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mio padre e PPP, work in progress...) |
Tu sapevi, caro PPP. Io, invece, non so. Adesso ti celebrano ufficialmente. Come un santo laico, da francobollo. La televisione – la tua odiata televisione, ma l’epiteto suona semplicistico, gretto: televisivo, anch'esso - ti dedica intere serate. Prime serate. “Salò” no, non ancora, speriamo mai (troppo assoluto, enorme). Ma le altre pellicole, così ostinatamente fuori centro, pittoriche; quindi contemplative, quindi lente; esiziali per il piccolo schermo; quelle sì, le vedremo. Se le vedremo. Come le vedremo. Tu sapevi, io non so. Se dire “era ora”, con la negletta umiltà che altri - ma non tu - scambierebbero per leggerezza. O gridare alla profanazione, per il mostro consumista che alla fine ha inglobato anche te, nel suo pantheon di melassa warholiana. Con papa Giovanni e Che Guevara, Lennon e Gandhi, Marilyn e Madre Teresa… Ma, al solito, non scioglierò il dubbio. Sono ingenua, tardonovecentesca. Traghettata nel nuovo millennio. L’occhio della tv mi guarda, sì. Ma io guardo lui. Ci usiamo a vicenda. E anche tu l’hai fatto. Hai preso il linguaggio del cinema e l’hai stravolto. Hai redistribuito i ruoli. Il cinema, dichiarasti, è poetico per il suo carattere di sogno. Ma il problema era la sua commercializzazione. I mass-media sono mezzi, non fini. E di essi ti sei servito per trasmettere quanto di più antitelevisivo – e “antisocial” – esista: la poesia. È vero, corri il rischio della banalizzazione. Molti già ci provano, ti citano a pezzi, attribuendoti addirittura frasi non tue. Qualsiasi autorello splatter in cerca di nobilitazione oggi si definisce pasoliniano. Naturalmente pensa al Pasolini "facile", quello delle invettive contro un potere ch'egli non saprebbe nemmeno identificare. A quello "scandaloso", dove per scandalo s'intende non la pietra d'inciampo ma una nudità esibita e scarnificata dal suo vero senso di uomo/donna rivoltati. Si comincia a morire non solo quando l'altro non comprende o, peggio, fraintende un discorso verbale. Ma pure quando disossa il linguaggio del corpo. Il Pasolini scomodo, invece, il fustigatore dei sessantottini, dei capelli lunghi, dell'aborto e della contraccezione, quello no, viene ignorato e rimosso. Quello è il Pasolini da dimenticare, ancorato al passato, problematico, edipico. Un caso clinico (che "ragiona con l'osso sacro", come ebbe a sentenziare un suo collega, in barba al millantato "gayfriendly" del politicamente corretto). Mentre è anche e soprattutto con quel Pasolini che dobbiamo misurarci. Quel Pasolini rischia l'oscuramento. Ma accadde anche a Dante. Perfino a Cristo. Non è mica colpa tua. Non è nemmeno colpa, in fondo, di tv e Internet. La colpa è solo nostra. Ma egualmente nostra è la libertà di cercarti. E in quella libertà sei intatto. La tua storia non può essere addomesticata. Resta lì, nella violenza della fine, nel percorso d’uomo e artista che non s’è mai nascosto. Che hanno definito disperato, ed era atrocemente ottimista, e non voleva fermarsi, pur senza conoscere l’esito della lotta. Metafisico, o metastorico, negli ultimi anni. Cosmico, non fatale. Le tue pitture nere sfumavano nella nebbia scialba di “Salò”. Prodromo del delirio onirico di “Porno-Teo-Kolossal”. Il pugno alzato del partigiano prigioniero dei repubblichini non bastava più, era gesto inadeguato, velleitario e goffo. No, nemmeno più il Pci avrebbe realizzato la giustizia sulla terra. L’umanità rimanente, ricreata, forse sì. Come? Non hai fatto in tempo a dircelo, e malediciamo quel giorno. Anzi, quella notte. Notte dei morti, notte della morte. Notte d’Italia, notte del ’75, notte della fine (tua) e della strage del Circeo. Le donne, gli omosessuali, i profughi, i poeti: i reietti della società. Distrutti. Malediciamo quel giorno e quella notte, ma più forte sentiamo la responsabilità di continuare, perché una strada aperta è più ampia d’un traguardo splendente. Viviamo di speranza, non d’appagamento. Quella del poeta è un’insoddisfazione feconda. Nutrita di mancanze. Rischi la moda, rischi il pasolinismo. Ma hai affrontato pene assai più dure. Ma, possedendo lo strumento, te ne servi per renderti ancor più vicino. Eccessivo. Invadente. Per tutti. Per mio padre, che ti chiama per nome, già lo eri. Il suo urlo, in quella penombra del ’75, in corridoio, lo sento ancora risuonare: “Pasolini, nooo!!!”. Potresti, oggi, entrare davvero – se lo vogliamo – nelle nostre case, scuole, ritrovi. Portare la tua umanità sciagurata, ricondurre alla verità le cose, complicarle, inquietarle. Non so cosa provare oggi. So che questo ricordo doveva esserci. Per configgersi in noi, fra lacrime ardenti e rabbiose.
© Daniela Tuscano