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26.11.21

Agostino, il poeta-pescatore che ha imparato il mestiere per fuggire da un'infanzia difficile ed altre storie

 


“Il mare, il vento e le reti da pesca sono la mia famiglia. Ringrazio gli anziani che mi hanno aiutato a trovare la libertà” Cavallino Treporti – Ci sono uomini che, nella loro semplicità, capiscono il vero senso della vita e la affrontano ogni giorno a muso duro.


Di Agostino  Cavestro  ammiro la profonda conoscenza del mare, delle correnti, delle maree, del tempo che cambia imperturbabile quando sei in mezzo alle onde e devi affrontare una tempesta. È un uomo che ama il suo lavoro. Un lavoro duro che richiede fatica e che lui riesce a vivere con passione, scrivendo poesie per il suo mare.La sua è una vocazione, è il suo modo personale di dare un senso alla vita. Agostino Cavestro è un poeta-pescatore. 





Lo puoi trovare in un bar di Cavallino Treporti e farti raccontare del suo pescato, oppure lo puoi trovare in laguna, immerso nell’acqua in qualsiasi stagione intento a pescare le vongole. A me ha raccontato della sua vita difficile, costruita a suon di rinunce e sofferenze.
Agostino non conosce la sua famiglia di origine, perché, appena nato, è stato abbandonato sull’isola di Pellestrina. 
 “Sono cresciuto in un orfanotrofio – racconta – con suore e preti. Ero piccolissimo e le violenze continue erano castighi. Scappavo dall’asilo e mi nascondevo sotto la prua delle barche da pesca: è lì che ho cominciato ad amare il mestiere di pescatore”.” Gli anziani pescatori dell’isola, vista la mia grande passione per il mare, mi hanno trasmesso tutte le loro conoscenze. Con tempo, il mare è diventata la mia vera famiglia, la mia vera casa, mi dà lavoro e mi  permette di vivere in libertà”.





 Ha imparato ad ascoltare gli anziani in silenzio, a riparare reti di qualsiasi tipo, a pescare con umiltà e rispetto nei confronti di chi gli insegnava le tecniche. 
“Oggi, la mia famiglia è il mare. Il vento e la salsedine, tutto è famiglia”, dice.E io amo la semplicità con cui si esprime. Oggi Agostino ha più di 60 anni, vive da solo in una casa popolare di Cavallino Treporti, scrive poesie e racconti di mare.
Gli piace  trascorrere i pomeriggi raccontando della sua vita. Io guardo il suo mondo in silenzio, attraverso l’obiettivo della mia macchina fotografica.



 Scattando, le emozioni mi arrivano più forti e mi invitano a fermare il tempo e comunicare le sensazioni di questi momenti unici irripetibili.


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Teresa Soardi, il suo volontariato in America Latina per dipingere volti, paesaggi e popoli
Con la sua arte ha rappresentato la quotidianità e l’anima di tante persone in opere sacre esposte in chiese, case e luoghi di accoglienza

                                     Linda Scuizzato


Montemezzo (Vicenza) – Per arrivare nella contrada di campagna dove vive Teresa Soardi si guida attraverso una vallata bellissima che porta a Montemezzo, in provincia di Vicenza.  La casa della pittrice si trova esattamente di fronte al suo studio, un vecchio fienile ristrutturato con il soffitto alto di legno e una vetrata luminosa perfetta per dipingere. Teresa Soardi è nata a Vicenza 90 anni fa e la intervisto alcuni giorni prima del suo compleanno. 

La sua passione per la pittura è iniziata da ragazzina, ricorda sorridendo: “Ogni pezzo di carta era mio!”. Alla fine della guerra, suo padre ha deciso di farle prendere lezioni nello studio della famosa pittrice Mina Anselmi, per capire se la sua fosse realmente una passione profonda e duratura. Teresa si è entusiasmata e ha continuato a dipingere, diplomandosi in arte a Venezia e tornando poi a Vincenza per insegnare educazione artistica alle scuole medie.

Nel tempo libero ha continuato a dipingere sul cavalletto e a sperimentare diverse tecniche di pittura.  Nel 1967, suo fratello, un frate missionario, è stato mandato in Patagonia, nell’isoletta di Porto Aguirre, nell’arcipelago di “Las Huichas”, e Teresa ha deciso di prendere un anno di aspettativa dalla scuola per andare a fare volontariato e conoscere il Sud America. Dopo il primo anno, ha prolungato la sua permanenza fino al 1969, lasciando qualcosa di sé alle persone del luogo: la sua pittura e i suoi dipinti in cambio dell’esperienza nell’isola

Come primo lavoro, le è stato chiesto di rappresentare la storia sacra della salvezza in una chiesetta di legno. Aiutata dai bambini del paese, ha dipinto lo sfondo di verde, l’unico colore presente nell’isola e quello utilizzato per dipingere le barche. In seguito, il vescovo le ha commissionato un dipinto a Puerto Ayse’n s, sulla terraferma. Nel 1969 Teresa è tornata a insegnare in Italia, ma il segno lasciato dal Sud America, che lei definisce la sua “seconda patria”,  l’ha tenuta legata a quei luoghi, che ha continuato a visitare durante le vacanze estive.In Ecuador, Nicaragua, Perù e Brasile, ha continuato a dipingere, su commissione, opere sacre che oggi sono esposte sulle pareti delle cappelle, in chiese e case delle comunità sudamericane.

Nel 1995 Teresa è tornata in Patagonia, dove le è stato chiesto di dipingere nella cattedrale della capitale un’opera di 10×10, a forma di triangolo, con al centro un Cristo di legno, attaccato alla croce ma con le braccia alzate. E’ stato il lavoro più grande che abbia mai realizzato, assistita da un pittore locale appassionato di cavalli, che, onorato dall’essere stato al suo fianco al termine della collaborazione, le ha regalato il disegno di un cavallo su un pezzo di legno. Spesso i tre mesi di visto turistico non erano abbastanza per terminare le opere e alcuni dipinti venivano terminati l’anno successivo.  

Fra le opere di arte sacra di Teresa Soardi ci sono ritratti di persone reali, incontrate nei luoghi in cui ha vissuto. In uno dei dipinti del Cristo risorto, il volto di Cristo è proprio quello di un abitante del luogo. Teresa ricorda di aver aspettato che non ci fosse nessuno in giro per dipingerlo, ma una bambina del paese, arrivando di corsa per ammirare l’opera, se ne è accorta subito: “E’ uno di noi!,” ha detto, riconoscendo il volto del noto abitante.

“Cerco di adattare la mia pittura al posto in cui mi trovo e alle persone che lo vivono”, spiega la pittrice vicentina.

Per 

Teresa Soardi, la pittura non è solo ricerca artistica ma anche documentazione del sociale, denuncia politica, un modo per dare voce a mondi isolati e realtà poco conosciute, ma ricche di storia, dignità e profondità. Le sue opere sono testimonianza del lavoro nei campi, della resilienza e della forza delle donne con il volto segnato dalle rughe, nei loro occhi puliti e vivi. Donne dignitose alle quali la vita non ha regalato nulla, vittime di ingiustizie che prendono vita sulle tele e sono documento storico di quegli anni.
Nelle opere di Teresa Soardi si riconosce anche un ordine architettonico. “Mi ha sempre affascinata l’architettura e mi viene naturale dipingere seguendo delle linee guida e la prospettiva corretta”, spiega. “Mi sarebbe piaciuto studiare architettura, ma non volevo lavorare nello studio di qualcun altro. Quando ero giovane, una donna architetto faticava a trovare lavoro e quindi la pittura ha preso il sopravvento”. 

Lo studio di Teresa Soardi a Vicenza è un trionfo di tele, ritratti, mondi, colori e stili diversi: vi sono, infatti, sia opere del periodo sudamericano, sia dipinti che ritraggono le località venete e le montagne dell’altopiano dei Sette Comuni. Tra i numerosi dipinti, ne noto uno con gli alberi ammassati sul dorso della montagna dopo la tempesta Vaia il 26 ottobre 2018; un altro con le colline vicentine e i dintorni, e il più recente, che celebra i 500 anni dal giro del mondo del navigatore vicentino Antonio Pigafetta. Un dipinto ancora fermo sul cavalletto perché, in tempo di Covid, non è possibile presentarlo con un evento pubblico. Quando arriva il momento di salutarci, Teresa, mi saluta mostrandomi il ricordo del suo ultimo viaggio in Patagonia, nel 2012.Quando le chiedo in quale paese vorrebbe tornare subito, risponde sorridendo: “Tutti!”. 

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Giovanbattista Fiorese e il sogno di “Kroitzabeg”, l’azienda agricola che parla cimbro
Uva “bacò”, bacche di ginepro e aglio orsino per sfornare pane e dolci secondo la tradizione di famiglia

                          Linda Scuizzato

storiedichi-marostica-kroitzabeg-aziendaagricola-cimbroPer raggiungere la mia meta prendo la strada che da Vicenza sale verso le colline, dopo il paese di Marostica: un panorama di ulivi e vallate si allunga dolcemente verso Lusiana, passando per la frazione di Crosara, che lascio alle mie spalle.

Sulla destra un cartello segnala l’azienda “Kroitzabeg e Le marmellate di Rosi”, entrambe attività gestite da Giovanbattista Fiorese, con la collaborazione della mamma, Rosella Frigo (“Rosi”). Oltrepassando un’antica contrada, e incrociando il cammino di alcuni caprioli fra un tornante e l’altro,  raggiungo la loro casa di famiglia, che domina un panorama mozzafiato sulle colline.

Mi accoglie prima di tutti Amos, uno staffordshire bull terrier nero, che salta sul sedile della mia auto scodinzolando non appena apro la porta. Giovanbattista lo segue, vestito nel suo abito tradizionale cimbro, che indossa generalmente quando partecipa ai mercatini tradizionali e medievali, abbinandolo a un cappello di paglia realizzato con i fastughi del grano vernisso, ossia la lavorazione tipica della paglia di Crosara che ha caratterizzato il territorio sin dalla fine del 1600.

Giovanbattista Fiorese, per tutti “Gioby”, ha 24 anni e, sin da bambino,  coltiva una grande passione per la farina e per gli impasti, dolci e salati. Prima di iscriversi alla scuola alberghiera, innamorato del disegno e la scultura, ha tentato la strada del liceo artistico, ma si è reso conto ben presto che voleva dedicare la sua vita alla cucina, unendo arte e fornelli, ed esprimendo così al meglio la sua creatività.Ha frequentato la scuola alberghiera a Tonezza del Cimone, proseguendo con un’esperienza di tre mesi negli Stati Uniti, al servizio di una pasticceria francese. Ha lavorato, inoltre, in una panetteria di Asiago e successivamente, per quattro anni, in una pasticceria a Conco.

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La sua attuale azienda agricola “Kroitzabeg”, che significa “Crosara” in cimbro, è nata un anno fa, verso la fine del 2020, proprio nella casa dove Giovanbattista è cresciuto con la sua famiglia. Con la mamma, la sorella e il padre, scomparso qualche anno fa.“Il legame con la nostra terra e con gli insegnamenti di mio padre è molto forte, così come lo sono le tradizioni del mio paese di nascita, Roana, dove la cultura cimbra è ancora molto sentita, racconta. “Ho deciso di valorizzarla e farla conoscere attraverso la mia attività”.

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La frazione vicentina di Crosara, che anticamente faceva parte della Federazione dei Sette Comuni, è diventata comune autonomo per la tradizionale lavorazione della paglia e, nel 1938, è stata inglobata nel comune di Marostica.
Giovanbattista Fiorese lavora in un laboratorio annesso alla storica casa di famiglia. È una bellissima casa con panorama mozzafiato sui colli di Marostica, circondata da 6,5 ettari di terreno tra orti, frutteti, piantagioni e boschi di castagni. Il laboratorio, che inizialmente era dedicato alla sola produzione di marmellate della madre Rosy, è stato ingrandito e attrezzato ulteriormente per poter produrre pane e dolci. Tutte le erbe e i frutti utilizzati nelle sue ricette provengono dai suoi terreni, alcune, come le ortiche, vengono raccolte nei boschi circostanti.
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storiedichi-marostica-kroitzabeg-aziendaagricola-cimbroQuello che rende unico il sapore delle sue creazioni sono gli ingredienti: per la produzione di pane e dolci utilizza farine antiche biologiche di sua produzione, a basso contenuto di glutine, per ricette particolari attinge a farine di grani antichi di un mulino di sua fiducia.

L’acqua arriva invece da un’antica fonte di una contrada vicina, a cui si accede attraverso il bosco in cinque minuti di passeggiata. Le diverse erbe e gli ingredienti aggiunti al pane e ai dolci vengono prodotti con metodi naturali nel suo terreno in base al susseguirsi delle stagioni. A breve, per esempio, verrà sfornato il pane alla castagne, un inno all’autunno.

Ho la fortuna di assistere alla preparazione e alla cottura del pane con le bacche di ginepro, l’aglio “orsino” – così chiamato perché è il primo pasto dell’orso quando esce dal letargo – le ortiche, famose per le loro caratteristiche curative, e l’uva bacò. Quest’ultima, dal 2019, è entrata a far parte del patrimonio Slow Food, l’associazione che si impegna per la difesa della biodiversità e dei diritti dei popoli alla sovranità alimentare, battendosi contro l’omologazione dei sapori, l’agricoltura di massa e  le manipolazioni genetiche.“Quando, nel 2002, siamo venuti ad abitare a Crosara, un contadino, conoscente di mio padre, ha piantato alcuni butti recuperati da piante madri antiche di uva bacò  nel terreno di famiglia”, racconta Giovanbattista Fiorese. Con la pazienza, la costanza del lavoro e l’amore per la terra, prima del padre e poi di Giovanbattista stesso, l’uva è cresciuta e, da una sola pianta, ne sono nate altre cinquanta, che si trovano sulla parte più alta del terreno in pendenza, una si scorge sotto uno dei ciliegi centenari. “Lavorare la terra è dura, ma farlo, dà anche grande soddisfazione”, mi racconta “Gioby”. I prodotti dell’azienda agricola “Kroitzabeg” si possono trovare in sede a Crosara, al panificio di Roana “Vacca strada”, ad Asiago da “Annette”, a Bassano alla “Quinta essenza” oltre che ai mercatini – tra i più famosi “Made in Malga”, “Formaggi in Villa”, “Pomopero” ed eventi eno-gastronomici legati al territorio.Mentre intervisto e fotografo, il profumo di pane invade il laboratorio, e ho la fortuna di assaggiare il pane di uva bacò appena sfornato, di colore rosato per il mosto, e con il disegno della foglia di vite.

Prima di andare non posso non scattare due ritratti a Amos, seduto composto esattamente sotto il tavolo con le pagnotte appena sfornate, in attesa di qualche briciola.Una frase mi è rimasta impressa delle parole di Giovanbattista: Prima di andare devi scoprire le tue radici, prima di andare via devi sapere da dove vieni. Sono certa che le sue creazioni culinarie andranno lontano, ad addolcire i palati di molti buongustai.

La curiosità

Lo stemma dell’azienda agricola “Kroitzabeg” include l’albero ritratto nei letti in ferro battuto (per rappresentare la famiglia), il braccio di un cavaliere che afferra un’ascia (per rappresentare il lavoro), e la pianta di canapa (una pianta forte e curativa). A sinistra, invece, ci sono tre castagne, che nella simbologia Araldica rappresentano valori nascosti.

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