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4.9.21

Borja Valero, dalla serie A ai dilettanti: "Scelta di testa e cuore". E ad allenarsi arriva in Vespa

  da https://www.unionesarda.it/  e  repubblica  


L’ex Real Madrid, Fiorentina e Inter firma per la società di Firenze, il Centro Storico Lebowski, sposando il progetto sportivo e sociale

Borja Valero con la sua nuova maglia (dalla pagina Facebook\u00A0Centro Storico Lebowski)
Borja Valero con la sua nuova maglia (dalla pagina Facebook Centro Storico Lebowski)



Nell’estate dei Paperon de’ Paperoni del calcio, su tutti Leo Messi e la sua firma da 35 milioni di euro più bonus a stagione, o degli addii, come quello di Cr7 alla Juve, c’è la storia di Borja Valero. Sembra uscita da un romanzo calcistico. Il centrocampista spagnolo, 36 anni, ex Real Madrid, Maiorca, West Bromwich Albion, Villarreal, Fiorentina e Inter, con alle spalle 268 presenze nella serie A italiana, 137 in Liga, 30 in Premier League, 13 in Champions League e 52 in Europa League, ha firmato un nuovo contratto. I soldi e la fama questa volta non c’entrano nulla. Il calciatore vestirà la maglia del Centro Storico Lebowski, società di Firenze che disputa le proprie partite nel vicino comune di Impruneta. Categoria? Promozione. Dilettantismo puro. Niente professionismo, stadi, riflettori delle tv che hanno acquistato i diritti, doppie sedute di allenamento. Nulla di tutto questo. Borja Valero, per tutti “il sindaco” ha sposato un progetto sociale: «Non ho scelto il Lebowski perché volevo continuare a 
La firma (Facebook-Centro Storico Lebowski)
giocare», ha spiegato in una recente intervista al Corriere dello Sport. «L’ho fatto perché credo di poter aiutare la squadra ad avere un po’ di visibilità. Quando ho accettato ho pensato a quando da ragazzino giocavo in un campetto polveroso, in un quartiere periferico di Madrid, alimentando i miei sogni. Io mi rivedo in loro».
Dopo aver annunciato l’addio al calcio, forse anche deluso dalla Fiorentina e dalla speranza – vana – di poter continuare a dare un contributo alla società viola, il sindaco ci ha ripensato. Continuerà a indossare le scarpette e a calpestare un campo erboso. Ma lo farà ben distante dai palcoscenici della serie A e del professionismo. Proprio come il gruppo che ha deciso, undici anni fa, di fondare il Centro Storico Lebowski: ragazzi che, stanchi del calcio milionario gestito da televisioni, procuratori e giochi di potere, si sono ritrovati attorno a un progetto basato sui veri valori dello sport. Dunque autofinanziamento, sostegno degli appassionati, spirito sportivo e crescita dei giovani. I risultati non sono mancati: dalla Terza categoria alla Promozione in undici anni. Niente male per una squadra che, nel nome, contiene l’omaggio a Firenze (progetto e società sono nate nel cuore della città, in piazza D’Azeglio, dunque nel centro storico) e al film dei fratelli Cohen, Il Grande Lebowski (così il volto del protagonista, Drugo, appare sulla divisa della squadra).
con la presidente  e la  vice 


Ma la storia del matrimonio tra Borja Valero e Centro Storico Lebowski ha anche un altro lato particolare, che la distingue ulteriormente dal mondo del calcio. Quando il calciatore ha firmato il contratto, lo ha fatto insieme ai vertici della società: due donne, la presidente Ilaria Orlando e la vicepresidente Matilde Emiliani.
«È questa la prima volta che pubblicamente siamo uscite come la presidente e la vicepresidente della società. Per vari motivi non l’avevamo ancora fatto, ma sono comunque circa 19 mesi che lo siamo», hanno spiegato le due dirigenti. «Non abbiamo mai voluto diventasse una bandiera il fatto che fossero due donne a ricoprire questi due ruoli. Uno dei due motivi è che nel Lebowski davvero non conta nulla, abbiamo deciso di diventare cooperativa proprio perché i ruoli non fossero verticali, ma il più orizzontali possibile. L’altro motivo è che per noi ragazze, donne, ultras, socie, le conquiste sono state altre. Abbiamo partecipato a un torneino della curva, abbiamo iniziato a cantare in curva partendo dalle ultime file per arrivare ai primi gradoni, abbiamo iniziato a frequentare le assemblee, dove poi abbiamo preso parola».
Un campione in una squadra di Promozione e due donne alla guida di una società di calcio. Roba da pazzi, potrebbero pensare in molti. «È sbagliato stupirsi della presenza delle donne nel mondo del calcio, ma è ancora più maschilista focalizzarsi in prima battuta sull’aspetto fisico», ribadiscono Ilaria Orlando e Matilde Emiliani. «Al Lebowski le donne sono in curva a cantare, in campo a giocare, in cucina a coordinare i volontari per far funzionare la sagra, ad allenare le bambine e i bambini della scuola calcio, nei gruppi operativi per far sì che le cose funzionino e il sogno prosegua, accanto a Borja Valero per dargli il benvenuto nel mondo grigionero». Poi ricordano l’articolo 3 dello statuto della società: «Il Centro Storico Lebowski aspira a diffondere valori quali la solidarietà, l’aggregazione, l’autorganizzazione, la cooperazione, l’antifascismo, l’antirazzismo, l’antisessismo, il protagonismo contrapposto alla delega, all’isolamento, all’egoismo e all’individualismo». Con un obiettivo: «Ciò che quotidianamente facciamo al Lebowski è provare a sovvertire gli ingiusti rapporti tra i generi. La strada è lunga, ma la forza tanta». Ora, per questa nuova partita, potranno contare anche sul contributo di un campione come il Sindaco, Borja Valero.

È arrivato in Vespa Borja Valero, puntualissimo, al primo allenamento con il c.s. Lebowski, società cooperativa sportiva dilettantistica fiorentina che milita in promozione. Una storia "di cuore e testa", come ricorda lo stesso ex giocatore di Fiorentina e Inter: "Loro portano avanti iniziative molto affini a ciò che penso, al mio stile di vita", dice.
  A 36 anni Borja Valero (Real Madrid e Villarreal in Spagna, West Bromwich in Premier League e tanti anni in serie A con Fiorentina e Inter), pur potendo ancora giocare ad alti livelli ha scelto il club di Firenze nato nel 2010 dalla colletta di un gruppo di studenti. Il Centro Sportivo Lebowski rappresenta un esempio di azionariato popolare che ha ottenuto finora buoni risultati sportivi (dagli inizi in Terza Categoria alla Promozione) ma soprattutto promuove impegno sociale e volontariato. di Giulio Schoen

3.6.12

dalle strelle alle stalle Declino d'un grande sogno pop, la strada dal successo all'inferno Luigi fregapane




leggo  su l'unione sarda 316\2012 la storia toccante di Luigi Fregapane ( qui news su di lui http://giannipiludu.blogspot.it/2005/12/luigi-fregapane.html)  

 i media e i grandi cantanti ( forse perchè ancora non si è ucciso o fatto gesti eclatanti  ) non lo cagano minimamente   e pensano solo ad  apparire    anzichè 

Ma lui  tenacemente  resiste .Ma  ora lasciamo parlare  l'articolo in questione 

Declino d'un grande sogno pop, la strada dal successo all'inferno

di GIORGIO PISANO ( pisano@unionesarda.it  ) 
Ha disperatamente bisogno dell'aiuto di uno di quelli a cui non troppi anni fa dava del tu. Luigi Fregapane, detto Luis, faceva parte di un gruppo musicale che gli ha fatto sentire l'irresistibile fruscìo del danaro e il profumo della gloria pop: le ragazzine che assediano l'albergo dove dormi, la sicurezza che ti scorta fino al palco per evitare che ti divorino d'amore. Il gruppo si chiamava I nuovi angeli e cantava brani di assoluta inconsistenza ma di strepitoso successo. L'Italia nazionalpopolare, avrebbe detto Pippo Baudo, rispondeva entusiasta battendo le mani a tempo quando intonavano pezzi come Donna Felicità oSingapore .
In un lampo ricchezza e notorietà si sono fatte cenere. Da Torino, dov'è nato, Luis si è rifugiato prima a Finale Ligure e poi in un paesino minuscolo della Sardegna centrale, Baradili: 94 abitanti, lui compreso. Alle spalle ci sono due figli, vita piena e fumata. Abita in una casetta di nemmeno sessanta metri quadri con Franco, vecchio amico del padre, quattro interventi neurochirurgici già subìti e un quarto in programma.
Strana coppia. Finché la malattia non ha fatto invasione di campo, vivevano di seratine, feste di matrimonio. Campavano, insomma. Ora c'è molta malinconia nelle due stanzette (una è uno studiolo di registrazione) che dividono insieme a Perla, il cane, e Trottola, il gatto. Cento foto e articoli di giornale tappezzano le pareti per ricordare un passato magico che è volato via in un soffio. Luis lo tiene presente soprattutto a se stesso con un taglio di capelli (corvini) che rimandano ai Beatles. In aggiunta, c'è sovrabbondanza di bracciali su polsi magrissimi, anelli, orecchino e una catenina appesa a un corpo asciutto e maturo. Sorriso buono e piccoli vezzi da star: «Quanti anni ho? Diciamo più di cinquanta».
Franco invece ne ha 73. Aveva una famiglia, l'ha lasciata in Liguria per stare accanto a un ragazzo che aveva ospitato a lungo nella sua casa prima del trasferimento in Sardegna. Quel che gli preme, adesso, è stare attaccato a un'esistenza che non ha più nemmeno la consolazione «d'un lavoro o d'una specie di lavoro, come suonare le tastiere».
Il paese, che li ha visti arrivare quando Luis aveva ancora una certa popolarità, non li ha giudicati: agli artisti sono riconosciute molte attenuanti, altrimenti che artisti sarebbero? Accoglienza calda e amichevole, rimasta intatta.
Le cose però sono andate di male in peggio, a vuoto il tentativo di cercare il rilancio con una band isolana, rari i contatti col vecchio ambiente. Nel frattempo sono anche cresciuti i debiti, le incursioni fiscali, l'artiglio delle finanziarie, la spesa sempre più robusta per visite mediche ed esami. Come uscirne? Facile: basta preparare le musiche di un nuovo album, affidarsi a un buon paroliere locale e lanciare un messaggio ai big della musica leggera italiana. «Mi basterebbe che eseguissero un brano, soltanto uno e noi torneremmo a stare a galla».
A lavoro concluso, Luis ha scritto a Vasco, Jovanotti, Mannoia, Dolcenera e altri. Lettere sintetiche e chiare: Sos. Risposta? Neanche una. I compagni di ieri sono diventati fantasmi.
Quando è cominciato il declino?
«Dopo I nuovi angeli , ho avuto una stagione a Canale 5 e poi, pian piano, più nulla. Doveva essere scritto in cielo: mia madre mi ha partorito in una chiesa dedicata agli esorcismi, Sant'Alfonso. Mia sorella gemella è morta quasi subito; io, che pesavo sette etti, ce l'ho fatta».
Vuol dire che il passaggio dalle stelle alle stalle era scontato?
«Dalla vita ho sempre preso quello che mi ha dato. Sono figlio di un maresciallo di Polizia che la mattina, appena sveglio, ascoltava i discorsi di Mussolini e poi andava a combattere contro le Brigate Rosse nella Torino feroce di quel periodo. Dico questo perché non avevo messo in conto né trionfi né depositi stellari in banca».
Non si è saputo amministrare?
«Durante la carriera ho messo da parte trecento milioni di lire. Li ho spesi quasi tutti sperando inutilmente di far guarire mia madre dal cancro. Le sconfitte non mi hanno mai buttato giù ma quella di sei anni fa è stata pesantissima».
Cos'è accaduto?
«Franco s'è ammalato. Dicevano che era diabete. Era anche diabete. Quando è entrato in coma tumorale, hanno cominciato a capire. L'avevo portato a Cagliari, ospedale san Giovanni di Dio, per farlo vedere. Dieci ore d'attesa, niente: torni domani».
Poi?
«Il giorno dopo stessa storia: oggi non ce la facciamo, ripassi. Il fatto che venissimo da Baradili li lasciava supremamente indifferenti. Il terzo giorno le ore d'attesa sono diventate diciassette, e ho perso il controllo dei nervi. Ho gridato, insultato un infermiere, preteso che lo visitassero».
Perché non avrebbero dovuto?
«Avevo i capelli lunghi, un'aria trasandata, qualche filo di trucco. Capito perché ci snobbavano?».
Continuava a vivere pensando d'essere sul palco?
«Nemmeno un po'. Questo è il mio modo di essere. Ho una storia pesante, io».
Cioè?
«Coi Nuovi angeli ho cantato a Mosca davanti a centomila persone, termometro a meno 20. Il momento più emozionante della mia carriera è stato l'incontro con Fausto Leali, grande artista e grande persona. Ho scritto una canzone per lui».
Devastante l'impatto con la ricchezza?
«Sì perché ti avvicina a gente molto più ricca di te. Passavo l'estate a Porto Ercole, villa e spiaggia privata. Mi sono tolto lo sfizio di andare in Francia per una passeggiata, per sei mesi sono stato a Parigi in una suite dello Sheraton. Frequentavo locali dove incontravo Frank Sinatra, Liza Minnelli, Paul Newman».
E magari serviva un aiutino per mantenere alta l'ispirazione.
«Mi bastava mezzo spinello per schizzare di testa. Sono creativo, ci vuol niente per accendermi. Cocaina? Qualche tiro l'ho fatto ma non m'è venuta la passione, colpa della fase down».
Troppo deprimente?
«Sono rimasto deluso. Che senso aveva prendere una sostanza che ti faceva volare ma subito dopo ti schiantava a terra senza pietà? Allora avevo molti sogni e molte speranze. Forse ero progressista ma non sapevo di esserlo. D'altra parte la vera differenza tra destra e sinistra non sono mai riuscito a coglierla».
Quanto è riuscito a guadagnare?
«E chi lo sa? Ho incassato dalla Siae anche venti milioni in una botta sola».
Oggi?
«Campo ancora di musica, nel senso che compongo per qualche artista locale, il lavoro è pochino. Riesco a mettermi in tasca cinquecento euro al mese, non tutti i mesi però. In più, dormo due ore per notte e assisto Franco, che ha bisogno costantemente di aiuto. Fortuna che la casa, poco più di un nido, è nostra. Ma c'è tutto il resto».
Debiti?
«Mi hanno concesso ventimila euro per un progetto de minimis e subito dopo ne hanno preteso settemila di tasse. Franco ha la pensione e l'indennità di accompagnamento. Non solo, la Regione mi riconosce anche un'ottantina di euro al mese perché sono il suo badante».
E allora?
«Sei anni fa, quando è cominciato tutto, abbiamo bussato alle porte di tre finanziarie. Sapete quanto costa una risonanza magnetica? Trecento euro. Ne abbiamo fatto a volontà. Ma non mi lamento, non frughiamo nei cassonetti per vivere».
Ve la cavate, comunque.
«Per forza. Facciamo vita ritirata, Franco si stanca in fretta. Io lavoro a tempo pieno per lui. Il mio ritmo è il suo. Ho preso la patente quando s'è ammalato, a me non interessava averla».
A quanto ammonta il vostro debito?
«Trentamila euro. Sono sicuro che se un artista nazionale cantasse una mia canzone avrei risolto tutto».
Perché ha scelto di fuggire in Sardegna?
«Stavamo a Finale Ligure, badavamo a un oliveto di oltre 430 piante. Una sera vediamo in tivù un reportage da Baradili, uno dei più piccoli Comuni d'Italia. Una meraviglia. Ci guardiamo e in un attimo abbiamo deciso. Franco dice che è il richiamo delle radici».
Perché?
«Lui di cognome fa Meloni ed è nato a San Gavino. Io sono di Torino ma mia madre era del Nuorese. Sarà stato questo che ci ha fatto scegliere la Sardegna?».
Quando vi siete trasferiti?
«Undici anni fa. Allora Baradili aveva centoventi abitanti. Appena arrivato, mi hanno fatto qualche intervista e questo ci ha aiutato molto».
In che senso?
«La popolazione ci ha guardato subito con simpatia. Potevamo apparire bizzarri ma io avevo un volto conosciuto, quindi nessuno ci ha dato noia. Baradili è un luogo meraviglioso, fatto di gente speciale».
D'accordo, ma per campare?
«Fino a quando non c'è stata la malattia, bastava poco. Per suonare a una festa di matrimonio ci davano anche settecento euro. Metti che in un mese riuscissimo a farne due ed eravamo a cavallo. Qui non serve moltissimo per vivere».
Tutto finito?
«Inevitabile. Ho anche pochissimo tempo per comporre. Affitto il mio studiolo di registrazione, vendo qualcuna delle mie chitarre».
Come nasce l'idea di proporre a un big di cantare nel vostro album?
«Nasce dalla disperazione e dall'amicizia con un paroliere cagliaritano, Roberto Pinna. I testi sono impegnati, legati al sociale: non c'interessava la rima cuore-amore. Uno dei brani ( Nei tuoi occhi c'è la strada ), secondo noi, potrebbe essere tagliato su misura per Jovanotti».
Gliel'avete chiesto?
«Abbiamo lanciato un appello su Facebook e su Twitter per sapere se qualcuno ci stava, insomma se l'idea poteva interessare. Poi, nella fase due abbiamo inviato una mail e il brano in questione a una serie di big, compreso Luciano Ligabue».
Risposte?
«Silenzio. L'unico che ha avuto la bontà di risponderci è stato Red Ronnie. Ha promesso di invitarci in una trasmissione che conduce non so dove».
E gli altri, nessun contatto?
«Sento ogni tanto il cantante dei Nuovi angeli , Pasquale Canzi. Ma sta peggio di noi, ha beccato una serie di tramvate dalla vita».
Abitasse a Roma, sarebbe lo stesso?
«Nel segmento-nostalgia, i gruppi possono vivere per quattro mesi. Dopo le comparsate con vecchie canzoni in tivù, accettano compensi veramente minimi per continuare a stare sulla piazza. Non ne vale la pena».
Da Baradili però tutto diventa più difficile.
«Può darsi ma qui resto. Non mi sento un fallito, amo la vita e sono pronto a combattere. Nessuno risponde alla mia mail? Pazienza, cercherò un'altra via. Di sicuro non alzo bandiera bianca. In fondo sono un privilegiato».
Privilegiato?
«Ho avuto la grande fortuna di vivere una vita magica, anni irripetibili. Sono fiero di quello che ho fatto, perfino dei miei errori. Scappare a Cagliari o a Milano non servirebbe: per sfondare devi avere un padrino e io non ce l'ho. Eppoi c'è anche un'altra ragione».
Quale?
«Al di là del fatto che non potremmo permetterci di vivere in una città, qui ci sentiamo protetti. E questo è qualcosa che non ha prezzo».
Obiettivo, dunque, aspettare?
«Esatto. E intanto cercare sei-settemila euro per portare Franco in Svizzera: per la sua malattia, faringioma cerebrale, ci sono i chirurghi migliori. Serve un quarto intervento e non intendiamo rinunciarci».

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...