Visualizzazione post con etichetta passato che non passa. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta passato che non passa. Mostra tutti i post

3.3.14

ma in fondo non è niente è la vita soltanto

a volte mi chiedo perchè il passato è sempre li , arrembante ed ossessivo . Devastante . Quelle volte il passato non è solo presente ma anche futuro ! una condanna , un peso angosciante da cui è impossibile liberarsi .Ma poi ripenso a come sono adesso è vado avanti perchè  : <<  c'è un gioco da fare e una ruota che riparte \E un vagabondo sa che deve andare avanti  >>


Ma  soprattutto    queste  due  versioni di una famosa  canzone  








2.12.12

. Un repubblichino, la Resistenza e l'Italia del '43Emanuele Rosas pilota di guerra a Salò

in sottofondo  mentre  scrivo




Un mio amico\ conoscente di destra replicando a questi due miei post sul 70 anni di El Alamein ( 1 2 ) : << Sostenere la storia è sempre fare un passo "avanti": non c'è sostenibilità di futuro "nuovo" se il "vecchio" è ancora in discussione. >> Infatti  : 1)  la   storia \  intervista  riportata da Giorgio Pisano ( pisano@unionesarda.it )  sull'unione sarda del 2\12\2012  



Il repubblichino pilota di guerra «Ero un soldato, difendo Salò»


di  Giorgio Pisano 

Il pilota di guerra, repubblichino di Salò, s'è fatto un'idea precisa di Mussolini, della Resistenza e degli Alleati. Novant'anni compiuti non attenuano la lucidità di Emanuele Rosas, italiano di Sassari, che pur dichiarando di «non essere stato fascista», confessa serenamente che «si stava meglio quando si stava peggio». Quanto a lui, c'è poco da dire: «Ero un soldato e come soldato dovevo obbedire». L'italia che è arrivata dopo («quando ci siamo svegliati tutti democristiani») non gli piace. La nostalgia è forte ancora adesso: «Volare dà una sensazione irripetibile. Di libertà ma soprattutto di onnipotenza».Il ragazzo di Salò adesso ha novant'anni, il passo prudente e neanche l'ombra di un imbarazzo. Si chiama Emanuele Rosas, sassarese: è stato uno dei Diavoli rossi dell'Aeronautica nazionale repubblicana (Anr), ultimo baluardo della resistenza fascista all'avanzata degli Alleati.L'Italia di allora, a ridosso dell'armistizio firmato l'8 settembre 1943, era un Paese sbracato e annichilito. Molti hanno buttato la divisa alle ortiche, altri si sono affiancati ai partigiani, altri ancora - una minoranza irriducibile e disperata - ha aderito, come lui, alla Repubblica sociale creata da Mussolini a Salò. Rosas ha qualche difficoltà a digerire la Resistenza e deplora che in quella delicatissima fase di passaggio «siamo stati proprio dentro una guerra civile per almeno un mesetto». Alessandro Ragatzu, editore-scrittore, gli ha dedicato un libro ( UnDiavolo rosso sardo nella Rsi ) per raccontare una storia di vita diversa, la pulizia e la trasparenza di un soldato che aveva fatto una scelta opposta a quella di tanti suoi coetanei: non per un ideale ma solo per senso dell'obbedienza. «Io non sono fascista». Nessuna ricerca di attenuanti e, meno ancora, di pacificazioni tardive.Nello studio della sua casa algherese, Emanuele Rosas accetta di rispondere a qualche domanda ben sapendo d'essere «minoranza assoluta». Fuori dal tempo e dalla logica, direbbe qualcuno. Sulle pareti, le foto della gloria, il sorriso orgoglioso (manco fosse una fidanzata) accanto ai caccia che hanno tentato di fermare la Storia. Una è perfino famosa: circolava a Milano, appesa ai muri delle strade, nei giorni immediatamente successivi al 25 aprile. Lo ritrae, cuffia e occhialoni, ai piedi di un aereo da combattimento. «Periodo difficile», dice lui senza enfatizzare. Ma sa bene che se in quel momento i partigiani lo avessero individuato non avrebbe avuto scampo.Del resto, con la morte ci ha giocato più d'una volta: «Faceva parte del lavoro». Pian piano, mentre srotola i ricordi come una lunga e solenne guida rossa, si fa prendere la mano dai lampi di un'avventura che non rinnega e anzi gli accende ancora lo sguardo. In un cassetto conserva i documenti-chiave di quella stagione, a cominciare dal libretto di volo dove sono registrate tutte le missioni contro un nemico potente, più numeroso e meglio armato.Sorride di rado Emanuele, fosse per lui preferirebbe rispondere a domande tecniche più che politiche. Svela in velocità d'essere stato compagno di Enrico Berlinguer alle elementari («andavamo insieme alle adunate fasciste») ma appena può tenta di tornare all'unica religione che l'ha guidato: il volo. Di questo e basta vorrebbe parlare. Ha pilotato per quarant'anni, dopo la guerra è ovviamente planato negli aero-club ma a farlo atterrare in via definitiva ha pensato l'Agenzia delle Entrate con un accertamento fiscale che l'ha costretto a vendere un piccolo velivolo di proprietà.Chi era il Duce agli occhi d'un ragazzo?«Checché se ne dica, proclamando la Repubblica di Salò, Benito Mussolini ha evitato che continuassero i saccheggi dei tedeschi. E questo ha salvato tante persone».
Dunque il Duce...«Il fascismo non è quello che raccontate voi. Era solo un nuovo modo di governare. Certo, c'era un partito unico e niente elezioni ma non era affatto tutto quello che si dice. Appena è tramontato, gli italiani si sono svegliati all'improvviso democristiani».
Nostalgico?«Soltanto del volo. Ero un soldato, allora. Dovevo obbedire e ho obbedito. La parola democrazia non la conoscevamo».
Dov'era il giorno dell'armistizio?«A Gorizia. Venivo da Foligno, dove non era rimasto nessuno. Il comando tattico aveva dato un ordine preciso: attaccate gli americani, fate fuoco contro i bombardieri. Così diceva la radio ma io non potevo far nulla: ero solo. L'unico ufficiale rimasto vivo».
Poi?«A Gorizia mi hanno fatto prigioniero i partigiani slavi. Dopo un paio di giorni sono arrivati i tedeschi e i partigiani sono fuggiti».
Com'è che decide di aderire alla Repubblica di Salò?«Una sera, mentre passeggiavamo, c'è stato un passaparola che annunciava la Repubblica sociale. A quel punto ci hanno caricato su un camion e portato a Malpensa. Non posso dire che eravamo prigionieri ma nemmeno liberi».
Lei però se l'è squagliata ugualmente.«Un giorno sono uscito dal campo e me ne sono andato a Genova. Lì, senza mai smettere la divisa, sono entrato nella squadriglia che avrebbe dovuto combattere contro gli Alleati».
Nel gruppo di piloti era chiamato pinguino. Che vuol dire?«In gergo, il pinguino è il più giovane. Ero un ragazzo. Avevo ventun anni».
Volare.«Dà una sensazione irripetibile. Non solo di libertà, come pensano molti, ma soprattutto di onnipotenza. Ti senti invincibile, padrone del mondo. Tutto è nato quando ho visto al cinema Achille Serra pilota. È stata una folgorazione, in quel momento ho deciso cosa avrei fatto della mia vita».
A quante operazioni ha partecipato?«Se per operazioni intende combattimenti, ne ho fatto una quindicina. Una volta, in fase di decollo, mi sono ritrovato alle spalle un aereo nemico: ammazzarmi era come tirare un rigore a porta vuota. M'ha salvato la disperazione».
In che modo?«Ho messo l'aereo a coltello sulla linea elettrica e via, a duecento chilometri orari. Manovra difficile e spericolata: non potevo prendere quota, schivavo i campanili e speravo. Una follia, ma non avevo scappatoie. L'americano non se l'è sentita di fare altrettanto, troppo rischioso. Ed era talmente preso dall'inseguimento che non s'è neppure accorto di avere uno dei nostri appena sopra di lui. Riposi in pace».
Ha idea di quante persone ha ucciso?«Io, nessuna».
Non ha mai abbattuto un aereo?«Più d'uno. Noi però non puntavamo ai piloti che, tra l'altro, erano blindati. Ci interessava buttar giù il velivolo. Quanti morti? Non posso averne la certezza assoluta ma credo neanche uno».
Quante volte s'è detto: è finita?«Sempre e mai. Quando entri in combattimento, non pensi alla paura, non ne hai la possibilità. Senti magari i colpi di cannoncino investire l'aereo ma tiri dritto con un solo pensiero: vincere la sfida».
Quindi, terrore mai?«Come no, anche tanto. Ma solo prima di partire in missione. Una volta decollato, diventi un altro. Il rombo del motore diventa una specie di canto di guerra: era talmente assordante e avvolgente che non mi consentiva nemmeno di sentire il cuore».
C'è qualcosa di cui va fiero?«Tutto. Non rinnego nulla di quello che ho fatto. Non ho ragioni per vergognarmi».
Ha detto di aver combattuto soltanto contro gli americani.«Esatto. Mai contro i partigiani. Che poi, chi erano i partigiani? A parte i pochissimi che lottavano per un ideale, tutti gli altri non erano altro che renitenti alla divisa in fuga sulle montagne».
Mai sentito neppure di campi di concentramento e deportazioni?«La mia vita si divideva tra un'azione e l'altra. Le informazioni erano poche e contraddittorie. I nostri nemici non erano i partigiani, che non ci davano il minimo fastidio, ma i badogliani».
Cioè quelli che avevano tradito il Duce.«Proprio loro, dei partigiani non c'importava nulla».
Eppure hanno fatto la Liberazione.«Chi, i partigiani? Questa cosa mi fa ridere. La Liberazione, ammesso che sia giusto chiamarla così, l'hanno fatta gli Alleati. I partigiani se ne sono serviti per regolare qualche conto privato: vendette, rappresaglie».
Le risulta ci sia stata la Resistenza?«Massì, qualcuno l'avrà anche fatta. Dev'esser chiaro però che non ha liberato niente e nessuno. Semmai ha provocato tragedie. Io c'ero, posso testimoniare».
Che genere di tragedie?«A cominciare da quella di via Rasella a Roma: a chi si devono, se non ai partigiani, tante stragi perpetrate dai tedeschi nell'ultimo scorcio della guerra? Questo per dire che la cosiddetta Resistenza non ha affatto aiutato le popolazioni. Invece noi...».
Noi, cosa?«Noi, quando tornavamo dalle nostre missioni contro i caccia bombardieri, eravamo ben accolti dalla gente. Gli aderenti alla Repubblica di Salò erano amati, noi piloti poi addirittura venerati. Eravamo il vessillo di un'Italia che non si era arresa».
A casa sua sapevano?«Mio padre era in Africa, l'avevano richiamato. Vuol sapere se era fascista? Queste definizioni sono venute dopo. Allora eri o non eri un soldato, tutto qui».
Lei dice nella biografia: io non ero fascista.«Esatto».
Però aderisce a Salò, una contraddizione.«Cosa c'è da spiegare? Ero un soldato d'onore. Avevo giurato: da militare, non da fascista. Mi sono spiegato?»
Si stava meglio quando si stava peggio.«Io stavo di sicuro meglio. S'è guardato intorno?, ha visto cos'è la democrazia? Un referendum ha abrogato la legge sul finanziamento dei partiti e i partiti l'hanno serenamente aggirato: è questa la strada giusta?»
Cosa ha imparato?«Ho soprattutto capito che, dopo aver salvato la pelle a un sacco di gente, mi hanno preso a calci negli stinchi. Nei giorni immediatamente successivi il 25 aprile 1945 morire era un attimo. Bastava gridare fascista a qualcuno per strada e un secondo dopo quel qualcuno era già cadavere. Non è andata meglio nemmeno dopo».
Vittima di rappresaglie?«Sono stato assunto all'Inps di Sassari e poi mi sono trasferito a Milano. Delle ore di volo, degli anni da soldato non c'è traccia nel mio fascicolo. Mi hanno mandato sotto processo perché avevo aderito a Salò».
Sbagliato?«Volevano che chiedessi l'amnistia, lo stesso giudice me l'ha suggerito e ha compilato la domanda per me. Domanda che io non ho firmato: non dovevo farmi perdonare proprio nulla».
Com'è finita?«Ho dovuto accettarla, l'amnistia. Non faccia l'eroe, mi diceva il giudice, l'Italia è cambiata, si adegui. Ancora oggi, a pensarci, trovo vergognoso essere stato trattato in questo modo per aver servito la patria, essere stato fedele e leale. Creavamo imbarazzo. Per questo ci hanno come rimosso, come se non fossimo mai esistiti. Nel mio “stato di servizio” non c'è traccia dell'adesione alla Repubblica sociale».
Deluso?«Prendo atto. Con questo non voglio dire che l'ideale sarebbe tornare al fascismo, però...».
Però?«Questa che chiamano democrazia non è esaltante».
Servirebbe un Uomo della Provvidenza?«Basterebbe uno con la schiena dritta, senza scomodare la Provvidenza. Allora non c'erano delinquenti e tutte le ruberie che oggi restano impunite».
Ce l'ha, oggi, un partito di riferimento?«Dopo la guerra, mi riconoscevo nel Movimento sociale italiano finché non è arrivato Gianfranco Fini. Ho una pessima opinione di lui».
Perché?«Ha tradito lo spirito del partito, ha imbrogliato quel bonaccione di Silvio Berlusconi, ha sputato sui nostri morti».
A proposito di morti: tutti uguali?«Rigorosamente. Chiunque abbia combattuto per un ideale ha diritto al rispetto».
Stringerebbe la mano a un partigiano?«Che domanda è questa? I partigiani mettevano bombette a bordo strada per colpire le autocolonne. E i tedeschi rispondevano con le stragi».
Dunque?«Sto nel mio».

2 )  e il libro   di A.Ragatzu  UN DIAVOLO ROSSO SARDO DELLA RSI Le memorie e i documenti del tenente Emanuele Rosas pilota sassarese, dai Caproncini della RUNA di Cagliari ai Messerschmitt Me 109 dell’ANR un diavolo rosso   ALISEA edizioni, via Roma 67, 090040 Solemnis (CA)

 da  http://news.liberoreporter.eu/   Le memorie e i documenti del tenente Emanuele Rosas, dai Caproncini della RUNA di Cagliari ai Masserschmitt dell’ANR. L’autore Alessandro Ragatzu, che ha pubblicato diversi volumi sulle varie aeronautiche che si sono incontrate e scontrate nei cieli della Sardegna ha il merito di aver scoperto che il pilota sassarese Emanuele Rosas, dato per morto nel 1944, era ed è vivo e vegeto in quel di Alghero, con una mente lucidissima e quella innata capacità che hanno i sardi di raccontarsi, senza tanti orpelli, dove il proprio operare non corrisponde mai al principio “moderno” del do ut des, bersi a quello molto più antico: “agisco così perché è giusto che agisca così, costi quel che costi”.  A questo si aggiunge che Rosas ha tirato fuori dai cassetti documenti e foto inedite di grande interesse storico. Il risultato contenuto in “Un Diavolo Rosso sardo della Rsi” non poteva che essere un volume brillante e capace, molto più di tanti libri seriosi, di farci comprendere uomini, fatti e idee di un epoca, sulla quale ancora oggi, ci si accapiglia senza molta cognizione di causa.


Più  scarna   e  sintentica ma  non per  questo utile   a chi  non vuole sapere troppe  anticipazioni  sul  libro  è  questa di  da  http://tuttostoria.it/
Racconta la breve ma intensa vita di pilota del tenente Emanuele Rosas, che a soli 17 anni consegue il brevetto civile nel campo di Monserrato, per poi proseguire nelle scuole di volo militari di Pistoia, Gorizia e Campoformido.
Nell'estate 1943 è a Capoterra con il 20° Gruppo Caccia, poi a Foligno e quindi nuovamente a Gorizia, dove lo coglie l'armistizio dell’8 settembre. Arruolatosi nell’ANR e assegnato al 2° Gruppo Caccia (2° Squadriglia Diavoli Rossi), vive da protagonista tutte le vicende del reparto e partecipa a numerosi combattimenti contro i caccia e i bombardieri americani, fino alla fine del conflitto. Il testo è arricchito da numerose immagini tratte dall’album personale del tenente Rosas, che offrono numerosi e interessanti spunti modellistici. 








16.5.12

tremate le antiche streghe non torneranno



--------------- l'unico commento che riesco a esprimere leggendo tale news da la nuova sardegna del 16\5\2012 che trovate sotto . Ma poi concordo con un commento all'articolo che dice : << l'ignoranza non ha confini temporali >> . Per il resto lascio la parola  ai commenti   sotto  l'articolo


«Era una strega», negata l’intitolazione di una via a Julia Carta

La prefettura di Sassari ha risposto no alla richiesta del Comune di Siligo di intestare una strada del paese a una “majalza” vissuta a Siligo tra il 1596 e il 1606, processata due volte dall’Inquisizione per stregoneria, ma scampata al rogo



di Vanni Lai
SILIGO. “Via Julia Carta. Strega”. Si può immaginare una targa così? Certo, niente a che vedere con il Vicolo d’oro di Praga, la via degli alchimisti, che cercavano di tramutare il ferro in oro per l’imperatore Rodolfo II d'Asburgo. Ma dalle nostre parti una via in memoria di una strega non è cosa da poco. Negli ultimi mesi, per due volte, il comune di Siligo ha fatto richiesta alla Prefettura di Sassari di intitolare la strada a Julia Carta, “majalza” vissuta tra 500 e 600. La risposta, dietro il parere “vincolante” della Deputazione di storia patria, l’istituto che si occupa di queste materie, è stata negativa. Chi era Julia Carta? Originaria di Mores ma residente a Siligo, fu processata due volte dal tribunale dell’Inquisizione tra il 1596 e il 1606. Denunciata dal parroco di Siligo Baltassar Serra y Manca, fu imprigionata a Sassari. Recidiva, continuò a esercitare come “hechizera”, cioè strega. Evitò il rogo anche nel secondo processo e di lei non si seppe più nulla dopo il 1614. «La prima risposta data dalla Prefettura è arrivata a fine 2011 _ dichiara il sindaco Giuseppina Ledda _. Certi di un abbaglio, abbiamo spedito una scheda con dati più esaustivi ma c’è stato un nuovo diniego». Nel frattempo Siligo ha avuto l’autorizzazione per altre vie. «Le richieste per via Antonino Casu, carabiniere ucciso dalle Brigate rosse, per piazza Maria Carta, per la via Antonio Segni sono state accolte. Nella risposta Julia Carta è stata definita truffatrice _ continua il sindaco _. Forse c’è un pregiudizio alla base, partito dal termine “strega”. Non c’è stato dialogo, solo un chiaro “no”. A noi dispiace che ancora oggi i comuni non possano decidere di intitolare le vie a personaggi importanti. Chiederemo una relazione più approfondita alla Deputazione». Il caso è stato lanciato su Facebook: «Nel 2012 Julia Carta è stata processata ancora una volta ingiustamente» scrive il sindaco sulla bacheca di “Donne in carrelas”, gruppo che vuole dare visibilità alle donne nella toponomastica delle città. Il presidente della Deputazione di storia patria della Sardegna è Luisa d’Arienzo. «Julia Carta è un personaggio che ancora oggi potrebbe dare indicazioni sbagliate, rappresentare un cattivo esempio _ dichiara D’Arienzo _. Non è opportuno dare il nome a una via a chi rappresenta un giro oscuro, a una donna che è stata perseguitata anche per questo, e che non è una martire. Non ci è sembrato un personaggio che avesse un valore morale, per queste motivazioni la risposta è stata negativa». L’autore dello studio più importante sulla strega Carta è Tomasino Pinna, docente di Storia delle religioni della facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Sassari. Pinna racconta i fatti nel suo libro “Storia di una strega. L’Inquisizione in Sardegna. Il processo di Julia Carta”. «Si tratta di uno studio storico-scientifico del 2000, un lavoro di anni _ dice Pinna _, che si basa su documenti raccolti a Madrid». Sul caso di Siligo Pinna è chiaro. «La via può essere intitolata _ sostiene _. Se si basa sulle argomentazioni date e sul mio studio, la giustificazione della Deputazione non regge».

  • Rita Nonnis
    La storia di Julia Carta pubblicata oggi su La Nuova è venuta alla ribalta grazie al gruppo Donne in Carrelas [ a cui vi invito ad iscrivervii e a partecipare] mostra, casomai ce ne fosse bisogno, che i pregiudizi sulle donne sono duri a morire. Questa donna è la testimonianza che anche in Sardegna c'è stata una caccia alle streghe ed ha una valenza simbolica importante ricordare questi veri e propri crimini contro le donne che si sono perpetrati per anni.
    Bisogna anche riconoscere che il giornalista de La Nuova è stato davvero bravo a ricostruire tutte le fasi della vicenda ricercando e intervistando gli attori della storia.
    Nella speranza che alla fine Julia Carta venga riconosciuta come simbolo delle persecuzioni dei Tribunali d'Inquisizione in Sardegna.

  • Milena Meloni · Ardea
    merita una via anche in città del vaticano, per il solo fatto di essere stata processata dalla "SANTA INQUISIZIONE"
    • Libero Rutto · Senza denti presso Sul divano con male al ginocchioo !!!
      io sono di siligo e mi dispiace assai per due motivi 1) ho un progetto musicale il cui nome è in onore di julia carta 2) (la cosa che mi fa più incazzare) l'inquisizione non è mai finita ma è vivissima in altre forme

      • Francesco Masala
        Aggiornami sulla storia di questa signora *_*
      • Claudia Fenu
        dai Francesco che il mese scorso c'è stata una bellissima conferenza su Julia Carta nata a mores ma trasferitasi a siligo dove aveva sposato un vedovo che aveva un figlio...erano stati felici e contenti finchè lei non ha avuto la malaugurata idea di dire a qualche bigottona del paese che non sempre è necessario andare dal prete a confessarsi perchè quello era un gran pettegolo e si finiva col passare in pubblica piazza per cornuti e puttane grazie a lui...quindi aveva suggerito delle tecniche per la confessione fai-da-te e il prete ovviamente non l'aveva presa proprio bene....anche perchè essendo una guaritrice(era la più brava da sassari a tempio)..in più ovvviamente faceva anche altro..ma vabbè il prete finchè non si è messa a dar consigli in campo religioso l'aveva lasciata stare ^_^



    14.4.12

    perchè si chiama passato se non passa ? Piazza della Loggia, nessun colpevole assolti in quattro al processo d'appello

    ecco  uno dei motivi  per  cui sono libertario  e  ribelle e non credo  nonostante  la mia  giovane  età   nei processi  e nella  giustizia  degli uomini  ma solo in quella  di Dio  . Ed  ecco che mentre  m'accingo , dopo aver letto  (  fonte la   repubblica  online d'oggi  )

    Piazza della Loggia, nessun colpevole
    assolti in quattro al processo d'appello

    in primo grado Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte e il generale dei carabinieri
    Francesco Delfino erano stati assolti con formula dubitativa. L'esplosione uccise otto persone
    Le parti civili sono state condannate a pagare le spese processuali dopo l'assoluzione di Rauti






     a  scrivere   il post  d'oggi  mi ritorna  in mente  questa  canzone El tiempo pasa - Mercedes Sosa  con annessa   sega elucubrazione mentale  come testimonia   la prima parte del titolo  del post d'oggi è  una mia  perifrasi   ad un aforisma di  F.De Andrè  (   qui maggiori news ) 

     La  vicenda    di cui si parla  si può riassumere  in questo video  




    ma  per  chi volesse  saperne di più  o anche se   ma   ha dimenticato  e gettato alle ortiche  o il bambino con  l'acqua sporca   passando  per  opportunismo   da una parte all'altra   cioè dall'opposizione   al potere   o   con i suoi  silenzi  nella  zona grigia  lascio  poichè  non se ne perda traccia  o non finisca  nel settore  a pagamento    questo  articolo dettagliattissimo   di repubblica  online d'oggi   che 

    emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

    Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...