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6.3.14

La battaglia vinta di Pier: "Io, primo laureato autistico esco dalla prigione di cristallo"

darepubblica 5\3\2014


La sua vita è stata "muta, e bisognosa di altri" come quella di molti ragazzi con i suoi problemi. Ma lui, 33enne del Trevigiano, è riuscito a farcela. Con una tesi che parla di se stesso

di JENNER MELETTI




VOLPAGO DEL MONTELLO (Treviso) - Pier non ha avuto dubbi. Quando il papà gli ha chiesto se voleva andare a fare una gita al mare o a vedere i carri del carnevale a Treviso, è riuscito a dire: "Carri". Bisogna fare festa, a casa Morello. Piercarlo detto Pier si è laureato, 96 su 110. È diventato "dottore magistrale in Scienze umane e pedagogiche" con una tesi in cui parla di se stesso. Pier è affetto da autismo severo e non si ha notizia di altri autistici gravi che abbiano potuto cingersi d'alloro. "Abbiamo vinto una battaglia - dice subito il padre Luciano, ex insegnante - ma la guerra continua. Ma lo sa che quando Pier si è iscritto all'università l'Usl voleva togliergli i 400 euro al mese dell'"accompagnamento"? Dicevano: se va all'università non è autistico. Invece anche l'ultima diagnosi, svolta in una struttura pubblica due anni fa, conferma purtroppo che il nostro Pier è affetto da autismo severo". 

 È una storia bellissima e triste, quella di Pier. Bellissima perché Pier, 33 anni, non si è fermato in un'aula delle elementari o delle medie con l'insegnante di sostegno ma è diventato dottore. Triste perché la sua laurea è una mosca bianca in un mondo dove migliaia di ragazzi autistici "non parlanti" non riescono a uscire da "una vita - così ha scritto Pier nella sua tesi di laurea - muta, vacua e bisognosa di altri".
È una storia bellissima e triste, quella di Pier. Bellissima perché Pier, 33 anni, non si è fermato in un'aula delle elementari o delle medie con l'insegnante di sostegno ma è diventato dottore. Triste perché la sua laurea è una mosca bianca in un mondo dove migliaia di ragazzi autistici "non parlanti" non riescono a uscire da "una vita - così ha scritto Pier nella sua tesi di laurea - muta, vacua e bisognosa di altri". "Io non so nemmeno - racconta il padre - cosa abbia provato, quando la commissione lo ha proclamato dottore e gli amici gli hanno fatto festa. Per un giorno e mezzo Pier si è ritirato nel suo posto preferito: il salotto di casa. Resta solo davanti alla tv accesa ma senza volume e ascolta musica alla radio: da Beethoven ai cantautori italiani. Non vuole che nessuno entri. Sì, ha visto i giornali, il Mattino e la Tribuna, che parlavano di lui. Ha fotografato gli articoli. Conosco i suoi tempi. Solo fra una settimana, via computer, potrò chiedergli come ha vissuto le ore della laurea. Io so che era molto teso, ma l'abbiamo capito solo noi genitori: aveva le guance rosse". 



Nella storia di Pier ci sono stati molti muri e solo alcuni sono stati abbattuti. "Fino alle medie - ha scritto nella tesi per la triennale in Scienze della formazione - ricordo di avere solo colorato in silenzio tanti pallini a quadretti nei corridoi della scuola. Sì, ho conosciuto tante aulette di sostegno e corridoi". "Ho imparato - ha scritto nella tesi specialistica, su "Inclusione e ben-essere sociale: una storia di autismo per capire" - a leggere mentre gli insegnanti facevano lezione agli altri. Ma come facevo a farlo capire ai professori, visto che non riesco a parlare?". 
"Fino ai tredici, quattordici anni - racconta il padre Luciano - Pier era giudicato dai medici un ritardato mentale. È stato allora che abbiamo incontrato la dottoressa Vittoria Realdon Cristoferi, che ha proposto una tecnica di scrittura facilitata, con l'assistenza di un operatore. E così è riuscito a frequentare l'istituto agrario di Montebelluna. I problemi più gravi sono arrivati dopo il diploma. Il Ceod - Centro educativo occupazionale diurno - ci ha proposto di inserirlo in una cooperativa sociale per disabili psichici, che è una struttura positiva per tanti ragazzi ma resta una gabbia, dorata ma sempre gabbia. Io e mia moglie Marta abbiamo deciso: Pier deve vivere in un ambiente normale, e per un ragazzo diplomato l'ambiente normale è l'università". 
"Viviamo - ha scritto Pier Morello - in prigioni di cristallo, prigioni di voce negata e di parole che non sono espressione di dovuta fiducia". Un passo dopo l'altro, sempre in salita. Gli esami al computer, davanti al professore. "Alcuni docenti - racconta il padre - non volevano laureare Pier. Dicevano: non potrà usare la laurea, e allora perché dobbiamo concedergliela? Non hanno capito che la laurea in fondo è un effetto collaterale. L'importante è il passo avanti. Che farà adesso il nostro Pier? Noi non ci fermiamo. Lavora già, nostro figlio, tre giorni alla settimana. Da qualche anno va alla scuola materna di Venegazzù come assistente delle maestre. In aula distribuisce le matite ai bimbi, prepara la tavola delle insegnanti, fa la "sentinella" in giardino durante la ricreazione e avverte le insegnanti se i bimbi litigano o si fanno male. È la Usl che paga un piccolo stipendio e l'assicurazione con una borsa lavoro. Credo che questo sia un ottimo intervento: Pier si sente utile e motivato a comportarsi bene. La scuola non è una gabbia di cristallo. Il dottor Pier continuerà questa attività. Cercheremo anche altro, se possibile, ma sempre in un contesto normale". 
"La disuguaglianza - ha scritto Pier - è la vera disabilità. So che cammino da solo... ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani e colori di luce". "Se il brano è stato scritto da Pier e non dal suo facilitatore - ha commentato Liana Baroni Fortini, presidente dell'Angsa, Associazione nazionale genitori soggetti autistici - Pier non può dirsi autistico perché dimostra di avere una comunicazione sociale molto buona". La dottoressa Vittoria Realdon Cristoferi, medico neuropsichiatra che segue Pier da quando aveva 12 anni, non cerca polemiche. "Nessuno di noi - dice - ha gridato al miracolo. "Uno su mille ce la fa", e questa è una buona notizia che però racconta che altri 999 non ce la fanno. Conosco Pier e gli "parlo" da quando era un bimbo. Mi ha sempre detto di voler vivere come gli altri. Ha raggiunto i risultati che si era prefisso. Pier è la dimostrazione che l'autismo non è incapacità. La laurea? Credo che per lui la conquista più importante sia stata quella di vivere con gli altri, andare con gli amici a prendere il sole a Prato della Valle... Sa di non poter fare da solo. Ma ha visto che la porta della gabbia può essere aperta". 


Ora   sia  che  sia  un autistico  o  con problemi   psichici ( ritardato mentale  in senso dispreggiativo ) o 

la stampa
EDITORIALI
05/03/2014

L’autistico laureato non è autistico


GIANLUCA NICOLETTI




A Padova si festeggia il primo autistico in Italia ad avere preso una laurea. E’ una bella notizia per tutti, neuro diversi e non. Quello che ritenevano un ritardato mentale, in realtà, è stato capace di laurearsi dottore magistrale in Scienze umane e pedagogiche. Piercarlo Morello di 33 anni per laurearsi però è stato assistito da qualcuno che alle sue spalle guida la sua mano sulla tastiera di un computer, affinché lui possa esprimersi compiutamente. Ha sicuramente colpito tutti noi la frase del neo dottore che i giornali hanno riportato, e che è particolarmente intensa: «La disuguaglianza è la vera disabilità, so che cammino solo. Ho contro un male che rende la vita muta, solitaria, vacua e bisognosa di altri, ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani calmi e colori di luce».

E’ veramente un’immagine molto profonda, anche troppo perché Piercarlo possa essere definito autistico, infatti l’associazione nazionale delle famiglie dei soggetti con autismo (Angsa) ha subito comunicato di essere strafelice per la notizia, ma su Piercarlo evidentemente era stata sbagliata la diagnosi, non era un autistico. Nel caso che quel distico l’abbia scritto lui, e non il suo facilitatore, evviva! Significa che ha una comunicazione sociale più che buona, quindi non è da considerare autistico, cioè un soggetto la cui caratteristica principale sia quella di essere incapace a comunicare, indipendentemente dal modo in cui possa esprimersi.

Non sembri fuori luogo fare una precisazione del genere, a fronte di una notizia che mette solo allegria, e che sarà sicuramente fonte di orgoglio per quel ragazzo e la sua famiglia. E’ impietosamente necessario però fare un punto di chiarezza, proprio perché non si accenda all’istante la speranza in ogni altro genitore d’autistico che il proprio ragazzo, che magari non è capace di scrivere il suo nome o di dire mamma, possa emulare l’ambito traguardo di laurearsi, purché munito di facilitatore che lo aiuti a scrivere sul computer, tutto quello che, altrimenti, non sarebbe mai capace a esprimere parlando.
Penso che se passasse questo concetto sarebbe altrettanto grave del far credere che tutti gli autistici siano rappresentabili nel protagonista di «Rain Man», o nel prodigioso bimbo veggente matematico della serie televisiva «Touch».
L’autismo è un mondo complesso e variegato e sono veramente poche le modalità di trattamento che funzionino per tutti. Tra queste è da escludere che ci sia la comunicazione facilitata, ora presentata con il nome di Woce, che negli Stati Uniti da almeno quindici anni è dichiarata priva di evidenza scientifica, in Italia classificata dalla Linea guida n.21 dell’Istituto Superiore di Sanità del 2011 fra gli interventi «non raccomandati per l’autismo».
Ora sicuramente ci sarà chi ribatterà, portando nomi e documenti trovati in rete, dove è scritto che qualcuno da qualche parte del mondo invece considera efficace questo tipo d’intervento. Di certo sappiamo che non è generalizzabile e questo ci basta. Abbiamo già recenti esempi di come l’emotività mediatica non sia buona consigliera in casi così delicati e che riguardano la salute. E’ solo d’augurarsi che Piercarlo non diventi un fenomeno da talk show, o per lo meno nessuno gridi al miracolo citando il suo caso.
Purtroppo chi ha conoscenza dell’autismo, così detto «a basso funzionamento», (sì non è bello come termine, ma anche mio figlio è di quel genere e c’ho fatto l’abitudine) sa che chi abbia questa particolare sindrome, e non verbalizza salvo poche parole, nella maggior parte dei casi ha enormi problemi cognitivi e relazionali, soprattutto non è in grado di redigere una tesi di laurea, di esprimere concetti elaborati, come i testi pieni di saggezza e profondità che spesso vengono attribuiti agli autistici «facilitati».
E’ giusto piuttosto che sia ribadito il concetto che per l’autistico il primo vero traguardo sia l’autonomia di base nei suoi comportamenti quotidiani. Inutile porsi l’obiettivo ambizioso di una laurea, se ancora il proprio figliolo ha difficoltà ad allacciarsi le scarpe, a vestirsi da solo, a curare la propria igiene personale. Chiediamoci anche cosa potrà fare il nostro figlio autistico una volta laureato, soprattutto se dovrà sempre essere seguito dai suoi facilitatori quando gli sarà chiesto d’esprimersi.  
Ieri mio figlio Tommy si è cucinato da solo la pasta con le zucchine, faccio salti di gioia, mi basta per pensare che il cuoco potrà farlo, anche se non sa parlare.  

è una  cosa  bellissima  , un fatto importante   visto che  solo  1  su  1000  a  quelle condizioni  ce la  fa  . L'importante  è  



da  http://www.redattoresociale.it/

Ragazzo autistico laureato. Angsa: "Nessun miracolo, errore di diagnosi"
Secondo l’associazione dei genitori di soggetti autistici il ragazzo sarebbe affetto da mutismo elettivo. ''Contenti per lui ma non è il caso di gridare al miracolo''. Il giornalista Nicoletti: ''Non è giusto alimentare le illusioni delle famiglie''

04 marzo 2014


ROMA – Nessun miracolo, nessuna guarigione, semmai un errore diagnostico. L’associazione nazionale dei genitori di soggetti autistici (Angsa) puntualizza con una nota sul caso del ragazzo con sindrome dello spettro autistico che, come riporta il quotidianoIl Mattino di Padova, dopo essere stato giudicato “ritardato mentale” si sarebbe laureato in Pedagogia con 96/110. “Ci congratuliamo con Piercarlo Morello per la laurea conseguita. Tuttavia se il brano che si legge sui giornali è stato scritto da lui e non dal suo facilitatore, Piercarlo non può dirsi autistico, poiché dimostra di avere una comunicazione sociale molto buona - sottolinea la presidente di Angsa Liana Baroni Fortini - Una delle caratteristiche principali degli autistici è quella di essere incapaci di comunicazione sociale, indipendentemente dal modo di espressione, che può essere scritto oppure parlato oppure a segni”. Secondo la presidente dell’associazione il ragazzo “può essere diagnosticato come un caso di mutismo, semmai elettivo, ma non come autistico, e se qualcuno ha fatto questa diagnosi si tratta di un ulteriore errore diagnostico. In medicina si commettono molti errori diagnostici – spiega -, e quando questi sono errori per eccesso e si diagnostica una malattia inguaribile che non c'è, allora si creano le condizioni per poi gridare al miracolo della guarigione, indipendentemente dagli interventi effettuati.”
L’Angsa invita anche a non cadere nella facile equazione: autismo come ritardo mentale. “Si deve ricordare che soltanto una quota dei bambini con autismo lo presentano: tale disabilità deve essere valutata con appositi test, che non sono influenzati dalla capacità espressiva verbale, altrimenti l’errore diagnostico è inevitabile – sottolinea Fortini - Vi sono casi in cui persone con autismo, sfruttando le loro particolari abilità, si sono laureate senza utilizzare la Comunicazione Facilitata, ad esempio al Dams. Per non parlare delle persone con sindrome di Asperger, che possono laurearsi senza Comunicazione facilitata in Scienze matematiche, fisiche ed altre materie nelle quali potranno effettivamente esercitare una professione utile alla loro inclusione sociale ed alla società. La comunicazione facilitata – spiega ancora - che ora si presenta con il nome di Woce, viene classificata dalla Linea guida n.21 dell'Istituto superiore di Sanità del 2011 fra gli interventi non raccomandati per l'autismo”.
Anche il giornalista Gianluca Nicoletti, papà di Tommy, ragazzo con autismo, invita a non alimentare facili illusioni. “La notizia è di quelle che dovrebbero d’istinto indurre speranza e ottimismo – scrive - Piercarlo, a quanto viene proclamato, sarebbe il primo autistico non verbale a laurearsi in Italia. Occorre però fare un punto sul fatto che Pier per esprimersi usi il sistema della scrittura facilitata (Woce). Chi conosce l’autismo, così detto “a basso funzionamento”, sa però che un ragazzo che abbia questa particolare sindrome, e non verbalizza salvo poche parole, nella maggior parte dei casi ha enormi problemi cognitivi e relazionali, soprattutto non è in grado di redigere una tesi di laurea, di esprimere concetti elaborati, come la frase attribuita a Pier nelle cronache dell’evento”. Secondo il giornale che per primo ha dato la notizia, Piercarlo avrebbe detto: “La disuguaglianza è la vera disabilità, so che cammino solo. Ho contro un male che rende la vita muta, solitaria, vacua e bisognosa di altri, ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani calmi e colori di luce.” “Non si può che condividere l’orgoglio di un ragazzo con difficoltà che riesce a raggiungere un traguardo così importante come la laurea. – conclude il giornalista - Il percorso di Pier è in assoluto gratificante per chiunque soffra per l’emarginazione e il pregiudizio in cui affondano i soggetti con disabilità psichica in genere".
Massima soddisfazione quindi per la bella storia padovana, purché il caso di Pier non si risolva nella facile equazione: autistico che non parla con un facilitatore accanto diventi uno scienziato, perché così non è. Non è nemmeno giusto che si alimentino illusioni e speranze nelle famiglie che, spesso in totale solitudine, ogni giorno hanno la grossa responsabilità di dover decidere quale sia la maniera giusta per far vivere il più felicemente possibile il proprio figlio, spesso nelle limitatezza delle proprie condizioni economiche. Può essere fantastico far laureare un figlio, anche se avrà sempre bisogno di una persona accanto che l’aiuti a scrivere, purché questo non tolga attenzione e risorse per qualcuno che gli insegni, ad esempio, a essere autonomo quando va al gabinetto”. (ec)

2.7.12

Ho 29 anni e sono docente all’Università storia di Valentina Cattivelli


Questa  foto  a  sopra   di un manifesto pubblicitario  , da me scattata  con il telefonino  , mentre   attendevo in lavanderia   di ritirare  una maglione   di mia madre  , sembra  confermare  la storia  che  riporto sotto tratta  dal corriere  della sera   online .
Questo dimostra  che   finalmente  c'è gente  che  sta smettendo di piangersi addosso  e  di parlare od imprecare  solo e  che  ora  di  


Ed  è questo  è il caso di questa storia   che vado a riportare  presa qualche  giorno fa  dal corriere della sera  online  


No, non è facile trovare lavoro in Italia. Lo abbiamo detto e ripetuto su questo blog. Così accade che qualcuno vada all’estero oppure accontoni un sogno o una passione per cercare un impiego. Ma tra migliaia di giovani (e meno giovani) in cerca di un futuro, c’è chi  con impegno ci è riuscita. Valentina Cattivelli, 29 anni, racconta la sua esperienza come docente all’Università di Parma e Verona.Sono una ragazza fortunata. In tanti modi. Ho 29 anni e sono docente universitaria da 3. A contratto, si intende, ma pur sempre docente, con la responsabilità di un corso o di una relazione di tesi.
valentina Cattivelli
Immagino che molti lettori potranno pensare che io sia la solita raccomandata, con un cognome importante a spianarle la strada. Non è così. La mia famiglia ed io siamo quelli che il Manzoni definirebbe “genti meccaniche di piccolo affare”. Mi sono impegnata molto presto. Dopo il diploma di ragioneria, mi sono iscritta ad Economia. Ne sono seguite una laurea specialistica, un master in marketing territoriale ed un dottorato di ricerca in economia regionale e rurale (Agrisystem) presso l’Università Cattolica di Piacenza. Durante gli anni di studio, ho sempre lavorato come impiegata presso la Provincia di Cremona. In questo modo mi sono pagata gli studi che, altrimenti, avrei dovuto abbandonare. Per orgoglio, per necessità, non ho mai voluto pesare sui miei genitori che già mi hanno dato tanto. Sono stati loro a trasmettermi la passione per lo studio e per il sapere e ad infondermi lo spirito di sacrificio e la voglia di fare. Sono stati loro i miei prof più importanti e dei loro insegnamenti faccio continuamente tesoro. Per questo, per la pazienza e l’affetto che ogni giorno mi riservano io sarò loro eternamente grata.L’esperienza che ti cambia la vita l’ho avuta nel 2008, come regalo per il mio 26esimo compleanno.L’università di Ferrara mi ha conferito un incarico di docente a contratto presso la facoltà di Architettura per il corso di Economia applicata avanzata: 100 ore di didattica frontale, oltre sei ore di treno ogni volta per recarmi in università. Una scelta di coraggio non da poco quella di affidare un corso così importante ad una ragazza di 26 anni. E’ stata l’esperienza lavorativa più intensa della mia vita. Il primo giorno poi è stato il più divertente: lo stupore dei miei studenti si leggeva nei loro volti, per alcuni di loro poi ero più vecchia di soli due anni, per altri addirittura una coetanea. I loro commenti, alla fine, sono stati positivi, gratificanti. Molti di loro mi rimproverano “di essere troppo buona”, altri di “metterci troppa passione”.Da qui la volontà di non “accontentarmi” di un lavoro pubblico, sicuro, nei termini e nelle mansioni, ma di tentare la più complicata strada accademica. Sempre con la valigia in mano, alla ricerca di un incarico. Certo il rapporto è di uno a quaranta (un incarico affidato, quaranta domande presentate), non ho “sponsor”, ma solo il mio cv a presentarmi. Certo, il lavoro in Provincia mi dà quella sicurezza economica che altrimenti non mi consentirebbe di rincorrere il sogno di diventare prof universitaria a tutti gli effetti. Ora sono docente presso le Università di Parma e di Verona. In ottobre sarò relatrice della “mia” prima tesi.Questo lavoro mi appassiona, è la cura migliore alla mia fame di sapere. Mi piace il rapporto con gli studenti: mi arricchisce, mi stimola a fare meglio. Cerco di dare loro un aiuto concreto alla costruzione della loro formazione e della loro futura carriera con consigli, incoraggiamenti, suggerimenti, oltre che con modelli o teorie economiche. Aver finito da poco gli studi è un grande vantaggio: li capisco, capisco le loro incertezze o esigenze e cerco di aiutarli.Oggi penso che sia stato il “sogno” il mio punto di forza, l’energia e la luce con le quali lo descrivevo durante i colloqui.Perché, in fondo, hanno ragione Antonacci: “la passione è la forza che lega le teste e a quei corpi noiosi dà spirito e luce” o un altro mio giovane collega prof D’Avenia “I sogni veri si costruiscono con gli ostacoli, altrimenti non si trasformano in progetti, ma restano sogni. La differenza fra un sogno e un progetto è proprio questa”. Il mio sogno è diventato progetto, spero che un giorno diventi quotidianità.

8.4.12

Alma Mater, svolta sugli esami "Ora è vietato rifiutare il voto"

  meno male  che mi sono Laureato in tempo e non ho visto 'sto schifo


Da repubblica  online del 7\4\2012

IL CASO
Alma Mater, svolta sugli esami
"Ora è vietato rifiutare il voto"
Parte da Medicina un cambiamento epocale per tutti gli studenti. La comunicazione del preside Stefoni fa infuriare diversi iscritti. A Lettere, invece, l'esaminando viene convocato prima della convalida  di VALERIO VARESI






Alla facoltà di Medicina sarà più difficile rifiutare un voto insoddisfacente una volta che è stato attribuito e registrato. Così avvisa il preside Sergio Stefoni in una comunicazione agli studenti. "Vi segnalo - scrive - che non deve essere consentito agli esaminandi di rifiutare il voto una volta che sia stato attribuito dal docente". E mentre altri suoi colleghi si mostrano più possibilisti individuando compromessi, gli studenti protestano. 
I primi a opporsi sono quelli del gruppo "Prometeo" i quali ritengono indispensabile la possibilità di rifiutare il voto in quanto la valutazione finale è dirimente per l'accesso alle scuole di specializzazione le cui modalità sono, a loro dire, "a dir poco restrittive". 
La disposizione generale, che il preside di Medicina ha adottato in modo così netto, è stata promulgata per l'intero ateneo, ma non tutte le facoltà l'hanno applicata allo stesso modo. Ognuno ha coniugato le norme in modo da adattarle alla propria didattica. L'intento è quello di rendere più veloce e "produttivo", oltre che selettivo, il corso di studi in considerazione del fatto che gli atenei misurano la loro efficienza (e i finanziamenti) proprio in ragione della percentuale di allievi che sfornano nei tempi previsti. In altre parole, se uno studente può rifiutare il voto è portato a ripetere più volte l'esame e quindi a rallentare il proprio iter didattico. 
Messo alle 
strette tra prendere o lasciare, la velocità dello stesso iter crescerebbe soprattutto perché negli esami scritti e registrati immediatamente, diventerebbe quasi impossibile il rifiuto. Carla Giovannini, la preside di Lettere, dopo aver ricevuto le lamentele degli studenti riguardanti proprio gli esami scritti (dove, appunto, il voto viene registrato all'atto della correzione), ha convocato tutti i professori cercando di addolcire le modalità di applicazione della norma. In pratica, prima della registrazione, viene convocato lo studente per sentire se la votazione corrisponde alle sue aspettative. "È un suo diritto rifiutare il voto" spiega Giovannini. "Certo, il sistema informatico è più rigido del sistema tradizionale, ma si possono trovare compromessi". 
In sostanza, prima di confermare, si consulta lo studente. Se quest'ultimo non è soddisfatto della valutazione, nel sistema informatico "Alma esami" esiste l'opzione "ritiro" che equivale a un nulla di fatto. La differenza tra facoltà come Lettere e altre come Medicina, sta nel fatto che quest'ultima ha molti più esami scritti e convocare gli studenti prima di registrare un voto corretto su carta comporta una procedura più laboriosa. Secondo gli studenti, l'obbligo di ritirarsi prima di aver appreso la votazione può creare situazioni definite "grottesche". In certi casi l'allievo potrà essere indotto a gettare la spugna poco prima di conoscere il voto per timore, oppure a farlo per pessimismo o scoramento anche quando l'esame sta andando discretamente bene. Oppure ancora, al contrario, a non poter ritirarsi in tempo quando pensa di aver sostenuto un ottimo esame, ma si vede affibbiato un voto poco soddisfacente.

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...