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25.12.11

E' Natale...

Un Gesù Bambino nero contro ogni razzismo.
"...Per il cosiddetto Natale, per la Babilonia delle feste dei ricchi, per le lobby, per le mafie, per i partiti, per i prelati - verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora piu' forte per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti. - Compagne e compagni, amici e amiche, eterosessuali, gay, lesbiche, transessuali, atei, agnostici, cristiani, musulmani, buddisti, indù, continuiamo a camminare tutti in direzione ostinata e contraria. Su la testa! UN CALDISSIMO ABBRACCIO A TUTTA LA TERRA! Scavalchiamo i "MONTI" al grido LIBERTA'-UGUAGLIANZA-FRATERNITA'! SE NON ORA QUANDO?" (Don Andrea Gallo, prete del marciapiede) PDTM NEWS24H

8.9.11

Un vescovo-madre

Dopo nove anni di episcopato, il card. Tettamanzi lascia la Cattedra ambrosiana





A Bresso, dietro il Parco Rivolta, al confine con la strada, si trova uno spazio vuoto, in marmo bianco, circondato da un cancelletto. Un rettangolo dalle linee severe eppur addolcite dalle dimensioni domestiche, dal colore stesso, candido, certo, ma tenue, e leggermente venato di rosa. È un limite sospeso, che presto sarà occupato da un monumento. Ai caduti? alle donne del Risorgimento? Ancora lo ignoriamo.






Tettamanzi festeggiato dai fedeli della Valbiandino. Sotto: con Madre Maria Vittoria Longhitano, parroca della Chiesa veterocattolica ambrosiana; in basso: in mezzo ai Rom del Triboniano.






Mentre, ieri, costeggiavo quell’opera in divenire, ricordavo l’ingresso a Milano del cardinale Tettamanzi, la difficile eredità che si accingeva a raccogliere. Ricordo quella partenza a piedi da Renate, la sua città natale, immersa nella Brianza lussureggiante e devota: terra di parroci, di oratori, di processioni. All’epoca, il prelato aveva già sessantotto anni e mi venne spontaneo compiangerlo un po’: “Poveretto, che fatica”. Ma non alludevo solo al disagio fisico. Era il peso morale che, in realtà, mi spaventava. Tettamanzi arrivava a dirigere la diocesi più grande d’Europa, retta fino ad allora dal “monumento” Carlo Maria Martini. So che quest’ultimo non amerebbe esser definito così; l’aura sepolcrale e fredda che comunemente associamo a tale vocabolo non rende giustizia a un principe della Chiesa dimostratosi pastore attento e solerte, vivo, “prossimo”. Eppure, pensando a Martini, viene quasi spontaneo. Nel senso migliore. Lo era per il tratto solenne, asciutto, grave e lieve della persona e dell’apostolato. Per il misticismo lombardo ed essenziale, lui nato ad Alessandria. Ripenso a Martini e vedo una marcia trionfale. Guardo Tettamanzi e lo associo al trotterellare un po’ ansioso del curato di campagna, che chiede permesso quando varca la soglia di casa. Una presenza familiare, anche troppo. Al punto, quasi, di non badarvi. Ma senza la quale ci si sente persi. Perché quella presenza lavora, è indispensabile. Se, come hanno scritto nel loro saluto i preti bressesi, il vescovo è anche madre, Tettamanzi è stato sicuramente una madre: operosa, ma discreta. Una che c’è sempre stata, e che al momento giusto appare come un’epifania. Tettamanzi e la fatica. Un’altra caratteristica che lo associa alle madri. Non solo gli toccava subentrare a Martini. Ma entrava in una Milano livida, frastornata, rancorosa e impaurita. A ridosso dell’11 settembre. Il senso dell’accoglienza nei confronti dello straniero, tipicamente meneghino, si era eclissato. L’altro, il diverso era ormai solo un nemico, di un’altra razza, addirittura d’una diversa umanità o – ciò ch’è peggio – di nessuna. La politica alimentava questo ritorno alla barbarie, anzi, lo ergeva a valore; altri brianzoli, di corta veduta e di fragile fede, brandivano crocifissi di legno per bastonare i crocifissi della società. E qualche vescovo, nemmeno tanto copertamente, li benediceva.


Erano i tempi dello scontro di civiltà, di Oriana Fallaci che dalla terza pagina del “Corriere” scagliava truculente invettive contro il nemico islamico. E qualcuna ne toccò proprio a lui, al nuovo arcivescovo, appena questi individui, che non mancavano di professarsi ad ogni occasione atei devoti (un assurdo logico prima che linguistico), realizzarono che non stava dalla loro parte.

Il parroco di campagna, erede d’una lunga tradizione di solido cattolicesimo, iniziò subito con la ricerca del dialogo con i musulmani e gli immigrati in genere. Innanzi tutto, con Dio. Tettamanzi era ed è uomo di preghiera, un mistico anch’egli, non di folgoranti lumi, ma della quotidianità, come la protagonista della dramma perduta. Ma non per questo meno profondo e, oseremmo dire, voraginoso. La preghiera è azione e Tettamanzi l’aveva compreso bene. La preghiera gli permise di vedere non in un’astratta entità, ma nella vita di ognuno, il volto di Dio. Fermo nella fede, non temeva quella degli altri, che anzi sentiva parte integrante della propria. Fu solo, disperatamente solo. Lo amavano le associazioni, non solo cattoliche; lo stimavano e vi erano affezionati i credenti di altre fedi e confessioni: penso non solo ai protestanti, ma pure alla piccola e nuova (per Milano) realtà veterocattolica, la cui presbitera è stata ricevuta in diverse occasioni dall’arcivescovo e ha concelebrato con altri ministri nel corso della settimana per l’unità dei cristiani. Ma la politica trionfante e aggressiva, e i potenti fondamentalisti lombardi, nutrivano per lui un odio inestinguibile. Cristianisti ringhiosi e sguaiati giunsero ad appioppargli l’epiteto, per loro sommamente ingiurioso, di “imam” quando auspicò la costruzione d’una moschea e d’un centro culturale islamico. La giunta comunale del tempo, dietro i sorrisi di circostanza, si guardò bene dall’ascoltarlo. In anni di sgomberi di campi rom, egli era lì, in mezzo a loro, a celebrare la Messa di Natale. Poi venne il caso Englaro. E nuove solitudini e amarezze per il nostro cardinale. Egli non approvava la decisione del papà di Eluana. Ma non gli uscì una parola di condanna nell’omelia ch’egli dedicò, pastoralmente, al senso dell’esistenza umana, e al termine della quale esortò, ancora una volta, alla preghiera. O meglio, alla contemplazione. Al tabernacolo. Ai cristianisti, analfabeti dei più elementari dettami del Vangelo, parve una posizione rinunciataria; e ignoravano che solo la dimensione contemplativa della vita (come, non casualmente, s’intitolava la prima lettera pastorale del predecessore Martini) può permettere ai nostri atti un respiro vasto, un segno che si configge e resta cristallino: roccia, guida.

Tettamanzi era un moralista, curava la pastorale familiare. Come un altro grande lombardo, Angelo Roncalli divenuto poi Giovanni XXIII, aveva in mente le riunioni umane delle sue valli, i padri, le madri, i nonni e la numerosa prole. L’amava; e, per questo, vedeva la famiglia includente. Lui, che considerava il divorzio una grande ferita per la società ancor prima che per la persona, fu il primo a pubblicare una toccante lettera indirizzata a chi aveva perduto quella felicità. E a chi, come pastore, avrebbe dovuto accoglierlo. I divorziati risposati – amava ripetere – non devono sentirsi fuori della Chiesa. In fatto di dottrina era intransigente, ma se le parrocchie hanno cominciato una pastorale per le famiglie disunite, lo si deve soprattutto a lui.

La felice intuizione della Chiesa “famiglia cellula della società” per Tettamanzi non rimase lettera morta o, peggio, occasione per inefficaci e perbenistici strali contro gli “irregolari”. Capì che la famiglia non poteva esser difesa solo a parole. Che molte si disfacevano, o non si componevano proprio, per una crisi sociale che si allungava nel nostro “ricco” mondo. Mentre qualche governante allegrone assicurava per l’Italia fiumi di latte e montagne di marzapane, Tettamanzi nel 2008 scriveva: “In questo Natale già segnato dalle prime ondate di una grave crisi economica, un interrogativo mi tormenta: io, come Arcivescovo di Milano, cosa posso fare? Noi, come Chiesa ambrosiana, cosa possiamo fare?”. Io-Noi. Se Martini si trovò ad operare in tempi di edonismo nascente, a Tettamanzi toccò un’altra fatica, quella di fronteggiare l’egotismo deflagrato, ormai in agonia, e perciò ancor più feroce e invasivo. L’Io, anzi l’Ego tanto celebrato, non poteva esistere senza il Noi, privo cioè di relazione. “Non è bene che l’uomo sia solo”: non per sé, ma nemmeno per il mondo ch’egli ha costruito a sua immagine. E l’uomo diuturno fu colto, questa volta, dall’illuminazione rovente, quel Fondo Famiglia-Lavoro che, destinato a famiglie e singoli colpiti dalla crisi economica, ha finora messo a disposizione quasi tredici milioni di euro e che continuerà a operare fino al 31 dicembre prossimo.

Due giorni fa, l’ultimo affondo: sulla questione morale. “In politica – ha denunciato – dai tempi di Tangentopoli non è cambiato nulla”. Troppo, decisamente, per certe orecchie foderate. “Non vedono l’ora che arrivi ‘quel’ giorno, i grandi elettori meneghini del centrodestra – ha scritto qualche mese fa una rivista on line. – aspettano con ansia il pensionamento, per raggiunti limiti d’età, di un vescovo mai vissuto come la propria guida spirituale. Mugugnarono quando Dionigi Tettamanzi aprì il Duomo, durante una messa dell’Epifania, alle comunità straniere in nome della multiculturalità, si irrigidirono quando prese le difese delle associazioni laiche e cristiane a sostegno dei diritti civili delle popolazioni romanì contro gli sgomberi e non nascondono tutta la loro irritazione ogni volta che il porporato alza la voce contro il degrado della politica”. Ora “quel” giorno è arrivato, Tettamanzi verrà sostituito dal vescovo ciellino Scola. Ma non ci s’illuda: la lezione di Tettamanzi non andrà perduta, perché s’innerva nella grande tradizione ambrosiana, di Ambrogio, di Carlo Borromeo, il quale, come si sa, fece un po’ di tutto: dalle scuole per ragazze povere ed ex-prostitute, alle case per l’infanzia, agli ospizi per i poveri. E bastonò i potenti.


Io, comunque, preferisco associarlo a un vescovo ancor più remoto, che già nel nome, con lui, condivideva la sollecitudine e la fatica: Materno, oggi ricordato da una chiesa e una piazza in Lambrate, periferia della città, angolo della storia. Respiro di Dio.



29.11.09

Il Crocifisso: braccia aperte per ogni uomo

Vi sottopongo un'altra interessante riflessione.

In queste settimane noi pastori siamo stati più volte interrovati da cristiani e non cristiani sulla vicenda del Crocifisso. In molti siamo stati toccati dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che ne proibisce l'esposizione nelle aule scolastiche italiane perché sarebbe contraria al diritto dei genitori di educare i figli in linea con le loro convinzioni e per salvaguardare il pluralismo educativo di una società democratica.

Ci pare opportuno offrire a tutti queste considerazioni:

- Condividiamo le parole dei nostri vescovi e di tutti coloro che hanno espresso amarezza e perplessità sulla sentenza che ha colpito il segno che più rappresenta una grande tradizione, non solo religiosa, del Continente europeo. Con tale miopia come può l'Europa camminare?

- Facciamo nostro l'invito del Papa ai cristiani di avere coraggio nell'esprimere la propria fede, anche nelle forme pubbliche: troppe volte è pavido l'atteggiamento del cristiano ed insignificante la testimonianza di una fede che feconda tutti gli ambiti di vita.
Gerusalemme, via Dolorosa: un artigiano palestinese vende croci per la settimana della Passione.


- Ci sta a cuore domandare ai cristiani: questo segno del Crocifisso ha un senso vero per la tua fede, per la tua vita? Davvero richiama, appeso nelle nostre case o portato al collo, quella fiducia in Dio e quell'amore senza confini che sulla croce Gesù ci ha mostrato? Qui c'è la radice dell'identità del cristiano della quale, nella mitezza, siamo fieri.


- La rappresentazione della passione e della morte di Cristo, concentrata nel segno del Crocifisso, nei secoli è divenuta anche un simbolo umano, culturale, oltre che religioso. Il Crocifisso indica il prezzo pagato per creare pace, giustizia, fraternità, rispetto del valore di ogni persona. In questo senso non è offensivo né discriminatorio per nessuno ed è giustamente riconosciuto nel nostro ordinamento come un segno della nostra cultura, e non solo il segno confessionale della maggioranza degli italiani. Ecco il perché dell'opportunità dell'esposizione del Crocifisso nei luoghi pubblici ed istituzionali, in particolare nelle scuole: un segno a favore di tutti e mai contro qualcuno.

- La non cristiana Natalia Ginzburg scriveva nel 1988 in un articolo dal significativo titolo: Non togliete quel crocifisso: è il segno del dolore umano: "Il crocifisso non genera nessuna discriminazione, è l'immagine della rivoluzione cristiana che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino allora assente". E aggiungeva: "Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo".

- Per questo motivo non sono condivisibili dalla comunità cristiana atteggiamenti che fanno del Crocifisso un segno identitario brandito contro qualcuno: il Crocifisso non va strumentalizzato, né può essere usato in alcuna battaglia; né contro alcuna persona. Anche la storia lo ha insegnato. E' l'icona di chi alla violenza e all'ingiustizia risponde con parole di pace e gesti d'amore. Quelle braccia aperte sulla croce lo dicono più di molte parole.

- Eco perché difendendo il Crocifisso sui muri non si può restare indifferenti a quei "crocifissi" della vita (poveri, disoccupati, immigrati, disabili...) che esso tutti abbraccia: lui chiede a noi di fare altrettanto. Questo vale per tutti.

Affidiamo con amicizia queste parole alla riflessione dei cristiani e di chi non si riconosce in questa fede; crediamo infatti che il Crocifiso abbia la capacità non tanto di scaldare e dividere gli animi, quanto di stimolarli a guardare a Dio come al nostro miglior alleato e agli uomini come a fratelli di cui prendersi cura.
Fraternamente.


I preti del decanato di Bresso, Cormano, Cusano ("Informatore San Carlo", dicembre 2009)

25.10.09

Carlo delle città


Don Gnocchi era l'infanzia. Non l'infanzia mutilata, lacera e macilenta. L'infanzia, e basta. La mia, innanzi tutto, perché la sua figura mi ha accompagnata fin dai testi scolastici. Perché la via a lui dedicata, a Bresso, sorge sul limitare della grande metropoli, nella periferia ancora disadorna, brulla e ingrigita. Perché le immagini che lo ritraggono, già circonfuso di un'aura sfuggente, hanno qualcosa di fanciullesco. Lo sguardo. Completamente libero, trasparente, senza sopraccigli, sconfinato sulla fronte spaziosa e infinita.
L'infanzia dunque, e, conseguentemente, l'interezza. Nulla di dolciastro, di patetico, di limitato nell'operosità di questo prete lombardo, sottile come un giunco. Se oggi siamo giunti alla consapevolezza che il bambino è persona completa e intatta, lo dobbiamo in gran parte a lui. Non si limitava ad accogliere, come testimonia Vincenzo Russo che, prima di diventare uno stimato professionista, è stato ospite del sacerdote. Lui voleva davvero che gli ultimi fossero i primi; non soltanto spiritualmente, ma effettivamente. Quel termine, "mutilatini", mi ha sempre impressionata, perché il diminutivo non riusciva ad attenuare l'immane tragedia d'una realtà che nulla concedeva al lezioso o al libresco. Quel termine ci diceva: esiste il dolore innocente, esistono individui sfregiati da un odio insensato e brutale, esistono e il loro grido si perde nel silenzio, anche in quello di Dio. E quindi non solo gli storpiati dalla guerra, ma gli svantaggiati di ogni tipo, disabili, emarginati. Bambini. Si torna sempre lì. Il bambino è l'emarginato per eccellenza, anche quando cresce forte, accudito e sano. Perché è basso, indifeso, barcollante. Ed ecco il motivo per cui pure noi, figli o ex-figli del benessere, non fatichiamo a identificarci in quelle fotografie d'infanti stecchiti, di calzoni corti cui spuntano incerti arti di cerbiatto, o rami d'inverno. E' la nostra vita che biascica, che spunta nuda e sola in un mondo impietoso.
Don Carlo ha dimostrato che per loro, per noi, in quell'istante più isolato della nostra vita, c'è qualcosa. Dio? Il rispetto, innanzi tutto. Rammenta don Giovanni Barbareschi, prete partigiano, incarcerato per la sua attività antifascista, per anni stretto collaboratore del card. Martini: "Una delle frasi più belle che don Gnocchi mi disse prima di morire? 'Il primo atto di fede che un essere umano deve fare non è in Dio ma nella sua libertà di uomo, perché anche la libertà di uomo è un atto di fede'. E qui è tutto don Carlo".
Don Barbareschi rievoca le ultime ore di vita di Carlo Gnocchi alla comunità comunità pastorale San Martino in Lambrate - SS. Nome di Maria.
Ho voluto intitolare questo ricordo "Carlo delle città", non solo "dei mutilatini" o "dei bambini", proprio per questo suo essere "tutto" a partire dal "niente". Dalla città, vuota. La città teatro di guerre, sia materiali, sia interiori: le guerre dell'incomunicabilità, dell'angoscia e della solitudine. La città come luogo dell'assenza di Dio. La città disposta a tributare un omaggio formale ai profeti che la solcano, ma che ignora le concrete domande dei figli (oggi, le mamme della scuola intestata a don Carlo diserteranno la cerimonia di beatificazione, prevista per le ore 10 in Duomo, in segno di protesta contro i tagli del Ministero, che ha lasciato a casa 15 delle 60 maestre provocando seri disagi agli alunni, disabili gravi). Carlo, nome fatale per gli ambrosiani, non venga dunque vanificato su un altare, ma continui a percorrere queste vie. Se vogliamo che le nostre Ninive d'oggi conoscano ancora un respiro di speranza.

18.10.09

19 ottobre: anniversario di Aldo Capitini, filosofo religioso, ideatore delle marce per la pace

(Calendario Liturgico: COMMEMORAZIONE, colore liturgico del Tempo)

Aldo Capitini nacque a Perugia il 23 dicembre 1899 da una famiglia della piccola borghesia: suo padre era un impiegato comunale. Conseguito un diploma tecnico, la sua sensibilità ben presto lo porta come autodidatta agli studi classici e umanistici fino a sostenere gli esami liceali ed ottenerne il diploma. Si iscriverà alla Normale di Pisa dove conseguirà la Laurea in Lettere e Filosofia; nella stessa Università lavorerà come Segretario Economo. Con l'avvento della dittatura fascista ed il suo rifiuto di iscriversi al Partito Fascista, Capitini perde il lavoro e per mantenersi deve dare lezioni private. L'atteggiamento alquanto accondiscendente della Chiesa Cattolica Romana verso la dittatura, lo porta ad interessarsi anche dell'ambito religioso, di cui auspica una Riforma che, come nel sociale, vede possibile con il metodo della nonviolenza indicato da Gandhi; inizia in quel periodo la sua adesione anche al vegetarianesimo. Per le sue idee democratiche e antiautoritarie, conosce per due volte il carcere sotto il fascismo. Nel dopoguerra darà vita ad iniziative volte alla partecipazione democratica e in aperta contestazione delle Istituzioni sia Civili che Religiose di carattere autoritario; questo atteggiamento di onestà intellettuale gli costerà l'isolamento sia civile che religioso. Scrive di Capitini il suo amico Norberto Bobbio: "La ragione per cui, in Capitini, la battaglia contro la Chiesa e la battaglia contro lo Stato si confondono, si sovrappongono, è che il nemico è sempre lo stesso: il potere che viene dall'alto, anche se viene là con la coercizione spirituale, qua con la coazione fisica". Aldo Capitini, quest'uomo mite e onesto, professore di Pedagogia all'Università di Perugia, porterà avanti le sue idee anche con importanti scritti come La Compresenza dei Morti e dei Viventi, Vita Religiosa, Religione Aperta. Morirà il 19 ottobre 1968; sulla sua tomba la scritta: "Libero pensatore".


UFFICIO DI SESTA: sal 1 e 8

Preghiera Propria (monaci arancioni)

Signore nostro Dio, nella vita e nelle opere del filosofo Aldo Capitini, noi abbiamo l'esempio e l'insegnamento di un uomo che ci addita la via della nonviolenza che è rispetto delle creature che tu hai voluto. Questo uomo ci indica la via della mitezza e della pace che è profonda comunione con l'esistente, e del Servizio che non è mai esercizio di potere. Donaci sempre di capire che tutto ciò che è potere e violenza non viene da te; tu che nel Logos ci hai ricordato che la religione è per l'uomo e non l'uomo per la religione. Per Cristo, nostro Signore. - Amen.


(grazie a Ronny Rik)

5.7.09

La gloria di Dio risplende sul volto di ogni persona

Dolore e orrore perché il razzismo è ormai “a norma di legge”

“Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). La Parola di Cristo porta a compimento la logica della Scrittura dal Levitico 19,33-34 –“Tratterete lo straniero che risiede fra voi come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso”, al Deutoronomio 10,19 – “Amate lo straniero perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, alla Lettera agli Ebrei 13,2 – “Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, hanno ospitato senza saperlo degli angeli”.

Dolore e orrore. Il 2 luglio 2009 è stata votata una legge che rompe l’unità della famiglia umana e ne offende la dignità, prende piede l’idea che esistano esseri umani di seconda e terza categoria, un popolo di “non-persone”, di esseri umani, uomini e donne invisibili. E’ una perdita totale di senso morale e di sentimento dell’umano; questo accade, nel nostro paese che ha prodotto milioni di emigranti. La legge “porterà solo dolore”, osserva Agostino Marchetto del Pontificio Consiglio dei Migranti.
Il dolore nasce dall’orrore giuridico e civile del “reato di clandestinità”, dall’idea del povero come delinquente e della povertà come reato. La legge votata non è solo contraria alla nostra Costituzione ma a tutta la civiltà del Diritto. Punisce una condizione di nascita, l’essere straniero, invece che la commissione di un reato. Dichiara reato una condizione anagrafica. Infermieri, domestiche, badanti, lavoratori (vittime spesso di morti nei cantieri) o persone in cerca di lavoro e di dignità diventano delinquenti. A questo punto, quanti stranieri frequenteranno un servizio sociale o si rivolgeranno, se vittime della “tratta”, ad associazioni volontarie o istituzionali, forze di Polizia comprese, oggi messe in un angolo dalla diffusione delle cosiddette “ronde”? Quanti stranieri andranno a far registrare una nascita, si presenteranno in ospedale per farsi curare? Quali gravi conseguenze questo potrà produrre sulla salute di tutti i cittadini è già stato evidenziato da moltissime associazioni di medici. Siamo il paese di Caino?Abbiamo una legge cattiva che ostacola i matrimoni, rompe l’unità delle famiglie. Si introduce il divieto per le donne straniere, in condizioni di irregolarità amministrativa, di riconoscere i figli da loro stesse generati che diverranno “figli di nessuno”, potranno essere sottratti alle madri e messi nelle mani dello Stato. Neanche il fascismo, hanno rilevato alcuni scrittori, si era spinto fino a questo punto. Infatti le leggi razziali del 1938 non privavano le madri ebree dei loro figli, né le costringevano all’aborto per evitare la confisca dei loro bambini da parte dello Stato. La legge è pericolosa perché accrescerà la clandestinità che dice di combattere, favorirà il “si salvi chi può”, darà spazio alla criminalità organizzata, aumentando l’insicurezza di tutti.
Non c’è futuro senza solidarietà. La legge, tra l’altro, è inutilmente crudele, ricorda don Ciotti. Ci fa tornare ai tempi della discriminazione razziale. E’ una forma di accanimento contro i poveri anche se la povertà più grande, oggi, è la nostra: povertà di coraggio, di umanità, di capacità di scommettere sugli altri, di costruire insieme una sicurezza comune. La sicurezza basata sulla paura sta diventando un alibi per norme ingiuste e dannose, per scaricare il malessere di molti italiani sugli immigrati, capro espiatorio della crisi, bersaglio facile su cui sfoghiamo il tramonto di ogni etica condivisa e della testimonianza cristiana. La tutela della vita e della dignità umana va assunta nella sua interezza per tutti e in ogni momento dell’esistenza. “Non c’è futuro senza solidarietà” scrive il cardinal Tettamanzi. Non c’è sicurezza senza l’aiuto reciproco, senza l’esercizio dei diritti e dei doveri dentro un’azione comune per il bene comune.
Costruire comunità e città conviviali. Benedetto XVI da tempo ci invita come comunità ecclesiale a diventare “casa ospitale per tutti, segno e strumento di comunione per l’intera famiglia umana”. Per il Papa ogni comunità cristiana deve “aiutare la società civile a superare ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza e di esclusione […]. Solo nella reciproca accoglienza di tutti è possibile costruire un mondo segnato da autentica giustizia e pace vera” (Angelus 17 agosto 2008).
Invitiamo, quindi, le comunità cristiane e tutti gli operatori di pace a mobilitarsi per costruire la pace nella vita quotidiana spesso prigioniera di solitudini, governata dalla paura e coinvolta in progetti tribali e autoritari.
La gloria di Dio. Nessuno ci è straniero anche perché la distanza che ci separa dallo straniero è quella stessa che ci separa da noi stessi e la nostra responsabilità di fronte a lui è quella che abbiamo verso la famiglia umana amata da Dio, verso di noi, pronti a testimoniare la profezia del Risorto che annuncia la pace. “Dio non fa preferenze di persone” (Atti 10,34, Romani 2,11 e 10,12; Galati 2,6 e 3,28; Efesini 6,9; 1 Corinti 12,13; Colossesi 3,11) poiché tutti gli uomini hanno la stessa dignità di creature a Sua immagine e somiglianza. Poiché sul volto di ogni uomo risplende qualcosa della gloria di Dio, la dignità di ogni uomo davanti a Dio sta a fondamento della dignità dell’uomo davanti agli altri uomini (Compendio della dottrina sociale n. 144).
Questi nostri giorni sono difficili ed oscuri. E' stata oscurata la gloria di Dio.

Pax Christi, Domenica 5 luglio 2009
www.paxchristi.it info@paxchristi.it

10.6.09

ELEZIONI: LE DOGLIE DOPO IL PARTO

Contro la storia, la stupidità
Chi si contenta gode. Poteva andare molto peggio. Bisogna prendere atto della realtà. L’Europa va a destra, sceglie la xenofobia come metodo politico (Austria, Olanda, Repubblica Ceca, e Italia) e non si accorge che sarà travolta dalla forza della Storia che non si ferma davanti al alcun ostacolo. Anche se restassi solo in tutta Europa e nel mondo, continuerei a pensare e a dire che la maggioranza sbaglia e su questo fronte ne pagherà conseguenze amare. La maggioranza è solo una forza, spesso fondata sull’ignoranza o sulla manipolazione, mai potrà “fare verità”. Si può sbagliare da soli, ma anche in massa. Penso che l’attuale maggioranza degli Italiani e Italiane si siano venduti il cervello e ne sono anche contenti: cornuti e felici come si addice ad una Italia corrotta e masochista.
Chiunque avesse visto il «Report» della Gabanelli di domenica 7 giugno 2009, se ne avesse avuto bisogno, si sarà reso conto che l’emigrazione è frutto delle politiche assassine dell’occidente: società come Eni e Agip hanno ucciso non solo la popolazione, ma anche la terra della Nigeria, del Sudan e degli altri paesi africani per i prossimi secoli: il gas e il petrolio ad ogni costo. Lo sfruttamento delle materie prime, letteralmente derubate, e le conseguenti scorie lasciate sul posto a carico di quei paesi e l’inquinamento irreversibile di acqua e terra, sono la causa prima dell’immigrazione clandestina. Chiunque accende un fornello o pigia un interruttore o accende il ventilatore, deve sapere che quel gesto è frutto del furto che l’Italia, per quanto ci riguarda, opera in Africa. Noi siamo complici di genocidi e abbiamo anche il coraggio di respingere i residuali sopravvissuti che vengono a chiedere le briciole che cadono dalla mensa del nostro benessere. Moralmente e giuridicamente, noi siamo condannati alla pena capitale senza appello e senza anestesia. Saremo travolti dalle nostre stesse scelte e paure, quando la «collera dei poveri» raggiungerà il punto critico e inizierà inarrestabile l’esodo dal sud del mondo, come aveva profetizzato Paolo VI nell’enciclica Populorum Progressio nel 1967 (42 anni or sono!!!!): «I ricchi … ostinandosi nella loro avarizia, non potranno che suscitare il giudizio di Dio e la collera dei poveri, con conseguenze imprevedibili. Chiudendosi dentro la corazza del proprio egoismo, le civiltà attualmente fiorenti finirebbero con l'attentare ai loro valori più alti, sacrificando la volontà di essere di più alla bramosia di avere di più. E sarebbe da applicare ad essi la parabola dell'uomo ricco, le cui terre avevano dato frutti copiosi e che non sapeva dove mettere al sicuro il suo raccolto: «Dio gli disse: “Insensato, questa notte stessa la tua anima ti sarà ritolta” (Lc 12,20» (Populorum Progressio, 49).

Confronto di civiltà: non cristiana e cristiana
Nel 2° millennio avanti Cristo, Abramo emigra da est verso ovest, Giacobbe si trasferisce in Egitto con tutta la tribù e il faraone gli concede una terra dove vivere con uomini, donne e armenti. Erano più civili quando non c’era ancora la civiltà occidentale-cristiana (!?) e i rapporti tra i popoli si misuravano sulla forza. Il cristianesimo ha portato un messaggio di universalità e di comunione, dichiarando la fine della Torre di Babele e inaugurando l’era della Pentecoste, in cui tutti i popoli parlano la stessa lingua umana perché come una è la terra così esiste una sola famiglia umana che ha diritto «pro capite» alle stesse risorse di tutta la terra. Dopo due mila e passa di cristianesimo, noi siamo già tornati all’inciviltà della preistoria e Dio e religione sono solo ingredienti di una poltiglia che ci serve per drogarci ad intermittenza a seconda delle convenienze. Queste elezioni europee e per noi anche amministrative dicono che noi vogliamo tutto e non vogliamo cambiare né vita, né strategia, né indirizzo: quello che è mio è mio e quello che è tuo è anche mio. E’ la logica intrinseca berlusconista della politica, della tv, dell’economia, del mercato, della ricchezza condita con la salsa protezionistica della Lega. Non andremo lontani perché la storia ci schiaccerà, lasciando al sole i nostri magri cadaveri. Di fronte a questa desolata distesa di cadaveri, il profeta Ezechiele griderebbe: “Audite, ossa arida” che tradotto come si mangia significa: “Svegliatevi, vecchie carcasse!” (Ez 37,4).

«L’uomo di rimmel» è nero furioso
L’Italia è dominata dall’”uomo di rimmel” e dalla Lega, anche se la Nazione ha rimandato al mittente il plebiscito del «papi nazionale impomatato». Il Pd ha perso 4 milioni di voti cioè l’avanzo primario delle primarie che elesse Prodi. Le lotte intestine dei baroni, la povertà della politica, la mancanza di una idea di società, la solitudine dei cittadini attanagliati da problemi reali come la sicurezza e la paura del futuro non hanno avuto risposte di respiro, ma solo slogan di convenienza. Hanno avuto buon gioco i barbari e i lanzichenecchi che hanno giocato sporco sulla pelle del futuro dell’Italia: tanto a loro che gl’importa del futuro? A loro importa riscuotere cash adesso. Colpisce la distinzione che gli elettori hanno fatto del voto: alle europee hanno stoppato Berlusconi, impedendogli il trionfo che voleva e l’ordalia che pretendeva; alle amministrative, dove lui conta poco, ma la localizzazione territoriale, lo hanno incoronato principe senza scettro, pur consegnandogli il territorio da cui sarà sempre più difficile scalzarlo. Come la gramigna si diffonde il virus dell’illusionismo berlusconista fondato sul vuoto, sull’ignoranza e sulla irrazionalità. Il virus del berlusconismo si radica sull’egoismo individuale, sul vuoto di appartenenza, sulla furbizia e sull’idea di fondo che chi è furbo è più bravo ha fatto miscela con un andazzo immorale da basso impero, dove si arrangia chi può e chi si perde si perde. Quando l’Italia si risveglierà dal torpore della ragione, non avrà solo un gran mal di testa, ma farà un tonfo di consapevolezza che le sfracellerà le ossa.

L’Italia berlusconita-bossita
Oggi gli stessi vescovi scoprono che il tessuto connettivo dell’Italia si è “sfilacciato”. Che lungimiranza! Meglio tardi che mai. Lo sapevano tutti e questo sfilacciamento era già assodato, quando i vescovi sponsorizzavano il governo, il Casini, e facevano affari con loro. Lo aveva detto nel 2007 Giuseppe De Rita nel 41° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, parlando di una «poltiglia», una «società mucillagine» composta da tanti coriandoli che stanno l'uno accanto all'altro, ma non stanno insieme: «… il PD o il PDL di Berlusconi sembrano proposte prive di senso, nel momento in cui nessuno crede più a «uno sviluppo collettivo in cui ci stiamo tutti … il Pd si raggrinza su se stesso e il Pdl è un'operazione di marketing … Abbiamo solo gente che aspira alla presenza, al suo momento di piece, come l'impulso ad esistere fosse l'unico rimasto dentro di noi. Una società mucillagine dove tutte le componenti stanno insieme perché accostate, non perché siano integrate … La prima speranza è che la minoranza vitale si allarghi … dobbiamo sperare in un allargamento della base vitale del sistema … gli italiani hanno una coscienza larga. Prodi una volta in un momento di rabbia ha detto che “questa società non è meglio della politica” … allora deve migliorare la società, si deve tornare a una coscienza stretta: persino una minoranza faziosa, ma forte dei propri valori è meglio della "mucillagine"» (7 dicembre 2007).
Ora ci aspetteremmo che se vogliono essere profeti, i vescovi devono stare zitti per almeno cinque anni e fare i gargarismi con l’acqua benedetta prima di parlare. Non possono fare i puri e gli innocenti, come se fossero rientrati in Italia adesso, dopo una vacanza alle Maldive. No! Non è lecito ai vescovi dire bugie e prendere in giro chi ancora si sforza di stare nella “loro” Chiesa che essi hanno trasformato in una lobby e in una confraternita di affari. Non licet! In questo contesto, credo una parte notevole di responsabilità ricada su di loro, che hanno appoggiato questo governo, pur sapendo che era contro ogni etica, ogni idea di Stato di diritto, contro gli stessi fondamenti della dottrina sociale che essi sciacquano di tanto in tanto, contro il diritto internazionale che tutela migranti, poveri e perseguitati politici, contro i veri interessi della Chiesa che riguardano la costruzione una città umana che abbia al centro la persona da dovunque arrivi. I vescovi hanno taciuto sulle scelte disumane e omicide del governo, hanno taciuto sulla questione morale del presidente del consiglio che si trastulla con le fanciulle minorenni e maggiorenni che ripaga con posti al parlamento, diventato ormai il luogo della rappresentanza del nulla, un mero pied-à-terre. I vescovi hanno taciuto e il loro silenzio è un urlo di condanna che li consegna alla coscienza della storia, la quale non paga mai il sabato.

PS. Ha vinto Di Pietro, il quale adesso si deve dimettere da tutte le circoscrizioni per mandare al parlamento europeo chi non è stato eletto. W la morale! Prendo atto anche che ha raccolto le firme per il referendum e adesso è contro il referendum. Ne prendo atto. Spero che da adesso tutti gli antiberlusconisti imparino a progettare, a partire dalla propria coscienza, paesi, città, regioni e nazioni, immergendosi tra la gente e tornando a fare scuola di politica, come strumento di servizio agli altri. Devono sapere dal Pd all’Idv e a chi ci sta che divisi non si va da nessuna parte: si è solo condannati alla morte certa.
La cosiddetta sinistra estrema (non so come si possa vedere qualcosa di estremo in questi gnomi che non sanno vedere oltre l’orizzonte del proprio piatto naso) ha perso ancora una volta e restano recidivi perché si ostinano a non volere capire le batoste della storia. Sono così importanti le differenze semantiche tra Vendola e Ferrero da avere la precedenza sui destini del Paese? Chi ha votato questi segmenti impazziti ha votato il ridicolo e dà ragione a De Rita che parla di mucillagine. Chi li ha votati, ne conosco tanti, lo hanno fatto in buona fede, ma non si sono accorti che li hanno anche inchiodati nel loro egoismo di spezzoni di casta, senza arte né parte, incapaci di mettersi insieme attorno a tre idee condivise: somigliano a quello che per punire la moglie, si castra da solo. A me pare che costoro credendo di svoltare a sinistra, hanno girato tanto da non accorgersi di essersi ritrovati a destra della destra: erano trecento erano giovani e forti e sono morti. Hanno sprecato quasi il 10% (radicali compresi) dei voti, buttandoli al vento e lasciando milioni di Italiane e Italiani senza rappresentanza e mediazione politica là dove si fanno le leggi. Nati per essere marginali, ce l’hanno messa tutta e ci sono riusciti anche bene da soli e due volte. Non c’è due senza tre. Lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti.

Referendum
I referendari con la scusa di volere abolire «la legge porcata» di Calderoli, vogliono consegnare l’Italia chiavi in mano e senza batter ciglio a Berlusconi che certamente li ricompenserà con qualche nomina senatoriale, cioè pleonastica. Il dilemma è grande: non andare a votare significa tenersi la porcata; andare a votare significa consacrare «l’uomo di rimmel» for ever. Tra i due mali scelgo il minore: non andare a votare. Non capisco come il Pd insista nel diabolico piano di sostenere il referendum che lo segherebbe dalla vita politica presente e futura per almeno sette generazioni. E’ proprio vero che da quelle parti hanno la vocazione alla stupidità.
Credo che le persone che non si sono rassegnato all’impero dell’uomo che frequenta minorenni, debbano avere come progetto una missione grandiosa: affossare il referendum, sbattere fuori Berluscioni & C. (si accettano anche novene, tridui, bidui e fioretti per impetrare la grazia) e ricostruire il tessuto connettivo del Paese sui fondamentali del diritto e della democrazia laica. Mai avrei pensato di non andare a votare, ma non ho altre scelta e credo che sia il male minore, «sic stantibus rebus». Io non andrò a votare per il referendum e pazienza se questa volta il mio non voto è in sintonia con la Lega.
Ora anche l’uomo di rimmel è contro il referendum minacciato dalla pistola alla tempia che Bossi ha prontamente estratto. Inizia la sceneggiata dei ricatti e che il Paese vada pure in malora, tanto loro ogni mese portano a casa pagnotta, cacio, gnocchi, abbacchio, frutta, gelato e champagne, francese naturalmente!

Genova 9 giugno 2009
Paolo Farinella, prete

9.4.09

Pensieri pasquali (con ruota di scorta ridicola)

Su richiesta di diversi amici, accetto di fare da tramite per coloro che sono stati colpiti dal terremoto in Abruzzo. Bisogna aspettare che finisca l’emergenza perché c’è il rischio di buttare via molte risorse e aiuti, come l’esperienza insegna. Di un governo che dovrebbe dimettersi in blocco perché ha allentato tutte le leggi di sicurezza per favorire i profitti, ha condonato l’incondonabile, ha devastato e devasterà ancora di più perché lontano dalla logica di tutela dell’ambiente, io non mi fido. In queste ore quasi tutti i ministri stanno facendo passerella perché sono vicine le elezioni. Bravo Franceschini che è andato di nascosto, quasi in punta di piedi senza farsi riprendere da alcuno. Vedo i lestofanti già pronti a saltare sulla macchina della spartizione compresi gli aiuti. Berlusconi non vuole aiuti esterni, da vero tronfio e gonfio megalomane di bassa statura.

Noi abbiamo un punto privilegiato di osservazione in Abruzzo: don Aldo Antonelli che vive ad Avezzano e di cui ci fidiamo ciecamente. Egli saprà indicarci come fare e muoverci, quando passerà l’emozione del momento e molti andranno via. Noi ci faremo vivi quando comincerà la normalità. In questo momento di emergenza gli interventi sono sufficienti. Prepariamoci per il futuro che è dietro l’angolo.

Chi volesse seguire questa pista e , in modo particolare, chi si fida, può partecipare servendosi del seguente conto bancario intestato alla mia parrocchia, avendo l’accortezza necessaria di mettere come causale unica per tutti: “Terremoto Abruzzo”. Il conto corrente è il seguente:

Di seguito gli estremi bancari della Parrocchia:

Banca: Banca Intesa-San Paolo P.za Dante 44 - 16123 Genova

Intestato a: Parrocchia S. Maria Immacolata e San Torpete. P.za San Giorgio 16128 Genova

CODICE IBAN: IT53 C 03069 01470 00000 58404 70

CAUSALE. “Pro Terremoto Abruzzo”.

Darò conto fino al centesimo a ciascuno che avrà un e-mail o fornirà un recapito.



Per finire chiediamo che i parlamentari:

1. Decurtino il loro stipendio del 50% per tutto il tempo della ricostruzione dell’Abruzzo colpito.

2. Facciano l’election day, devolvendo i 500 milioni di euro risparmiati all’Abruzzo.

3. Rinuncino al 75% delle spese elettorali per la ricostruzione dell’Abruzzo.

4. Nei prossimi giorni il parlamento deve decidere sulla proposta del governo di impegnare 14 miliardi di euro da qui al 2026 per acquistare gli aerei da guerra F 35. IL governo e il Parlamento rinuncino alla guerra e celebrino la vita, se è vero che gli sta a cuore come hanno finta con Eluana: dirottino tutta questa montagna di soldi alla messa in sicurezza dell’Italia che è seduta su un vuoto sismico. Berlusconi dica meno scemenze e per una volta tanto faccia una cosa seria, una cosa utile. Non è andato a Onna, il paese più colpito per paura di contestazioni. Che grande capo di Stato! La sua immagine e quella della sua sempre impeccabile capigliatura prima di tutto.

Paolo Farinella, prete - Genova

31.12.08

1° gennaio, liturgia per la Giornata Mondiale della Pace

*Maria Madre di Dio – A – B - C / 1° Gennaio[1]

Nel 1969 con la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II e con la pubblicazione del Messale romano riformato, Paolo VI ha dedicato il primo giorno dell’anno civile a «Maria Santissima Madre di Dio». A questa giornata associò anche la Giornata mondiale della Pace che ogni anno ha un tema particolare di riflessione.
In questo giorno si celebra il Figlio di Dio nato dalla figlia di Sion che lo offre al mondo: il Figlio di Maria, circonciso nell’alleanza della Pace (Nm 25,12; cf 1Mac 8,20.22) che è il nuovo «nome» della salvezza messianica. Solo la poesia ispirata di Dante ha saputo evocare questa singolare sintesi tra divino e umano: «Vergine Madre, figlia del tuo Figlio…» (Divina Commedia, Paradiso, XXX, 1). Questa festa è anche un punto d’incontro con le chiese d’oriente che celebrano con grande venerazione la Theotòkos/Madre di Dio.




Nazareth: basilica dell'Annunciazione.






La prima attribuzione del titolo di Madre di Dio a Maria di Nazareth è di natura popolare ed è databile immediatamente tra il sec. I e il sec. II d.C., quando si consolida la figura di Maria nell’organizzazione della liturgia della chiesa delle origini. Il concilio di Efeso fu convocato dall’imperatore Teodosio II (401-450) l’11 ottobre 430 e si svolse nella chiesa di San Giovanni dal 22 giugno – 22 luglio 431. Papa a Roma era Celestino I (422-432) e patriarca di Costantinopoli Nestorio (ca. 381- ca. 451). Costui negava la divinità di Gesù e quindi anche la maternità divina di Maria: «Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi». Gli rispose e gli si oppose Cirillo di Alessandria il più grande teologo del tempo che rifletteva la teologia del papa di Roma: «La Vergine è madre della divinità? Noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l'eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna». Gesù è il Figlio di Dio ed è nato da Maria. Il concilio di Efeso rifiutò l’eresia di Nestorio e approvò il testo di Cirillo ribadendo la dottrina del concilio di Nicea (325) che aveva affermato l’esistenza nella persona di Gesù delle due nature, divina e umana e dichiarando di conseguenza Maria di Nazareth «Theotòkos-Madre di Dio»[2]. La fede già professata dal popolo fu sancita dal magistero della Chiesa.
In memoria della dichiarazione di Efeso del 431, Papa Sisto III (432-440) l’anno successivo, nel 432, fece edificare una basilica sull’Esquilino dedicata a Maria, Madre di Dio e conosciuta come S. Maria Maggiore. Essa fu la prima delle chiese erette in Occidente e dedicate alla Vergine. In questa chiesa si cominciò a celebrare il 1 gennaio una festa del Natale di Maria che fu la prima festa di Maria nella liturgia romana. Papa Pio XI per celebrare il 1500 anniversario dell’indizione del concilio di Efeso con l’enciclica Lux Veritatis del 25 dicembre 1931 istituì la festa della Divina Maternità della Beata Vergine assegnandola in memoria all’11 ottobre. Paolo VI la riportò alla data primitiva del 1 gennaio di ogni anno abbinandola alla celebrazione della Giornata della Pace[3].
Esattamente 1532 anni dopo, Papa Giovanni XXIII volutamente l’11 settembre 1962 con un radiomessaggio volle convocare il Concilio Vaticano II il giorno 11 ottobre 1962 in memoria della convocazione del concilio di Efeso. Idealmente il papa, storico per formazione, volle anche ricollegarsi al tempo in cui la chiesa indivisa d’oriente e d’occidente professava la stessa fede, inviando così un invito all’ecumenismo a tutte le chiese di ogni denominazione cristiana[4]. L’ottava di Natale coincide anche con l’inizio dell’anno civile che così è messo sotto la protezione della Donna di Nazareth la quale per grazia di Dio fu scelta come Madre del Creatore e Redentore, Madre e Sorella nostra. L’anno inizia col genere femminile. Sul nuovo anno invochiamo lo Spirito di Dio.

Spirito Santo, tu sei la benedizione feconda del Padre e del Figlio, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu fai brillare su Israele e sulla Chiesa il volto di Dio, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu volgi il cuore dei figli verso il volto della Trinità, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu generi in ogni cuore il dono messianico della Pace, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu poni il Nome santo e benedetto di Dio sul suo popolo, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu riveli le vie della salvezza alle genti del mondo, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu susciti l’esultanza dei popoli che temono Dio, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu accompagni il tempo alla pienezza della rivelazione, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu guidasti Maria ad accogliere da donna il Figlio di Dio, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai fatto di Maria la Madre di Dio e Madre nostra, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci insegni la via del riscatto dalla legge disattesa, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu gridi nel cuore di ogni persona: «Abbà/Padre!», Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci liberi da ogni schiavitù per farci eredi del Regno, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu suscitasti i pastori ad andare a trovare il Messia, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ispirasti i pastori a riferire lo stupore di quel Bambino, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai animato la lode dei pastori che glorificavano Dio, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai rivelato a Maria e a noi il «mistero» del Nome Gesù, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu manifesti a noi che il Bambino Gesù è «Dio che salva», Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu resti con noi per sempre a scaldare il nostro cuore, Veni, Sancte Spiritus!

Per gli Ebrei il capodanno[5] è il giorno del giudizio che è sospeso per i «meriti della legatura (Aqedàh) di Isacco. Il capodanno cristiano si apre all’insegna della maternità che offre al mondo «Colui che viene, Benedetto nel nome del Signore» (Sal 118/117,26; Mt 21,9; 23,39, ecc.). Con l’ingresso del Verbo nel mondo il giudizio di Dio è già dato: «nulla vada perduto di quello che mi ha dato» (Gv 6,39). Iniziamo dunque il nuovo anno, ponendolo e ponendoci sotto lo scudo della benedizione di Dio perché come Maria di Nazareth possiamo essere capaci di generare relazioni trinitarie ovunque siamo chiamati a vivere

(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.

All’inizio del nuovo anno civile invochiamo la Gloria e la Maestà di Dio: regnino sempre su di noi e ogni nostra scelta, ogni nostro pensiero, attività, relazione, respiro, impegno, sofferenza, gioia … tutto sia vissuto, condiviso e amato «per la sua gloria immensa». Che ciascuna e ciascuno di noi in questo anno nuovo viva una vita piena come gloria del Dio vivente. Chiedendo perdono dei nostri peccati e delle nostre insufficienze, vogliamo «confessare» e riconoscere il Signore come nostro Dio, Creatore e Redentore, alla cui volontà, che cerchiamo con serena coscienza, vogliamo adeguarci e scegliere come fondamento della nostra libertà. Riceviamo l’assoluzione che è l’effusione della paternità di Dio su di noi affinché possiamo essere padri e madri di coloro che incontriamo nel nostro cammino. Dio infatti è giusto perché perdona.
Scritta trovata su un muro di Gerusalemme, estate 2008.


La benedizione di oggi è particolare perché impartiamo l’assoluzione sacramentale nella forma comunitaria prevista dal rituale. Dopo la benedizione dell’acqua che richiama il nostro battesimo e l’esame di coscienza che ci richiama l’immagine che Dio ha deposto in noi, verremo davanti al ministro che imporrà le mani e darà l’assoluzione singolarmente. Subito dopo avere ricevuto l’assoluzione, ognuno si segnerà intingendo la mano nell’acqua benedetta.]

Benedizione dell’acqua
Benediciamo l’acqua simbolo della parola di Dio e della profezia, come la sua assenza è simboleggiata dalla siccità. Essa richiama la nostra storia della salvezza, dalle acque del Mare Rosso fino all’acqua del nostro battesimo. Il sacramento della riconciliazione dai Padri della Chiesa era chiamato il secondo battesimo o la «seconda tavola della salvezza». Preghiamo Dio Padre, perché nel sacramento della riconciliazione e del perdono rinasciamo alla nuova vita dall’acqua e dallo Spirito Santo.

Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito: hai creato l’acqua di vita che purifica. Gloria a te, o Signore!
Tu hai predicato l’annuncio del regno col vangelo della conversione del cuore Gloria a te, o Signore!
Fin dalle origini del mondo il tuo Spirito si librava sulle acque della creazione. Gloria a te, o Signore!
Nelle acque del diluvio hai prefigurato la morte e la salvezza del battesimo. Gloria a te, o Signore!
Nell’arca di Noè hai anticipato il fonte battesimale, tavola della nostra salvezza. Gloria a te, o Signore!
Hai liberato Israele dalla schiavitù facendogli attraversare illeso il Mare Rosso. Gloria a te, o Signore!
Hai voluto essere battezzato nell’acqua del Giordano, come povero tra i poveri. Gloria a te, o Signore!
Dalla croce, hai versato dal tuo fianco sangue ed acqua, Spirito e Profezia. Gloria a te, o Signore!

Hai inviato gli Apostoli a battezzare i popoli nel Nome della santa Trinità. Gloria a te, o Signore!
Hai perdonato la donna Samaritana e hai avuto misericordia per l’adultera. Gloria a te, o Signore!
Sulla croce hai perdonato i tuoi carnefici coloro che ti toglievano la vita. Gloria a te, o Signore!
Hai dato alla tua Chiesa il potere di rimettere i peccati a chi si converte. Gloria a te, o Signore!

Santifica quest’acqua, o Padre, con la tua potenza perché rinasciamo alla vita. Ti preghiamo, Signore!
Santifica quest’acqua, perché sia il segno della nostra seconda tavola di salvezza. Ti preghiamo, Signore!
Santifica quest’acqua, perché ci rigeneri della penitenza e dell’Eucaristia. Ti preghiamo, Signore!

Per il mistero di quest’acqua santificata dal tuo Spirito, facci rinascere a vita
nuova perché purificati nel mistero pasquale del tuo Figlio possiamo testimoniarlo
nella vita e nella morte. Per Cristo nostro Signore. Amen! Amen!

Chiediamo perdono dei nostri peccati e delle nostre insufficienze, dei nostri fallimenti e dei nostri tradimenti, della volontà di fare il bene, mentre invece ci siamo trovati a fare il male. «Confessiamo» che il Signore è il nostro Dio, il nostro Creatore e il nostro Redentore. Egli compie in noi meraviglie perché ci rigenera nella sua misericordia che ci rigenera nel segno dell’acqua.

[Congruo silenzio in cui ognuno fa il proprio esame di coscienza proiettando sul proprio cuore e sull’anno appena concluso la luce della misericordia di Dio, la misura della sua giustizia che è la croce del Signore Gesù e la fiducia nello Spirito Santo che guida i passi del nuovo anno verso la pienezza del regno.]

Signore,Dio eterno e creatore del tempo, tu ci convochi a darti «Gloria», Kyrie, elèison!
Cristo, ti sei fatto schiavo della Legge per liberarci da ogni schiavitù, Christe, elèison!
Signore, ti sei manifestato ai pastori, esclusi dal Tempio perché impuri, Pnèuma, elèison!
Cristo, Figlio del Dio vivente, nato da donna, nato sotto la legge, Christe, elèison!
Cristo, Figlio della Santa Vergine Madre e figlio del popolo d’Israele, Christe, elèison!

Manda su di noi, Signore, il tuo Santo Spirito, che purifichi con la penitenza i nostri cuori e ci trasformi in sacrificio a te gradito; nella gioia di una vita nuova loderemo sempre il tuo Nome santo e misericordioso. Per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore, morto e risorto per noi. Amen!

«O Signore nostro e Dio dei nostri padri regna sull’intero mondo nella tua Gloria e sorgi su tutta la terra nella tua Maestà» (cf nota 5). Grande è la tua misericordia, Signore, Dio «benigno e misericordioso, lento all’ira e ricco di bontà» (Gl 2,13), tu conservi grazia per mille generazioni, sopporti la colpa, la trasgressione e il peccato (Es 34,6-7), nella tua grande clemenza vòlgiti a noi, tuoi figli, e ascoltaci! Kyrie, elèison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison!

Noi ci accostiamo con fiducia al trono della grazia (Eb 4,16) per ricevere la tua misericordia e ottenere il tuo aiuto che ci converta al tuo vangelo. Tu sei nostro Padre e nostra Madre e a Te ritorniamo, Dio dei nostri Padri e delle nostre Madri, perché tu sei Dio. Kyrie, elèison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison!

Signore del cielo e della terra, nostro Creatore e Redentore, Re fedele per sempre. Convertici e ci convertiremo, facci ritornare e noi ritorneremo (Lam 5,21), risanaci e noi saremo risanati (cf Sal 147/146,3), consolaci perché possiamo lasciamo lasciarci consolare da te, o Consolatore di Gerusalemme (Bar 4,30). Amen! Amen!

ASSOLUZIONE
Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione del peccati, vi conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace.

Io Vi assolvo da TUTTI I VOSTRI peccati nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen!

[Il prete asperge con l’acqua benedetta l’assemblea che conclude:]

Lodate il Signore perché è buono. Buono è il Signore, in eterno la sua misericordia. Gioiscono ed esultano i giusti perché il Signore Gesù è venuto per i peccatori. Grandi cose ha fatto il Signore per noi. Amen! Amen!

La Pace del Signore abita nel vostro cuore e pone la sua tenda nella vostra anima. E con il tuo spirito.

Ci siamo riconciliati con il Signore, riconciliamoci con le sorelle e i fratelli. Come promessa del nostro impegno di donne e uomini nuovi, per essere degni di bere l’acqua della Parola da condividere nella profezia della vita con chi incontreremo nel nostro cammino, memori della parola del Signore: «Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24). Scambiamoci ora il segno della Pace e della riconciliazione per essere abilitati a presentare i doni dell’offerta. [Alla fine dello scambio di pace]
In segno di ringraziamento e anche di penitenza a gloria di Dio che opera meraviglie, durante questa prima settimana dell’anno, compiremo tre gesti: diremo una parola di consolazione, compiremo un gesto di accoglienza, pregheremo come ci suggerisce il nostro cuore per quanti sono lacerati dall’odio e dalla violenza perché riscoprano la medicina del perdono. Ora insieme proclamiamo l’inno della Gloria a Dio:

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

Preghiamo (colletta). Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Mensa della Parola
Prima lettura Nm 6,22-27. Per il calendario gregoriano (inizio 15 ottobre 1582) l’ottava di Natale coincide con il 1° giorno dell’anno civile. Su questo anno invochiamo la Benedizione di Aronne, la più antica attestata dalla Scrittura (Num 6,23-27) e impartita al termine delle celebrazioni liturgiche. Essa è centrata sul Volto e sul Nome di Dio che ora, in Cristo, sono visibili e accessibili (Col 1,15-20). Sì! possiamo vedere il volto di Dio senza più morire (Es 3,6; 33.20.23) e possiamo pronunciare il Nome di Dio senza più paura perché è un Dio «propizio» (v. 25) che «benedice» (vv. 23.24.27) concedendo la «pace» (v. 26).

Dal libro dei Numeri Nm 6,22-27
22 Il Signore parlò a Mosè e disse: 23 «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli israeliti: direte loro: 24 Ti benedica il Signore e ti custodisca. 25 Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. 26 Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. 27 Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò». - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 66 (67), 2-3; 5; 6-8.

Il salmo è un inno collettivo, probabilmente cantato per la conclusione della stagione dei raccolti (fine autunno). E’ un invito alla terra e ai popoli di lodare il Signore. Si percepisce il clima di ottimismo e di gioia che i cristiani fanno proprio anche in pieno inverno perché essi raccolgono il frutto della vite che Dio aveva divelto in Egitto e piantato in Israele: il Messia Gesù, la Benedizione del Padre su tutta l’umanità.

Rit. Dio abbia pietà di noi e ci benedica.
1. 2 Dio abbia pietà di noi e ci benedica,su di noi faccia splendere il suo volto;3 perché si conosca sulla terra la tua via,la tua salvezza fra tutte le genti. Rit.
2. 5 Gioiscano le nazioni e si rallegrino,perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra. Rit.
3. 6 Ti lodino i popoli, o Dio,ti lodino i popoli tutti.8 Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra. Rit.
Seconda lettura Gal 4,4-7. Non comincia solo un’èra nuova, ma il tempo raggiunge «adesso» la sua pienezza, cioè il tempo è diventato maturo per accogliere Dio, anche se lo rifiuta. La pienezza/il compimento si manifesta in un Figlio che nasce da donna, sottomesso alla Toràh che non libera e infine nella presenza dello Spirito Santo che ci consente oggi di celebrare l’Eucaristia e di chiamare Dio con il nome di «Padre».

Dalla lettera di Paolo apostolo ai Galati Gal 4,4-7
Fratelli e Sorelle, 4 quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, 5 per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. 6 E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: «Abbà! Padre!». 7 Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio. - Parola di Dio.

Vangelo Lc 2,16-21.

Il vangelo di oggi è lo stesso della Messa della Veglia e della Messa dell’aurora di Natale, ma riportato solo parzialmente. Un testo unico che la liturgia spezza in tre parti. Questo brano è stato scelto oggi per il v. 21 dove si parla della presentazione al Tempio al giorno ottavo per la circoncisione e l’imposizione del Nome. Oggi il Figlio di Dio diventa ebreo a tutti gli effetti, determinando così le radici giudaiche della nostra fede cristiana. Ascoltando la Parola e vivendo l’Eucaristia, come Maria, ebrea anch’essa, conserviamo nel nostro cuore il nostro essere cristiani autentici, fondato e radicato nel nostro sentirci «spiritualmente» ebrei.

Canto al Vangelo Eb 1,1-2
Alleluia. Molte volte e in diversi modi nei tempi antichi Dio ha parlato ai padri per mezzo dei profeti, / ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Luca 2,16-21
In quel tempo, [i pastori] 16 andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17 E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18 Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19 Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20 I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. 21 Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo. - Parola del Signore.

Spunti di omelia
Quattro sono i temi importanti di oggi: la benedizione, la circoncisione dell’ottavo giorno, la pace e la donna nel segno della maternità che offre al mondo il Figlio il cui nome è «Principe della Pace» (Is 9,5). Temi impegnativi che non possono essere affrontati insieme, considerata la loro rilevanza e la brevità di un’omelia. Ci limitiamo pertanto a fare una sintesi armonica dei quattro temi che centriamo attorno al concetto di «benedizione», molto importante dal punto di vista biblico e forse una scoperta per molti di noi[6].
La liturgia giudaico-cristiana si conclude sempre con la «benedizione», così come ogni preghiera giudaica si apre sempre con una benedizione a Dio, il «Benedetto» per eccellenza: «Bārûk ’attà, Adonai… Benedetto [sei] tu, Signore…». L’inizio del nuovo anno è messo sotto il segno della benedizione così come, se guardiamo la storia della salvezza registrata nella Rivelazione scritta, sulla coppia umana appena creata, Dio pronuncia la prima parola che è una benedizione: «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi…”» (Gen 1,28). In queste parole sono associate benedizione e fecondità: «li benedisse…siate fecondi». E’ spontaneo chiedersene il motivo che stimola un’altra domanda: che cosa significa «benedire/benedizione»
Il verbo benedire e il sostantivo benedizione in secoli di pratica cultuale hanno perso il loro significato originario. Vogliamo tentare di recuperare una dimensione biblica senza pretendere di esaurire tutta la complessità di significato che questi termini hanno. Ecco il significato di benedire/ benedizione. In ebraico il verbo bārak (radice brk) significa dotare di forza vitale/ e il sostantivo berākā – forza salutare, vitale. I due termini, sulla scia dell’accadico e dell’arabo hanno anche il significato di inginocchiarsi e ginocchio che in oriente sono un eufemismo, cioè un modo attenuato e indiretto, per indicare gli organi sessuali maschili. In sintesi: benedire significa trasmettere la propria capacità generativa ad un altro rendendolo fecondo. L’azione del benedire è unica, si può dare cioè una sola volta nella vita e non può più essere revocata.
Raffaello, Madonna del cardellino.
Quando l’Ebreo benedice Dio usa sempre il participio passato passivo bārûk-benedetto perché in Dio la benedizione è uno «stato» permanente della sua persona, mai un augurio: «Sia benedetto!» che indica un compiersi nel tempo. Dio è Benedetto. Sempre. Lui è la benedizione. Quando Dio benedice l’uomo trasmette la sua potenza vitale, la sua capacità generativa per renderlo partecipe della sua paternità generante. «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi…”» (Gen 1,28) dove il nesso tra benedire ed essere fecondi, cioè generare è esplicito. Se a questo aggiungiamo che in Gen 1,27 «Creò Dio Adam a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina lo/li creò», la connessione è definitiva. «Maschio» infatti in ebraico si dice «zakàr» e significa «pungente», mentre «femmina» si dice «nēqēbàch» e significa «perforata». La sessualità realizzata del pungente e della perforata fanno/sono l’immagine di Dio che rende feconda la nuova realtà «coppia» con la sua benedizione che genera figli sono «come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa» (Sal 128/127,3).
Quando l’uomo benedice trasmette tutta la sua energia di vita a colui che è benedetto. Dopo il fratricidio di Abele per mano di Caino (Gen 4,10), dice il testo ebraico: «la voce dei sangui- demê (sic! plurale) di tuo fratello urlano vendetta a me dal suolo». I sangui! cioè tutte le generazioni future contenute nel grembo di Abele e stroncate da Caino urlano a Dio perché futuro e presente sono legati in vita e in morte.
Benedire l’anno nel suo principio temporale esprime la volontà di estirpare ogni intenzione di violenza e di sangue dai rapporti sociali perché benedire significa in questo contesto non solo assenza di guerra (prosperità), ma anche Pace (benessere). Partecipare alla «benedizione» del primo dell’anno vuol dire impegnarsi ad essere uomini e donne costruttori di pace, impegnati a generare la fecondità generativa della vita di cui la donna è l’archetipo originario perché tesse la vita come relazione d’amore. Nessuno uomo o donna che fomentino giustifichino o si rassegnino alla guerra, qualsiasi guerra, non possono partecipare alla benedizione né possono riceverla né possono darla. Chi pensa con categorie di guerra è semplicemente sterile, frustrato, inerte e inutile.
In Gen 27 Giacobbe, complice la madre, carpisce con inganno la benedizione al fratello maggiore, Esaù. Il quale Esaù, appena se ne rende conto, corre dal padre e implora per sé la benedizione, ma il padre Isacco non può fare nulla perché benedicendo il figlio minore, che per questo resterà benedetto per sempre (v. 33), si è svuotato definitivamente di tutta la sua capacità generativa. Esaù supplica il padre piangendo: «non hai conservato per me una benedizione?» (v. 36); «hai dunque una sola benedizione?» (v. 38). Isacco non può più benedire Esaù perché ha trasmesso a Giacobbe tutto il suo seme promessa/premessa del futuro. La benedizione/fecondità patriarcale conduce la storia della salvezza verso il futuro e viaggia attraverso il figlio minore e non il maggiore. Isacco accompagna Giacobbe, che deve scappare dall’ira del fratello Esaù, con queste parole: «Ti benedica Dio onnipotente, ti renda fecondo e ti moltiplichi»(28,3) che sono l’eco di Dio creatore in Gen 1,28: «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi…”».
La benedizione come atto che trasmette la vita e la capacità di generarla in ogni relazione umana, comprende due elementi: il gesto dell’imposizione della mano o delle mani e una parola che accompagna e spiega il gesto. Il gesto senza la parola è solo mimica, la parola senza il gesto è solo suono evanescente. E’ la stessa dinamica della creazione: «Dio disse… e così fu». Parola e fatto. Dabàr/Lògos. La Parola è il senso dell’avvenimento che è incarnazione della Parola. Non a caso gli avvenimenti della storia personale, di coppia, di famiglia, di comunità, di popolo, di popoli sono «le parole» con cui Dio parla agli uomini e alle donne di tutti i tempi, mentre la Scrittura ne è il codice cifrato per comprenderne senso e portata, in forza del principio che Dio parla agendo e agisce parlando.
In sintesi, benedire vuol dire essere in comunione di vita con colui/coloro che ricevono la benedizione; in senso spirituale significa generare colui/coloro che si benedice. Altrimenti: chi benedice è responsabile della vita di colui/coloro che benedice. Il nostro tempo è segnato da una sciagura: le parole sono separate dagli avvenimenti e spesso, le parole si rincorrono a vuoto approdando a nulla. Si rischia di perdere la parte migliore della vita, se non si riscopre il nesso amoroso e generante tra parola ed evento della vita: è il senso della benedizione dell’esistenza, quell’evento di vita e di amore che ci genera gli uni agli altri per renderci fecondi gli uni per gli altri. La frattura diventa cataclisma, quando sono le guide (genitori, insegnanti, formatori, presidenti del consiglio, deputati, superiori, parroci, vescovi…) a smarrire il raccordo tra parola ed evento, generando incertezza nei loro governati: i sangui degli eventi taciuti urlano a Dio la responsabilità di chi per opportunismo o convenienza non raccorda evento e parola.
Alla benedizione si ricollega anche la circoncisione al «giorno ottavo», perché consiste nell’incisione del prepuzio del pene maschile come segno di appartenenza al«regno di sacerdoti, una nazione santa» che è il popolo d’Israele (Es 19,6). In questo giorno, «otto giorni dopo» si dava anche il nome al nascituro, il nome che ne esprimerà la profonda natura per sempre perché il nome non è un’etichetta di distinzione, ma il segno fragile dell’anima interiore. Nel vangelo di Lc, il numero «otto» segna la vita di Gesù: all’ottavo giorno è circonciso (Lc 2,21) e riceve il «nome che è sopra ogni altro nome» (Fil 2,9), cioè Gesù / Iēsoûs / Yehoshuà’; «otto giorni dopo» si trasfigura sul monte (9,28) e infine risorge (24,1, dove si usa l’espressione liturgica «nel primo giorno dei sabbati» che è formula tecnica per indicare il giorno ottavo). In tutta la tradizione giudaica e patristica il giorno ottavo è descritto come il giorno del Messia. Nell’alfabeto ebraico il «n. 8» corrisponde alla lettera x (heth) che è chiusa da tre lati, ma aperta sul quarto, quello verso il basso, verso la terra: dall’alto al basso, dal cielo alla terra, da Dio all’uomo perché i cieli possano riversarsi sulla terra: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63, 19), riallacciando il colloquio d’intimità spezzato da Adamo ed Eva (Gen 2,8). E’ il movimento dell’incarnazione.
La festa ebraica di Sukkôt-Capanne durava sette giorni, ma era prolungata di un giorno per completarla con Shemini azeret – L’ottava assemblea solenne che aveva una forte connotazione messianica (Zac 14,16) perché si compivano due sacrifici: uno per la remissione dei peccati del popolo (Antichità Giudaiche, X, 4, 245-247) e nel secondo si sacrificavano settanta buoi, uno per ogni popolo esistente sulla terra (Talmud (Sukkôt 55b) in espiazione per la loro salvezza, nella festa delle capanne che aveva una forte connotazione messianica. E’ l’espiazione universale di cui s’investirà Gesù sulla croce. Secondo la ghematrìa, il nome greco Iēsoûs ha il valore di 888 (= 8x3), mentre in ebraico, il termine Mashiàch ha il valore finale di 16 (= 8x2). Tutto ciò che riguarda Gesù, il Messia è sempre connesso con il «n. 8» in un rapporto non occasionale, ma salvifico e teologico. Come il 666 è l’imperfezione assoluta (3volte 6) così l’888 è il massimo della perfezione perfetta.
Il Midrash Cantico rabbà 1,1 riporta l’elenco dei dieci cantici che segnano la storia della salvezza: «Dieci cantici sono stati detti in questo mondo... Il primo cantico lo disse Adamo … L’ottavo cantico lo disse Davide, re d’Israele, per tutti i prodigi che aveva fatto per lui il Signore; egli aprì la sua bocca e disse il cantico, come sta scritto: E Davide in profezia cantò la lode davanti al Signore (2 Sam 22, 1/ targum)». Davide re e pastore immagine, tipo e padre del Messia pastore e redentore, conclude l’ottavo cantico profetizzando il Messia, sua discendenza regale. Nella Bibbia greca della Lxx in 2Sam 22,51 l’ottavo cantico si conclude con un riferimento esplicito al Messia: «Al suo cristo/unto, a David e alla sua discendenza per sempre». E Davide nel Sal 12/11,1 canta al Messia sull’ottava corda dello strumento musicale che accoglie il suo discendente nel volto di quel Bimbo circonciso «quando furono compiuti gli otto giorni» perché assume la missione del Messia salvatore e pastore d’Israele che guida nel mondo futuro, nel mondo dei redenti. E’ la conclusione della storia. E’ il ritorno all’Eden dell’«in principio».
Il 1° gennaio, capodanno civile, memoria della circoncisione di Gesù, solennità della Madre di Dio ci introduce con la cetra a otto corde in un nuovo anno, un anno sotto segno del Messia redentore che riceve il nome di Gesù/ Iēsoû /Yehoshuà’ che significa «Dio è salvezza». Il 1° gennaio è anche il giorno della Pace che il Bimbo appena circonciso ci lascerà come suo testamento e obbligo: «La pace vi lascio, la pace, quella mia, vi do» (Gv 14,27).
Iniziando l’anno civile, entriamo dunque nella benedizione di Dio, diventando noi stessi un nome che porta benedizione e fecondità nel segno della Madre che ci insegna come essere fecondi sempre della Parola che si trasforma in rito e del rito che diventa vita, lungo le strade della nostra esistenza, in ogni incontro che sperimentiamo come testimoni risorti di quel Dio-Bambino che oggi diventa benedizione sparsa su noi e davanti al quale noi pronunciamo, benedicendo, il nostro «Amen!» in attesa del nostro giorno ottavo quando entreremo con il Messia nel «regno preparato per noi fin dalla fondazione del mondo (Mt 25,34; cf Mishnàh, Pirqé Avot, 5, 6).

PROFESSIONE DI FEDE
Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credo.
Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria vergine,
morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre? Credo.
Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi,
la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna? Credo.
Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. Questa è la fede
che noi ci gloriamo di professare, in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.

Preghiera dei fedeli. All’inizio di un anno nuovo, veniamo dalle nostre famiglie e dalla nostre case, dai nostri affetti e dalle nostre preoccupazioni per essere la famiglia della famiglie di Dio, la casa affettuosa dove ognuno si senta a suo agio, accolto e benedetto. Dio solo scruta il nostro cuore e solo Lui valuta i nostri bisogni in ragione della nostra salvezza. Iniziamo l’anno nel segno della Donna e nelle sue mani deponiamo la nostra attesa e la nostra fede. La benedizione di Dio, che è la sua fecondità scenda copiosa su di noi, e attraverso di noi sul mondo intero e sulla Chiesa.

Su di noi che iniziamo l’anno civile nel segno della Benedizione,
Sia benedetto Colui che viene Benedetto del Padre, Vieni, Signore Gesù!
Sui figli, bambini e bambine di cui gli adulti sono custodi,
Sui nostri figli lontani, sui nostri figli vicini o distanti! Vieni, Signore Gesù!
Sulle persone che amiamo con le quali condividiamo gioie e dolori,
Su chi ama, su chi serve, su chi soffre e chi spera, Vieni, Signore Gesù!
Su chi inizia l’anno senza luce, affogato nel buio dell’incertezza,
Su tutto il mondo, martoriato da guerre, carestie e siccità, Vieni, Signore Gesù!
Su di noi e sul nostro cuore, oggi, domani, sempre nel Nome Santo di Dio:

Su tutti noi sia la conversione del cuore la benedizione del Padre, la Vita del Figlio e la forza dello Spirito perché con l’aiuto di Dio possiamo iniziare e portare a termine il nuovo anno e viverlo in benedizione vivente e generante per chiunque incontriamo nel nostro cammino. Amen! Amen!

[Intenzioni libere, poi]

Purificati e pacificati, entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni simbolo della nostra vita e della nostra partecipazione.

Presentazione delle offerte [la benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la santa Chiesa.

Preghiera sulle offerte. O Dio, che nella tua provvidenza dai inizio e compimento a tutto il bene che è nel mondo, fa' che in questa celebrazione della divina Maternità di Maria gustiamo le primizie del tuo amore misericordioso per goderne felicemente i frutti. Per Cristo nostro Signore. Amen

PREGHIERA EUCARISTICA III[7]
Prefazio della B.V. M. II: Maria modello e madre della Chiesa

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore. Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. É cosa buona e giusta.

E’ veramente giusto renderti grazie, è bello esaltare il tuo nome, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Ci benedica il Signore e ci protegga (cf Nm 6,24).

Ti lodiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo, nella festa della beata Vergine Maria, Madre di Dio e della Chiesa.
I cieli e la terra sono pieni della gloria della tua santità. Osanna nell’alto dei cieli.

All’annunzio dell’angelo, accolse nel cuore immacolato il tuo Verbo e meritò di concepirlo nel grembo verginale; divenendo madre del suo Creatore, segnò gli inizi della Chiesa.
Rallegrati, Maria, il Signore è in mezzo a te! Oh, sì! Eccomi la tua Parola si compia in me.

Ai piedi della croce, per il testamento d’amore del tuo Figlio, estese la sua maternità a tutti gli uomini, generati dalla morte di Cristo per una vita che non avrà mai fine.
Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre.

Immagine e modello della Chiesa orante, si unì alla preghiera degli Apostoli nell’attesa dello Spirito Santo.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il tre volte «Santo».

Assunta alla gloria del cielo, accompagna con materno amore la Chiesa e la protegge nel cammino verso la patria,
fino al giorno glorioso del Signore.
Kyrie elèison, Christe elèison, Osanna nell’alto dei cieli. Christe elèison, Kyrie elèison.

E noi, uniti agli angeli e ai santi, proclamiamo con gioia l’inno della tua lode:
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. Kyrie elèison, Christe elèison, Kyrie elèison.

Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura.
Il Signore faccia brillare il suo volto su di noi e ci sia propizio (cf Nm 6,25).

Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
«Ti lodino i popoli, Dio, ti lodino i popoli tutti. Ci benedica Dio», il Padre del Signore Gesù (cf Sal 67/66,5).

Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
«Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi» (Fil 4,4).

Nella notte in cui fu consegnato, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione,
lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Poniamo il Santo Nome su di noi, sulla Chiesa e sul mondo ed egli ci benedirà (cf Nm 6,27).

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! (Gal 4,6).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
«Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore … nato da donna, nato sotto la legge» (cf Mc 12,29; Gal 4,4).

Mistero della fede.
Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno: Maràn, athà – Signore nostro, vieni.

Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
Non siamo più schiavi, ma figli ed eredi della promessa per volontà di Dio (cf Gal 4,7).

Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito.
Come Maria, conserviamo la Parola di Dio meditandola nel cuore (cf Lc 2,19).

Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi e le sante, nostri intercessori presso di te.
«Lo spirito del Signore è su di me, mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri» (cf Is 61,1; Lc 4,18).
Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa Benedetto, il Vescovo Angelo, il collegio episcopale, il clero, le persone che vogliamo ricordare … N.N … e il popolo che tu hai redento.
«I pastori andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia» (Lc 2,15-16).

Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza nel giorno in cui il Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale.
«Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano» (Lc 2,18).

Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
«I pastori se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto» (Lc 2,20).

Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; ricordiamo tutti i defunti … concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, per la tua gloria immensa, o Lògos eterno circonciso nella carne.

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO, PADRE ONNIPOTENTE, NELLA UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA, PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.

Padre nostro in aramaico:
Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli
Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

Antifona alla comunione ( Lc 2,19): Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.

Dopo la comunione. In questo 1° giorno dell’anno, guardiamo al mondo intero e spalanchiamo il nostro cuore ai miliardi di uomini e donne che misurano il tempo e le stagioni con ritmi diversi dai nostri, perché sono scanditi dal ritmo della fame e della sete, della schiavitù e dello sfruttamento.

Te Déum laudámus
Concludiamo con l’Inno «Te Deum», ringraziando il Signore per l’anno che si è chiuso e ringraziandolo anticipatamente per quello che oggi inizia. L’inno detto «ambrosiano», dalla critica moderna è attribuito con certezza a san Niceta (335 ca. – dopo il 414) vescovo di Remesiana (oggi Bela Palànka, presso Niš in Serbia) dal 366 che lo compose introno all’anno 400, nel tempo in cui era viva la lotta contro l’eresia nestoriana che negava la divinità di Cristo. In origine l’inno era rivolto a Cristo, ma successivamente, attenuatasi la tensione eretica, l’inno acquistò il respiro trinitario che mantiene ancora oggi.

1. Noi ti lodiamo, Dio * ti proclamiamo Signore.O eterno Padre, * tutta la terra ti adora.
A te cantano gli angeli * e tutte le potenze dei cieli:Santo, Santo, Santo * il Signore Dio dell'universo.
I cieli e la terra * sono pieni della tua gloria.
sono pieni della tua gloria.
2. Ti acclama il coro degli apostoli *e la candida schiera dei martiri;
le voci dei profeti si uniscono nella tua lode; *la santa Chiesa proclama la tua gloria,adora il tuo unico Figlio, * e lo Spirito Santo Paraclito.
3. O Cristo, re della gloria, * eterno Figlio del Padre,tu nascesti dalla Vergine Madre * per la salvezza dell’uomo.
Vincitore della morte, *
hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
4. Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre.*Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi.
Soccorri i tuoi figli, Signore, *che hai redento col tuo sangue prezioso.Accoglici nella tua gloria * nell'assemblea dei santi.
5. Salva il tuo popolo, Signore, *guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo, *
lodiamo il tuo nome per sempre.
6. Degnati oggi, Signore, * di custodirci senza peccato.Sia sempre con noi la tua misericordia: *
in te abbiamo sperato.
7. Pietà di noi, Signore, * pietà di noi.Tu sei la nostra speranza, *non saremo confusi in eterno.

Dedichiamo all’Africa, il nostro pensiero e la nostra preghiera del 1° giorno del nuovo anno, a quel continente dalla cui salvezza dipende anche la nostra.

«Si alza dolce, fiera, impetuosa la voce della figlia del mio popolo». Con queste parole nel 2004 il giornalista Jean-Léonard Touadi, presentava una raccolta di poesie di Elisa Kidanè, comboniana africana in Italia, terra di missione. Vogliamo proporre una sua poesia dedicata a Maria, Madre dell’Africa, che con quel suo «anticipando l’alba, generando l’aurora» ci rivela quale deve essere lo spirito di questo tempo di Natale e di ogni nostro giorno: anticipare l’alba e generare l’aurora o come dice il salmista: «Svègliati, gloria mia, svegliati il liuto e l’arpa e io vorrò svegliare l’aurora» (Sal 57/56,9; cf Sal 108/107,3)

Elisa Kidanè, Nei tuoi occhi[8].
1. Avanzi
maestosa,
più che regina,
e nei tuoi occhi
riflessa sta
una forza
a te solo conosciuta.
2. E vai,
da sempre,
macinando miglia
ingoiando polvere
caricando pesi
coltivando sogni.
3. E vai
con passo fermo
e coraggio infinito
segnando tappe
per capitoli nuovi
di un libro antico.
4. E continui
ad andare,
instancabile
venditrice
di speranza.
Non importa
se la pioggia
inzuppa le tue ossa,
se il sole
nel Dio della Vita,
riflesso
nei tuoi occhi
custodito
nel tuo cuore
di Madre d’Africa
e ostinata custode.





brucia l’anima tua.
Nei tuoi occhi gentili
riflessa sta
una meta
a te solo conosciuta.
5. E vai
incontro alla notte.
Ad attenderti
le stelle,
impazienti di danzare
al ritmo dolce
del tuo cuore.
6. Eppoi
prima che spunti il sole,
riprendi il cammino
anticipando l’alba
generando aurora,
e i popoli d’Africa
vedendoti avanzare all’orizzonte,
maestosa,
più che regina,
rinnovano,
ancora una volta, la fede


Affidiamo alla protezione di Maria il nuovo anno che inizia nel segno della donna

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio,Santa Madre di Dio;non disprezzare le nostre suppliche
quando siamo nella prova,e liberaci da ogni pericolo,o Vergine gloriosa e benedetta.

Preghiamo. Con la forza del sacramento che abbiamo ricevuto guidaci, Signore, alla vita eterna, perché possiamo gustare la gioia senza fine con la sempre Vergine Maria che veneriamo madre del Cristo e di tutta la Chiesa. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Il Signore è con voi oggi e sempre E con il tuo spirito!
Il Signore che è nato per noi è con tutti voi! E con il tuo spirito!

Il Signore che si sottomette alla Toràh di Mosè vi benedica e vi protegga. Amen!
Il Dio che è nato da Maria nella pienezza del tempo vi colmi della sua pienezza. Amen!
Il Dio che nessuno può vedere senza morire, vi mostri il suo volto nel Bimbo che celebrate. Amen!
Il Dio che i cieli non possono contenere, venga in voi e vi stabilisca la sua Dimora. Amen!
Il Dio che si è rinchiuso nel seno della donna vi riveli il suo Volto materno. Amen!
Il Dio che è sempre fedele alla sua promessa, vi doni la sua pace e la sua luce. Amen!
Il Dio che viene a noi Principe della Pace con un vangelo di pace, sia la vostra Pace. Amen!
Il Dio che viene a noi Bambino in ogni bambino e bambina, sia davanti a voi per guidarvi. Amen!
Il Dio che è avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, sia dietro di voi per difendervi. Amen!
Il Dio che Maria, la Madre, offre al mondo come Redentore, sia accanto voi per confortarvi. Amen!

E su tutti voi, che avete partecipato a questa liturgia nel segno di Gesù ebreo
per sempre Figlio della Donna e Padre della Pace, discenda dal cielo la benedizione
dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen!

L’Eucaristia termina come rito, l’Eucaristia inizia ora come vita: andiamo nel mondo e portiamo frutti di pace e di rinascita! Rendiamo Grazie a Dio che nasce per noi!

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© Capodanno 2008 / Solennità della Madre di Dio – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova
[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]
Paolo Farinella, prete – 01/01/2008 – San Torpete – Genova

[1] L’asterisco che precede (*) indica che le letture sono quelle del nuovo lezionario entrato in vigore con la 1a domenica di Avvento, Anno A (2 dicembre 2007).
[2] Dicono le cronache che l’Imperatore Teodosio favorevole in un primo tempo a Nestorio, non volesse firmare il decreto del concilio, ma firmò quando vive un’immensa folla, spontaneamente convenuta davanti alla basilica di San Giovanni per inneggiare a Maria la Theotòkos/Madre di Dio in un tripudio di festosità. L’imperatore impressionato accettò e diffuse il decreto conciliare contro Nestorio. Il popolò accompagnò ogni singolo vescovo alla propria dimora, illuminando la città con la luce delle torce e cantando inni di ringraziamento. Era il 31 luglio dell’anno 431.
[3] Anche per il dogma dell’Immacolata Concezione dell’8 dicembre 1854 il papa dichiarò ufficialmente ciò che il popolo da secoli professava e credeva. Lo stesso avverrà per l’ultimo dogma mariano: l’Assunzione del 15 agosto 1950. Singolare che le verità di fede che riguardano la Madre sono sempre anticipate dal popolo di Dio, prima ancora e a volte contro la teologia ufficiale, costretta a prenderne atto. Non è un caso che la tradizionale teologia cattolica insegna che il «sensus fidei» del popolo di Dio è infallibile allo stesso modo del magistero ufficiale nei casi in cui questi si trova nelle condizioni dell’infallibilità (cf Lettera di Giovanni Paolo II al card. Roger Etchegaray in occasione della pubblicazione degli Atti del Simposio Internazionale “L’Inquisizione” [Città del vaticano, 29-31 ottobre 1998], 15 giugno 2004, 2-3; la Lettera riporta altre citazioni magisteriali sull’argomento).
[4] Narrano le cronache, e noi per grazia di Dio ne fummo testimoni emozionati e protagonisti, che la sera di quel memorabile giorno, il popolo romano si riversò spontaneamente e senza organizzazione in piazza San Pietro, ciascuno munito di una fiaccola. Fu uno spettacolo indimenticabile: un mare di fiaccole palpitava nel cuore della Chiesa, segno visibile di quella «novella pentecoste» che al mattino il papa aveva evocato nel suo discorso inaugurale. Ancora una volta, il popolò capì, sentì e visse l’evento prima della gerarchia. Dal Concilio di Efeso al Concilio Vaticano II, lo stesso «sensus fidei» dava corpo ad una fede corale e si riconosceva nell’evento del concilio che avrebbe rivoluzionato la chiesa e segnato il sec. XX. Quella sera, il papa, fuori di ogni protocollo, si affacciò alla finestra del suo studio e di fronte al mare di luci che dondolava davanti a lui, fece il più bel discorso del suo pontificato, passato alla storia come «Il discorso della luna» o «della carezza ai bambini».
[5] In ebraico Rosh Hashanàh (lett. «testa/inizio dell’anno») cade tra settembre e ottobre (mese di Tishri). dura dieci giorni e si conclude con lo Yom Kippur/giorno dell’espiazione quando si suona il corno di ariete per ricordare a Dio i «meriti di Isacco» che si fece legare dal padre Abramo per essere immolato (Aqedàh/legatura di Isacco). Dio sentendo il suono del corno e ricordandosi di Isacco, trasforma il giudizio di castigo in medicina di misericordia. In questo giorno si prega: «O Signore nostro e Dio dei nostri padri regna sull’intero mondo nella tua Gloria e sorgi su tutta la terra nella tua Maestà» (Ufficio di Rosh Hashanàh, Shemoné Esre, ’Elohènu ve’lohe).
[6] Chi volesse approfondire può consultare la nostra rubrica «Così sta scritto» sulla rivista Missioni Consolata, dove questi temi sono un po’ più sviluppati. Sul significato di «benedizione»: Anno 107, 3 (2005), 50 (di cui la presente omelia è una sintesi); sul significato della nascita «da donna»: Anno 107, 10, (2005), 64-66; sul significato della circoncisione al «giorno ottavo» Anno 108, 1 (2006), 66-67. Gli stessi articoli sono consultabili sul sito della rivista Missioni Consolata al link: www.missioniconsolataonlus.it/cerca.php?cat=25&PHPSESSID=1ee97374bbc55f960f75650dc5a13439
[7] La Preghiera eucaristica III è stata composta ex novo su richiesta di Paolo VI in attuazione alla riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ha un prefazio proprio, ma mobile e per questo, forse, ha finito per essere scelta, nella pratica, come la preghiera eucaristica della domenica.
[8] Fonte: «Giorno per giorno» della Comunità Evangelho è Vida del Bairro Rio Vermelho di Goiás [GO], Brasile del 25.12.2006.

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