuneo), c...