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2.10.24

in divenire -- Dulcinea Annamaria Pecoraro

 Ognuno di noi è frammento, che diventa capolavoro in divenire, discernendo e smussandosi nel


tempo. La magia sta nel non perdere i tratti di sé stessi e continuare a testa alta ad andare avanti, cogliendo e raccogliendo. La direzione?...inversa e contraria a ciò che questo "mondo di squali" propone...chissà magari è una questioni di vie di uscita che diventano chiave di grandi porte che si affacciano in un "Oltre" migliore!!

25.10.23

DIARIO DI BORDO N°19 ANNO I . Spaccio, blitz di Fdi per togliere la lieve entità . per una canna si finisce in carcere ., Piano B, la storia di Maurizio Carcò: “Dopo 20 anni ho lasciato il tempo indeterminato. Ora lavoro solo due giorni a settimana e guadagno più di prima” ., Da un anno in carcere ma nessuno lo va a trovare, direttrice lo autorizza a riabbracciare il suo cane per un giorno ., ed altre storie

 Si    ritorna   indietro  dove  anche  per  una semplice  canna  o una  modica   quantita    vieni  cnsiderato uno  spacciatore   . Va  bene punire  chi  spaccia    e vende morte o illusionia buon mercato ma  qui si esagera   . 



Spaccio, blitz di Fdi per togliere la lieve entità. Poi il governo frena: solo un aumento di pena . Battaglia in Senato sul decreto Caivano. Il Csm chiamato a dare un parere: il vicepresidente Pinelli si astiene

di Viola Giannoli, Liana Milella



Via la lieve entità dalla legge sugli stupefacenti se c’è spaccio, anzi no. Sul blitz di Fratelli d’Italia per cancellare dal Testo unico sugli stupefacenti l’attenuante alla cessione di droga in alcune circostanze il governo dà prima parere favorevole e poi fa dietrofront.
Tutto avviene ieri durante la seduta delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia al Senato. Fdi, primo firmatario Marco Lisei, presenta un emendamento al dl Caivano che stabilisce, di fatto, che lo spaccio diventi motivo ostativo al riconoscimento della lieve entità. Ovvero a quella norma prevista dalla legge sulle droghe che consente al giudice, rispetto alle pene inflitte per lo spaccio di sostanze stupefacenti, di riconoscere uno sconto per la quantità di droga ceduta, i soldi in tasca ricavo dello spaccio, la presenza o meno di bustine per l’imballaggio della droga o di bilancini per pesarla. Per Lisei però «la giurisprudenza tende a considerare troppe cose di lieve entità. Se io ho tre piantine in balcone – sostiene – e ne consumo il prodotto è un conto, ma se lo vendo, è chiaramente un altro caso».
“Una follia giuridica”
Davanti all’ipotesi di abolizione tout court della norma l’opposizione dem però s’infuria. Secondo il capogruppo del Pd in commissione Giustizia, Alfredo Bazoli, significa «mettere sullo stesso piano Pablo Escobar e lo studente che si rivende una canna al compagno» facendo saltare «qualsiasi principio di proporzionalità». Una modifica palesemente incostituzionale», aggiunge, che «finisce per riempire le carceri italiane di studenti un pò incauti». Carceri già sovraffollate per un terzo, racconta il Libro bianco sulle droghe, da detenuti reclusi per possesso o spaccio di sostanze stupefacenti. Anche Riccaro Magi, segretario di Più Europa, va all’attacco: «Una follia giuridica in cui c’è tutta l’ideologia di questa destra che non limiterà il consumo di sostanze e non diminuirà la loro circolazione, né intaccherà gli interessi delle grandi organizzazioni che ne controllano il traffico».
La frenata del governo
Qualche ora di bufera e il governo frena. Chiede una riformulazione dell’emendamento in cui la lieve entità resta ma si aumenta la pena minima a 18 mesi. Un nuovo inasprimento che arriva un mese e mezzo dopo quello di settembre: il decreto Caivano già nella sua formulazione iniziale aveva inasprito le pene passando da un massimo di 4 a un massimo di 5 anni. Il senatore Lisei è costretto ad accettare la riformulazione. Che resta, però, un pessimo segnale per Magi: «Già oggi in 7 casi su 10, pur con l’applicazione della lieve entità, si finisce in carcere - dice - Servirebbe un intervento di depenalizzazione che distingua tra le diverse sostanze come chiede la nostra proposta depositata alla Camera». Intanto sul parere del Csm al decreto Caivano è il vice presidente del Csm Fabio Pinelli, l’avvocato di Padova eletto dal Parlamento in quota Lega tra i dieci laici di Palazzo dei Marescialli, a fare ancora notizia. Astenuto perché a suo dire il Csm “esonda dalle valutazione che ci sono consentite”, sollevando così una catena di critiche.

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Piano B, la storia di Maurizio Carcò: “Dopo 20 anni ho lasciato il tempo indeterminato. Ora lavoro solo due giorni a settimana e guadagno più di prima”
“Non ha senso lavorare senza gioia”. Maurizio sorride mentre racconta la sua vita. Ha trovato la strada giusta, dice. “Sembra impossibile, ma ho raggiunto la vera felicità”. E la felicità ha un odore antico, ha il profumo più buono del mondo.Ti stordisce quando arrivi nella strada dove Maurizio lavora, a Limbiate, Brianza. Dopo 21 anni ha lasciato il suo posto a tempo indeterminato nella multinazionale degli elettrodomestici Electrolux e ha iniziato la sua nuova vita. Una vita che sa di farina e cereali, di legna e lievito madre: Maurizio ha aperto un forno. “Faccio un pane speciale - spiega orgoglioso con gli occhi scuri che si illuminano - impastato a mano, biologico, e cotto a legna”.Lavora su prenotazione. Questo gli consente evitare sprechi e di sapere esattamente quale sarà il guadagno. E soprattutto di aprire il negozio solo due volte a settimana. Non solo. “Le mie entrate sono aumentate - sottolinea - Oggi guadagno più di prima, sui duemila euro. E potrei guadagnare ancora di più se aprissi tutti i giorni, ma non mi servono altri soldi, e preferisco avere tanto tempo libero”. “Non ha senso lavorare senza gioia”. Maurizio sorride mentre racconta la sua vita. Ha trovato la strada giusta, dice. “Sembra impossibile, ma ho raggiunto la vera felicità”. E la felicità ha un odore antico, ha il profumo più buono del mondo.Ti stordisce quando arrivi nella strada dove Maurizio lavora, a Limbiate, Brianza. Dopo 21 anni ha lasciato il suo posto a tempo indeterminato nella multinazionale degli elettrodomestici Electrolux e ha iniziato la sua nuova vita. Una vita che sa di farina e cereali, di legna e lievito madre: Maurizio ha aperto un forno. “Faccio un pane speciale - spiega orgoglioso con gli occhi scuri che si illuminano - impastato a mano, biologico, e cotto a legna”.
"Il forno di Maurizio" a Limbiate / foto di Carlo Anastasio


Lavora su prenotazione. Questo gli consente evitare sprechi e di sapere esattamente quale sarà il guadagno. E soprattutto di aprire il negozio solo due volte a settimana. Non solo. “Le mie entrate sono aumentate - sottolinea - Oggi guadagno più di prima, sui duemila euro. E potrei guadagnare ancora di più se aprissi tutti i giorni, ma non mi servono altri soldi, e preferisco avere tanto tempo libero”.
Maurizio Carcò, che oggi ha 49 anni, una moglie impiegata e due figli adolescenti, non è scappato dal suo vecchio impiego perché non ne poteva più. Anzi. “Mi piaceva quel lavoro, facevo il controllo qualità degli elettrodomestici. Avevo anche tutta una serie di benefit. Ma mi mancava qualcosa. Non mi sentivo abbastanza utile, non creavo nulla. Oggi invece creo con le mie mani, faccio un pane buono e che fa bene. Un prodotto che dura una settimana, realizzato con materie prime eccellenti, e che vendo a un prezzo equo: ci sono pagnotte da 5 euro al chilo, da 7 e da 9. Varia a seconda delle farine. Nel tempo libero vado per fiere, mi faccio conoscere per aiutare gli altri a cambiare vita come ho fatto io”.Ma partiamo dalla prima briciola. Tutto inizia nel 2015, proprio in una fiera di paese. Qui decide di iscriversi a un corso di panificazione. E conosce quello che diventerà il suo maestro, un uomo che faceva il pane nel forno costruito nel giardino di casa, vicino a Como. E che amava ripetere: “Oltre al pane sforno fornai”. E così è stato. Per Maurizio è una folgorazione. Capisce subito che quello che sembrava un gioco iniziato per curiosità, sarebbe diventato qualcosa di più. Si appassiona talmente tanto che inizia a produrre per gli amici, usando il forno del suo maestro. “I primi 20 chili sono venuti così così, un po’ bruciacchiati - ricorda intenerito - Poi è andata meglio. Ho iniziato a chiedere delle donazioni, non potevo ancora vendere”.




Maurizio intuisce che quella è la strada giusta e capisce che deve fare il grande passo. Si sente felice mentre impasta e sforna, e la via non può che essere quella. “Mia madre aveva un negozietto, era andata in pensione e lo aveva lasciato sfitto. Così l’ho preso e l’ho trasformato: ci ho fatto costruire un forno meraviglioso, ho investito 25mila euro. Invece della macchina ho comprato un panificio. E quattro anni fa ho dato le dimissioni. Mia madre era disperata, odia i forni. Quando era bambina e viveva in Sicilia sua mamma la costringeva ad accenderlo tutti i giorni all’alba. Ma poi, quando mi ha visto motivato, si è arresa".Ma cosa sarebbe successo se non avesse avuto quelle mura di proprietà? “Avrei comunque potuto pagare un affitto, lavorando magari un giorno in più. Il sogno era comunque realizzabile”.Così, dopo un corso regionale che lo autorizza a produrre e vendere, Maurizio inizia il suo nuovo cammino, una strada profumata di pane e felicità


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  1. Un cane per amico e una donna di buon cuore. Un esempio da seguire👏👏👏. un ottimo esempio di considerazione per un essere umano che si trova detenuto per piccole cose. 12 mesi per piccoli reati, mentre i grandi evasori se la cavano con poco. Per questo poveraccio, niente visite ai vecchietti una volta a settimana, eh?





    Da un anno in carcere ma nessuno lo va a trovare, direttrice lo autorizza a riabbracciare il suo cane per un giorno
                               di Francesco Oliva



Con il suo cane andava in giro per il lungomare di Santa Maria al Bagno. D’estate come in inverno. In una campagna della marina di Nardò aveva la sua casa o meglio il suo buen retiro: un camper dismesso “simile ad un accampamento” come racconta una sua amica. Massimiliano, 54 anni, era un uomo solo: la madre morta quando era ancora piccolo mentre con il padre non ha più alcun tipo di rapporti da tempo. E lui, barba lunga “ma sempre ordinato, gentile e garbato” ha deciso di compiere una precisa e radicale scelta di vita. Solo e distaccato “riservato ma sempre disponibile alla chiacchiera e con tante cose da dire” ci spiega chi lo conosceva.Con Zair al suo fianco e con l’aiuto di tante persone che gli hanno voluto bene. D’altronde con una pensione di poche centinaia di euro, nessuna possibilità di beneficiare di un alloggio di residenza popolare, attorno a sé ha avuto il sostegno e l’appoggio di tanti: c’è il vicino che gli ha permesso di allacciarsi alla luce o il parroco di Santa Maria al Bagno perché grazie al sostegno della Chiesa, Massimiliano ha potuto avere un pezzo di campagna su cui piazzare il suo camper. Circa un anno fa, però, non appena la sentenza per fatti piuttosto datati è diventata definitiva e con l’ingresso in carcere sempre più imminente, il 54enne salentino si è prodigato per trovare una nuova famiglia al suo amato cagnolino. Ora Zair ha un nuovo padrone e viene trattato benissimo. In carcere, invece, per Massimiliano stare dietro le sbarre non è semplice. Ancora di più se sai che dall’altra parte del vetro della sala colloqui non ci sarà mai nessuno ad aspettarti.E allora la Direzione del Penitenziario di Borgo San Nicola si è prontamente attivata per regalare un momento di gioia a Massimiliano facendogli riabbracciare il suo amico a quattro zampe. La dottoressa Monica Rizzo ha disposto un incontro tra l’uomo ed il suo affetto più caro, grazie anche alla sensibilità dimostrata dalla direttrice, Maria Teresa Susca. L’evento si è svolto all’interno del carcere: nello specifico in un roseto creato e accudito da un detenuto, dove si avverte un’aria di serenità e di grande cura. Lì cane e proprietario hanno potuto trascorrere del tempo insieme nel nome di un legame indissolubile.“Tutto questo - fanno sapere dal carcere - ci fa ben sperare che l’importanza che si dà all’individualizzazione del trattamento detentivo sia il punto di forza per la rieducazione dei detenuti. Tale trattamento è l’unico in grado di rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto, ancora più efficace se si dà particolare attenzione al modo in cui il soggetto ha vissuto, alla sua storia specifica, al suo vissuto familiare”.



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Divorziati restano amici, poi lui muore in un incidente. Il tribunale: “L’assicurazione risarcisca anche la ex moglie” L’uomo, 70 anni, è morto per le ferite riportate dopo essere stato travolto da un camion a novembre del 2014. Ma la compagnia aveva negato l’indennizzo all’ex coniuge





Erano divorziati da sette anni, ma erano rimasti in buoni rapporti: si vedevano insieme ai figli, ogni tanto uscivano a cena tutti insieme, spesso si incontravano per scambiare quattro chiacchiere e prendere un caffè al bar. Ma ognuno per la sua strada ed ognuno con la sua vita anche se entrambi senza nessun altro al fianco. È stato questo rapporto da buoni amici a fa scattare la condanna del tribunale di Cassino: ha disposto che una compagnia di assicurazioni risarcisca l'ex moglie alla pari di tutti gli altri parenti indennizzati dopo che l'ex coniuge è morto in un incidente stradale.
Imputato un camionista sessantenne del Cassinate: l'accusa, omicidio stradale. I fatti sono del novembre 2014 l'uomo alla guida del suo autocarro sulla Cassino - Sora invade la corsia opposta travolgendo una Lancia Ypsilon condotta da un settantenne di Atina che decedeva per le ferite. L'assicurazione decide di risarcire tutti gli eredi ma non l'ex moglie sostenendo che, avendo divorziato da anni la donna avrebbe perso ogni diritto. Lei ha impugnato la decisione e si è costituita nel processo al camionista.
Gli avvocati Sandro Salera e Paolo Marandola hanno dimostrato che nonostante la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la signora aveva mantenuto un rapporto stabile con l'ex coniuge, si vedevano e si frequentavano anche se non abitavano più sotto lo stesso tetto e non avevano vincoli. E pertanto aveva diritto al risarcimento corrispondente alla sofferenza interiore e allo stravolgimento del sistema di vita, derivante dalla morte dell'ex marito.
Il Tribunale di Cassino, accogliendo le tesi dei due legali, ha condannato l'imputato a sei mesi (pena sospesa) e la compagnia di assicurazioni a risarcire tutti i danni subiti dalla ex coniuge del deceduto, riconoscendo in suo favore anche una somma di ventimila euro a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva


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“O diventi eterosessuale o ti butto dal balcone”. Abusi e torture sul figlio 14enne: genitori a processo . Dopo aver letto il diario del figlio il padre ha iniziato una persecuzione di botte, umiliazioni e insulti e nessuno in casa lo ha fermato
                                     di Sarah Martinenghi



A un diario aveva affidato tutti i suoi segreti: 14 anni, i primi desideri e le proprie paure, sogni e ambizioni, come la passione per la moda e per il disegno. E su quelle pagine così intime e profonde aveva impresso se stesso e una consapevolezza, quella di essere omosessuale. Il 14 agosto 2020, però, quel diario era stato violato. Suo padre l’aveva letto e tutto, per lui, era cambiato: non c’era stato più
spazio per l’affetto e la comprensione, scalzati via dalla rabbia e una cieca intolleranza.
Nella mente del genitore si era affacciata un’unica idea: cambiare a tutti i costi suo figlio. E a quel punto ha dato inizio a una serie di maltrattamenti atroci, nell’assurdo tentativo di modificarne l’orientamento sessuale. L’ha portato da uno psicologo per farlo tornare, come diceva lui «normale», l’ha costretto a corse punitive nel cuore della notte, ad abbassarsi i pantaloni per mostrare la propria virilità, a frequentare sport «da maschi», arrivando persino a imporgli di avere un rapporto sessuale con una ragazza «entro un mese di tempo».
Ha inibito ogni sua volontà: l’adolescente non era più libero di farsi la barba o di sentire la musica, o di vestirsi, secondo i propri gusti. Spiato, controllato, picchiato, umiliato, di continuo. Una lunga serie di violenze racchiuse in un articolato capo d’imputazione formulato dalla pm Giulia Rizzo che ieri ha chiesto il rinvio a giudizio di entrambi i genitori: il padre del ragazzino è accusato di maltrattamenti e la madre di non aver fatto nulla per impedirli. L’udienza preliminare inizierà il 22 gennaio.
Dopo aver letto il diario segreto di suo figlio, il padre gli aveva tirato un ceffone dicendogli: «Non ti voglio più in casa». Per punizione gli aveva tolto il telefono e la playstation e l’aveva obbligato a leggere quello che aveva scritto a voce alta davanti a tutta la famiglia. L’aveva costretto a rivelargli i propri codici di accesso a Instagram e Tik tok, criticando i contenuti «troppo femminili - si legge nel capo d’accusa - ed eliminando i video ritenuti inopportuni».
Nell’estate del 2020 dopo essersi accorto che il ragazzino si era rasato il viso, l’aveva afferrato per i capelli, colpito con dei ceffoni e gli aveva detto: «Tu vuoi essere una donna, adesso ti abbassi i pantaloni e mi mostri cos’hai lì sotto». Poi aveva programmato le visite dallo psicologo affinché, scrive la pm, «lo facesse tornare normale, salvo poi interromperle quando il professionista aveva spiegato ai genitori che l’omosessualità non è una malattia da curare clinicamente, proponendo loro un percorso di accettazione». Un discorso inutile: a ogni atteggiamento ritenuto troppo femminile «scattavano punizioni».
L’ultimatum era arrivato il 24 gennaio 2021: «Hai un mese di tempo», gli aveva detto il padre chiedendogli di dimostrare di essere stato con una ragazza. Ma quando aveva saputo che «non aveva concluso nulla» gli aveva rotto la playstation, strappando via tutti i poster dalla sua camera. Poi l’aveva fatto alzare dal letto alle tre di notte, imponendogli di correre per la strada fino all’alba.
Per il padre, suo figlio doveva «fare cose da maschio»: andare in palestra, praticare «la boxe», ma anche «leggere testi e canzoni solo di autori maschili», tagliarsi i capelli, non farsi la barba. E doveva per forza frequentare «il liceo scientifico anziché l’artistico a indirizzo moda», dicendogli: «Hai un mese di tempo» per diventare eterosessuale. In caso contrario: «Ti butto giù dal balcone». Gli insulti, contestati fino al 2022, sono stati elencati solo in parte: «mi vergogno di avere un figlio come te», «fai schifo», «abbiamo creato un mostro», «il tuo corpo fa schifo, sembra quello di una donna».
L’adolescente, disperato, si era rivolto allo psicologo della scuola che aveva avvisato la polizia municipale e fatto partire l’indagine: lui, allontanato da casa e affidato a un’altra famiglia, ha ritrovato la serenità. Sentito in incidente probatorio, il minore (che ora è tutelato come vittima dall’avvocato Mauro Scaramozzino) aveva raccontato che cosa aveva dovuto sopportare. Le botte prese erano state meno dolorose delle umiliazioni subite. E nemmeno sua madre l’aveva protetto. La donna, assistita come il marito dall’avvocata Valentina Colletta, è accusata di «non essere intervenuta per bloccare» il coniuge, e di avergli spiegato che suo padre stava facendo così «per il suo bene».

1.1.22

questo blog ha 18 anni è non li sente

Oggi il  blog   diventato  anche  appendice  con  account  e pagina  su   :   facebook (  soprattutto )  ,     istangram  ,  telegram    compie  18  anni   come passa  il  tempo   . Sono cambiate tante cose da allora. Avevo ancora   la nonna  materna  , quella   gli altri  sono morti che   ero  ancora  ragazzo   la pandemia d covid  , non era scoppiata, Avevo persone nella mia vita che oggi non ci sono più ma  che  ancora    con  i loro  insegnamenti     che mi hanno  lasciato   e  come  se  ci  fossero   nel bene  e ne   male   e dovevo ancora conoscerne altre che sono diventate importanti.   : << ....  hai già perso troppi amici  \in questa guerra  \hai preso parte a trentadue rivoluzioni \ e trentadue rivoluzioni le hai perdute \Tienes que esperar! ..... Tienes que esperar tienes tienes que esperar ....   >>⑴

 Ogni anno si fa un bilancio tra ciò che abbiamo guadagnato e ciò che abbiamo perduto, tra gioie e dolori. Sono la persona che vorrei essere? Me lo chiedo spesso, non solo il 31 dicembre .  Infatti :<< ..... il tuo dramma era scoprire chi eri  \ ma quello è il dramma di ogni uomo\ ed è più facile soffermarvici sopra a stomaco pieno   ..... >> (2)  La risposta è: sono in evoluzione. Sbaglio,  cado e mi rialzo   ma guardo in faccia i miei errori. Ho imparato a perdonare,  a volte  anche  profondamente, anche se ancora non so perdonare me stesso  ma   ci  sto provando  . Prima era la rabbia che mi faceva andare avanti. Oggi so cosa significa lasciare andare anche quando vorresti soltanto urlare.Non mi reputo più saggia e neanche più cinica. Sono semplicemente una persona che non ha smesso di farsi domande. Che non ha smesso lavorare duramente per realizzare i propri sogni.  La costante in questi diciassette anni è stata la scrittura. Scrivere  e  condividere per sopravvivere. Scrivere per elaborare le emozioni. Scrivere come unico modo che conosco per comunicare con il resto del mondo.  Ognuno di noi ha la sua storia, le sue paure, i suoi sogni. Ognuno di noi saluterà quest’anno con la speranza che il prossimo sia migliore. Vi auguro di essere voi, quelli migliori. Non nel senso di perfetti, ma di abbracciare l’imperfezione. E riuscire a trovare dentro di voi un posto dove sentirvi al sicuro, anche quando fuori c’è la tempesta.  Buon 2022, amiche e amici e grazie a chi c’è stato. Grazie a chi ha trovato un pezzetto di sé nelle mie storie  ed  in quelle  che  racconto   e ha trovato un istante per dirmelo. Vi voglio bene 🖤 .  : << ... Ho tante cose ancora da raccontare \ Per chi vuole ascoltare  \ E a culo tutto il resto. >>

Colonna  sonora  

  •   come  una  pietra  scalciata  -  articolo 31 (2 ) 
  •  cent'anni di solitudine  - Mcr ⑴
  • l'avvelenata  -  Francesco  Guccini  ( 3)
  • Dj Enzo feat. J-Ax _ Wonderbra - Quelli Come Me. 
  • non  è tempo per  noi  -ligabue   

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10.11.21

stato assassino morale la storia di Adelina Sejdini si è suicidata: denunciò racket della prostituzione. Chiedeva la cittadinanza italiana: “Se torno in Albania mi ammazzano”

Eco come lo stato uccide Poiché non penso che la gente legga tutto l'articolo o ne abbia il tempo trova qui un riassunto della vicenda
 

Girando  tra  i follower   dei miei social   ho  trovato  questo 

18 h 
 
Adelina, donna albanese, vittima della tratta delle schiave, era arrivata in Italia come tante altre sue compagne di sventura su un gommone. Dopo essere stata rapita giovanissima dalla crudele mafia albanese, dopo essere stata stuprata dal branco, è stata avviata alla prostituzione coatta sul ricco mercato italiano, perché, diciamolo, in Italia il mercato del sesso sfruttato è una fonte importante di reddito per le mafie Adelina poi con le sue coraggiose rivelazioni ha fatto arrestare 40 persone mentre altre 80 vennero denunciate, di fatto sferrando un duro colpo all'organizzazione di suoi connazionali che avevano messo su un importante giro di sfruttamento della prostituzione in Italia. Adelina più volte poi ha chiesto la cittadinanza italiana perché, dopo aver denunciato i suoi sfruttatori, se fosse tornata in Albania sarebbe andata incontro a morte certa. Ripetutamente questa giovane donna ha protestato contro quel permesso di soggiorno concessole inizialmente in cui non risultava più apolide, ma cittadina albanese. A fine ottobre, venuta a Roma, sperando in un intervento del Presidente Mattarella, si è data fuoco davanti al Viminale, cioè davanti al Ministero dell'interno, che avrebbe dovuto proteggerla in virtù della sua collaborazione con la giustizia. Dopo essere stata soccorsa con ustioni su tutto il corpo, beffardamente le è arrivato anche un provvedimento di allontanamento dal Comune di Roma e il divieto di farvi ritorno per un anno ! Adelina, a Pavia dove risiedeva, non è più rientrata: sabato scorso si è gettata da un cavalcavia ferroviario a Roma. Vittima silenziosa di uno Stato distratto, miope, ignaro, o, forse, forte con i deboli e debole con i forti.

P.s.: come vedete dalla foto, questa disgraziata leonessa nel frattempo ha dovuto anche fronteggiare la triste esperienza di una malattia oncologica.

Quello che  fa  più rabbia  è  che 


 da  il  https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/08/

Più volte aveva chiesto di poter ottenere la cittadinanza italiana: era disperata dopo che nel suo permesso di soggiorno era stato tolto lo stato di apolide e indicata la cittadinanza albanese. Sabato scorso si è tolta la vita lanciandosi da un cavalcavia ferroviario: così è morta Adelina Sejdini, ex prostituta nata a Durazzo che ha avuto il coraggio di far arrestare i suoi sfruttatori. Grazie alle sue rivelazioni 40 persone furono arrestate e altre 80 denunciate, tutte appartenenti alla mafia albanese che controllava lo sfruttamento della prostituzione in tutta Italia. Il 3 novembre era stata ospite a L’aria che tira su La7 [ vedere  video  ]   doveva aveva raccontato: “Io se torno in Albania sono una donna morta, ho paura di essere ammazzata da quelli che ho fatto arrestare“. Sejdini, 46 anni, viveva a Pavia ed era malata di tumore con frequenti ricoveri in ospedale al San Matteo. Dopo essere fuggita dai suoi sfruttatori, aveva denunciato l’organizzazione e negli anni successivi si era anche impegnata al fianco dei City Angels per aiutare le giovani prostitute vittime del racket a liberarsi da quella schiavitù. Non aveva più voluto la cittadinanza albanese, il paese che aveva lasciato nel 1996 quando era arrivata in Italia a 22 anni. In occasione dell’ultimo rinnovo del suo permesso di soggiorno, però, non le era stato riconosciuto più lo stato di apolide. “Non solo, c’è scritto che lavoro. Di conseguenza non posso più avere i sussidi e la pensione d’invalidità che mi serve per vivere”, aveva racconto Sejdini. Una commissione medica, invece, l’aveva riconosciuta invalida al 100%.Nella sua nuova condizione avrebbe incontrato enormi difficoltà a vedersi assegnata una casa popolare. Per protestare contro la burocrazia, alla fine di ottobre aveva deciso di andare a Roma, nonostante le sue precarie condizioni di salute, sperando di poter incontrare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella o almeno alcuni funzionari del ministero dell’Interno. Poi il 28 ottobre si è data fuoco. Soccorsa e traportata all’ospedale Santo Spirito con gravi ustioni, la donna raccontava: “Ho presentato la domanda per avere una casa popolare, ma adesso me la sogno. I documenti non corrispondono più. E non posso accettare la cittadinanza albanese, dal momento in cui me l’hanno scritto ho gli incubi. Mi ammazzo piuttosto”. Su disposizione delle autorità, dopo il ricovero nella Capitele sarebbe dovuto rientrare a Pavia, dove era in cura ed era finita anche in terapia intensiva. Ma Adelina Sejdini da Roma non è mai tornata e sabato scorso si è lanciata da un cavalcavia ferroviario. Sulla tragedia sono in corso accertamenti da parte della Polizia Ferroviaria di Roma Termini

quanti suicidi o  invisibilità    dovranno ancora  succedere  prima  che   si faccia  un  legge  seria  e  no demagoga   e  malpancista   che  regoli  in maniera  umana   tali fenomeni ?

Io   penso  mai   in quanto  calcare le  nostre paure  ,  le nostre titubanze    serve non solo  a guadagnare  voti   e consenso  ma  a  nascondere    ed  usare  tali fatti  come foglia di  fico  per  nascondere   gli insuccessi e  la  mala  politica 

6.11.21

la strada è come la vita dovunque e comunque , ci si perde , ci si ritrova insomma racconta chi sei le storie di Franco Arminio poeta e di Caio Mario Garrubba un fotogiornalista

 «Ogni giorno dovremmo fare una cosa nuova e una cosa vecchia. Tu vai a letto a mezzanotte e ti chiedi: oggi cosa ho fatto di nuovo e cosa ho fatto di antico? Non devono essere cose eccezionali, basterebbe semplicemente percorrere una strada che non hai mai fatto, semplicemente metterti una maglia che non ti sei mai messo perché pensavi ti stesse male, una piccola cosa, ma allo stesso tempo recuperare anche un gesto antico: come salutare uno sconosciuto o dire una preghiera. Queste due cose insieme fanno futuro».

Il poeta Franco Arminio (© Franco Arminio)

Franco Arminio è il poeta del silenzio, dei paesi spopolati, delle relazioni umane, è nato nel 1960 a Bisaccia, in Irpinia, dove ancora vive e il suo sguardo sul mondo non finisce di sorprendermi. L’ho conosciuto nel periodo più difficile del primo lockdown, in quei giorni di inizio primavera del 2020 quando eravamo chiusi in casa e avevamo già smesso di cantare dalle finestre. Franco aveva condiviso il suo numero di telefono sui social e si era messo a disposizione di chi chiamava, non per dare risposte ma per offrire ascolto, per rompere la bolla di solitudine. Lo avevo raccontato su questa newsletter e ora che finalmente ci possiamo incontrare di persona ripartiamo da lì: «In quel periodo il mio telefono suonava senza sosta, ma se lo rifacessi domani mattina succederebbe la stessa cosa: c’è un enorme bisogno di raccontare i propri dolori, i propri abbandoni. Forse oggi siamo tutti connessi ma in realtà la gente non sa con chi parlare». La voce di Franco è calda, lenta, misurata, ho pensato che fosse la persona giusta per fare un podcast per ragionare di questo tempo di trasformazione e di come interpretarlo.«Io indago i silenzi, oggi i paesi non hanno più una colonna sonora, prima c’era il canto degli animali, quello dei mestieri e si cantava in osteria, oggi invece c’è silenzio. Ed è un silenzio che fa bene se lo vivi per un’ora, se scappi dal rumore cittadino ma se ci stai dentro, ogni giorno, ti fa male». Per questo Arminio scrive poesie e gira l’Italia per raccontare le terre spopolate, i borghi dove sono rimasti solo gli anziani e la vita si sta spegnendo. Lo fa guidato dalla 
da il suo  istangram 
 https://www.instagram.com/francoarminio/
nostalgia ma anche dalla necessità di dare valore a ciò che sta fuori dalle grandi città e dai percorsi turistici tradizionali. Lo fa con una dose di improvvisazione, tenendo aperta sempre la porta alle sorprese, tanto che è più corretto dire che “girovaga” anziché viaggia.                Da lui ho imparato l’idea che sia necessario lasciarsi contaminare dall’impensato:
«La vita può sempre portare delle situazioni nuove, dobbiamo mettercelo in testa, possono essere belle o possono essere terribili. E questo è il mistero. Noi non dobbiamo mai ridurre la quota di mistero, noi non sappiamo cosa ci può accadere tra un’ora. Se noi tendiamo a rendere prevedibile la giornata, a fare solo cose programmate, a sapere già cosa faremo questa sera alle otto, allora un po’ si impoverisce la vicenda umana. La vita è una danza tra mistero e cose conosciute, l’impensato è una grande risorsa». La sfida mi sembra di quelle da accogliere: guardare le cose con occhi nuovi e osservare ciò che ci circonda: «Il mondo esterno ci può guarire, uscire di casa la mattina con curiosità aperti all’incontro con gli altri è una grande medicina. Dobbiamo avere più fiducia in quello che c’è fuori».

Franco Arminio in uno dei sui viaggi in Italia (© Franco Arminio)

Arminio non sta mai fermo e nel nostro dialogo podcast mette in guardia dal vizio che abbiamo di piangerci addosso, di ripetere continuamente che siamo stanchi: «Ci sono energie enormi e risorse che non utilizziamo, non bisogna risparmiarsi nella vita: la salute aumenta consumandola. Dobbiamo avere il coraggio di essere fragili, ogni giorno consumiamo un sacco di energie a nascondere le nostre crepe, a truccare le carte, è veramente tempo perso, facciamo prima a dire: non ce la faccio».
Parla di crepe e occasioni e non può non venirmi in mente quel bellissimo verso di una canzone di Leonard Cohen che io ripeto spesso: “In ogni cosa c’è una crepa, è da lì che passa la luce”
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«Caio Mario amava la strada, dovunque e comunque, e diceva: io vedo l’uomo così com’è soltanto sulla strada. Nelle sue foto non c’è mai qualcuno che posa: per fare uno scatto che a te può sembrare posato, lui ha dovuto camminare mesi». Caio Mario di cognome faceva Garrubba, era un fotogiornalista speciale, il suo set erano le strade del mondo, lavorò sempre come freelance e pubblicò su tutte le più importanti riviste dagli Anni Cinquanta ai Settanta, dal Mondo di Pannunzio all’americana Life. È mancato a 91 anni nel 2015, senza aver avuto la notorietà e gli onori che meritava dopo la fine della sua carriera, ma oggi è in atto una sua riscoperta la cui artefice è stata la donna che ha amato per 43 anni e che aveva conosciuto a una festa a Varsavia nel 1961.

USA, New York, 1970 (© Archivio Storico Luce / Cinecittà)
Unione Sovietica, Mosca, 1968 (© Archivio Storico Luce / Cinecittà)
Cecoslovacchia, Praga, 1957 (© Archivio Storico Luce / Cinecittà)

Alla Folonietov, polacca di origine cosacca, due anni dopo la morte di Caio Mario decise che tutti i negativi, le diapositive e i provini che il marito aveva catalogato non potevano andare perduti. Così cedette l’intero archivio all’Istituto Luce, salvandolo dall’oblio e regalandogli una nuova fortuna. Io l’ho scoperto in una mostra meravigliosa che si può visitare fino al 28 novembre a Palazzo Merulana a Roma, curata da Emiliano Guidi e Stefano Mirabella.  
Emiliano, che si occupa della conservazione della parte fotografica dell’Archivio storico Luce, ricorda il giorno in cui Alla gli aprì la porta della casa di Spoleto: «Mi aveva detto di non presentarmi prima delle tre del pomeriggio, perché amava dormire tutta la mattina. Temevo fosse una donna schiva, invece non vedeva l’ora di raccontare, e per giorni mi parlò del marito fino a notte fonda. Voleva che non andasse perduto nessun ricordo, voleva dargli una seconda vita e continuava a ripetermi quanto lo avesse amato. Tanto che io decisi di riprenderla e registrammo un’intervista di più di cinque ore (potete ascoltarne qui un breve estratto). Due anni dopo quella prima visita scomparve anche lei, ma sicuramente serena di aver fatto la sua parte».

Autoritratto insieme alla moglie Alla Folomietov (© Archivio Storico Luce / Cinecittà)

«Nella casa di Spoleto c’erano foto appese ad ogni parete, non smettevo di guardarle, e rimasi subito affascinato dallo sguardo delle persone che aveva ritratto. Poi mi portò a vedere l’archivio: 60mila negativi contenuti in una lunga fila di scatole da scarpe. Ricordo l’emozione del privilegio di mettere le mani nella vita intera di un fotografo che ha raccontato il mondo e le sue strade. Quando pensavamo di aver visto tutto, Alla mi disse che in una piccola casa che avevano in campagna doveva esserci qualcos’altro. Ci andammo e dietro una porta chiusa da anni, in un sottoscala, trovammo degli scatoloni con una scritta a pennarello: “Scarti”. Erano pieni di diapositive, che nella sua severità Caio Mario non aveva mai voluto pubblicare, ma che non aveva nemmeno veramente eliminato. In quegli scatoloni c’erano delle perle». Oggi il lavoro di Carrubba è stato tutto digitalizzato, ci sono voluti quattro anni per farlo, e al Luce stanno catalogando ogni foto per renderle tutte fruibili e pubbliche.

Unione Sovietica, Mosca, anni Sessanta (© Archivio Storico Luce / Cinecittà)
USA, New York, 1970 (© Archivio Storico Luce / Cinecittà)
Grecia, Atene, 1955 (© Archivio Storico Luce / Cinecittà)

«È giunta l’ora di riscoprirlo, è stato un incredibile innovatore che già negli anni Cinquanta scattava delle foto con uno stile e un’idea che era molto più moderna del suo tempo. Una fotografia fatta di sfumature, come dice Tano D’Amico che non lo ha mai dimenticato: “Nelle sue foto non succede nulla, c’è solo la vita che scorre”. È così: Garrubba non è il fotografo del momento decisivo, dell’attimo, ma è un fotografo di atmosfera e ha un linguaggio che troveremo poi nei grandi fotografi di strada americani».
«Quello che amo – diceva Garrubba – è la fotografia stradale, perché solo sulla strada trovo l’umanità così com’è. Io sulla strada trovo documenti preziosi». E di strade percorse quelle di tutto il mondo: era in Cina nel 1959, dove fece un reportage di 4000 scatti nel decennale della rivoluzione. Il secondo fotografo a raccontare la Pechino di Mao dopo Cartier Bresson.

Cina, Xi’an, 1959 (© Archivio Storico Luce / Cinecittà)

Il fotografo degli sguardi amava anche fotografare le persone di spalle, una cosa che ha fatto in ogni luogo e in ogni lavoro. Voleva lasciare aperta un’idea, la possibilità di immaginare. È come se congedandosi ci avesse detto: io posso arrivare fino ad un certo punto, il resto lo dovete fare voi.

Italia, Roma, anni Sessanta (© Archivio Storico Luce / Cinecittà)
Germania Occidentale, Amburgo, 1965 (© Archivio Storico Luce / Cinecittà)

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