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12.1.14

Sulcis, 'invisibili' Rockwool proseguono occupazione in miniera

forse  se  viene  in loro soccorso qualche politicante  nazionale   (  ogni riferimento  è puramente  casuale  )  regionale o italiano o gli  bloccano  l'arrivo degli aerei  o delle navi  allora  i media nazionali ne  parlano



da la nuova sardegna del 11\1\2014 

Sono in 13 e dalla notte tra giovedì e venerdì si sono asserragliati nella galleria Villamarina di Monteponi per chiedere di essere stabilizzati come i 54 colleghi che hanno trovato sistemazione nella società Ati-Ifras dopo l'entrata in mobilità a seguito della chiusura definitiva della fabbrica di lana di roccia. Mobilità scaduta il 31 dicembre



IGLESIAS - Nuova giornata di protesta per gli "invisibili" ex Rockwool di Iglesias, fabbrica di lana di roccia chiusa dal 2010. Si tratta di 13 lavoratori interinali penetrati nella notte tra giovedì 9 e venerdì 10 gennaio nella galleria Villamarina della miniera di piombo e zinco di Monteponi, in Sardegna. Questa mattina il sindaco di Iglesias Emilio Gariazzo ha incontrato gli operai, che chiedono di essere stabilizzati con l'inserimento nei progetti di riqualificazione e al lavoro. Gariazzo ha garantito l'interessamento del Comune affinché venga riallacciata anche l'energia elettrica nella galleria, staccata da ieri mattina. 
"Per lunedì mattina è prevista la riunione del direttivo regionale della Fismic nel piazzale antistante - spiega Giorgio Piras, segretario regionale dell'organizzazione sindacale - poi andremo a Cagliari per incontrare i rappresentanti dei gruppi politici cui sottoporre la nostra vertenza". Dal sindacalista anche un altro appello: "In questa vertenza è necessario che i rappresentanti di tutte le parti sociali si impegnino per aiutarci a trovare una soluzione".
Protagonisti della protesta sono 13 interinali che non hanno trovato collocazione definitiva nella società Ati-Ifras, nella quale hanno trovato invece sistemazione altri 54 lavoratori. In cassa integrazione dal 2010, quando chiuse definitivamente la Rockwool, agli operai è scaduta la mobilità il 31 dicembre. 
Da qui la decisione di occupare la galleria Villamarina
in attesa di una decisione urgente del Consiglio Regionale della Sardegna. In un documento, i lavoratori hanno rivolto un appello alla Regione Sardegna proprio perché si trovi una soluzione alla loro vertenza prima dell'ultimo Consiglio Regionale.
Nel documento i lavoratori ricostruiscono la loro vicenda che li ha visti operare "con continuità nell'ultimo decennio prima della chiusura dello stabilimento di Iglesias". "Nel 2010 i lavoratori sono stati collocati in mobilità con accordo istituzionale del 6 ottobre 2009 e inseriti nella linea di intervento 2 della Regione Sardegna il cui obiettivo è favorirne la riqualificazione e reinserimento lavorativo. Ma a tutt'oggi - scrivono - tutti i provvedimenti in materia di riqualificazione e ricollocamento sono rimasti sulla carta e non attuati".
Da qui la decisione di occupare la galleria che negli ultimi 14 anni è stata teatro di numerose proteste per il lavoro. Dal 2000 al 2001, la galleria Villamarina ha "ospitato" per un anno l'occupazione portata avanti dall'allora consigliere regionale dei Ds Giampiero Pinna per sollecitare l'istituzione del Parco Geominerario della Sardegna. Nel 2011 e 2012 è stata la volta dei lavoratori cassintegrati (diretti) sempre della Rockwool, che proprio nel dicembre del 2012 avevano trascorso anche il Natale in galleria. Nel 2013, invece, è stata la volta dei lavoratori Igea che si sono asserragliati nella stessa galleria per sollecitare interventi della Regione in favore dell'azienda.
Ieri, a portare solidarietà ai lavoratori sono arrivati anche il presidente del Consiglio comunale di Iglesias, Mauro Usai, e dei consiglieri regionali Pietro Cocco e Tarcisio Agus che sulla vicenda hanno presentato un'interrogazione al presidente della Regione Ugo Cappellacci e all'assessore del Lavoro Mariano Contu. 

1.4.12

“Qui in Sardegna anche il suicidio è un lusso




Arrivi a Portovesme per l’incontro di ascolto de il Fatto Quotidiano nel Sulcis e lo capisci fin dal primo intervento che aria tira, quando Giuliano Marongiu ci dice: “Voi oggi, giustamente, titolate sull’operaio che si è dato fuoco per i debiti. Se qui non è ancora accaduto è perché qui la gente non ha più nemmeno i soldi per i cerini”. Benvenuti nel Sulcis Iglesiente, benvenuti nella provincia più povera d’Italia. Benvenuti Sulcis in fundo, come abbiamo scritto sul nostro giornale due anni fa. Qui, dove un tempo c’erano le miniere, è arrivata l’industrializzazione all’italiana, quella parastatale che ti dava lo stipendio e un po’ ti avvelenava. Ma che fino a dieci anni fa garantiva lavoro. Poi le aziende sono passate prima nelle mani di privati predoni, poi in quelle delle grandi multinazionali mordi e fuggi. Qui c’è l’Alcoa, con la proprietà americana in fuga per i costi dell’energia. Qui c’è l’Eurallumina con i russi. Silvio Berlusconi disse: “Le multinazionali sono in crisi? Che problema c’è? Chiamo io l’amico Putin!”. Non si sono più visti né sentiti, né lui, né Vlad. E due anni fa era stato deciso che quelle aziende avrebbero chiuso. Se l’Alcoa è ancora aperta (con la bozza di un contratto ponte che le regala ancora mesi di vita) è perché gli operai sono andati a battere i loro caschetti bianchi davanti a tutti i Palazzi del potere.

La delegazione del Fatto è composta dal direttore Antonio Padellaro, da Giorgio Meletti, da chi scrive, dal nostro “ambasciatore” in terra sarda, Elias Vacca, e dall’organizzatore della serata, Alberto Cacciarru. Ma siamo venuti soprattutto per ascoltare. E Giuliano spiega molto bene: “Parlano di alternative all’industria. Dal 1993 quando hanno chiuso le miniere qui di alternative non ne abbiamo vista nemmeno una. Ci parlano di turismo, ma qui i territori sono stati devastati”. Parla Rino Barca, segretario della Cisl, rivolgendosi agli operai: “Battere i caschetti è anche un simbolo: spiega a tutti che qui la gente vuole solo una cosa. Poter lavorare”. Parla Franco Meloni, dirigente d’impresa: “Dobbiamo combattere il tentativo di dare della Sardegna l’idea di una terra piagnona. Qui c’è gente che dopo essere stata licenziata ha speso i risparmi di una vita per provare a costruire un’alternativa da sola. E che adesso si ritrova nel deserto”. Poi scuote la testa: “Il problema è che la politica non parla più di una politica industriale”. Ecco sul palco Gigi Sidri, l’operaio dell’Alcoa che ha fatto lo sciopero della fame per cinque giorni: “Cosa vuol dire datevi al turismo e alla pesca in una regione ad alto rischio ambientale? Gli italiani devono sapere che nessuno ci ha regalato nulla, se è vero che lo sconto dell’energia che è stato fatto alle nostre aziende lo pagano ancora nelle loro bollette!”. Antonello Pirotto, dell’Eurallumina: “Sono orgoglioso che l’Alcoa abbia ottenuto un risultato così importante, dobbiamo essere uniti”. Brigida Aru, ex assessora ai servizi sociali, medico pediatra: “Vogliamo cancellare la parola rassegnazione dal nostro vocabolario”. Brigida racconta che la crisi sociale e quella sanitaria marciano in parallelo, con gli ospedali che chiudono. E aggiunge una frase che dovrebbe diventare un’epigrafe: “Monti dice che vuole salvare l’Italia. Ma gli italiani chi li salva? Gli italiani siamo noi, questo Paese non può diventare una scatola vuota”. Roberto Puddu, segretario della Cgil: “Qui si taglia tutto. La sanità, ma anche i tribunali, i giudici di pace. Lo Stato si ritira, seguendo il percorso di fuga dei politici. Ve lo ricordate Cappellacci? Venne qui a dire agli operai: io mi incatenerò con voi. Lo abbiamo rivisto solo due anni e mezzo dopo”.

Alessandro Scanu parla in rappresentanza del popolo delle partite Iva: “La nostra lotta si collega a quella dei lavoratori, perché siamo stati stritolati dallo stesso congegno. Ieri eravamo davanti a una fabbrica a contrastare l’ufficiale giudiziario che doveva praticare un sequestro. Ma quello che non dimentico è un signore che mi ha telefonato perché non aveva un euro per comprare alla sua famiglia un pezzo di pane. Qui – conclude Alessandro – la prima forma di attività politica è la colletta alimentare”. Claudia Mariani, titolare di una piccola azienda di noleggio, mentre suo marito è un operaio dell’Alcoa: “Due anni fa avevo dovuto far finta di darmi fuoco per avere pagata una fattura da 2. 700 euro. Ho ottenuto in 45 minuti quello che chiedevo da mesi. Ma ora non accadrebbe più, perché la prossima volta non farò più finta”. Marco, delle tute verdi Eurallumina, l’ultimo intervenuto, dice una grande verità: “Sapete, se avessimo chiuso tre anni fa, oggi non saremmo nemmeno qui a parlare”. Già. Perché la parola “rassegnazione” nel Sulcis è cancellata dal vocabolario. Mentre la parola “speranza” è avvitata nella storia antica di una provincia minerale.

Il Fatto Quotidiano, 1 aprile 201
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